“Elliott Erwitt. Icons” a San Gimignano

 

 

Elliott Erwitt_Icons_da Barbara Izzo

Per iniziativa dell’Assessorato alla Cultura del Comune di San Gimignano, dal 6 aprile al 31 agosto 2014, sarà aperta al pubblico, presso la Galleria di Arte Moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada”, la mostra “Elliot Erwitt”, un progetto di Civita e SudEst57, curato da Biba Giacchetti e organizzato da Opera Laboratori Fiorentini.

La mostra ripercorre la carriera e i temi principali della poetica del grande fotografo e artista americano Elliott Erwitt (1928), attraverso 42 scatti da lui stesso selezionati come i più rappresentativi della sua produzione artistica. Sarà esposta inoltre una serie di 9 autoritratti, esclusivi di questa mostra,  che costituiscono un “evento nell’evento”.

Tra gli autoritratti esposti anche quelli a colori in cui l’artista veste i panni di André S. Solidor, alter ego inventato per ironizzare sul mondo dell’arte contemporanea e sui suoi stereotipi. Andrè S. Solidor (si noti l’acronimo irriverente) ed Elliott Erwitt saranno anche protagonisti del film “I Bark At Dogs” che sarà proiettato in mostra.

Grande autore Magnum, reclutato nel 1953 all’interno della celebre agenzia direttamente da Robert Capa, Elliott Erwitt ha firmato immagini diventate icone del Novecento. Tra queste, in mostra a San Gimignano alcune delle più celebri: il bacio dei due innamorati nello specchietto retrovisore di un’automobile, una splendida Grace Kelly al ballo del suo fidanzamento, un’affranta Jacqueline Kennedy al funerale del marito, i ritratti di Che Guevara e Marilyn Monroe, alcune foto appartenenti alla serie di incontri tra i cani e i loro padroni, iniziata nel 1946.

E ancora, gli scatti che Erwitt, reporter sempre in viaggio, ha raccolto per il mondo, a contatto con i grandi del Novecento ma anche con la gente comune. E i paesaggi, le metropoli. Gli scatti di denuncia, in cui al suo sguardo di grande narratore, si mescola sempre ironia e leggerezza, e la sua capacità di trovare i lati surreali e buffi anche nelle situazioni più drammatiche.

La mostra sarà corredata da una esclusiva pubblicazione curata da Erwitt stesso in collaborazione con Sudest57 e disegnata da Anders Weinar. Una collezione di stampe rilegate ed amovibili, ciascuna con testi inediti di backstage, scritti da Biba Giacchetti che collabora con Erwitt da circa

20 anni.

Elliott Erwitt è nato in Francia da una famiglia di emigrati russi, nel 1928. Passa i suoi primi anni in Italia. A 10 anni si trasferisce con la Famiglia in Francia e da qui negli Stati Uniti nel 1939, stabilendosi dapprima a New York, poi, dopo due anni, a Los Angeles.

Nei primi anni ‘50, Erwitt dopo aver soggiornato a Pittsburg, in Germania e in Francia, si stabilisce a New York, città che elegge sua base operativa. Dotato di flessibilità e spirito di adattamento, Erwitt ha viaggiato in tutto il mondo. Durante i suoi studi alla Hollywood High School, Erwitt lavora in un laboratorio di fotografia sviluppando stampe “firmate” per i fan delle star di Hollywood. Nel 1949 torna in Europa, viaggiando e immortalando realtà e volti in Italia e Francia. Questi anni segnano l’inizio della sua carriera di fotografo professionista. Chiamato dall’esercito americano nel 1951 continua a lavorare per varie pubblicazioni e, contemporaneamente, anche per l’esercito americano stesso, mentre soggiorna in New Jersey, Germania e Francia.

La grande opportunità gli viene offerta dall’incontro, durante le sue incursioni newyorchesi a caccia di lavoro, con personalità come Edward Steichen, Robert Capa e Roy Stryker che amano le sue fotografie al punto da diventare suoi mentori. Nel 1953 congedato dall’esercito, Elliott Erwitt viene invitato da Robert Capa, socio fondatore, ad unirsi a Magnum Photos in qualità di membro fino a diventarne presidente nel 1968.

Oggi Erwitt è riconosciuto come una dei più grandi fotografi di tutti i tempi. I libri di Erwitt, i saggi giornalistici, le illustrazioni e le sue campagne pubblicitarie sono apparse su pubblicazioni di tutto il mondo per oltre quarant’’anni. Pur continuando il suo lavoro di fotografo Elliot Erwitt negli anni ‘70 comincia a girare dei film. Tra i  suoi documentari si ricordano Beauty Knows No Pain (1971) Red White and Blue Glass (1973) premiato dall’American Film Institute e The Glass Makers of Herat (1997).

Negli anni ‘80 Elliott Erwitt produce 17 commedie satiriche per la televisione per la Home Box Office. Dagli anni ‘90 fino ad oggi continua a svolgere un’intensa vita professionale che tocca gli aspetti più disparati della fotografia.

Tra le sedi espositive più prestigiose dove Erwitt ha presentato i suoi lavori, si segnala The Museum of Modern Art a New York, The Chicago Art Institute, The Smithsonian Institution a Washington D.C., The Museum of Modern Art di Parigi (Palais de Tokyo), The Kunsthaus a Zurigo, il Museo Reina Sofia a Madrid, The Barbican a Londra, The Royal Photografic Society a Bath, The Museum of Art del New South Wales a Sydney.

Attualmente i libri pubblicati da Erwitt sono più di 45

Elliott Erwitt/ Icons

San Gimignano

Spezieria Santa Fina – Museo Archeologico – Galleria di Arte Moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada”. Dal 6 aprile al 31 agosto 2014, tutti i giornidalle 9.30 alle 19.00.

Ingresso:€ 7,50 Intero; € 6,50 ridotto: minori dai 6 ai 17 anni, ultrasessantacinquenni, gruppi di almeno 20 persone (fino a due accompagnatori con ingresso gratuito), gruppi di alunni di scuole pubbliche in visita didattica (fino a due accompagnatori con ingresso gratuito).

Ingresso gratuito: minori di 6 anni, residenti a San Gimignano, soggetti diversamente abili che necessitino di accompagnamento e relativi accompagnatori, guide turistiche, titolari tessere I.C.O.M.

Agevolazione Gruppi: Sconto del 50% sul check in autobus per i gruppi che avranno prenotato il biglietto d’ingresso alla mostra ed ai Musei Civici di San Gimignano.

Barbara Izzo e Arianna Diana

 

Roma Sinfonietta diretta da Rizzari

Prosegue la stagione concertistica dell’Associazione Roma Sinfonietta nell’auditorium “Ennio Morricone” della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Tor Vergata, in via Columbia 1.

Carlo-Rizzari-2Mercoledì 2 aprile, alle 18.00, si terrà il concerto dell’Orchestra Roma Sinfonietta diretta da Carlo Rizzari. Sono in programma due grandi compositori del periodo barocco. Lo Stabat Mater è l’ultima composizione di Giovan Battista Pergolesi, portata a termine pochi giorni prima della sua precocissima morte a soli ventisei anni. Era la prima volta che la musica sacra si animava di un calore e di una carica emotiva nuovi e dopo quasi trecento anni non si è ancora attenuata la drammaticità quasi teatrale della rappresentazione del dolore della Madonna sul corpo del figlio morto. A Pergolesi segue Georg Friedrich Haendel con la sfavillante Suite in re maggiore per tromba e archi, esempio del barocco trionfale e festante, anche grazie al suono sfolgorante della tromba.

In Pergolesi cantano il soprano Paola Sanguinetti e il mezzosoprano Renata Lamanda. In Haendel il solista di tromba è Andrea Di Mario.

Sul podio Carlo Rizzari, che al ruolo di assistente di Antonio Pappano all’Accademia di Santa Cecilia affianca una carriera internazionale sempre più intensa e ricca di soddisfazioni. Dirige regolarmente l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia e ha diretto l’Orchestra Sinfonica di Montreal, l’Orchestra della Suisse Romande, l’Orchestra Sinfonica di Graz, l’Orchestra del Teatro San Carlo di Napoli, l’Orchestra Regionale Toscana, l’Orchestra di Padova e del Veneto, l’Orchestra della Fondazione Toscanini di Parma. In campo operistico ha diretto al Teatro Carlo Felice di Genova, al Bellini di Catania, al Petruzzelli di Bari, al Sao Carlos di Lisbona, al Reate Festival.

Mercoledì 2 aprile ore 18.00

Orchestra Roma Sinfonietta

Carlo Rizzari – direttore

Paola Sanguinetti – soprano

Renata Lamanda – mezzosoprano

Andrea Di Mario – tromba

GIOVAN BATTISTA PERGOLESI – Stabat Mater

GEORG FRIEDRICH HAENDEL – Suite in re maggiore per tromba e archi

 

Mauro Mariani

 

Un Commendatore in casa lemienotizie.com

Immagine 003-001L’onorificenza di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica, conferitole lo scorso 27 dicembre dal signor Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, è stata consegnata lo scorso 27 marzo in Palazzo Broletto, a Brescia, al direttore de lemienotizie.com Alessia Biasiolo.

La cerimonia si è svolta all’interno della Prefettura di Brescia, alla presenza di sua eccellenza il prefetto Brassesco Pace, e del sindaco della Leonessa d’Italia Emilio Del Bono.

COMMENDATORE-SINDACO-PREFETTO

Presenti i familiari e un gruppo di amici.

Un riconoscimento importante per Alessia Biasiolo, impegnata da anni in ambito culturale e nel volontariato.

Ancora giovane per un titolo così alto, nei sette anni trascorsi dal titolo di Ufficiale Alessia ha continuato il suo impegno, caratterizzando la sua opera sempre con professionalità ed estro creativo.

A lei vanno le più sincere congratulazioni da parte dello staff lemienotizie.com e di tutti gli iscritti.

 

“L’impresario delle Smirne” rivive e teatro

Spettacolo interessante a attualissimo, per rinnovare la magia di Carlo Goldoni e del suo “Impresario delle Smirne”, nome considerato plurale per intendere la terza cittadina della Turchia. Un pizzico di fascino orientaleggiante, per una commedia spassosa, come spesso sono quelle goldoniane, e che intende sottolineare ancora una volta i vizi dell’essere umano. La superficialità, il pressapochismo e la vanagloria, da sempre forieri di guai. E, soprattutto, di turlupinamenti da parte di scaltri individui che non si fanno scrupoli di approfittare dell’orgoglio e dell’immodestia. Della volontà di apparire più di quel che si sia e, ancor più, di volere finalmente quel successo che non sembra mai sinonimo di lavoro impegno e responsabilità maggiori, bensì di agi, di possibilità di concedersi beni e lussi altrimenti negati. Si passa, insomma, da una vita anche solo immaginaria da nababbi, ad una vita di miseria, la via di mezzo non c’è.

A meno che non si diventi giocolieri o locandieri o tutti e due, come nel caso del locandiere della commedia che intrattiene gli astanti “da trent’anni” sempre con la stessa “merda”: lui si è reso conto che tutto è niente e che è sempre meglio avere persone capaci di pagare il conto, piuttosto che con nomi altisonanti.

Tra sollazzi e risate, eccoci allora ad ammirare la scena di un tonfo dalla poltrona e da un finto tentativo di impiccagione, per poi correre ai soliti ripari: per non sentirsi falliti si ricorre al Conte che promette guadagni e soprattutto “fama”, “successo”, “zecchini” e d’oro, naturalmente.

Messo in scena da Associazione Teatrale Pistoiese in collaborazione con Valzer Srl, su adattamento e regia di Roberto Valerio, “L’impresario” è una commedia scritta nel 1759, ma è resa moderna ed antica allo stesso tempo dalle belle scene di Giorgio Gori, rese ancor più accoglienti e parte più del solito della recitazione stessa dalle luci di Emiliano Pona. I costumi di Lucia Mariano ravvivano un impresario turco, a caso si chiama Alì (Nicola Rignanese), di bianco e turbante, ma la modernità arabescheggiante degli abiti lo tramutano in una macchietta, mentre l’impresario italiano, il Conte Lasca (Roberto Valerio), gli fa da contraltare completamente vestito di nero e dalla maestra andatura da dandy. Bastone compreso.

La “ciurma” di attori raffazzonati è composta da tre donne, tutte prime attrici ovviamente, che pur di contendersi la parte si giocano la reputazione, il guadagno, sarebbero disposte a lavorare gratis. Primeggiare è la parola d’ordine. Ecco allora che Annina (Federica Bern) e Tognina (Valentina Sperlì) già dal nome scelto dall’abile commediografo non possono che scomparire davanti all’avvenenza di Lucrezia (Chiara Degani), bella, giovane, disposta a tutto, dal marcato accento veneziano quando le occorre, quindi “per bene, a posto”, a differenza della bolognese Annina, ad esempio. Eppure, Lucrezia è astuta, porta ogni argomento dalla sua parte, non disdegna di usare le maniere forti con Lasca al quale non dispiacciono durante effusioni amorose, mentre cerca in ogni modo di portare il ragionamento di Alì a preferirla, quasi fosse una sua scelta. Carluccio e Pasqualino scompaiono, malgrado vogliano essere riconosciuti i bravi attori che non sono, Maccario fa da spalla e Beltrame diverte il pubblico con i suoi birilli che volteggiano come i pensieri degli impresari, ammaliati sì dalla bellezza femminile, ma ancor più dalle borse di denaro sonante.

Insomma, per denaro si cede tutto, si vende tutto, tranne la dignità del locandiere, che tale rimane, tra un attore che va ed uno che viene.

Goldoni “parla per fondamento”, per sua stessa dichiarazione, e tratteggia dell’ambiente del teatro un ritratto impietoso e ben per questo divertente, che porta ancora una volta a riflettere su noi stessi e il nostro tempo: su quanto siamo disposti a barattare la nostra etica pur di spingere qualcun altro nel fosso.

Annina, Tognina e Lucrezia sparlano l’una dell’altra; complottano per sgambettarsi, ma non pensano affatto di coalizzarsi per ottenere un trattamento migliore.

Soltanto alla fine, quando l’impresario turco scapperà dalla città per non essere capace di venire a capo di una compagnia d’opera che è sì messa insieme alla bell’e meglio, ma che comunque gli costa troppo (con il dubbio che sia composta da gente che non sa recitare), tutti quanti si decidono di ascoltare Lasca. Egli propone una novità: utilizzare i duemila ducati ricevuti in regalo da Alì per il mancato ingaggio, per creare una compagnia nuova, autogestita. Tutti concordano, senza capire di essere caduti in un nuovo raggiro. E tutto ricomincia come prima, senza nessuna donna che voglia recitare altro ruolo che la prima e con gli uomini che si improvvisano, pur di sopravvivere. E di voler lavorare quando vogliono loro, tra un amoreggio e l’altro.

Bravi anche Antonino Iuorio, Massimo Grigò, Alessandro Federico e Peter Weyel.

Vista al Teatro Sociale di Brescia, la commedia riproduce il clima dell’epoca goldoniana, ma tratteggia grottescamente il nostro tempo e porta a riflettere più del solito in questi tempi grigi.

Sul ruolo dell’Arte, del teatro; su chi tira i fili di quelle marionette che possiamo essere tutti noi, sia che ne siamo consapevoli che non.

Alessia Biasiolo

 

 
 

 

 

Riaperte le visite all’Isola Bella e all’Isola Madre

Dallo scorso 22 marzo, si sono aprono le visite sia all’Isola Bella che all’Isola Madre, oltre che alla Rocca di Angera sul Lago Maggiore.

Molte le novità che attendono i visitatori nei tre gioielli dei Domini Borromeo sul Lago.

Tra le prime, l’emozione di entrare, a conclusione di un complesso restauro, nelle celebri Grotte di Palazzo Borromeo allIsola Bella. Per volontà dei Principi Borromeo, squadre di tecnici specializzati nel recupero di paramenti lapidei, insieme a specialisti nel restauro e manutenzione di ambiti diversissimi, si sono affaccendati in questi mesi per riportare le Grotte alla loro massima bellezza. E con le Grotte, tutti i preziosi reperti che esse ospitano. I sei grandi ambienti illuminati dal baluginio dell’acqua del lago, da sempre stupiscono i visitatori. Questi ambienti, posti a filo d’acqua, nel corpo settentrionale del Palazzo Borromeo sull’Isola Bella, appaiono interamente ricoperti da milioni di ciottoli, stucchi, madreperle, concrezioni, marmi, a voler ricreare la sensazione di addentrarsi in vere e proprie grotte.

La realizzazione di questi ambienti, voluti da Vitaliano Borromeo, per proteggere famiglia e amici dalla calura estiva ma anche per stupire e divertite i suoi ospiti, ha richiesto più di un secolo, con diverse interruzioni. Gli architetti che si sono succeduti nella creazione di questo stupefacente ambiente, ma anche i committenti, avevano idee e obiettivi precisi. Per accontentarli i materiali necessari sono stati selezionati e qui portati anche da molto lontano, così come dai territori del lago. Decine e decine di migliaia di piccoli frammenti di concrezioni, marmi rari, rocce e conchiglie, schiume di ferro sono stati qui assemblati secondo disegni precisi per creare un nuovo fantastico mondo.

A popolarlo sono giunti statue, mobili, reperti, il tutto tra giochi d’acqua, motivi araldici e mosaici. Non c’è da stupirsi che, ben presto, queste Grotte siano diventate famose e che gli illustri visitatori di passaggio per l’Italia le inserissero tra le mete imperdibili nel Grand Tour nel Bel Paese.

Le magnifiche statue in marmo bianco che qui hanno trovato collocazione hanno sempre stupito i visitatori per la loro bellezza, talvolta creando pruderie oggi impensabili. Come nel caso della bella Venere nuda, creata da Vincenzo Monti sull’esempio della Ninfa dormiente del Canova. A proposito di questo bellissimo nudo, le rimostranze degli ospiti più pudibondi, avevano spinto Gilberto V Borromeo e pensare di disfarsene, decisione che fortunatamente non ha avuto seguito. Attualmente le Grotte ospitano reperti diversissimi, di grande interesse. Tutti sottoposti, in questi mesi, ad analisi e, ove necessario, a puliture o restauro.

Accanto ai preziosi marmi, vi si ammirano raccolte di conchiglie e alghe fossili, ma anche reperti protostorici ed una piroga dell’Età del ferro ritrovati sulle sponde del Lago, il modello storico del Bucintoro di Venezia, vesti e armature di antichi Samurai, una piccola divinità indù del Mille, e tanto altro: una wunderkammer dove riunire tesori e curiosità, testimonianze del gusto collezionistico della famiglia e alcuni dei più curiosi doni che le giungevano da mezzo mondo.

Un tesoro a sé stante è la sontuosa collezione di selle, bardature e finimenti di gala dei cavalli da parata del Casato. Capolavori creati dai migliori artigiani dell’area milanese, giunti perfettamente intatti sino ad oggi e che il restauro appena concluso preserverà perfetti anche per il futuro.

Su incarico dei Principi Borromeo, in questi giorno, Massimo Listri, grandissimo fotografo d’interni, sta documentando il risultato dell’intervento di restauro. Le immagini d’arte di Massimo Listri illustreranno la guida alle Grotte, il cui testo è stato chiesto a Marco Carminati, prestigiosa firma del Domenicale del Sole 24 ore. La guida, con i testi di Carminati e le immagini di Listri, sarà a disposizione del pubblico, sia in loco che tramite web dal sito http://www.isoleborromee.it

Articolo di S. E.

Tutti i premiati del Concorso Packaging di Vinitaly

La giuria del 18° Concorso Internazionale Packaging di Vinitaly ha assegnato l’“Etichetta dell’anno 2014” al “Bardolino doc Classico 2013″ dell’Azienda agricola Bigagnoli di Calmasino di Bardolino (VR), che si aggiudica anche il “Premio speciale packaging 2014” per la categoria vini. Per la categoria distillati il “Premio speciale packaging 2014” è stato attribuito alla ditta Bortolo Nardini di Bassano del Grappa (VI).

I campioni in concorso erano 160, tre i vincitori di medaglia per ognuna delle otto categorie previste dal regolamento.

I lavori del concorso si sono svolti il 14 marzo a Verona, con una giuria particolarmente qualificata a valutare la confezione dei vini e dei distillati presentati, guardando tutti gli elementi che la compongono: dalla forma della bottiglia, all’etichetta, dal collarino alla capsula ecc.

La competizione, complementare al 21° Concorso Enologico Internazionale in programma dal 26 al 30 marzo prossimi, è la più importante al mondo e ha lo scopo di evidenziare il miglior abbigliaggio dei vini e dei distillati provenienti da uve, vinacce, mosto e vino e liquori provenienti da frutta diversa dall’uva premiando e stimolando lo sforzo delle aziende vitivinicole al continuo miglioramento della propria immagine.

«Con il Concorso packaging – dice Giovanni Mantovani, direttore generale di Verona fiere – vogliamo porre all’attenzione su un aspetto particolarmente importante del marketing enologico, che è appunto quello dell’immagine, che deve sempre più tenere conto dei mercati ai quali si rivolge e al target di consumatore finale che si vuole raggiungere».

I risultati del Concorso internazionale packaging 2014

Categoria 1: confezioni di vini bianchi tranquilli a denominazione di origine e a indicazione geografica:

Etichetta d’Oro

Lugana Doc 2013

Società Agricola Olivini S.s. – Desenzano del Garda (BS)

Grafica: Novaidea Creative Resources – Selva del Montello (TV)

Etichetta d’Argento

Isonzo del Friuli Doc Friulano “Villa Locatelli” 2013

Tenuta di Angoris S.r.l. – Cormons (GO)

Grafica: Studio Marco Viola – Andrea Battello – Udine

Etichetta di Bronzo

Collio Doc Pinot Grigio 2010

Soc. Agr. La Ginestra di V. & F. Primas – Mossa (GO)

Grafica: Ottodesign – Milano

Categoria 3 – confezioni di vini rosati tranquilli a denominazione d’origine e a indicazione geografica:

Etichetta d’Oro

Bardolino Doc Classico Chiaretto 2010

Azienda Agricola Bigagnoli di Bigagnoli Alessio – Calmasino di Bardolino (VR)

Grafica: Onice Design di Stefano Torregrossa – Sona (VR)

Etichetta d’Argento

Castel del Monte Bombino Nero Docg “Suprematism” 2012

Azienda Agricola Tor de Falchi – Minervino Murge (BT)

Grafica: Crea Identity – Roma

Etichetta di Bronzo

Basilicata Igt Rosato “Frui Paratis” 2011

Azienda Agricola San Vito di Cifarelli Vito – Montescaglioso (MT)

Grafica: Mauro Bubbico – Montescaglioso (MT)

Categoria 4 – confezioni di vini rossi tranquilli a denominazione d’origine e a indicazione geografica delle annate 2013 e 2012

Etichetta d’Oro

Piemonte Doc Barbera Vino Biologico “In Origine” 2013

Cantina di Nizza S.c.a. – Nizza Monferrato (AT)

Grafica: AdContent – Torino

Etichetta d’Argento

Cannonau di Sardegna Doc “Kiri” 2012

Cantina del Vermentino S.c.a. – Monti (OT)

Grafica: Quom 3 S.n.c. – Monti

Etichetta di Bronzo

Bolgheri Doc Rosso “Aska” 2012

Banfi S.A. S.r.l. – Montalcino (SI)

Grafica: Alias – Palermo

Categoria 5 – confezioni di vini rossi tranquilli a denominazione d’origine e a indicazione geografica dell’annata 2011 e precedenti

Etichetta d’Oro

Barbera d’Asti Docg Superiore 2011

Giordano Vini S.p.a. – Valle Talloria di Diano d’Alba (CN)

Grafica: La Commerciale S.r.l. – Alba (CN)

Etichetta d’Argento

Matera Doc Primitivo 2011

Azienda Agricola San Vito di Cifarelli Vito – Montescaglioso (MT)

Grafica: Mauro Bubbico – Montescaglioso (MT)

Etichetta di Bronzo

Isola dei Nuraghi Igt Rosso “Siray” 2010

Azienda Agricola Pala di Mario Pala & C. – Serdiana (CA)

Categoria 7 – confezioni di vini spumanti prodotti con fermentazione in autoclave (metodo charmat) e con fermentazione in bottiglia (metodo classico)

Etichetta d’Oro

Reggiano Dop Lambrusco Spumante Brut “Podere Francesco Bolle Rosse ’13”

Az. Agr. Lombardini Francesco – Novellara (RE)

Grafica: We Strategie Creative – Reggio Emilia

Etichetta d’Argento

Franciacorta Docg Brut

La Riccafana di Riccardo Fratus – Cologne (BS)

Grafica: Officina Grafica S.r.l. – Firenze

Etichetta di Bronzo

Prosecco Doc Treviso Spumante Extra Dry Millesimato “Campe Dhei” 2013

Viticoltori Ponte S.r.l. – Ponte di Piave (TV)

Grafica: Francescon & Collodi – Conegliano (TV)

Categoria 8 – confezioni di distillati provenienti da uve, vinacce, mosto o vino

Etichetta d’Oro

Grappa Riserva “Evo Cigars 3 cl – Humidor”

Enoglam S.r.l. Unipersonale – Rovato (BS)

Grafica: Marcello Bruschetti e Alberto Pedrali – Rovato (BS)

Etichetta d’Argento

Aquavite di Pura Vinaccia Doppia Rettificata Riserva “60”

Ditta Bortolo Nardini Spa – Bassano del Grappa (VI)

Etichetta di Bronzo

Brandy “Evo D Wine – Jewel Box 50 cl”

Enoglam S.r.l. Unipersonale – Rovato (BS)

Grafica: Marcello Bruschetti e Alberto Pedrali – Rovato (BS)

L’ambito premio speciale “Etichetta dell’anno 2014” è stato assegnato, per la categoria dei vini, al Bardolino Doc Classico 2013 dell’Azienda Agricola Bigagnoli di Bigagnoli Alessio – Calmasino di Bardolino (VR) (Grafica: Onice Design di Stefano Torregrossa – Sona (VR).

Il premio speciale “Packaging 2014” è stato attribuito, per la categoria vini, all’Azienda Agricola Bigagnoli di Bigagnoli Alessio – Calmasino di Bardolino (VR) (Grafica: Onice Design di Stefano Torregrossa – Sona (VR).

Infine il premio speciale “ Packaging 2014″ è stato attribuito, per la categoria distillati, alla Ditta Bortolo Nardini Spa – Bassano del Grappa (VI).

 

Veronafiere

 

Rapporto di Amnesty International su Israele

Negli ultimi tre anni, le forze israeliane hanno mostrato un profondo disprezzo per la vita umana uccidendo decine di civili palestinesi nella Cisgiordania occupata, bambini compresi, nella pressoche’ totale impunita’.

Lo ha denunciato Amnesty International, in un rapporto dal titolo “Grilletto facile. Uso eccessivo della forza da parte di Israele in Cisgiordania”, che descrive il crescente spargimento di sangue e l’aumento delle violazioni dei diritti umani nei Territori occupati palestinesi, dal gennaio 2011, a causa dell’uso non necessario, arbitrario e brutale della forza da parte delle forze israeliane contro i palestinesi.

In tutti i casi esaminati da Amnesty International, i palestinesi uccisi da soldati israeliani non sembravano porre un’immediata e diretta minaccia alla vita. In alcuni casi, vi sono prove che si sia trattato di omicidi intenzionali, equivalenti a crimini di guerra.

“Il rapporto presenta una serie di prove che mostrano un drammatico ripetersi di omicidi illegali e di lesioni immotivate ai danni di civili palestinesi da parte delle forze israeliane che operano in Cisgiordania” – ha dichiarato Philip Luther, direttore del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.“La frequenza e la persistenza nell’uso della forza arbitraria e abusiva da parte di soldati e poliziotti israeliani contro manifestanti pacifici in Cisgiordania, cosi’ come l’impunita’ di cui hanno beneficiato gli autori, fanno pensare a una vera e propria politica” – ha aggiunto Luther.

Uccisioni e ferimenti

Lo scorso anno, Amnesty International ha svolto ricerche sull’uccisione di 22 palestinesi della Cisgiordania, 14 dei quali nel corso di proteste. Nella maggior parte dei casi si trattava di persone di eta’ inferiore ai 25 anni e almeno quattro erano bambini.

Secondo dati delle Nazioni Unite, il numero dei palestinesi uccisi in Cisgiordania dalle forze israeliane nel 2013, 27, e’ superiore alla somma dei due anni precedenti. In totale, secondo l’Onu, dal 2011 sono stati uccisi 45 palestinesi.Tra le persone uccise o ferite figurano manifestanti pacifici, attivisti per i diritti umani, giornalisti e semplici passanti.

Negli ultimi tre anni i palestinesi feriti in modo grave a causa dell’uso di proiettili veri da parte delle forze israeliane sono stati almeno 261, tra cui 67 bambini. Nello stesso periodo, un numero allarmante di palestinesi della Cisgiordania – oltre 8000, tra cui 1500 bambini – e’ rimasto ferito in altro modo, ad esempio a causa delle pallottole di metallo rivestite di gomma e dello sconsiderato uso dei gas lacrimogeni. In alcuni casi, i feriti sono deceduti.“Lo sconcertante numero di feriti ci ricorda amaramente quanto sia pericolosa la vita quotidiana per i palestinesi nella Cisgiordania occupata” – ha commentato Luther.

Diverse vittime sono state colpite alle spalle, probabilmente mentre cercavano di fuggire e non ponevano alcuna reale minaccia alla vita delle forze israeliane o di altre persone. In altri casi, le ben equipaggiate forze israeliane hanno fatto ricorso a metodi letali contro manifestanti che lanciavano sassi, causando un’inutile perdita di vite umane.

IndaginiA oltre un anno di distanza non sono state ancora rese note le conclusioni di un’indagine delle autorita’ israeliane su alcune sospette uccisioni illegali.“L’attuale sistema israeliano d’indagine si e’ dimostrato completamente inadeguato. Non e’ ne’ indipendente ne’ imparziale e manca del tutto di trasparenza. Le autorita’ devono condurre indagini rapide, esaurienti e indipendenti su tutti i casi di presunto uso arbitrario e abusivo della forza, specialmente quando esso abbia procurato lesioni gravi o causato la morte delle persone” – ha sottolineato Luther. “Occorre inviare alle forze armate e alla polizia israeliane un messaggio forte: gli abusi non rimarranno impuniti. Se i responsabili di violazioni dei diritti umani non saranno chiamati a rispondere delle loro azioni, le uccisioni e le lesioni illegali sono destinate a continuare”.ProtesteNegli ultimi anni, in Cisgiordania sono state organizzate costanti proteste contro la prolungata occupazione israeliana e tutta una serie di politiche e prassi repressive, quali la continua espansione degli insediamenti illegali, gli 800 chilometri di barriera / muro, le demolizioni forzate delle abitazioni, gli sgomberi forzati, i posti di blocco, l’uso riservato delle strade ai coloni e altre restrizioni al movimento dei palestinesi.

Le proteste riguardano anche la detenzione di migliaia di palestinesi, gli attacchi militari israeliani contro Gaza e l’uccisione o il ferimento di palestinesi durante precedenti manifestazioni o nel corso di raid per eseguire arresti.

Trasferimenti di armi

Amnesty International ha chiesto alle autorita’ israeliane di istruire le loro forze armate ad astenersi dall’uso della forza letale, compreso l’impiego di proiettili veri o di pallottole di metallo rivestite di gomma, salvo quando sia strettamente necessario per proteggere vite umane. Le autorita’ israeliane devono anche rispettare il diritto dei palestinesi a manifestare pacificamente.

L’organizzazione per i diritti umani ha sollecitato gli Usa, l’Unione europea e il resto della comunita’ internazionale a sospendere tutti i trasferimenti di munizioni, armi ed altro equipaggiamento a Israele.

“Senza la pressione della comunita’ internazionale, la situazione non e’ destinata a cambiare in tempi brevi” – ha commentato Luther. “E’ stato sparso troppo sangue di civili. Questo sistema duraturo di abusi dev’essere interrotto. Se le autorita’ israeliane desiderano provare al mondo che sono impegnate a rispettare i principi democratici e gli standard del diritto internazionale dei diritti umani, le uccisioni illegali e l’uso non necessario della forza devono finire adesso”.

Un caso

Samir Awad, un palestinese 16enne di Bodrus, vicino a Ramallah, e’ stato ucciso nei pressi della sua scuola nel gennaio 2013, mentre con alcuni amici cercava di protestare contro la costruzione della barriera / del muro che divide in due il loro villaggio. E’ stato colpito tre volte (alla nuca, a una gamba e a una spalla) mentre cercava di fuggire dai soldati israeliani che avevano circondato il gruppo. Testimoni oculari hanno dichiarato che i soldati lo hanno colpito intenzionalmente mentre fuggiva.

Malik Murar, 16 anni, un amico di Samir Awad, ha dichiarato ad Amnesty International: “Prima gli hanno sparato a una gamba, ma ha continuato a correre. Ma quanto puo’ andare veloce un bambino ferito? Potevano arrestarlo facilmente. Invece gli hanno sparato alle spalle coi proiettili veri”.

Amnesty International ritiene che l’uccisione di Samir Awad costituisca un’esecuzione extragiudiziale o un omicidio intenzionale, che secondo il diritto internazionale sono crimini di guerra.

“E’ difficile credere che un bambino disarmato possa essere percepito come una minaccia imminente nei confronti di un soldato ben equipaggiato. In questo e in altri casi, i soldati israeliani paiono aver sparato avventatamente alla minima avvisaglia di una minaccia” – ha commentato Luther.

In base al diritto internazionale, le forze di polizia e militari incaricate di far rispettare la legge devono sempre usare moderazione e mai ricorrere alla forza arbitraria. Le forze di sicurezza devono usare la forza letale solo in presenza di un imminente rischio per la loro vita o per la vita di altri. Israele ha ripetutamente rifiutato di rendere pubbliche le regole e la normativa riguardanti l’uso della forza da parte dei militari e della polizia nei Territori palestinesi occupati.

L’esercito israeliano ha una lunga storia di uso eccessivo della forza contro i manifestanti palestinesi in Cisgiordania, almeno dai tempi della prima Intifada del 1987.

In un documento pubblicato nel 2013, intitolato “Silenzio. Noi siamo la polizia”, Amnesty International ha denunciato l’uso eccessivo della forza da parte delle autorita’ palestinesi della Cisgiordania nei confronti dei manifestanti palestinesi.

Amnesty International Italia

 

“Suona francese” riparte

Oltre ottanta concerti dislocati in quaranta città italiane attraverseranno l’intera penisola italiana fino al 30 giugno 2014. Per il settimo anno consecutivo, il festival Suona francese, presenta una programmazione consacrata alla scoperta della migliore musica francese: dai talenti emergenti di Pop, Rock, Jazz e Musica Elettronica della sezione “Musiques actuelles” agli incontri di alto prestigio con la musica contemporanea ed alla collaborazione tra Conservatori di musica francese ed italiana nella creazione di progetti didattici sviluppati sul tema della Grande Guerra e sul Prix des Arts “Spécial musique romantique française”.
Un anno importante per la più grande rassegna di musica francese sul territorio italiano, che segna anche il successo nella totale realizzazione dell’accordo sulla cooperazione musicale franco-italiana firmato nel 2011 presentando significativi progetti comuni tra Suona francese e Suona italiano, l’omologa manifestazione promossa dalla Fondazione Musica per Roma e dedicata alla musica italiana in Francia che quest’anno, per la prima volta, si svolgerà in contemporanea.
Il festival Suona francese è organizzato e promosso dall’Ambasciata di Francia in Italia e dall’Institut français Italia, con il sostegno dell’Institut français, della Fondazione Nuovi Mecenati, della Sacem, del Ministero dell’Istruzione e della Ricerca – Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica, del Ministero della Cultura e della Comunicazione francese e del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, e con Edison in qualità di main partner.

Elisabetta Castiglioni

 

Misteriosa magica ragazza a Bologna

Nella magia diurna di Bologna intepidita da un sole primaverile un po’ inaspettato, anche se agognato durante i lunghi mesi di piogge che hanno contraddistinto l’inverno appena passato, passeggiando in direzione del centro il cui cuore è San Petronio, ci si imbatte in un corridoio che incanala la folla verso “La ragazza con l’orecchino di perla”, ormai frase celebre per indicare un mito. Un elegante modo per accogliere i sempre più numerosi visitatori accorsi in città per ammirare uno dei quadri più famosi al mondo, soprattutto perché diventato tale dopo periodi oscuri, sia per l’opera che per il pittore.

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Ora che giunge a Bologna, in una rara apparizione fuori dal museo che lo ospita all’Aia, il quadro diventa pretesto per visitare la bella città turrita, per scoprirne il fascino, gustarne la cucina e riempirsi gli occhi di una movenza che affascina: quella di una ragazzina, una serva sembra, che indossa solo la sua bellezza semplice e umile.

Una semplicità che sola può spiegare il mito che sta diventando questo piccolo quadro dalle grandi potenzialità. Una bellezza genuina, senza desiderio di mettersi in mostra; la capacità di un pittore di ritrarla quasi di sfuggita, come nell’atto di andarsene, di girarsi per un soffio mentre viene chiamata.

Esce così dal Mauritshuis, il famoso quadro, ed è il pretesto per farci conoscere la Golden Age che hanno vissuto gli olandesi nell’arte, con nomi di prim’ordine, primo fra tutti quello di Rembrandt.

Il museo olandese riaprirà la prossima estate e quale occasione migliore per prestare “La ragazza” che difficilmente lascia i Paesi Bassi? La direzione del museo, infatti, ha approfittato dei necessari restauri per cedere in prestito opere a mezzo mondo, anche se buona parte delle collezioni sono state trasferite alGemeentemuseum dell’Aia per evitare di deludere i molti visitatori che, da Amstedam, si appropinquano fino alla capitale per ammirarne i gioielli d’arte.

Le sedi individuate per il prestito de “La ragazza”, e della mostra omonima, sono state due in Giappone e tre negli Stati Uniti. Unica sede europea Bologna.

“Il rapporto con la Fondazione Carisbo e il suo presidente dott. Leone Sibani e Genus Bononiae-Musei nella Città e il suo presidente prof. Fabio Roversi Monaco, la partecipazione di Intesa San Paolo e quella fondamentale, in qualità di main sponsor, del Gruppo Segafredo Zanetti” afferma il curatore Marco Goldin, ha permesso di ammirare il capolavoro di Vermeer in Italia.

Ed eccoci alla nostra giornata bolognese. L’effetto principale è quello della folla di persone che attendono in fila di entrare nel Palazzo Fava, splendida sede scelta per ospitare la mostra comprendente “La ragazza con l’orecchino di perla” e che da esse prende il nome: è sorridente, in trepidante e paziente attesa. Con attenzione segue le guide o ascolta il nastro delle audio guide per non perdersi nulla dell’incanto e poi, quasi per una strana legge, quando arriva davanti al lavoro di Vermeer, quasi gli passa accanto senza dargli peso. Pieni gli occhi di quanto ammirato in precedenza.

La scelta è caduta sui lavori custoditi nel Mauritshuis e coevi dell’opera principale, per raccontare il XVII secolo olandese ricordato come Golden Age. Si inizia dall’apprendere la storia del museo stesso, per arrivare ai paesaggi, ai ritratti e a nomi noti e meno noti della pittura: Rembrandt, Hals, Ter Borch, Claesz, Van Goyen, Van Honthorst, Hobbema, Van Ruisdael, Steen.

Il Mauritshuis, situato nel cuore politico dell’Aia, era nel Seicento la dimora di Johan Maurits, conte di Nassau-Siegen, e soltanto nel 1822 divenne museo statale. La splendida veduta del palazzo dall’Hofvijver (Stagno della Corte) di Augustus Wijnantz, che apre la prima sezione della mostra, raffigura l’edificio riflesso nel piccolo lago rettangolare. Famoso sin dall’inizio per la sua straordinaria collezione di opere degli antichi maestri del Seicento e del Settecento, ospita tra i dipinti più famosi molti Rembrandt, alcuni dei quali esposti in mostra, come “Canto di lode di Simeone”. Si passa quindi a quadri di paesaggi, soprattutto di Delf, città natale di Vermeer e della quale si riconoscono i colori, cupi e sereni allo stesso tempo, di giornate spesso grigie eppure cariche di fascino. Non mancano boschi, casolari, foglie dipinte con una magica maestria.

Ecco il “Pae­saggio invernale” di Jacob van Ruisdael, o il suo “Veduta di Haarlem con campi di candeggio”, o ancora “Veduta del Reno vicino a Hochelten”, di Jan van Goyen, uno dei più importanti paesaggisti dei Paesi Bassi.

Si passa, quindi, ai ritratti. Come per l’Italia del Moretto, del Pitocchetto, anche l’Olanda ha avuto il momento della pittura di genere e dei ritratti di gente comune, non per forza appartenente a quella nobiltà, o aristocrazia, o alta borghesia che facilmente sovvenzionava o manteneva presso di sé gli artisti. Essi hanno da attingere ad ampie mani ad una lunga serie di persone che, in atteggiamenti più o meno usuali, più o meno in posa, ci danno la dimensione della quotidianità, di quelle piccole cose di più o meno buon gusto nelle quali ciascuno cercava di fare bella mostra di sé. Ed in Italia, come nei Paesi Bassi, impegnati del resto ad ampie navigazioni in tutti i continenti, sono proprio le persone comuni a catturare l’attenzione e il pennello artistico, in opere dal fascino inusuale e misterioso, fino alla giovane serva, appunto. Il realismo e la verità della vita normale cominciano a diventare di moda, dato che proprio gli artisti ne tratteggiano la profondità in sguardi, rughe, modi di fare, di sedersi, di giocare, di ostentare un piglio di posa che denota la dignità, al di là del censo.

Allo stesso tempo, c’è la volontà di onorare quella classe di borghesi che hanno portato al successo la Repubblica olandese, creandone la nuova ricchezza e che ora può permettersi un quadro, cioè di lasciare qualcosa di sé che possa sembrare incidere anche sul futuro, non soltanto sul presente.

Ritratto di uomo anziano di Rembrandt

 

In mostra, ecco “Ritratto di uomo anziano” di LHarmenszoon van Rijn Rembrandt, del 1667, oppure il suo “Ritratto di un uomo con cappello piumato”, dall’interessante virtuosismo tecnico. Interessante anche l’opera del giovane Go­vaert Flin­ck, al­lievo di Rembrandt, che si afferma co­me uno dei principali esponenti di Amsterdam nel campo della ritrattistica e della pittura storica.

Accanto a questa emergente pittura, che tanto deve a Van Dick, le opere che propongono scene di interni, con osterie, contadini, “Al vecchio che canta il giovane fa eco”, di Jan Steen, o donne che scrivono lettere, o uomini che fumano, donne che bevono, e cose così. Pitture intense, dal fascino unico, fino alla natura morta, in varie modalità interpretata.

Per concludere con l’attesissimo quadro di Vermeer, lasciato a campeggiare in una stanza, da solo. È una delle sale più eleganti e più austere, più avvolgenti e più solenni: il quadro è da solo, in ottima luce (a differenza di quelli delle altre sale che per luce si trovano a soffrire a volte parecchio), e dona tutta la sua luminosità. Il soffitto a cassettoni, che crea rimbalzo con le sale morbidamente affrescate e i soffitti colorati precedenti, lascia sospesi a cercare di individuare chi sta guardando quella bellissima ragazzina dei tempi andati. Forse risponde ad un richiamo del padrone, forse vuole andarsene da chi la osserva, ma tutto di quella piccola tela lascia senza fiato: il mistero, la delicatezza con la quale l’opera è stata dipinta, quel senso di passione per l’arte che diventa amore per un dipinto e, forse, per quel qualcosa che la ragazzina aveva e che non era di tutti. Le pennellate sono morbide e invisibili, il tocco è magico anch’esso, fortemente ispirato da una luce che la ragazza aveva dentro di sé.

Ragazza orecchino di perla

Entrato a far parte della collezione del Mauritshuis nel 1903 per legato testamentario, senza che se ne desse molto valore, il quadro, anche grazie al film e al romanzo, ha sempre più acquisito importanza e valore, facendo di Delf una cittadina famosa non soltanto per le sue altrettanto magiche porcellane, o per gli orafi. Johannes Vermeer lo dipinse nel 1665 circa, e non è difficile pensare che qualche donne ne fosse gelosa. Impossibile per tutte possedere quella naturalezza, quella genuinità e quel semplice fascino che non è dato da belletti e da vestiti sontuosi. E nemmeno da un orecchino che, tuttavia, diventa prezioso proprio perché indossato da lei, la sua inseparabile “ragazza”.

La mostra “Il mito della Golden Age. Da Vermeer a Rembrandt capolavori dal Mauritshuis”, resterà aperta a Bologna, Palazzo Fava, sino al 25 maggio prossimo, ad orari prolungati data la grande affluenza di pubblico. E non è da perdere.

Alessia Biasiolo

 

Italia/Spagna 10 a 5 a Sol d’Oro

Un derby latino vinto dall’Italia 10 medaglie a 5 contro la Spagna. È la sintesi della 12ª edizione del Concorso Internazionale Sol d’Oro, vera e propria “Olimpiade” dell’olio extravergine d’oliva, che ha visto in competizione a Veronafiere dieci Paesi per 250 campioni di olio extra vergine d’oliva partecipanti (+25% sul 2013) da Italia, Cile, Uruguay, Libano, Portogallo, Spagna, Slovenia, Croazia, Turchia e Grecia.

Le Gran Menzioni sono state assegnate ad oli extravergine provenienti, oltre che da Italia e Spagna, anche da Slovenia, Cile e Croazia.

Una settimana di degustazioni alla “cieca” da parte di un qualificato panel di 13 giudici internazionali provenienti da Italia, Cile, Grecia, Slovenia e Spagna, ha decretato i migliori oli extravergine d’oliva, suddivisi in cinque categorie: fruttato leggero, medio, intenso, monovarietale e biologico.

Veronafiere