‘Lev S. Vygotskij: le vie dell’uomo verso la libertà e l’individualità’ analizzate da Giovanni Fioravanti

Proporrà un’analisi del pensiero dello psicologo e pedagogista russo Lev Vygotskij la conferenza di Giovanni Fioravanti in programma giovedì 31 gennaio 2019 alle 17 nella sala Agnelli della biblioteca comunale Ariostea (via delle Scienze 17, Ferrara). L’appuntamento, che sarà introdotto da Nicola Alessandrini, rientra nel ciclo di incontri dal titolo “I colori della conoscenza – La lingua e i linguaggi” a cura dell’Istituto Gramsci e Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara.

Nel 1978, sulla New York Review of Books, il filosofo Stephen Toulmin consacrò Lev Vygotskij come «il Mozart della psicologia», un genio pari al grande musicista, un innovatore le cui idee avrebbero potuto produrre chissà quali risultati in psicologia se non fosse morto prematuramente, a soli 37 anni. Di Vygotskij si è detto “una voce che emerge dal futuro”. Gli dobbiamo molto e portiamo gravi responsabilità nei confronti del suo pensiero. Il titolo dell’incontro prende a prestito il giudizio che Bruner dà dell’opera dello psicologo e pedagogista russo: una descrizione delle vie dell’uomo verso la libertà e l’individualità. Nelle radici storico-culturali del pensiero di Vygotskij sta la valorizzazione, l’importanza della base culturale di ciascuno di noi, fondata sulle relazioni e sulle connessioni inter-individuali dalla famiglia, alla scuola, alla società. La trasformazione dell’apprendimento, questo è il contributo riconosciuto mondialmente di Vygotskij, l’evoluzione del concetto di apprendimento e delle pratiche scolastiche sotto l’influenza della teoria storico-culturale.

Alessandro Zangara (anche per l’immagine)

Laboratorio aperto per l’apprendimento musicale dei bambini

“EcoMousiké” è il titolo del laboratorio per conoscere e provare le tecniche dell’apprendimento musicale basate sulla Teoria di Edwin Gordon. L’incontro è in programma per sabato 2 febbraio 2019 alle 11.30 alla Biblioteca Giorgio Bassani del quartiere Barco (via G. Grosoli 42, Ferrara). La partecipazione gratuita, ma è necessario prenotare perché l’appuntamento è a numero chiuso (massimo 6 coppie formate da genitore-bambino per turno).

Le lezioni sono aperte per bambini da 0 a 3 anni con un genitore, condotte da Barbara Mongiorgi dell’Associazione Ecomousiké, della durata di 45 minuti circa.

Alessandro Zangara (anche per l’immagine)

Aasia Bibi libera

Accogliendo con favore la decisione della Corte suprema del Pakistan di confermare la sentenza di assoluzione per Aasia Bibi, la contadina cristiana condannata a morte nel 2010 per blasfemia, Rimmel Mohydin, responsabile delle campagne di Amnesty International sull’Asia meridionale, ha rilasciato questa dichiarazione:
“Aasia Bibi deve finalmente tornare in libertà e il suo incubo deve finire. Dopo nove anni dietro le sbarre per un reato non commesso, è difficile considerare il verdetto di oggi come una sorta di giustizia. Ma almeno questo le dovrebbe consentire di riunirsi con la sua famiglia e di cercare riparo in uno stato di sua scelta”.
“Le autorità pachistane devono respingere e indagare sui tentativi di intimidire la Corte suprema. Devono proteggere le minoranze religiose, i giudici e gli altri rappresentanti del governo da ogni minaccia di violenza”.
“Il vergognoso ritardo nel ripristinare i diritti di Aasia Bibi rende ancora più necessario l’annullamento, nei tempi più rapidi possibili, delle leggi sulla blasfemia e di ogni altra norma che discrimini le minoranze religiose e ponga le loro vite a rischio”.
Alla fine di ottobre del 2018 la Corte suprema aveva assolto Aasia Bibi da ogni accusa e ordinato il suo rilascio immediato. Di fronte alle proteste e alle minacce di parte dell’opinione pubblica, il governo aveva fatto un passo indietro, impedendo ad Aasia Bibi di lasciare il paese fino a quando la Corte suprema non avesse esaminato la richiesta di revisione del caso. Da allora, la donna era rimasta sotto protezione.
Le leggi sulla blasfemia sono vaghe, generiche e coercitive. Vengono usate per prendere di mira le minoranze religiose, compiere atti di violenza e perseguire vendette private. Le persone accusate, spesso sulla base di prove inesistenti, fanno fatica a veder riconosciuta la loro innocenza mentre gruppi di facinorosi minacciano le forze di polizia, i testimoni, i procuratori, gli avvocati e i giudici.

Amnesty International Italia

I Dialoghi tagliano il traguardo dei dieci anni, a Pistoia dal 24 al 26 maggio

ph Laura Pietra

Dopo il successo della scorsa edizione con oltre 30.000 presenze, il festival di antropologia del contemporaneo Pistoia – Dialoghi sull’uomo, promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia e dal Comune di Pistoia, si prepara a festeggiare un compleanno importante: la decima edizione, che si terrà a Pistoia dal 24 al 26 maggio 2019.

La direttrice Giulia Cogoli, che firma il programma sin dalla prima edizione, ha scelto per il 2019 il tema: “Il mestiere di con-vivere: intrecciare vite, storie e destini”.

Con-vivere significa “vivere con”, vivere assieme nel rispetto dell’altro. Come e perché noi umani stiamo insieme? Come ci rapportiamo con gli altri esseri viventi e, più in generale, con il mondo in cui ci è dato vivere, con gli animali e la natura?

Proporre il tema convivenza significa evocare la questione dell’essere umano nella sua completezza e nell’accezione aristotelica di animale politico. Significa riflettere su come si forma il legame sociale e sul rapporto tra convivenza e conflitto, analizzare come altre società e altre epoche hanno organizzato e realizzato la convivenza. Significa inoltre parlare della famiglia, nucleo basilare della società, dei suoi modelli e della sua evoluzione.

Con-vivere è un “mestiere”, nel senso che la società è un ambito di costruzione, non un approdo naturale dell’essere umano. In una società ogni giorno più segnata da un’accelerazione generale, in cui i rapporti sono costantemente mediati dal digitale, diventa sempre più difficile dialogare in modo profondo ed egualitario.

«Riflettere sui linguaggi e sulle pratiche del vivere insieme, vuole essere anche un modo per valorizzare e riprendere il percorso decennale che i Dialoghi hanno compiuto – afferma Giulia Cogoli – Un percorso di tematiche che si tengono assieme e che compongo, anche grazie ai contributi di alcuni fra i più importanti intellettuali contemporanei, un grande mosaico culturale, fatto di tante tessere, pensieri, approfondimenti, con una forte visione e valenza unitaria. Questo è forse il punto di eccellenza e di forza dei Dialoghi: produrre cultura – una cultura della convivenza – e farlo in un percorso ideato e costruito appositamente, sia all’interno del singolo programma di ogni anno, sia nella visione più ampia del decennale».

Nati nel 2010, i Dialoghi sono stati animati fin da subito dalla volontà di offrire un nuovo modo di fare approfondimento culturale, con contenuti inediti e nuovi sguardi sulle società umane. Un percorso lungo e intenso, premiato da numeri in continua crescita: nelle prime nove edizioni le presenze sono state 167.000; i relatori – italiani e internazionali – 250; i volontari più di 3.000.

Negli anni, al festival si sono affiancate una serie di iniziative di produzione e documentazione culturale: dai volumi editi da UTET nella serie Dialoghi sull’uomo (dodici titoli già pubblicati e due in arrivo nel 2019), a un vasto archivio di registrazioni audio e video che sul canale YouTube dedicato ha raggiunto le 800.000 visualizzazioni; dal Premio Internazionale Dialoghi sull’uomo a mostre con grandi nomi della fotografia che ogni anno completano il percorso del festival.

Nel 2018, il festival ha valicato i confini nazionali, organizzando un ciclo di incontri all’Istituto Italiano di Cultura di Londra e portando all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi la mostra di Gianni Berengo Gardin ideata appositamente per i Dialoghi.

I Dialoghi hanno sempre dedicato grande attenzione ai giovani e fin dalla prima edizione, per avvicinare gli studenti al tema del festival, organizzano un ciclo di incontri per le scuole: un vero e proprio mini corso di antropologia culturale, che in nove anni ha coinvolto circa 20.000 giovani di tutt’Italia.

Dopo la lezione di oggi, ancora due le lezioni in programma, al Teatro Manzoni di Pistoia, fruibili anche in diretta streaming:

il 26 febbraio il genetista Guido Barbujani parlerà di: “Tutti parenti tutti differenti. Contro la tentazione del razzismo, la verità spiegata dalla scienza”;

il 2 aprile lo storico Carlo Greppi terrà la lezione: “La frontiera come luogo di incontro”.

Delos

 

Sfide fantastiche da vincere per l’Ora del racconto dei più piccoli

Mercoledì 30 gennaio 2019 alle 17 alla Biblioteca Giorgio Bassani (via G. Grosoli 42 a Ferrara, quartiere Barco) appuntamento con “L’ora del racconto”, il ciclo di letture ad alta voce, dedicate a bambini dai 4 ai 10 anni.

Per il mese di gennaio i racconti saranno incentrati sul tema “Streghe, orchi e giganti”. Questa settimana sarà Anna Bellini ad animare il pomeriggio con la lettura di due storie che mettono in campo situazioni fantastiche e la possibilità di trovare soluzioni inaspettate che sono anche una sfida alla paura dell’ignoto: “Jack e il fagiolo magico” di Richard Walker illustrato da Niamh Sharkey (Fabbri, 2003) e “Il gigante di Zeralda” di  Tomi Ungere (A. Mondadori, 1998).

La partecipazione è gratuita e libera, senza necessità di prenotazione.

 

Alessandro Zangara (anche per l’immagine)

 

EtruSchifano. Mario Schifano a Villa Giulia: un ritorno

In occasione del ventennale della scomparsa di uno dei massimi esponenti della pittura contemporanea, il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, a Roma, dedica una mostra a Mario Schifano, la cui vicenda biografica e artistica è intessuta di stringenti legami con la civiltà etrusco-italica in generale e in particolare con il Museo di Villa Giulia, dove lavorò dal 1951 al 1962 come restauratore e lucidatore di disegni.

Il progetto espositivo, curato da Gianluca Tagliamonte e da Maria Paola Guidobaldi, è promosso dal Museo di Villa Giulia, dal Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento, dalla Fondazione PescarAbruzzo, dalla Fondazione dott. Domenico Tulino e dall’Associazione Culturale MM18, con il patrocinio dell’Archivio Mario Schifano e con il contributo dell’Azienda Agricola Casale del Giglio e di Civita.

La mostra è allestita nelle splendide sale affrescate poste al piano nobile di Villa Giulia.

Nella sala dei Sette Colli è esposto il ciclo di opere Gli Etruschi (21 quadri), realizzato su commissione da Schifano nel 1991, e oggi di proprietà della Fondazione Pescarabruzzo di Pescara. La maggior parte dei quadri trae ispirazione da alcune delle più celebri pitture funerarie etrusche, ma non mancano richiami ad alcuni oggetti antichi. I quadri sono stati accostati in mostra ad alcuni vasi originali selezionati nell’ambito della vastissima collezione del Museo.

La reinterpretazione proposta dall’artista in chiave pop si sostanzia di dinamiche figure dai colori sgargianti, emergenti da un fondo monocromo o scuro.

Una selezione (tre dipinti e due disegni) del ciclo di opere Mater Matuta, ispirato alle celebri sculture antiche di Matres (Madri), due delle quali, appartengono al Museo di Villa Giulia e sono esposte in mostra, è invece allestito nella Sala di Venere.

Il ciclo Mater Matuta fu commissionato a Schifano nel 1995 dal manager Domenico Tulino, ed è oggi di proprietà della Fondazione Dott. Domenico Tulino di Roma (la gestione è affidata alla Associazione Culturale MM18 di Pagani).

Realizzato in un periodo particolare della vita di Schifano, di forte sensibilità nei confronti di temi a carattere sociale, come la maternità, la tutela dell’infanzia e la povertà nel mondo, è forse l’ultimo ciclo pittorico eseguito dal Maestro, prematuramente scomparso il 26 gennaio del 1998.

È la prima volta che i due cicli sono accostati e presentati insieme in un contesto espositivo.

La Sala dei Sette Colli accoglie anche una bacheca contenente documenti tratti dal fascicolo personale di Mario Schifano conservati nell’Archivio del Museo e un video con una sequenza di immagini fotografiche di Marcello Gianvenuti, che rievocano l’happening del 16 maggio 1985, quando, a Firenze, Schifano realizzò in poche ore dal vivo La Chimera,  un gigantesco quadro di 40 metri quadri di superficie (4 x 10 m).

Il video prodotto in quell’occasione da Ettore Rosboch è andato perduto. È perciò ancor più significativa la sequenza di immagini fotografiche proposta in questa mostra.

La mostra sarà aperta fino al 10 marzo 2019, dal martedì alla domenica, orari 9.00 – 20.00

Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia

Piazzale di Villa Giulia, 9 – Roma

 

​Barbara Izzo (anche per l’immagine)

 

Il mare. Il nuovo album di Antonija Pacek

Le sfide a cui la vita ci sottopone ogni giorno, l’influenza duratura di una grande perdita, le delusioni dell’amicizia e il senso del perdono, della fede e della fiducia nelle proprie azioni e pensieri, un film triste, ma anche momenti felici: questi sono alcuni dei temi principali che hanno ispirato il nuovo album di Antonija Pacek: IL MARE.

C’è un mare di emozioni che si intreccia infatti nelle tredici composizioni originali che la pianista di origine croata ed austriaca di adozione ha creato e interpretato nel suo terzo, attesissimo album: si tratta di brani strumentali conditi con immaginazione poetica e suoni inesplorati che sicuramente colpiranno la sensibilità degli ascoltatori di ogni storia, geografia e generazione! Durante la permanenza di Antonija nella sua casa estiva proprio vicino al mare, infatti, l’artista ha trovato una chiarezza meditativa e un’energia creativa che l’hanno portata a comporre brani come Forgive, Magic Forest, Viva Life e Back to Faith.

IL MARE è pubblicato tramite spinnup (Universal Music Group) e disponibile sulle principali piattaforme di streaming e download digitali (come iTunes, Amazon, Spotify, Deezer, Tidal, Google Music, ecc.).

Antonija Pacek è stata in grado di trasmettere a un pubblico multigenerazionale e multiculturale una vera passione nel modo di suonare e compenetrare la vita attraverso la musica. Dopo il successo di Soul Colours e Life stories, è in programma per il 2019 un nuovo tour che toccherà Italia, Austria, Croazia ed Emirati arabi.

Before the Storm 

La canzone di apertura del nuovo album descrive le sfide che Antonija ha affrontato con una delle sue figlie. Retrospezione è la parola d’ordine: Antonija ha ascoltato attentamente il cuore e i sentimenti di sua figlia, così le controversie sono state risolte con il tempo.

The SEA 

Un brano per dare l’addio a sua madre, accettando la sua scomparsa fisica. Un estratto del testo che Antonija ha scritto per questa canzone dice “il tuo viso riflesso nel profondo, profondo mare blu, oceani di ricordi, indietro, indietro verso di me, cercando i momenti per i giorni pieni di bagliore, poi rotolando con l’onda che riemerge per respirare…”. Nell’album, il brano ha una versione strumentale per pianoforte solo (2) e una versione vocale interpretata da Barbara Kier (bonus track 14).

Forgive
Una canzone triste è incentrata sul perdono e combina due storie: quella legata alla disgrazia di una sua cara amica e un’altra legata agli stati d’animo personali di Antonija collegati alla falsità di certe amicizie. Afferma l’artista: “Mi è sembrato terapeutico scrivere questa canzone e trovare una forza per perdonare”.

Aloft è ispirato all’omonimo film: un dramma di vita triste, atmosferico, lento e pensieroso. La canzone è arrangiata con violoncello per creare maggiore profondità, orchestrata da Davor Rocco e Antonija Pacek, con Neva Begovic al violoncello.

Late Fall è stato in realtà composto alcuni anni prima alla fine della stagione autunnale. La composizione ritrae una frustrazione che si vive con il passare del tempo, a volte troppo veloce, a volte troppo lento, che nasce dalla delusione di non vedere risultati veloci nonostante l’immenso lavoro costruito col cuore. Eppure non rappresenta un brano “downer”, perché è comunque intriso di energia per avere la forza di andare avanti e rimanere concentrati e motivati.

Expecting Nina descrive uno stato d’animo felice, quando Antonija era incinta della sua prima figlia e ne aspettava l’arrivo.

Magic Forest è incentrato sulla visione di una foresta in cui si possono scoprire cose misteriose, vedere nuovi posti e incontrare nuove persone e capirle meglio, come spesso sono certe opportunità nella vita. Un ritratto di atmosfera esplorativa e mistificante.

Brand New Dawn dipinge una speranza per un futuro migliore per noi esseri umani e coincide con il sogno che di Antonija che la sua musica sarà in grado di toccare sempre più anime, per comunicare loro speranza e gratitudine alla vita attraverso la musica.

Viva Life è una canzone felice, che celebra la vita e la famiglia che vanno a braccetto.

Back to Faith riflette un momento in cui capita di credere in se stessi e nelle proprie azioni. Da quel momento in poi, si percepisce una fiducia in se stessi per creare nuove canzoni e non arrendersi. L’attesa, infatti, rimane una costante nel mondo della musica.

Anche Waiting parla dell’attesa: si hanno spesso molte aspettative ma il più delle volte non succede niente. “Qualcuno ti apre una porta o una finestra e poi la chiude davanti alla tua faccia” – afferma Antonija – “Di conseguenza, non è sempre facile conservare la pazienza e persino la gioia di continuare … Si ha bisogno allora di fare proprie certe cose per farne accadere altre”.

Taste of Bitter è una canzone amara e auto-riflettente, che descrive la turbolenza e i demoni di Antonija che stava affrontando mentre entrambi i suoi genitori morivano nel giro di un anno l’uno dall’altra, in un così breve periodo di tempo. La canzone è pesante e triste, ma dentro c’è una traccia di speranza.

Worth Living For, infine, è stato ispirato da momenti che divampano o fanno brillare la nostra vita, “quando le persone si sentono a casa con alcune delle mie canzoni, quando una donna sconosciuta mi manda un video del suo bambino, che è stato ipnotizzato da una delle mie canzoni, quando i miei figli fanno gesti gentili, quando ottengo impressioni sincere dal pubblico dopo i miei concerti, … “Questi sono i momenti indimenticabili pieni di gratitudine, per i quali vale la pena vivere!”

Elisabetta Castiglioni

 

 

La bella addormentata. Balletto sul ghiaccio di San Pietroburgo a Genova

 Giovedì 31 gennaio, alle ore 20.00, al Teatro Carlo Felice di Genova, va in scena il celebre balletto La bella addormentata, il terzo titolo del ciclo Čajkovskij realizzato con il sostegno di Crédit Agricole.

Protagonista, il Balletto sul ghiaccio di San Pietroburgo, fondato nel 1967 e oggi diretto da Kostantin Rassadin. Una Compagnia di danza unica al mondo, che unisce due grandi tradizioni russe, il balletto e il pattinaggio sul ghiaccio, realizzando il miracolo di trasformare uno sport spettacolare in un’arte espressiva. La bella addormentata presentata quest’anno dal Teatro Carlo Felice non è infatti un tradizionale balletto danzato sulle punte, ma bensì una versione speciale danzata sulle lame.

Secondo Rudolf Nureyev La bella addormentata è il «balletto dei balletti», la rappresentazione più pura di quello stile sublime di danza nato dall’approdo, nell’800, della scuola franco-italiana alla corte degli Zar.

E in effetti, basta pensare alla scena del secondo atto in cu la Principessa Aurora danza a turno con quattro pretendenti (il famoso “Adagio della rosa”), considerata una delle prove tecnicamente più difficili, per una étoile, di tutto il repertorio ballettistico. Quanto alla musica di Čajkovskij, molti ritengono che quella per La bella addormentata sia la sua più suggestiva composta per balletto; come ha scritto Vittoria Ottolenghi, è una musica «che, pur nella sua molteplicità, esprime come in un poema sinfonico la storia di una vita: la nascita, la crescita, la magica sospensione del sonno – echi mitici di morte e resurrezione stagionale – e poi il risveglio all’amore, alla vita.»

La direzione dell’Orchestra del Teatro Carlo Felice è affidata ad un artista di rilievo, Arkady Shteynlucht, direttore dalla lunga esperienza di collaborazione con la compagnia pietroburghese.

La regia è firmata da Oleg Stepanov, mentre scene e costumi sono state realizzati da Olga Osikovskaia e Tatiana Zaikina, Lighting Designer Anatolii Gensirovskii.

Intorno a La bella addormentata:

Lunedì 28 gennaio 2019 – ore 17.30

Auditorium E. Montale

Conferenza illustrativa “La bella addormentata”

in collaborazione con l’Associazione Teatro Carlo Felice

Relatore Elisa Guzzo Vaccarino

Ingresso libero

 

La bella addormentata

Balletto in due atti

Musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij

Coreografie Konstantin Rassadin

Regia Oleg Stepanov

Scene e Costumi  Olga Osikovskaia/Tatiana Zaikina

Direttore d’Orchestra Arkady Shteynlucht

Primi ballerini

Il Re Aleksandr Zavatskov

La Regina Inga Ragosina, Anastasiia Trifonova

La Principessa Aurora  Ekaterina Kostromina, Vera Osipenko

Il Principe Désiré Oleg Iagubkov, Maksim Kudriavtcev

La fata dei Lillà   Ekaterina Kostromina, Aleksandra Igolkina, Evgeniia Cherpakova

Carabosse Viacheslav Vodopianov, Iurii Pototckii, Daniil Pushkarev

La fata Tenerezza Aleksandra Igolkina, Evgeniia Cherpakova

La fata Allegria Mariia Stepanova

La fata Generosità  Ekaterina Filatova

La fata Canarino  Vera Osipenko, Anastasiia Gusarova, Iuliia Bespalova

Catalabutte    Sergei Golodnev, Oleg Kim

Pretendenti   Oleg Iagubkov, Maksim Kudriavtcev, Aleksandr Zavatckov, Oleg Kim, Igor Shelopaev

La fata Diamante Kseniia Lavda

La fata Zaffiro   Ekaterina Filatova, Mariia Berezovskaia

La fata Oro Nataliia Ivanova

La fata Argento   Iuliia Bespalova

La Gatta bianca   Aleksandra Igolkina, Evgeniia Cherpakova

Il Gatto con gli stivali  Iurii Pototckii, Sergei Golodnev

Cappuccetto Rosso Mariia Stapanova

Il Lupo     Georgii Baranov

L’Uccello azzurro Vera Osipenko, Oleg Kim, Oleg Iagubkov, Kostromina Ekaterina

Cortigiani, seguito di Carabosse, cacciatori, danzatori del Balletto

Repliche

Venerdì 1 febbraio – 15.30 (G) – 20.00 (B)

Sabato 2 febbraio – 15.30 (F) – 20:00 (L)

Domenica 3 febbraio – 15.30 (C)

 

 

Marina Chiappa (anche per le fotografie)

Musiche rinascimentali e barocche per guerra, danza, corte e chiesa

Mercoledì 30 gennaio alle 18, la stagione realizzata da Roma Sinfonietta nell’Auditorium “Ennio Morricone” dell’Università di Roma “Tor Vergata” (Macroarea Lettere e Filosofia, via Columbia 1) riprende con un concerto dell’Ensemble Girolamo Fantini, intitolato “Al suon di bellico strumento”, che eseguirà musiche rinascimentali e barocche destinate alla tromba, strumento guerresco per eccellenza. Si ascolteranno non solo musiche di carattere militare, ma anche musiche destinate alla corte e alla chiesa, danze e canzoni infantili. E ad arricchire e variare il suono delle trombe interverranno i tamburi e altri strumenti a percussione, nonché l’organo.

Si comincia con compositori italiani del Seicento, in particolare Gerolamo Fantini (da cui l’ensemble ha preso il proprio nome), Pietro Torri e Bernardo Storace. Seguono autori tedeschi (Bach con una Marcia e un Corale religioso, Murschhauser con l’elaborazione di un’antica canzone infantile che imita il verso del cuculo) e inglesi (Boyce e Handel, tedesco di nascita ma naturalizzato inglese). Ampio spazio ai francesi, conSinfonie, Concerti, Marce e Fanfare di Campra, Delalande, Philidor e Mouret, che costituivano la splendida cornice sonora della fastosa corte del Re Sole a Versailles.

L’Ensemble Girolamo Fantini è nato nel dicembre 2010 dall’idea di un gruppo di amici umbri, che collaborano abitualmente con bande e altri gruppi musicali e hanno dato vita ad una formazione che si basa principalmente sull‘antico repertorio per gli ottoni. Al gruppo iniziale formato da Andrea Di Mario, Domenico Agostini e Michele Petrignani (trombe naturali) si aggiungono all’occorrenza Michele Camilloni (percussioni) e Gabriele Catalucci (organo), per arricchire l’ensemble di altri colori e possibilità, in modo di poterne ampliare il repertorio.

Mauro Mariani (anche per la fotografia)

Le cose da scoprire, i perché di una civiltà

Leggiamo il parere personale di un viaggiatore.

L’attrazione è fortissima, e non ce ne accorgiamo subito, perché il fascino della cultura araba è veramente coinvolgente. Ho visitato quasi tutti i Paesi arabi dal 1980 e sono riuscito a penetrare la cultura che a noi italiani e europei risulta così difficile da comprendere. Per questi e altri motivi che cercherò di illustrare in questo breve articolo, la civiltà che circonda la nostra Europa, è spesso guardata da noi con quella superficialità da primi della classe. Ricordo bene invece, come il mio professore di arabo, un marocchino serio e preparato, un giorno dopo le prime difficoltà nello studio delle prime lezioni, mi disse: “Se vuoi capire la lingua araba, devi pensare al contrario”. E aveva ragione! Ho avuto molta fortuna nella ricerca di capire gli usi e i costumi di questa etnia che si estende praticamente dall’Iraq e dall’Arabia Saudita fino al Regno Alawita del Marocco affacciato sull’Oceano Atlantico. Così sono riuscito ad entrare nelle case e a carpire la fiducia di molti locali, che altrimenti non avrebbero raccontato ad un europeo sperduto le loro tradizioni cui sono legatissimi e che fino a pochi anni fa, venivano tramandate oralmente. Insomma, come si dice, avevo perfettamente il polso della situazione. Gli Arabi non sono tutti Musulmani (si pensi all’Iraq dove c’era il Patriarcato Caldeo o al Libano dove esiste ancora oggi un Patriarca Cristiano-Maronita). Se prendiamo invece in esame propriamente i musulmani, ci accorgiamo che  questi sono riusciti ad islamizzare diverse parti dell’Asia e dell’Africa con alcune comunità che si sono insediate dove non ti aspetteresti di incontrarle, ad esempio in alcune città della lontana Colombia  in Venezuela e, perché no, nel più grande Paese musulmano del mondo, l’Indonesia. Andando in giro  nei mercatini e parlando nei caffè, ho avuto molte occasioni di riuscire ad ottenere tante informazioni che mi hanno aiutato nei viaggi successivi a capire immediatamente le situazioni in cui mi sono venuto a trovare. In questo modo, sono riuscito ad approfondire la conoscenza di un mondo così bello e allo stesso tempo così complesso. Da subito, ci si accorge che la maggior parte delle idee del sociale e del culturale ha una stretta relazione con il motivo religioso che diventa il leít-motiv.

Non vi è festa, momento della giornata, circostanza sociale, politica o culturale che non abbia questi legami.

Per questo motivo, se pensiamo al Califfato, non dobbiamo di certo soffermarci all’odierna rappresentazione dello Stato islamico (Daesh in arabo) L’Isis infatti, si è autoproclamato califfato, ed erano almeno 90 anni che non sentivamo questa parola: l’ultimo califfato fu abolito nel 1924 da Mustafa Kemal Ataturk in Turchia. Lo Stato a cavallo fra Siria e Iraq, ci viene spesso presentato in maniera superficiale con poche informazioni e qualche volta distorte ad arte. La capacità di seduzione del Califfato contemporaneo è coinvolgente in particolare per quanti si lasciano ammaliare dalla promessa di un ordine ottenuto attraverso la coercizione e la violenza. Il vero Califfo negli anni di massimo splendore del califfato, fu invece, un personaggio mitico ma realmente esistito nell’antica Mesopotamia Harùn Al-Rasheed protagonista delle Mille e una notte il quale, regnò a Bagdad nei secoli di massimo splendore del grande Califfato. La società in questi anni così importanti, era divisa in quattro classi:

– gli Arabi musulmani, che detenevano il potere;

– i Mawali, cioè gli infedeli convertiti all’Islam;

– i Dhimmi, adepti di altre religioni tollerate dal Corano, che godevano della protezione dei musulmani in cambio del pagamento di un tributo;

– da ultimi, gli schiavi.

Quindi c’era una convivenza pacifica e regolamentata nei minimi dettagli. Ricordo di aver proposto negli anni Novanta a un editore un libro su queste tematiche, ma la poca lungimiranza, lo ha fatto optare per un cortese rifiuto. Detto per inciso, erano gli anni Novanta quando in Algeria venivano sterminate intere famiglie a colpi di scimitarra e di coltello. Non era propriamente la festa del montone la più grande ricorrenza musulmana che ricorda il sacrificio di Abramo, fermato all’ultimo momento da Dio che riconoscendo la sua fede, ha voluto salvare la vita dell’unico figlio tanto atteso dal Patriarca e da sua moglie Rebecca. Molti non conoscono per esempio che la famiglia araba è matriarcale, anche se è sempre l’uomo a contare e a decidere come avveniva ai tempi di Gesù. Molti credendo di offrire un gesto di galanteria, allungano la mano ad una donna, che viene sistematicamente ritirata da quest’ultima non per scortesia, ma solo perché è la mano di un estraneo che non fa parte della famiglia. Ricordo a tal proposito la sorpresa di una dirigente parzialmente velata, incontrata in un hotel importante vicino Muskat la capitale dell’Oman, poiché non avevo allungato la mano come era consuetudine dello straniero di turno, e le ho spiegato che questo mi era stato insegnato durante una delle mie esperienze in Marocco. Per questi e altri motivi, un’Europa sonnolenta e superficiale ha lasciato correre molto tempo prima di accorgersi con grande sorpresa di aver ospitato il suo assassino in casa. D’altronde, la parola assassino, deriva proprio dall’arabo e precisamente da una tribù detta per l’appunto assassini. Le cose sono state preparate con molta cura e senza fretta, metodo tipico degli arabi che non hanno mai fretta e aspettano il momento opportuno per passare all’azione. Quante persone, sapevano con esattezza il significato del termine talebano? Molti lo utilizzavano a sproposito e comunque in contesti sbagliati. Talebano deriva propriamente dalla parola araba talib che significa nient’altro che studente. Ho potuto incontrare personalmente ragazzi e ragazze che mi chiedevano un visto per andare in Italia, ma alla domanda su cosa volessero fare una volta arrivati nel nostro Bel Paese, rispondevano: “Non lo so”. La mia replica era sempre la stessa, “Allora rimani in Marocco!”. Di certo i bombardamenti degli europei e degli americani, hanno contribuito ad inasprire il clima, ma i viaggi in Italia Belgio Francia e Spagna avevano spesso, per non dire quasi sempre, un unico scopo, quello di inserire nella società il migrante e quindi di fare in modo che fosse pronto al momento opportuno per l’azione preparata secondo i dettami del Corano e sotto la guida dei cosiddetti fratelli guida, cioè gli Iman. Ricordo bene quando tutto questo è iniziato, ne parlavo con gli amici anche di una certa cultura e questi mi rispondevano: “Sei esagerato!”. Certo l’uomo che ascolta le notizie e legge i giornali è di sicuro informato, ma non riesce ad avere il polso della situazione come chi sta vivendo queste esperienze direttamente, quindi non può comprendere lo svolgimento di fatti che risultano a lui così lontani. A tal proposito, non va dimenticato che la Guerra Santa o jihad che dir si voglia, è un dovere! Vi siete mai chiesti perché il testo sacro preveda di avere fino a quattro mogli? Bene, chi faceva la guerra erano gli uomini e naturalmente, molti morivano, per cui era previsto che il fratello o il cugino o il miglior amico si prendesse cura della donna rimasta vedova. Inoltre, la conquista in nome di Allah è un’azione collettiva. La jihad, nella sua forma di guerra santa, risponde a tre requisiti, scrive lo storico Jean Flori:

– essere condotta in nome di una religione con la promessa di essere ricompensati dopo la morte in battaglia;

– essere una guerra di conquista al fine di stabilire la legge islamica;

– essere proclamata da un’autorità religiosa.

Oltre a queste tradizioni, sono da ricordare un dettame sempre del Corano, che prescrive di pregare 5 volte al giorno con una serie di minuziosi consigli, per esempio se sei in viaggio e non hai la direzione de La Mecca, pregherai più a lungo, una volta arrivato a casa. Tutto ciò per aiutare soprattutto le popolazioni sedentarie a mettere in funzione la peristalsi intestinale. Per questo motivo, è vietata la carne di maiale e il vino, dal momento che l’Islam è nato in una zona della terra dove gran parte è deserto e quindi le temperature sono calde durante tutto l’anno, non certo per paura che, come poteva avvenire una volta, il maiale trasmettesse un parassita come la tenia.  Se chiederete ad un musulmano perché la preghiera in moschea si fa il venerdì, riceverete le risposte più variegate, dal fatto che il Profeta si sia inchinato per la prima volta proprio il venerdì al fatto che, siccome gli ebrei pregano il sabato, non ci sarebbero dovute essere sovrapposizioni. Purtroppo sappiamo bene come è andata a finire!

Come molti sappiamo, il Ramadan è il mese del digiuno, ma alcune persone ne sono esenti, come gli ammalati e naturalmente i guerrieri. Fra l’altro questo mese dell’anno Islamico è sempre stato il più fecondo, per alcune ragioni importanti. La diminuzione fino a due ore di lavoro che può essere applicata a chi non mangia e non beve assolutamente dall’alba al tramonto e una fecondità senza confronti negli altri mesi del calendario lunare.

Quante persone fino a qualche anno fa conoscevano l’arabo ed erano quindi in grado di capire i sermoni carichi di violenza che venivano pronunciati senza controllo nella preghiera ad Allah nel giorno sacro proprio il venerdì? Quante persone sono state in grado di dire no alla conversione all’Islam tollerante, senza un background adeguato? E da ultimo, quanti si sono lasciati convertire dalla rete, dove fino a poco tempo fa non c’era un controllo capillare come oggi?

Possiamo fare come con gli Ebrei un concordato? O diventerebbe un Islam-concordato e poi una sola parola, Islam? A tal proposito, quanti sono informati che il terreno concesso per l’edificazione di una Moschea non verrà più restituito allo stato perché vengono applicate alcune clausole che prevedono come quel terreno sarà parte della comunità islamica tollerante per sempre?

Ancora, siamo sicuri che i nostri fratelli Musulmani ci vogliano convertire solo per andare dritti in Paradiso? Quanto siamo consapevoli che, comunque convertiti, saremo sempre dei convertiti, e quindi Musulmani di serie B?

L’Islam, dicono i cosiddetti Musulmani moderati, è una religione di pace, ma come mai allora dopo Mohamed l’Unico Profeta l’Inviato, nominati i quattro Califfi in ossequio al numero magico, sì proprio il quattro, subito uno di loro venne ucciso? Infatti così l’Islam si è subito diviso in Sanniti, circa il novanta per cento, e gli sciiti seguaci di Alì che sono preminenti in Siria Iran e Iraq, all’incirca il 10 per cento. Sempre a proposito di conversione all’unica Fede, cui saremo tutti prima o poi chiamati a obbedire, non deve stupire il fatto che l’Islam si compirà quando verrà pregato ai quattro angoli della terra, cioè dappertutto. Quindi poche illusioni sugli insegnamenti del testo Sacro dei Musulmani che, come è affermato dagli Iman, non è interpretabile, poiché alla fine saremo chiamati, obtorto collo, ad una conversione collettiva o ad una morte sicura, per infedeltà o apostasia. Il progetto è quello di istituire un califfato in Iraq e in tutto l’Oriente. Per riuscire in tal modo a controllare e governare questa entità. Così si potrà estendere la legge islamica in ogni continente. Per restaurare infine il potere e la gloria dell’Islam sunnita. Quello delle armate del Profeta.

 

Bruno Bertucci