XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO -ANNO C – LUCA 11,1-13
1. Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli”. Il brano che la liturgia ci offre in questa domenica è un insegnamento sulla preghiera tratto dal capitolo undici del Vangelo di Luca. Gesù insegna a rivolgersi al Padre con fiducia filiale, ad essere insistenti nelle nostre richieste, fino ad essere importuni, ad implorare il dono dello Spirito Santo, senza del quale non possiamo fare nulla.
I discepoli sono attirati dal modo di pregare di Gesù e desiderano imparare a loro volta come pregare. Anche a quel tempo ogni gruppo religioso aveva le proprie preghiere. Sembra naturale che i discepoli di Gesù vogliano conoscere le preghiere specifiche che li identifichi come seguaci di Cristo. Come i discepoli, chiediamo anche noi di imparare a pregare, cioè ad entrare nel dialogo di Gesù con il Padre. La preghiera è un suo dono, non risultato del nostro sforzo. Chiediamo umilmente di imparare a pregare, così impareremo a vivere, perché il nostro modo di rapportarci con Dio si riflette nel modo di rapportarci con i fratelli. Per conoscere quanto una persona è in relazione con Dio, basta vedere come si relaziona con i fratelli. “uno dei suoi discepoli”: il discepolo è indeterminato, quindi ognuno di noi può identificarsi in colui che fa al Signore la domanda di insegnargli a pregare, a Lui che è il solo Maestro interiore.
2. Ed egli disse loro: “Quando pregate, dite: Padre, “Padre”: circa centottanta volte nei Vangeli viene riportato questo termine con il quale Gesù si riferisce a Dio. Indica l’importanza del rapporto di Cristo con Dio Padre, rapporto nel quale vuole che entriamo ciascuno di noi. La preghiera insegnata da Gesù ha radici ebraiche, tratte sia da preghiere sia dall’Antico Testamento. Dio era considerato “Padre” in quanto Creatore e Signore del suo popolo e per almeno quindici volte questo termine è presente. “Facci tornare, Padre nostro, alla tua Torah… Perdonaci, Padre nostro…” (quinta e sesta benedizione). “Tu hai avuto pietà di noi, nostro Padre, nostro Re…Padre nostro, Padre di misericordia, il Misericordioso, abbi pietà di noi! (seconda preghiera prima dello Shemà).
Così si esprime Isaia: “Tu sei nostro padre, poiché Abramo non ci riconosce e Israele non si ricorda di noi. Tu, Signore, tu sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore” (Isaia 63, 16). “Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani. Signore, non adirarti troppo, non ricordarti per sempre dell’iniquità. Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo” (Isaia 64, 7-8). Impariamo ad assaporare questo compendio orante che Gesù ci ha donato, evitando di ripeterlo come un automatismo. Riusciremo a nutrire il nostro spirito e a tradurre nella vita quotidiana nei
rapporti con i fratelli la relazione di amore con il nostro Padre dei Cieli. sia santificato il tuo nome, Il senso di questo versetto sta nel fatto che non chiediamo che l’uomo rispetti il nome di Dio, ma che Dio stesso agisca perché il suo nome venga riconosciuto santo presso gli uomini. Il “Nome” sta al posto di “Dio” perché nel linguaggio ebraico il nome è lo stesso che la persona. La caratteristica specifica di Dio è l’essere “Santo”, cioè Potenza, Vita piena, Amore che si comunica e si dilata. La santificazione del Nome del Padre trova le sue radici in Ezechiele in cui il profeta afferma che è Dio che agisce per la sua gloria e per amore del popolo: “Giunsero fra le nazioni dove erano spinti e disonorarono il mio nome santo, perché di loro si diceva: Costoro sono il popolo del Signore e tuttavia sono stati scacciati dal suo paese. Ma io ho avuto riguardo del mio nome santo, che gli Israeliti avevano disonorato fra le genti presso le quali sono andati. Annunzia alla casa d’Israele: Così dice il Signore Dio: Io agisco non per riguardo a voi, gente d’Israele, ma per amore del mio nome santo, che voi avete disonorato fra le genti presso le quali siete andati.
Santificherò il mio nome grande, disonorato fra le genti, profanato da voi in mezzo a loro. Allora le genti sapranno che io sono il Signore – parola del Signore Dio – quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi. Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi. Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri; voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio” (Ezechiele 36,20-28). Altri testi di preghiere ebraiche: “Santo e terribile è il suo Nome” (Salmo110,9). “Tu sei Santo e il tuo Nome è santo, e i santi ogni giorno ti loderanno. Benedetto sei tu, Signore, il Dio Santo! Noi santificheremo il tuo Nome nel mondo, come lo si santifica nelle altezze celesti (terza benedizione)”. “Sia magnificato e santificato il suo Nome grande nel mondo che egli ha creato secondo la sua volontà” (Qaddish). venga il tuo regno; Con queste parole siamo chiamati ad aderire al disegno di Dio che è sempre di salvezza. Il suo Regno sarà riconosciuto quando Dio realizzerà la sua promessa alla fine dei tempi. Desiderare che venga il regno di Dio significa conformarsi alla Sua volontà fin da ora. Così si legge nelle preghiere ebraiche, da dove ci è giunta questa espressione del Padre nostro: “Egli stabilisca il suo regno nella vostra vita e nei vostri giorni, e nella vita di tutta la stirpe d’Israele, ora e sempre” (Qaddish). “Dalla tua Dimora, Padre nostro, risplendi e regna su di noi, perché noi
attendiamo che tu regni in Sion” (terza benedizione di Shabbat). “Allora il tuo regno si manifesterà ad ogni creatura” (Assunzione di Mosè). “Ristabilisci i nostri Giudici… e regna su di noi, Tu solo Signore, con amore e misericordia… Benedetto sei tu Signore, Re, che ami la giustizia e il diritto” (undicesima benedizione).
3. dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, Dopo le prime tre richieste che riguardano Dio, iniziano le tre domande che riguardano l’uomo. Chiedere il pane significa domandare ciò che è necessario per la vita, per l’esistenza sulla terra. Dopo esserci uniformati alla volontà di Dio, gli chiediamo quello che ci è indispensabile per essere al suo servizio. Non pieghiamo Dio ai nostri bisogni, ma ci affidiamo con fiducia alla sua
Provvidenza: “Non datevi pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete…” (Luca 12,22). La richiesta è al plurale perché vogliamo che tutti i nostri fratelli siano sazi.
“Ogni giorno”: chiediamo il pane per ogni giorno, e per pane si intende anche i mezzi fondamentali per esistere; non per accumulare ricchezza, ma quanto ci basta per sostentarci.
4. e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
Per essere in comunione con il Padre abbiamo bisogno di accogliere il suo perdono. Se ci sentiamo veramente perdonati da Dio; accolti nella sua misericordia infinita; sorretti dalla sua mano paterna, che sostiene, non umilia mai, che accoglie, non rifiuta mai, diventiamo capaci di donare perdono ai nostri fratelli, di accoglierli, di amarli senza misura, esattamente come fa il Padre nei nostri confronti. e non abbandonarci alla tentazione”.
Gli esegeti ipotizzano che Gesù si riferisse agli eventi della fine dei tempi, in cui avverrà una grande tribolazione. Il male si scatenerà per strappare il più possibile la fede dai credenti, assalto che anche Gesù sperimenterà prima della passione.
Anche noi proviamo la tendenza al male. Per questo invochiamo Dio Padre, perché non permetta che soccombiamo sotto il peso della tentazione, del peccato, della solitudine, dell’incomprensione. È una preghiera per chiedere che la prova non abbia il sopravvento su di noi, sulla nostra debolezza, in modo definitivo, forti della fede che “Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via di uscirne, affinché la possiate sopportare” (1Corinzi 10,13). Non smettiamo mai di implorare misericordia e il soccorso del Padre non ci mancherà.
5. Poi disse loro: “Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani,
6. perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”,
Da questo versetto viene introdotta la parabola dell’amico importuno. È l’esempio di un uomo importunato da un amico che, in forza dell’amicizia, non teme di disturbarlo. Il senso dell’ospitalità è molto forte in Palestina. “Se uno di voi”: con questa introduzione, Gesù vuole coinvolgere l’uditorio nel ragionamento. “A mezzanotte”: era uso in Palestina iniziare un viaggio al calare del sole per evitare la calura. È plausibile che una persona cerchi pertanto rifugio la notte. “Tre pani”: è il corrispondente di un pasto per una persona.
7. e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei
bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, “Non mi importunare”: viene fatta l’ipotesi che il padrone di casa non si voglia proprio alzare, ma è solo un’ipotesi, perché sicuramente il sacro dovere di ospitalità avrebbe prevalso su qualsiasi
impedimento. “La porta è già chiusa”: si riferisce alla porta del muro di cinta che circonda la casa, sprangata con una trave di legno o una sbarra di ferro. “Io e i miei bambini siamo a letto”: la casa era formata da una sola stanza dove tutta la famiglia dormiva insieme.
L’insegnamento consiste nel credere che Dio si lascia importunare dalle nostre richieste, perché Egli è l’Amico vero.
8. vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. In questo versetto il padrone di casa non si alza per amicizia e per il dovere dell’ospitalità, ma solo perché il suo interlocutore è molto invadente.
È un invito ad insistere senza mai demordere, perché verremo sicuramente esauditi da Dio Padre. Se un padrone di casa dà il pane a causa dell’insistenza, tanto più Dio, che è Buono, ci esaudirà nei nostri bisogni. Se ci fa attendere è perché vuole che la nostra fede cresca fino a credere in Lui autenticamente, senza bisogno di prove. Per questo spesso sembra assente o in silenzio.
9. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. 10. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Troviamo dei detti facilmente memorizzabili che spiegano come deve essere la preghiera efficace. Bisogna chiedere, cercare e bussare, consigli in uso già nell’ebraismo. Dobbiamo essere certi che Dio esaudisce ogni domanda e viene in soccorso ai suoi figli. Più siamo nel bisogno, più interviene; più ci facciamo piccoli, più ci prende in braccio; più siamo vuoti dal nostro egoismo, più ci ricolma. La richiesta è il tipico atteggiamento di chi riconosce di aver bisogno; è l’atto del mendicante, che tende la mano; è l’insistenza del bambino che non ha nulla da dare, ma sa di essere figlio e per questo si sente il diritto di essere ascoltato dal padre.
11. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce?
12. O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Il rapporto fra Dio Padre e il credente è figurato da quello del padre umano nei confronti del figlio.
Neppure il padre più cattivo dà cose cattive al figlio. Dobbiamo essere certi che tutto ciò che Dio Padre ci dona è buono. “pesce/serpe – uovo/scorpione”: sono accostamenti assurdi per accentuare che la risposta di un padre non può che essere positiva.
13. Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!”.
Gesù ci svela i contenuti della sua preghiera al Padre, perché diventi anche la nostra preghiera. Ci insegna a chiedere il dono dello Spirito Santo, il dono più grande che compendia tutti i nostri desideri. È Lui, infatti, che ci suggerisce le cose buone da domandare con fiducia e perseveranza, e ci fa crescere nell’esperienza dell’Amore Trinitario. Il termine che Gesù usa è “Abbà”, “caro papà”, diminutivo usato dai bambini piccoli nei confronti del proprio padre. Gesù invita anche noi ad usare questo termine con atteggiamento di estrema confidenza. Abbiamo la fiducia che solo Dio può darci “molto più di quanto possiamo domandare o pensare”
(Efesini 3,20), perché è Amore Infinito e non può non donarsi, non amare, non comunicarsi. È insito nella sua stessa Persona il fatto di amare.
In chiave eucaristica, il pane che noi chiediamo è l’Eucaristia, in cui siamo nutriti da Cristo stesso, fortificati dalla sua intima presenza, così che il nostro cammino verso di Lui sia reso veramente possibile. Egli è il pane “sopra-sostanziale” (così traducevano i Padri della Chiesa), il pane “necessario”, è Cristo stesso: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Giovanni 6,51).
Con incrollabile fiducia e insistente perseveranza rivolgiamoci al Padre Buono e attendiamo da Lui di ricevere quanto abbiamo bisogno. Alla fine dei tempi non chiederemo più nulla, perché avremo Dio, avremo “il Tutto”. Saremo nella gioia infinita, che sulla terra possiamo soltanto pregustare.
Suor Emanuela Biasiolo