La Storia intorno a Madre Maria

Domenica Mantovani nacque nel 1862, in un momento cruciale per l’Italia. La lotta per l’Indipendenza aveva portato il Regno di Sardegna a farsi promotore di un’unità che costituiva una vera novità per la penisola a forma di stivale, piccolo Paese dalle mille risorse che attirava da secoli ogni forma di impresa militare e di conquista.

Intestazione del proclama del Re del 23 marzo 1848

Il riassunto dei moti di ribellione, più o meno forti e più o meno organizzati, si ebbe tra il 1848 e il 1849, con quella che viene ricordata come prima guerra d’Indipendenza, e nel 1859 con la seconda guerra per quell’Indipendenza che libererà di fatto soltanto la Lombardia dalla dominazione austriaca, ma che vedeva già innescate numerose fattive attività di italianizzazione del Paese. Infatti, nel 1861 nascerà quel Regno d’Italia sotto la corona Savoia che diventerà ben presto faro di novità, così come anche di ingiustizie. Tuttavia l’operazione libertaria stava dando i suoi frutti e quegli scavezzacollo che venivano anche spregiativamente chiamati garibaldini, saranno poi ricordati come gli eroi che avevano scelto Giuseppe Garibaldi come condottiero da amare e obbedire per la realizzazione non soltanto dell’unione territoriale, quanto di quegli ideali di indipendenza e di libertà, per sé e per gli altri, che sono innati nell’uomo, se sono in grado di sgorgare dai cuori anche disabituati a vivere queste due imprescindibili caratteristiche umane.

Domenica Mantovani sarà inconsapevole testimone di un lungo corso storico, che porterà a breve alla famosa Breccia di Porta Pia, alla fine di quel potere temporale dei papi che instraderà il Vaticano alla gestione prevalentemente spirituale di una Chiesa alla quale la stessa Mantovani apparteneva.

Le famiglie Zamperini, della mamma, e Mantovani, del papà, erano profondamente cattoliche e in quella fede educarono i figli, mantenendo una tradizione che vedeva sacerdoti e appartenenti ad associazioni e congregazioni religiose vari membri dell’ampio parentado.

Nel 1877 arrivò a Castelletto un prete, tale don Giuseppe Nascimbeni, che incrocerà la vita di Domenica fino a diventarne indissolubile figlia e sorella, avendolo accompagnato nell’avventura di vita che diverrà nota in ogni angolo del mondo. Domenica, dall’intelligenza pronta e sveglia, tendenzialmente dedita al prossimo ed alla parrocchia, proferì i voti di verginità nelle mani del prete e poi decise di farsi suora. Il percorso, che potrebbe sembrare semplice per quei tempi, in realtà era irto di regole severe, soprattutto della verifica dell’idoneità della ragazza alla vita religiosa che tanto desiderava abbracciare. Non soltanto doveva essere verificato il suo reale desiderio di dedicarsi ad una vita di privazioni e di gioie soprattutto spirituali, ma anche la sua capacità di reggere un sistema di regole principalmente patriarcale e spesso maschilista, che certo assomigliava molto a quello societario, ma che non transigeva in quelle effusioni affettive che spesso nelle famiglie erano usuali. Pertanto la caparbietà e la determinazione di Domenica non soltanto deponevano per il suo reale desiderio di dedicare la propria esistenza a Dio, ma anche di poter essere una delle prime suore di un nuovo ordine religioso che don Nascimbeni intendeva fondare, su esortazione dei superiori, per garantire quella cura delle anime benacensi che a lui stavano tanto a cuore. Tanto quanto l’implementazione delle strutture e dei servizi per una zona trascurata e povera che certo non aveva avuto molti benefici né dalla dominazione straniera, né dal nuovo Regno, almeno nelle imminenze dei rivolgimenti storico-territoriali. E così ecco che ancora una volta la nostra Domenica, che tra poco si chiamerà Maria, sarà testimone di rivolgimenti e novità dei quali farà anche parte.

Nello stesso 1877 nascerà a Salò l’Osservatorio meteorologico e la stazione sismica Pio Bettoni, personaggio che sistematizzerà i dati sui terremoti che da sempre interessavano il lago di Garda, sia nella sua Salò, sia e soprattutto sulla sponda veronese, dal momento che la presenza del Monte Baldo, di origine vulcanica, aveva da tempo molto lontano portato sconvolgimenti nella zona dei quali senz’altro la Mantovani aveva avuto esperienza: il Baldo sovrasta Castelletto. Infatti, negli appunti Bettoni troviamo già al 12 febbraio 1806 una fessurazione profonda 18 centimetri e lunga circa duecento metri nella piazza di Malcesine, seguita ad una fortissima scossa di terremoto. Molto spesso le scosse di quella zona venivano percepite anche intensamente sulla riva bresciana del Benaco. Durante la vita di Domenica, l’11 agosto 1866 alle 11.55, iniziò una serie di scosse telluriche che portarono danni a Malcesine e che continuarono fino al mese di novembre in successione discretamente rapida. Quindi terremoti a Malcesine o immediati limitrofi vennero registrati nel 1868, 1870, 1872, 1873, 1876, 1877, 1879, 1882. Dati che appaiono significativi perché di certo mettevano la popolazione davanti all’ineluttabilità della vita, alla necessità di affidarsi a Qualcuno che potesse scongiurare per sé e i propri cari di perire all’improvviso, “senza motivo”.

Negli anni del nuovo Regno d’Italia le leggi Coppino per la scuola e De Pretis per la riforma elettorale cambiarono un po’ le cose nel Paese, allargando la platea elettorale e scolastica, ma anche le decisioni a favore di una vita più equa, le attività di bonifica, la nascita di attività mutualistiche, la nascita delle fabbriche, contribuiranno a cambiare rapidamente l’aspetto dell’Italia, pur se l’epoca vittoriana che si stava vivendo non aveva sulle donne una valenza solo positiva come si poteva pensare al tempo.

Sarà poi del 1882, quando Domenica aveva solo vent’anni, la stipula di uno strano accordo per il Regno d’Italia: nasce infatti la Triplice Alleanza, con quell’Austria che deteneva ancora alcuni territori italiani e che era stato il nemico giurato fino al 1866. Alleanza che il nuovo re Vittorio Emanuele III, succeduto al padre Umberto I assassinato nel 1900 da Gaetano Bresci, non vedeva di buon occhio e che infatti decise di rompere con il Patto di Londra del 1915. Sarà la firma che deciderà per l’interventismo dell’Italia in guerra a fianco di Francia, Gran Bretagna e Russia.

Cartolina di guerra

Sull’Alto Garda era il fronte detto immobile di guerra, con le trincee pronte a Dosso Merlo ad esempio, costruite dai soldati italiani proprio in territorio di Malcesine, ad un pugno di chilometri da Castelletto. Le trincee erano pronte in caso di seconda linea, cioè di sfondamento delle difese italiane da parte del nemico austriaco, e Dosso Merlo fu ripetutamente bombardato dall’artiglieria pesante durante la guerra. Sul Garda era in azione anche la Marina, perché naturalmente i combattimenti potevano avvenire anche sul lago. La congregazione delle Piccole Suore della Sacra Famiglia voluta da don Nascimbeni coadiuvato da suor Maria Mantovani, per tutte poi Madre Maria, era ampiamente impiegata in attività infermieristiche sia per il soccorso alla popolazione, che negli ospedali. La caratteristica delle Piccole Suore era l’amore e la dedizione, ma anche lo studio e l’approfondimento, la cura. Venivano mandate in missione in Italia e poi anche all’estero suore preparate, addestrate alla temperanza, alla pazienza, alla santità proprio da Madre Maria. Anche quando non era affatto semplice. L’Istituto possedeva una casa anche a Trento, infatti, dal 1904, ma venne poi acquistato un terreno alle spalle del castello simbolo della città, il Buonconsiglio, dove prese avvio la scuola elementare nel 1911, mentre nel 1912 si avviò il laboratorio di maglieria. Lo scoppio della Grande Guerra costrinse a rimandare dai parenti o in orfanotrofi le orfane che venivano accudite dalla suore, mentre alcune suore italiane (cioè nate fuori dai confini austriaci) vennero arrestate e inviate in un carro bestiame a Innsbruck, quindi raggiunsero Rossbach, in Boemia, dove vennero impiegate come operaie o nei campi o in cucina o in altre mansioni. Altre suore vennero internate a Katzenau, nei pressi di Linz. Lì si occupano di dispensare il latte, avendo poco da mangiare (il pane era confezionato con segatura di tiglio, ad esempio) e condizioni di vita assolutamente precarie, tanto che ben presto dovettero diventare le infermiere del campo. La casa trentina venne trasformata in un ospedale militare.

In quei tristi frangenti faceva riflettere la posizione del papa Benedetto XV che aveva definito la guerra una “inutile strage”, delineando chiaramente la sua contrarietà non soltanto all’interventismo italiano, ma a quella carneficina europea. Di certo altrettanto importante fu la figura di don Luigi Sturzo che, nel 1919, fu fautore di una democrazia nel Regno italiano ispirata a principi cattolici e cristiani più in generale, fondatore poi del partito cattolico. Intorno alla Madre delle Piccole Suore erano in atto rivolgimenti che cambieranno completamente l’Italia e mantenere il corretto vedere la realtà di tutti i giorni non era di certo facile, tra mancanza di cibo, disoccupazione, orfani e vedove. L’avvento del nuovo partito, che diverrà il partito unico del Paese, condusse altri cambiamenti che dovettero essere affrontati anche dalla Chiesa, e dalle suore, per il nostro discorso.

Lo scontro che c’era stato tra i cattolici durante la prima guerra mondiale, nel dibattito su cosa fosse giusto fare e quale fosse la posizione corretta, con personalità del calibro di don Primo Mazzolari e padre Agostino Gemelli per citare solo alcuni esempi, permané anche durante gli anni che videro l’Italia diventare un regime.

Madre Maria lasciò la vita terrena nel 1934, avendo tracciato una giusta via per le Piccole Suore alle quali aveva insegnato non soltanto i primi passi, ma aveva dato anche l’età per poter continuare le scelte che renderanno sempre più grande e santo l’Istituto.

Alessia Biasiolo

Un percorso turistico-culturale inseguendo carta e libri

Il nostro viaggio (in automobile, in bicicletta, con i mezzi pubblici) che prende come spunto il volume “Il diverso tra passato e futuro. La giudeofobia nella nostra società”, edizioni Nuova Cultura, parte da Brescia, dalla Biblioteca Queriniana, istituita nel 1747 dal vescovo di Brescia, il cardinale Angelo Maria Querini che, oltre a stabilire la destinazione ad uso pubblico delle raccolte librarie e a dotare la biblioteca di fonti di rendita, provvide anche alla costruzione del palazzo che ancora oggi ne è la sede.

Venne aperta al pubblico nel 1750 e, per alcuni decenni successivi, svolse anche una funzione museale e di sede di accademie cittadine.

A partire dal secondo Settecento, e per tutto l’Ottocento e i primi del Novecento, confluirono in biblioteca numerosi legati privati, per la maggior parte smembrati e fusi con il patrimonio librario generale. Nel 1797 il Governo Provvisorio cittadino trasformò la Queriniana in “Libraria Nazionale”, destinandola a sede delle biblioteche di enti ecclesiastici e religiosi che nel frattempo erano stati soppressi.

Il patrimonio della Queriniana è di circa 600.000 volumi a stampa, tra antichi e moderni (150.000 circa costituiscono il fondo antico, di cui 1158 incunaboli e 8386 cinquecentine) e oltre 10.000 manoscritti, tra codici, documenti sciolti e materiali epistolari.

Attualmente la Queriniana è biblioteca centro-sistema del Sistema Bibliotecario Urbano di Brescia, che comprende anche l’Emeroteca scientifica con oltre 6.000 testate di periodici storici e correnti, l’Emeroteca d’attualità, otto biblioteche decentrate, una biblioteca specialistica, la Mediateca e una sala di lettura esterna.

Particolare dell’interno della Torre Civica di Lonato del Garda

Giungiamo quindi a Lonato del Garda dove, accanto alla bellissima torre civica (aperta in questa stagione il giovedì, il sabato e la domenica dalle 10 alle 17, ma meglio verificare), alla basilica dedicata a San Giovanni Battista, alla bellissima chiesa di Santa Maria del Corlo o alla chiesa di Sant’Antonio Abate, troviamo la Rocca e la Casa del Podestà.

La Rocca di Lonato, una delle prima fortificazioni in pietra della zona, fatta risalire a prima del Mille, si trova in una magnifica posizione, su una collina morenica che domina il lago di Garda e la pianura Padana, permettendo di essere un punto di osservazione unico. La Rocca dalla merlatura guelfa frutto di restauri eseguiti nel corso del tempo, è stata di proprietà viscontea e scaligera; è visitabile e, prima di arrivarci, si passa dalla bellissima Casa del Podestà, sorta verso la metà del Quattrocento come sede del podestà appunto, il rappresentante della Repubblica di Venezia che dominava il territorio.

Anche Lonato, come dimostra il Leone di San Marco posto in piazza, era sottoposta alla dominazione veneta dal 1441 e lo rimase per 350 anni, fatto salvo il periodo dal 1509 al 1516, quando dominò Francesco Gonzaga.

Con l’arrivo di Napoleone Bonaparte e la cessione di Venezia all’Austria, la Casa divenne caserma austriaca e poi passò al Comune lonatese.

Caduta in disuso, venne acquistata all’asta dall’avvocato Ugo Da Como (poi senatore del Regno) nel 1906; egli la fece restaurare, la abitò fino al 1941 quando morì, quindi venne lasciata alla Fondazione alla morte della moglie Maria Glisenti avvenuta nel 1944.

Oltre alla casa museo, la Casa del Podestà ospita una meravigliosa biblioteca ricca di 50mila volumi, tra le più importanti biblioteche private d’Italia. Ne fanno parte 400 incunaboli e 500 codici manoscritti dal XII al XIX secolo. Tra i tanti gioielli ricordiamo la copia de “I Promessi Sposi” con le correzioni di Manzoni e le lettere di Ugo Foscolo.

Il nostro viaggio prosegue verso Salò dove gli ebrei, argomento del volume, vivevano già dal Quattrocento, in una sorta di ghetto chiamato La Grola, occupandosi soprattutto di prestare denaro, e da lì allontanati a ondate. Salò, dal bellissimo lungolago e con prestigiosi musei e raccolte, sarà argomento di ulteriori approfondimenti.

Proseguiamo verso Toscolano Maderno, dove troviamo la Fondazione Valle delle Cartiere, costituita dal Comune, dalla Società Burgo Group e dall’Associazione Lavoratori Anziani Cartiera di Toscolano con lo scopo di promuovere la cultura della carta.

La fabbricazione della carta nel territorio di Toscolano Maderno risale al tardo Medioevo e fu favorita dalla presenza del torrente Toscolano. Se l’uso delle acque del fiume mediante seriole è attestato già alla fine del Duecento, bisogna attendere il secolo successivo per ritrovare nei documenti il riferimento esplicito alle cartiere. È datato 17 ottobre 1381 il primo documento che attesta in maniera certa la presenza di una cartiera lungo il fiume Toscolano.

Nel corso del Quattrocento la manifattura della carta si diffuse a tutta la Valle e furono costruiti insediamenti produttivi lungo il tratto del fiume che da Promontorio arriva fino a località Camerate. La vera affermazione delle cartiere della Valle si avrà a partire dalla fine del Quattrocento, quando alla domanda di carta da scrivere si aggiunse, in maniera sempre più crescente, quella di carta da stampa. Tra il XV e il XVI secolo la Valle delle Cartiere, con il suo incomparabile addensamento di fabbriche, divenne il polo produttivo principale della Repubblica di Venezia. Sarà solo la peste del 1630 a fermare la consolidata produzione manifatturiera di Toscolano Maderno.

Tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento però le cartiere che erano rimaste inattive o abbandonate furono ripristinate, gli impianti potenziati e l’attività produttiva riprese più vigorosa di prima.

Con la caduta della Serenissima nel 1797 iniziò una fase d’inesorabile declino per la Valle delle Cartiere.

Da Toscolano Maderno proseguiamo fino al punto estremo del lago, in territorio trentino, e arriviamo a Riva del Garda.

Un’importante stamperia ebraica prese avvio anche a Riva del Garda nel 1557.

La fondò un medico, Jacob Marcaria, che arrivò a Riva da Cremona a seguito della Bolla papale Cum nimis absurdum di Paolo IV, che vietava ai medici ebrei di curare pazienti cristiani.

Jacob si industriò per trovare per prima cosa la carta, fatto semplice in zona di cartiere come quella che caratterizzava il lago di Garda; quindi diede inizio ad un’attività che ebbe sede nella casa di Antonio Broini in quadra di Mezzo (tenendo conto che a Riva del Garda gli ebrei non vivevano in un ghetto, ma avevano case contigue tra la Piazza Granda, la Contrada Lata, detta poi Via Larga e poi Via Fiume, e Vicolo delle Larve che viene comunque indicato come Vicolo degli Ebrei; accanto a Casa Olivieri, in Vicolo del Ferro, Vicolo del Fabbro, Vicolo della Lucertola).

La tipografia fiorì anche grazie alla stampa delle opere in latino per il Concilio di Trento nell’ultima fase del 1563.

Gli ebrei rivani godevano della protezione di Cristoforo Madruzzo e gli stampatori, in modo particolare, godevano anche di privilegi; questo consentì la stampa di libri ebraici, compreso il Talmud, malgrado la proibizione imposta dallo stesso Paolo IV.

Cristoforo Madruzzo era il successore, dal 1539, di Bernardo Clesio, principe vescovo di Trento con giurisdizione su Riva; Madruzzo (di famiglia imparentata con la grande aristocrazia italiana ed europea) era di posizione erasmiana, considerato protettore dei più seri riformatori.

Riva del Garda

Partecipò a sei conclavi parteggiando per i candidati degli Asburgo e promuovendo a Trento il Concilio. Concilio che segnò un alto momento per la zona, dal momento che vi conversero alte personalità ed eminenti studiosi da tutto il mondo.

Madruzzo abolì il segno distintivo per gli ebrei e agevolò la loro vita pubblica, tanto che la comunità ebraica aumentò a Riva, causando le rimostranze della cittadinanza.

Il vescovo rimase comunque favorevole agli ebrei, cosa che non venne seguita dal nipote Ludovico che gli successe nel 1567, quando Cristoforo gli cedette la carica essendo stabilmente impegnato a Roma.

Ludovico iniziò a rendere operative a Riva le decisioni del Concilio, imponendo restrizioni alla comunità ebraica rivana che, per esempio, era sottoposta al pagamento di una tassa più alta rispetto agli altri cittadini. Venne ripreso l’obbligo di segno distintivo per uomini e donne ebrei, compreso un segno bianco sulla spalla per le prostitute, e furono severamente proibiti tutti i tipi di rapporti tra ebrei e cristiani, pena la scomunica di questi ultimi.

Vennero poi emessi bandi per la cacciata degli ebrei che si conclusero con quello definitivo del 1776.

Cristoforo Madruzzo volle che le edizioni dei libri stampati a Riva del Garda riportassero il suo nome e che in tre di esse fosse impresso il pregevole stemma del suo governo; edizioni che sono l’orgoglio delle più prestigiose biblioteche del mondo.

I testi stampati erano prevalentemente di carattere religioso, come le cinque megillot cioè il Pentateuco, il Cantico dei Cantici, le Lamentazioni, l’Ecclesiaste, il Libro di Ester e il Libro di Ruth, poi la Mishnah, tra gli altri; si aggiungono un testo satirico, alcuni testi filosofici, testi di belle lettere e due testi dedicati alla Qabbalah.

Dell’attività della stamperia ebraica di Riva, soprattutto per quanto riguarda le pubblicazioni del Concilio, non se ne seppe nulla per molto tempo, visto che non si doveva pubblicizzare troppo il fatto di utilizzare una tipografia ebraica per stampare opere cattoliche, che prevedevano elementi di lotta contro gli eretici, anche ebrei.

Anche Riva ha la sua torre, che campeggia su Piazza III Novembre con i suoi 34 metri d’altezza, mantenendo la sua antica funzione di sorveglianza a partire dal XIII secolo. È una torre visitabile salendo 165 gradini che permettono di avere un bellissimo panorama sul lago e i territori limitrofi di entrambe le Gardesane.

L’argomento è stato esposto, in forma sintetica, nella trasmissione “BrixiaChannel Cultura” che andrà in onda su Brixia Channel domani sera.

Alessia Biasiolo

Il Cortile di Castelvecchio dedicato a Magagnato e Scarpa

Il Cortile della piazza d’Armi del Museo di Castelvecchio è intitolato alla memoria di Licisco Magagnato e Carlo Scarpa, ideatori ed esecutori, tra il 1958 e il 1964, dell’importante restauro e riallestimento del museo scaligero. È stata questa l’ultima tappa dell’ampio programma di eventi realizzato quest’anno dal Comune in occasione del centenario della nascita di Magagnato. Storico dell’arte e direttore dei Musei e delle Gallerie veronesi dal 1955 al 1986, Magagnato è oggi una fra le figure intellettuali più rappresentative dello sviluppo del sistema museale cittadino. L’apposizione della targa commemorativa è stata effettuata alla presenza dell’assessore alla Cultura Francesca Briani. Sono intervenuti anche Tobia Scarpa, figlio di Carlo Scarpa e Alba Di Lieto, responsabile Archivio Scarpa Musei Civici.

Promossi dal direttore Licisco Magagnato e realizzati dall’architetto Carlo Scarpa tra il 1958 e il 1964, costituiscono un punto di riferimento della felice stagione museografica italiana del secondo dopoguerra. Il Museo di Castelvecchio, infatti, offre una testimonianza esemplare del dialogo tra la committenza pubblica e illuminata di un direttore di museo e di un maestro dell’architettura, la cui memoria si salda tangibilmente nella doppia intitolazione del giardino di Castelvecchio.

“Continuare a dare memoria è fondamentale – dichiara l’assessore Briani –, in particolare quando si mantiene vivo il ricordo di quelle figure che hanno contribuito a rendere Verona lo straordinario patrimonio culturale che oggi conosciamo e ammiriamo. A Licisco Magagnato e a Carlo Scarpa viene dedicato il Cortile della piazza d’Armi in quanto luogo simbolo della lungimirante progettualità e della sintonia ed amicizia che si creò tra il direttore e l’architetto”.

Licisco Magagnato è direttore del Museo Civico di Bassano del Grappa tra il 1951 e il 1955. Dal 1955 al 1986, è alla guida dei civici Musei e Gallerie d’Arte di Verona.
Tra il 1958 e il 1964 è protagonista, con l’architetto Carlo Scarpa, del restauro e del riallestimento del Museo di Castelvecchio, secondo un progetto d’avanguardia tra i più rappresentativi della museografia del Novecento. Protagonista della resistenza vicentina e poi membro del Partito d’Azione e quindi del Partito Repubblicano, si dimostra sempre profondamente coinvolto nella vita politica, sociale e culturale del Paese e contribuisce alla creazione del Ministero dei Beni Culturali, istituito nel 1974, e nel 1977 è nominato vicepresidente del Comitato di settore per i Beni artistici e storici del ministero. Libero docente di Storia dell’Arte dal 1967, di-venta professore incaricato stabilizzato di Storia dell’Arte presso la facoltà di Economia e Commercio (Corso di Lingue) dell’Università di Padova (sede distaccata di Verona) a partire dall’anno accademico 1970-1971.

Tra il 1970 e il 1973 apre il Museo degli Affreschi, intitolato a G.B. Cavalcaselle, e la Casa di Giulietta. Nel 1982 riapre al pubblico il Museo Lapidario Maffeiano, su progetto dell’architetto Arrigo Rudi; avvia il restauro dell’isolato e del Palazzo Emilei Forti, su progetto dell’architetto Libero Cecchini. Come studioso, è attento a un ampio ventaglio di argomenti di storia dell’arte, con particolare riferimento all’arte veneta, a partire dagli studi sul Teatro Olimpico di Vicenza e su Jacopo Bassano, a temi palladiani e sulla storia dell’arte, la cultura, la trattatistica dal Medioevo al Settecento.

Roberto Bolis (anche per la fotografia)

L’antenna di Guglielmo Marconi esposta a Palazzo Barbieri

L’icona più importante delle comunicazioni nel terzo millennio è in mostra nel pronao di Palazzo Barbieri. È stata infatti posizionata lì l’antenna dalla quale il premio Nobel Guglielmo Marconi fece partire le prime onde elettromagnetiche. Fino a fine gennaio 2022 si potrà ammirare il simbolo della comunicazione tecnologica che, negli anni, si è sempre più evoluto fino all’attuale Wifi.

A custodire il prezioso simbolo, il Museo della radio di Verona che l’ha messo a disposizione di curiosi, appassionati e turisti nel centro della città. Sul supporto dell’antenna e sul cancelletto davanti al pronao sono stati posti due QR Code che, se inquadrati con telefono cellulare o tablet, permettono di ascoltare un messaggio registrato dalla figlia di Gulglielmo Marconi, la principessa Elettra.

La stessa Elettra è intervenuta per un saluto telefonico all’inaugurazione fatta dall’assessore alla Smart city e Innovazione tecnologica Francesca Toffali, dalla consigliera comunale Paola Bressan, dal presidente del Museo della radio Francesco Chiantera e dal fondatore Alberto Chiantera. È inoltre intervenuta la classe 5^ della scuola primaria dell’Istituto Seghetti.

“Ringrazio a nome di tutta l’Amministrazione il Museo della radio per averci dato la possibilità di esporre l’antenna – ha detto l’assessore Toffali -. Credo che sia importante scoprire quale sia l’origine delle nostre telecomunicazioni, tanto utilizzate, a volte anche fin troppo. Tutto però è iniziato da questa antenna, è un’importante occasione per tutti avere la possibilità di ammirarla”.

Roberto Bolis (anche per la fotografia)

Restauro della Cappella Espiatoria di Monza

La Cappella Espiatoria è il monumento voluto da Vittorio Emanuele III, figlio e successore di Umberto I, a Monza per commemorare il luogo in cui il padre venne ucciso dall’anarchico Gaetano Bresci il 29 luglio 1900. Un edificio che racconta un momento importante della storia del Novecento, e che oggi è nuovamente oggetto di interventi che puntano a migliorane la conservazione e ad ampliarne la fruizione da parte della cittadinanza.

Sul luogo del regicidio, Giuseppe Sacconi, l’architetto cui Casa Savoia aveva commissionato l’Altare della Patria a Roma ed anche la Tomba di Re Umberto al Pantheon, progettò un monumento visibile da lontano, che ad ogni 29 luglio doveva illuminarsi, come ricordo e monito.

In basso una cripta a croce greca, ricca di preziosi marmi e mosaici. Questi ultimi, sul modello del Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna, raffigurano cieli stellati su cui si stagliano i vari stemmi dei Savoia. Alle pareti sono ancora poste le corone in bronzo inviate da tutto il mondo come omaggio al re defunto. Al centro, un cippo in marmo nero commemora il punto esatto in cui avvenne l’attentato. Anche la Cappella, sovrastante, è decorata da mosaici raffiguranti angeli, busti di santi e beati della dinastia dei Savoia, mentre il pavimento è realizzato con marmi colorati antichi.

A coronamento è una stele in pietra d’Oggiono, alta 35 metri, poggiata su un colossale basamento circolare.  Nella sua parte bassa si ammira una Pietà in bronzo dello scultore Ludovico Pogliaghi, voluta dalla Regina Margherita mentre alla sommità è conclusa da un cuscino bronzeo sul quale poggiano lo scettro, il Collare dell’Annunziata, la corona dei Savoia, oggetti tutti fortemente legati alla dinastia.

La Cappella Espiatoria – ricordo di un evento che segnò la storia d’Italia ma anche importante testimonianza dell’architettura italiana del primo ‘900 – ha da subito mostrato problemi di conservazione ma, caduti i Savoia, non ha più ricevuto le cure costanti di cui necessitava. Datano a partire dagli anni Ottanta gli interventi più sistematici, voluti dalla allora Soprintendenza ai Monumenti della Lombardia. Proprio le fragilità strutturali, legate sia alle modalità costruttive che ai materiali scelti, hanno imposto però una nuova revisione complessiva, che prelude ad un progetto di costante manutenzione programmata.

“L’anno della svolta è il 2015, quando il museo viene affidato all’allora Polo Museale della Lombardia (ora Direzione regionale Musei della Lombardia del Ministero alla Cultura), ribadendone la vocazione museale. Questo ha significato lavorare in contemporanea per la salvaguardia conservativa e per una migliore fruizione da parte del pubblico” sottolinea Emanuela Daffra, Direttore Regionale.

“Gli interventi di “pronto soccorso” hanno coinvolto la cancellata di ingresso e l’Esedra, mentre un cantiere studio dal 2018 ha posto sotto la lente di ingrandimento il paramento murario esterno in pietra di Oggiono, da sempre una delle fragilità maggiori dell’edificio. Contestualmente – continua la dottoressa Daffra – si è affrontato il nodo cruciale dell’accessibilità e dell’abbattimento- per quanto possibile – delle barriere architettoniche, con la realizzazione di servizi per i visitatori, di corrimano per le scalinate che portano alla cripta e al giardino, dove una rampa accompagna il visitatore all’interno dell’area verde”.

L’attenzione si è concentrata sulle parti decorative esterne a mosaico di ciottoli bicromi, bianchi e neri, e sulla pietra di rivestimento. In sequenza sono state restaurate sette campate dell’esedra e attualmente è in allestimento un nuovo cantiere che permetterà di concludere l’intera area nord della struttura.

“Con Barbara Galli, allora direttrice del museo, si è posta anche attenzione al parco-giardino, protagonista di un progetto di riallestimento che ha interessato gli arredi, i percorsi e le essenze vegetali. Mi preme sottolineare la messa a disposizione di panchine, con l’inserimento, nel 2020, di una seduta rossa, per sottolineare l’impegno della Direzione sugli obiettivi posti dall’agenda 2030 dell’Onu e, nello specifico, per la campagna contro la violenza sulle donne. L’area è stata inoltre dotata di un sistema di telecamere per mettere in sicurezza l’intero complesso museale”.

“Oggi, grazie anche alla piena collaborazione del Comune di Monza e di associazioni presenti sul territorio– conclude la Direttrice – possiamo affermare che l’intero Complesso Monumentale della Cappella Espiatoria è monitorato, che era l’aspetto che più ci premeva e – azione altrettanto importante – è stato reso accessibile e più aperto alla cittadinanza, riconosciuto come partner di iniziative variegate.

“La relazione con le attività commerciali e le industrie presenti sul territorio, oltre che con enti ed associazioni, è stata una chiave fondamentale per radicare la presenza del complesso nell’area monzese e per avvicinare la cittadinanza tutta al Cappella Espiatoria”, conferma Barbara Galli, che dal 2019 al novembre 2021 è stata direttrice del complesso.

“Ne è prova il costante favore del pubblico che è passato dai 1025 ingressi del 2015 ai 12.137 del 2019. E quest’anno, pur con le chiusure e il contingentamento, contiamo già oltre quattromila presenze. È il segno che la direzione imboccata è corretta e che non dobbiamo fermarci. Per questo abbiamo già programmato e finanziato – annuncia ancora la Dott.ssa Emanuela Daffra – passi ulteriori. Innanzitutto il restauro del cancello e, più avanti, del magnifico complesso musivo interno della Cappella, possibile perché è stato mitigato il problema delle infiltrazioni di acque meteoriche, causa dei danni. Anche sull’insieme delle corone bronzee, oggetto di una sistematica campagna fotografica e di inventariazione, è partito il progetto conservativo, e sugli spazi verdi prevediamo ulteriori messe a punto ed il loro inserimento in un più ampio progetto educativo”.

Ora il compito di portare avanti questi progetti e continuare nella direzione imboccata spetta a Giuseppina Di Gangi, architetto che già ha prestato servizio presso Pinacoteca di Brera e Biblioteca Braidense come responsabile di progetti architettonici e di restauro e allestimenti, dal mese di novembre subentrata a Barbara Galli nella direzione del Complesso Monumentale della Cappella Espiatoria.

I prossimi obiettivi riguarderanno l’avvio del cantiere di restauro sul paramento murario dell’edificio che prenda le mosse dal cantiere studio già citato, l’ulteriore miglioramento dell’accessibilità che intende rimuovere anche le barriere percettive e cognitive, il miglioramento del sistema di illuminazione dell’area esterna e interna, lo studio e il restauro del patrimonio mobile.

“La Cappella Espiatoria è un monumento che deve diventare centrale nei percorsi turistici della città. spiega il Sindaco Dario Allevi. È un luogo che racconta una parte importante della nostra storia, una testimonianza che abbiamo il dovere di far conoscere ai turisti e agli stessi monzesi, soprattutto ai più giovani. L’obiettivo è costruire un « sistema» attorno alla Cappella Espiatoria formato da enti e associazioni in grado di rafforzare il legame tra il museo e il territorio e aumentarne, in questo modo, il suo appeal. Per questo condividiamo con entusiasmo il progetto di restauro promosso e sviluppato dalla Direzione Regionale Musei Lombardia. Oggi, per sostenere la cultura e sviluppare il turismo, è fondamentale fare rete”.

S.E.

Il restauro del capitello di Mizzole

L’affresco del capitello votivo a Mizzole sarà restaurato e restituito alla comunità nella sua bellezza originaria. Ciò grazie alla proposta di sussidiarietà presentata da una cittadina ‘attiva’ residente in zona.

Il piccolo affresco del 1767, raffigura l’immagine sacra della Madonna ed è parte integrante del capitello votivo presente all’angolo fra via Danieli e via Fenzo a Mizzole, all’inizio del sentiero 1 dorsale Preafita.

Se nel suo complesso la struttura del capitello si presenta in buono stato di conservazione, l’intera superficie pittorica del dipinto, invece, mostra una patina di sporco depositato nel tempo, che ne offusca la visione generale dell’opera. L’affresco è maggiormente rovinato nella parte inferiore, dove sono evidenti abrasioni e cadute di colore, ben visibili anche agli occhi meno esperti dei cittadini comuni.

Per ridare splendore al piccolo monumento, la signora Alessandra Favotto, questo il nome della cittadina attiva, si è rivolta al Comune per capire come contribuire al restauro del capitello, mantenendone l’identità storica, culturale e territoriale. Il recupero sarà realizzato da una restauratrice professionista, che è stata coinvolta nel progetto e che metterà a disposizione le proprie competenze.

Con la collaborazione degli Uffici tecnici della Circoscrizione 8^, la proposta di collaborazione sarà definita nelle prossime settimane attraverso un Patto di sussidiarietà, lo strumento che permette ai cittadini di diventare parte attiva nella cura della propria città.

“L’impegno dei cittadini attivi del Comune di Verona non smette di stupire – sottolinea l’assessore al Decentramento Marco Padovani –. Continuano a manifestarsi, in un crescendo di disponibilità e di amore per la cosa pubblica, le collaborazioni per la gestione e la presa in cura di tanti spazi e beni comuni. Il restauro di questo capitello è fra le risposte tangibili di questa grande sensibilità, che si concretizza grazie alla disponibilità di una professionista che dona alla comunità passione, competenze e parte del proprio tempo. Un gesto davvero altruistico, che l’Amministrazione non può che ringraziare, in attesa di inaugurare il capitello restaurato”.

Roberto Bolis (anche per le fotografie)

“Le pietre ci parlano ancora”: a Ferrara

“Le pietre ci parlano ancora” è il volume digitale realizzato per ComunEbook, promosso dal Comune di Ferrara e dal Liceo scientifico A.Roiti. “La documentazione raccolta nel volume – ha spiegato il responsabile Ufficio Ricerche Storiche Francesco Scafuri – riguarda lapidi ed epigrafi che si trovano nel centro storico, suddiviso in due zone (quella medievale, a sud fino al confine con l’asse Giovecca-Cavour, e quella rinascimentale) oltre a una ripartizione dell’immediata periferia soprattutto nella zona a sud della città. La lettura può diventare occasione per cittadini e turisti dotati di smartphone di seguire percorsi alternativi e un po’ fuori dagli schemi, a piedi o in bicicletta, osservando le lapidi e i monumenti di pregio nell’atmosfera magica di strade e piazze”. “Sulla base di questo lavoro di documentazione – dice l’assessore a Lavori Pubblici, Piano Strategico e RecoveryFund Andrea Maggi – è mia intenzione dare il via a una serie di interventi per restaurare le epigrafi, delle quali nel volume è indicato anche lo stato di conservazione e il livello leggibilità. Queste iscrizioni, fatte su marmo o su pietra, sono motivo di conoscenza di fatti storici e personaggi rilevanti per la città ma anche per tanti turisti, che attraverso questa forma di scrittura permangono e continuano a trasmettere informazioni storiche e culturali nel presente e nel futuro”. Il docente del Liceo scientifico Roiti, Mario Sileo, ha infine sottolineato come la cura di questo volume abbia offerto ai suoi allievi “un’importante occasione per realizzare a scuola i Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (ex Alternanza scuola-lavoro), lavorando su qualcosa di monumentale, lapideo e materiale, che è molto importante per i ragazzi abituati a usare quasi esclusivamente srmartphone e computer, rivelando loro una realtà fisica sulla quale non si erano mai soffermati.  Gli studenti, inoltre, traducendo in un programma informatico il lavoro fatto dagli autori, hanno inoltre potuto mettere insieme la cultura scientifica con quella umanistica, cogliendo quindi il collegamento importante tra queste discipline”.
All’incontro con i giornalisti erano presenti inoltre le coautrici Marcella Moggi e Mihaela Zamurca con Cristina Fiorentini dei Sistemi Informativi.

Per la prima volta il Comune di Ferrara pubblica un censimento aggiornato relativo alle epigrafi della città, con particolare riferimento a quelle lapidi che si trovano sui prospetti di case e palazzi. Si tratta di un volume digitale dal titolo “Le pietre ci parlano ancora. Alla scoperta di Ferrara e dei suoi personaggi tra epigrafi e iscrizioni”, leggibile con pc, tablet o smartphone, scaricabile da http://www.comunebookferrara.it, fortemente voluto dagli assessori Andrea Maggi e Marco Gulinelli, che ne hanno curato la prefazione e l’introduzione. Gli autori sono Francesco Scafuri e Marcella Moggi dell’ufficio comunale Ricerche Storiche presso il Servizio Beni Monumentali, congiuntamente a Mihaela Zamurca, laureanda dell’Università degli Studi di Ferrara, la quale, grazie ad un tirocinio curriculare ha potuto collaborare con l’ufficio comunale, che ha coordinato le attività di ricerca e realizzato la pubblicazione. Particolarmente efficace la produzione digitale di questo nuovo e-book, curata dal prof. Mario Sileo, docente del Liceo Scientifico ‘A. Roiti’ di Ferrara, assieme ai suoi studenti, nell’ambito del progetto editoriale nato dalla partnership fra l’Amministrazione e l’istituto scolastico, che negli ultimi anni ha diffuso altre interessantissime opere su argomenti ferraresi. Nel “libro elettronico”, attraverso la puntuale trascrizione delle epigrafi, accompagnata da una ricca documentazione fotografica, si possono cogliere tantissime notizie interessanti su fatti e personaggi legati a Ferrara, offrendo la possibilità ai lettori di conoscere l’esatta collocazione delle lapidi nel centro storico e il loro contenuto grazie a schede digitali efficaci e di facile lettura. L’opera rappresenta, altresì, un’ulteriore occasione per cittadini e turisti dotati di smartphone che vogliano vivere la città seguendo percorsi alternativi e un po’ fuori dagli schemi, a piedi o in bicicletta, osservando le lapidi e i monumenti di pregio nell’atmosfera magica di strade e piazze.
Naturalmente questo e-book offre la possibilità di seguire molteplici percorsi di ricerca, digitando ad esempio il nome di un personaggio, la denominazione di un edificio, un fatto, un evento, piuttosto che una data. Lo studio, poi, si è spinto anche sul versante patrimoniale, indicando sia le proprietà degli edifici, sia gli enti o le associazioni che hanno apposto materialmente le lapidi. La rilevazione di ciascun manufatto, effettuata da settembre a novembre 2020, ha consentito di riportare altresì alcuni dati essenziali in ciascuna scheda, come quelli riguardanti lo stato di conservazione delle lapidi o il grado di leggibilità delle epigrafi. Le targhe lapidee che si trovano sui prospetti di chiese, conventi, ed ex edifici di culto non sono state analizzate in questo studio, se non quelle che ad avviso degli autori sono significative per la città o soltanto curiose. Pertanto, l’e-book è stato pensato come uno strumento che può essere facilmente aggiornato e implementato, non solo dal Comune di Ferrara ma anche da altri enti, istituzioni e associazioni cui competono la manutenzione e il restauro delle lapidi. Un altro elemento di novità rispetto alla bibliografia sull’argomento, pur puntuale e interessante, è rappresentato dalla trascrizione di diverse iscrizioni latine, alcune delle quali tradotte in italiano allo scopo di offrire al lettore nuove occasioni di approfondimento.

Alessandro Zangara (anche per l’immagine)

I fossili di Bolca candidati UNESCO

Dalla città di Verona a Bolca, attraverso un itinerario fotografico suggestivo, realizzato per valorizzare fascino, importanza ed unicità dei fossili della Val d’Alpone e della Valle del Chiampo, in corsa per la candidatura Unesco. È questo l’obiettivo della pubblicazione ‘I luoghi dell’Eocene marino. Val d’Alpone e Alta Valle del Chiampo’, realizzata dall’associazione temporanea di scopo ‘Val d’Alpone – faune, fiore e rocce del Cenozoico’, per supportare il dossier di candidatura ed accresce la comprensione di questo particolare territorio, sede dello straordinario patrimonio fossile conosciuto ed ammirato in tutto il mondo. Nel 2017, in virtù di tale obiettivo, si è costituita l’associazione temporanea, che si è occupata della stesura del dossier e della realizzazione, con il contributo della Regione Veneto, del report fotografico raccolto nella pubblicazione. All’associazione, rappresentativa di tutto il territorio interessato dai giacimenti di Bolca, aderiscono anche altre realtà ed enti che abbracciano il progetto, tra cui il Comune di Verona. Tappa cruciale del percorso di riconoscimento e momento conclusivo di un iter lungo e complesso, l’invio al Ministero dell’Ambiente, a fine febbraio 2021, del dossier di candidatura.

Il volume descrive con immagini e parole le terre al confine tra il veronese e il vicentino, che conservano preziosi reperti fossili. Lo fa partendo da Verona, città già riconosciuta Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 2000, per arrivare a Bolca, luogo simbolo della paleontologia mondiale. Due sono i percorsi scelti per arrivare in questi luoghi; il primo attraversa la via Postumia, l’antica via consolare romana che fiancheggia l’abbazia benedettina/olivetana di Villanova di San Bonifacio, il secondo passa per gli alti pascoli della Lessinia, un altipiano iscritto nel Registro Nazionale dei paesaggi storici. Seguendo i due itinerari si giunge in un territorio meraviglioso e misterioso, che rimane legato ai valori della terra nel rispetto della natura.

“I più importanti reperti fossili della Val d’Alpone – dichiara l’assessore ai rapporti con l’UNESCO Toffali – si trovano al Museo di Storia Naturale. Più di 9 mila quelli provenienti dai giacimenti di Bolca, un altro migliaio dal monte Costale e dagli altri siti della vallata. Un patrimonio unico e straordinario, che fa del Museo e della città di Verona un punto di riferimento per tutta la comunità scientifica mondiale. Un valore bene documentato anche nella pubblicazione, che rappresenta uno dei tanti lavori di ricerca realizzati per la candidatura. Un viaggio fotografico affascinante, che mostra tutta la bellezza ed importanza di un territorio dal grandissimo valore scientifico, storico e paesaggistico”.

“Un progetto fotografico realizzato per supportare il dossier di candidatura presentato lo scorso febbraio – spiega il presidente dell’associazione Bochese –, per far meglio conoscere la bellezza e le particolarità di questi luoghi, riserva straordinaria di un patrimonio paleontologico unico al mondo. Un tesoro di inestimabile valore che abbiamo la responsabilità di salvaguardare e valorizzare per trasmetterlo integro alle generazioni future. Il libro è solo l’ultima fatica di un percorso lungo cinque anni, durante i quali l’associazione ha lavorato per sensibilizzare e responsabilizzare l’intero territorio, in modo che prendesse consapevolezza dell’inestimabile valore paleontologico che possiede”.

Roberto Bolis

Nuove scoperte archeologiche: una tomba di famiglia

Nuove scoperte archeologiche all’interno dell’anfiteatro Arena, che non smette di stupire.

La donna sepolta in Arena nel periodo tardo antico, i cui resti sono stati ritrovati a dicembre nell’arcovolo 31, non è l’unica ad aver riposato per secoli all’interno del monumento. Gli archeologi della Soprintendenza hanno infatti rinvenuto altri resti umani all’arcovolo 10, tre scheletri che ora verranno estratti e portati in laboratorio per gli esami e le analisi specifiche.

Nulla esclude che sia una sorta di ‘tomba di famiglia’, ipotesi che troverebbe conferma nelle informazioni al momento a disposizione, che presumono una sepoltura di gruppo non casuale, bensì pianificata in virtù di un probabile legame di sangue tra le tre persone. Stando alle prime analisi, i tre scheletri sono riconducibili ad un adulto e a due adolescenti sui 16 anni. L’età dei più giovani si evince, anche ad occhio nudo, non solo dalla diversa lunghezza degli arti, che sono più corti rispetto a quelli dello scheletro adulto, ma anche dallo spessore delle ossa che risultano più minute, tant’è che solo verso i 18 anni arrivano ad assumere la loro forma definitiva. Quanto al sesso, lo scheletro più maturo era senza dubbio maschio, uno degli scheletri più giovani era femmina, resta da definire il terzo.

Di certo l’uomo adulto è vissuto nel dodicesimo secolo, una certezza che proviene da alcune monete rinvenute in una sorta di borsellino attaccato alla fibbia circolare. Le analisi numismatiche già effettuate confermano che si tratta di denari enriciani, una monetazione della Zecca di Verona che era l’unica in circolazione nel XII secolo, periodo in cui ha conosciuto la sua massima espansione arrivando fino a Venezia e nel Tirolo.

Esami più approfonditi saranno poi in grado di rivelare l’anno di sepoltura dei corpi e, eventualmente, la distanza tra una e l’altra. Gli archeologi fanno infatti notare che lo scheletro di uno dei due ‘adolescenti’ è in posizione meno  ribassata rispetto agli altri due, ma ciò potrebbe dipendere anche dalla scelta di scavare di meno per fare minor fatica. I corpi sono stati ritrovati in una grande fossa centrale squadrata, la giovane donna con la testa a sud, il maschio adulto con la testa a sud e il giovane di sesso da definire con la testa a nord. La donna è stata manomessa probabilmente a causa di una riapertura della tomba.

La scoperta èavvenuta nell’ambito degli importanti lavori di restauro che si stanno realizzando all’interno dell’anfiteatro, con un cantiere articolato che prevede la riqualificazione completa degli arcovoli. Dopo i ritrovamenti della della prima sepoltura a dicembre, la Soprintendenza ha disposto ulteriori approfondimenti archeologici per verificare se anche altri piccoli e stretti arcovoli interni fossero destinati a usi funerari come avvenuto per l’arcovolo ‘gemello’ interno numero 31. Si tratta di arcovoli di piccole dimensioni, chiusi e inutilizzati da decenni se non saltuariamente come deposito, che la Soprintendenza ha ben inteso potessero custodire importanti sorprese.

L’anfiteatro sta diventando un museo a cielo aperto, un mix di storia, cultura e spettacolo che deve essere valorizzato. In questo senso si rafforza l’ipotesi di realizzare in Arena un vero e proprio percorso museale, per rendere visibile ai visitatori il restauro e la storia del monumento, compresa la più recente funzione di teatro all’aperto per gli spettacoli di lirica e di musica pop. Nel frattempo il restauro finanziato con l’Art Bonus va avanti, procedendo in parallelo sulla parte conservativa e sull’opera ingegneristica con la realizzazione ex novo degli impianti idrico, fognario ed antincendio.

Roberto Bolis (anche per la fotografia)

Un tesoro nascosto: i Graduali della Certosa di Pavia

Emanuela Daffra, Direttore regionale Musei Lombardia, annuncia la conclusione del restauro del cod. 822, magnifico esemplare miniato di “Graduale”, ovvero volume che raccoglie i canti delle messe che si susseguono nel Calendario Liturgico della Chiesa Cattolica.

Non si trattava di un libro ad uso personale, ma collettivo. Il codice veniva aperto, e via via sfogliato, su un alto leggio al centro del Coro, in modo che tutti monaci potessero, dai loro stalli, seguirne i testi e le annotazioni musicali, ammirandone anche le sfavillanti miniature.

Di questi colossali, preziosissimi, codici la ricca Certosa pavese ne vantava almeno 39, come ricorda l’inventario dei beni del monastero redatto il 16 dicembre 1782, al momento della sua soppressione.

Da quel momento iniziò la diaspora di uno dei più grandi giacimenti librari lombardi. La Biblioteca della Certosa riuniva, infatti, più di 10 mila volumi, tra codici miniati, manoscritti e incunaboli. Un insieme unico che prese in parte la via della biblioteca Braidense di Milano, in parte di quella Universitaria di Pavia disperdendosi poi lungo rivoli ancora ignoti. Era un patrimonio di grande ricchezza anche in termini di qualità, poiché sulle pagine dei volumi più antichi furono al lavoro i maggiori artisti e miniatori attivi per la corte dei Visconti prima e degli Sforza poi, grandi protettori del monastero pavese.

Le ricerche condotte nel tempo hanno reso possibile l’individuazione di molti tra i libri da coro. Tredici di essi, compreso il cod. 822, dopo vicende anche movimentate sono ora tra i beni del Museo della Certosa, uno dei dodici istituti statali affidati alla Direzione regionale Musei Lombardia e, come precisa Emanuela Daffra, saranno tutti oggetto di studio e restauro.

L’intervento sul Codice 822, realizzato da Filippo Capellaro e Gianlorenzo Pignatti, è stato finanziato all’interno del progetto Sleeping Beauty della Direzione Generale Musei, che punta al recupero di opere non esposte per avviare percorsi di ricerca e valorizzazione anche all’estero. Con i medesimi fondi si è redatta anche la scheda conservativa di ciascuno dei tredici volumi superstiti.

“Questa indagine capillare- racconta Emanuela Daffra – è fondamentale: fornisce una road map per i futuri interventi, dettando le priorità e consentendo di delineare l’impegno finanziario necessario al restauro dell’intero gruppo. Ha anche evidenziato l’inadeguatezza dal punto di vista conservativo del mobile monumentale, fatto realizzare appositamente per contenere i volumi a fine Ottocento, quando rientrarono in Certosa. Se ne è perciò progettata la rifunzionalizzazione, affidata a Luciano Gritti, che permetterà conservazione ed esposizione corretta dei codici e sarà conclusa entro l’estate.

Grazie alla collaborazione dei monaci che gestiscono la Certosa a ottobre si aprirà eccezionalmente la biblioteca: una mostra presenterà il volume restaurato nel suo attuale contesto, il gigantesco contenitore che racchiude gli altri i tesori miniati ‘dormienti’.

Il restauro è stato accompagnato dalla ripresa fotografica ad altissima definizione – realizzata da Mauro Magliani – di ogni pagina tanto del graduale 822 quanto del gemello 814, restaurato alcuni anni fa dalle monache di Viboldone. Ogni codice, man mano che verrà restaurato, sarà documentato nel medesimo modo. Sarà così possibile sfogliare virtualmente l’intero corpus di libri, ‘ascoltare’ le musiche che su quei fogli sono annotate, confrontare le decorazioni con quelle di altri volumi della Certosa conservati altrove.”

Si tratta del primo passo di un progetto complessivo più ambizioso che si intende portare a termine nel 2024: la riunione, fisica o virtuale, attorno ai tredici tomi tutti restaurati, del meglio della biblioteca certosina. Contatti sono già stati avviati con le istituzioni che conservano i volumi per riaccogliere – almeno per lo spazio di una esposizione – in quella che era stata la loro casa tutti i codici miniati realizzati per il cenobio pavese. Attraverso il filo conduttore offerto dai volumi e dal loro confronto non solo si potrà fare chiarezza su autori e attribuzioni, ma soprattutto fare riemergere in una chiave inedita parte della storia di una delle Certose più grandi al mondo.

Al progetto stanno lavorando, accanto ad Emanuela Daffra e Barbara Galli, direttore del Museo della Certosa, Cristina Quattrini e Pierluigi Mulas, in partenariato con le istituzioni detentrici degli altri codici.

Sarà un racconto intrigante e spettacolare ma agile poiché, in linea con gli obiettivi di Sleeping Beauty, si vorrebbe diventasse itinerante.

S.E.