Palazzo Martinengo di Brescia ospita, fino al prossimo 11 giugno, la mostra che apre uno spaccato, discretamente interessante, sulla pittura dell’Ottocento, sottolineandola soprattutto con ritratti e scene di genere. L’Italia del tempo visse un periodo d’oro, trainato dalla pittura all’aria aperta impressionista e dalle mode d’Oltralpe, dalle scoperte archeologiche, prime tra tutte quelle relative agli scavi di Pompei che portarono in Italia ogni sorta di intellettuali, storici e artisti; dal rinnovato amore per l’arte antica che aveva dei centri di studio interessanti, come quello che catalizzò l’attenzione intorno ad Antonio Canova; dall’interesse per l’area francese di alcuni nostri noti artisti che si trasferirono soprattutto a Parigi. Non mancò, però, anche l’interesse per la ricerca: la pittura “a lume di candela”, ad esempio, che vide in Angelo Inganni un interessante esponente, capace di lasciarci scene di vita quotidiana di Brescia o di Milano di assoluto valore. Oppure l’interesse per il genere, tutto italiano, del Verismo, che portò una ventata di novità soprattutto per la borghesia, capace di guardare, forse per la prima volta, con occhio diverso la miseria della quotidianità della vita. Ci sono anche scene di lusso della “gente bene” intenta alla toeletta da teatro, piuttosto che alla vita mondana fatta di crinoline e di stoffe raffinate. In mostra, suddivisi per momenti tematici, ci sono esponenti del Neoclassicismo, del Romanticismo, della Scapigliatura, i Macchiaoli, alcuni divisionisti, per dare una visione omogenea di quel momento ottocentesco che vide un tripudio di stili e di produzione, con momenti artistici che spesso si stemperavano l’uno nell’altro, oppure vivevano contemporaneamente, arrivando alla famosa Belle Epoque. Certamente il nome di punta, scelto anche nel titolo della mostra, è quello di Boldini, esposto con il bellissimo “Ritratto della principessa Radziwill” (1910), accanto a Francesco Hayez, famoso per il suo “Bacio”, ma qui con il bellissimo “Maria Stuarda sale al patibolo” che richiede alcuni minuti di osservazione, comodamente seduti sulle sedie debitamente messe a disposizione. Alcuni minuti vanno dedicati anche a guardare in su, il soffitto di Palazzo Martinengo che merita una visita da solo. Tuttavia, sono molti i quadri in mostra che meritano un cenno, provenienti solo alcuni da collezioni pubbliche, altri da collezioni private o da gallerie. Per citarne alcuni, molto bello l’olio su tela di Giovanni Battista Quadrone intitolato “Il circo”, intenso per colori e per scena, che presenta alcuni spettatori intenti ad osservare un numero, l’immancabile clown, la funambola. Altrettanto intenso, dalla simpatica e inusuale scena di genere, “Le beffe al gatto” (1877) di Gaetano Chierici, raffigurante due bambini in un interno, un maschietto che scherna il gatto con la linguaccia (al tempo così vietata!), e la femminuccia dall’aria smorfiosa, presumibilmente addetta a dare da mangiare alla chioccia, o forse intenta a pensare alla pappa delle sue bambole. Sempre in un interno è la “Donna”, dal volto illuminato dal fuoco, “che cucina lo spiedo”: il costume all’italiana dal corpino di velluto stretto in vita, i capelli raccolti da una bella corona che fungeva da fermaglio, il fazzoletto al collo che sembra più un vezzo che il ferma sudore, è intenta ad organizzare il pasto con il tipico cibo bresciano, che richiede tempo e pazienza per ungere con il grasso di scolo le “prede” infilzate sulla bacchetta. Lo sguardo è dolce, l’aria serena, a rimandare idealmente ai volti delle dame dell’alta società che si apprestano al teatro. Non mancano violini e scene bucoliche, l’esotico delle vedute estere, tra cui “L’ippodromo di Costantinopoli” di Ippolito Caffi (1844-45 circa); “Newton osserva la rifrazione dei colori della luce nelle bolle di sapone”, dipinto da Pelagio Pelagi nel 1827, entrambi appartenenti ai Civici Musei di Arte e Storia di Brescia. Interessante è “Bice del Balzo ritrovata da Marco Visconti nel sotterraneo del castello di Rosate” (1850-1860 circa) di Carlo Arienti, oppure “Selene ed Endimione” (1850 circa) di Enrico Scuri, o Mosè Bianchi in “La vigilia prima della sagra”, che mostra un maestro di musica impegnato nelle prove con bambini, per chiudere con una romantica nota di “Pierrot con gattino” di Vittorio Corcos. Una mostra da vedere, perché merita una riflessione pittorica, ma anche per ammirare opere altrimenti quasi impossibili da trovare diversamente.
Alessia Biasiolo