Lo spunto è il titolo del famoso film che ha riportato l’Italia in auge nella cinematografia internazionale, ricalcando, pur se in modo rivisitato, la “Dolce vita” in versione anni Duemila. Ma la “grande illusione” per Fabrizio Boschi è il Matteo nazionale, il premier Renzi, analizzato nella sua carriera tra il 2004 e il 2014, cioè “Dalla Provincia di Firenze a Palazzo Chigi” che, per l’autore, sono stati addirittura “dieci anni di giochi di prestigio”. Il libro è assolutamente interessante e da leggere, soprattutto se non si è deboli di cuore, nel senso se si è disposti a sopportare di leggere di veri e propri giochi da “la mano è più veloce dell’occhio”. Travasato in politica, potremmo dire se la quotidianità è più veloce della memoria che noi italiani solitamente abbiamo corta. Il taglio del libro è simpatico, lo stesso Boschi afferma che assolutamente non ce l’ha con Renzi stesso, però lo ha studiato e analizzato per regalarcelo dopo la prefazione di Alessandro Sallusti. Secondo Sallusti, che lo ha conosciuto in dibattiti televisivi, il soggetto è simpatico, capace di rottamare prima di Grillo, di seguire la scuola di Berlusconi in tema di leadership, ma di lui non si fida perché, a differenza di Berlusconi, Renzi non ha mai lavorato un giorno in vita sua. Certo, ha fatto il politico, ma il lavoro è altro che parlare, viaggiare, incontrare. E su questo punto bisogna ragionarci su.
Quindi, dopo l’analisi personale di Salllusti, passiamo alla vita di Matteo Renzi secondo Boschi, da com’era a scuola, a quando partecipava ai quiz di Mediaset, per arrivare all’affinamento della volontà di riuscire. Ragazzo un po’ goffo, sembra che abbia voluto a tutti i costi riuscire, al punto che ha messo a frutto in politica il suo equilibrismo, parlando tanto al punto che convince tutti di tutto, se soprattutto perdono il filo da dove è iniziato il discorso. Ad esempio, sostenendo di non volere affatto assecondare Angela Merkel, ma dando l’impressione di avere fatto proprio questo. Un’impressione che per Boschi fa pensare alla “velocissima parabola di Renzi” come ad una “grande illusione”. Continua l’autore: “Dopo i primi passi del governo Renzi, tutti si sono accorti che questo giovanotto di Rignano sull’Arno, altro non è che un fuoco fatuo, strabordante di belle parole, ma piuttosto vuoto nei contenuti”.
Renzi chi è per Federico Boschi quindi? “Uno nuovo, troppo nuovo, nuovista o, invece, un vecchio politicante, un giovane virgulto di perfetta scuola democristiana con la faccia da giovane, ma i metodi da vecchio?”. Viene proposto spesso il paragone con Machiavelli, un confronto che personalmente trovo ironico, dato che del potere di governo alla Niccolò c’è solo la facciata. Come se si trattasse dello specchio dei tempi, una sorta di brutta copia tipica dei giovani di oggi che, se non sono più che preparati, prendono la prima pagina di internet che risponde alla ricerca, oppure si accontentano di una App, per farsi una storia e una ragione senza, tuttavia, averne spessore e costrutto. Boschi propone una lettura diversa del renzismo, per fare ragionare e, soprattutto, capire dove sta l’Italia oggi, con quella sequela di provvedimenti, di leggi e leggine che si rincorrono dando la sensazione di non cambiare nulla. Ad esempio, cos’è cambiato nella politica? Hanno tolto i vitalizi, li hanno abbassati, hanno davvero cambiato, oppure soltanto si sono limitati ad imbonirci di parole? La solidarietà di cui tanto si parla in questi giorni la dobbiamo avere noi comuni mortali tra noi, come al solito. Perché la Corte Costituzionale non ha ridotto i propri privilegi, nemmeno Renzi ha messo le tasse a quello che i politici prendono e andiamo avanti così, preoccupandoci di tagliare le pensioni se una persona, dopo avere lavorato quarant’anni, vive con un’altrettanta persona che ha lavorato quarant’anni. Perché fanno i conti in tasca rispetto a cosa deve spendere una persona e come, ma di loro sì, si dice tanto, ma non cambiano abitudini.
Renzi: chierichetto, figlio di una famiglia cristiana praticante, scout, negato per il calcio, cominciò ad arbitrare, per poi abbandonarlo. Perse le elezioni per diventare rappresentante d’istituto, ma venne ripescato come primo dei non eletti. Lo chiamavano “i’ Bomba” perché amava spararle grosse e, aggiunge Boschi, “Quel vizio di essere, o sembrare, sempre il primo in tutto non se l’è mai tolto di dosso. Era un tantinello prepotente e si divertiva a rubare la scena agli altri, di mettere in ombra i ragazzini che frequentava”. Uno dei suoi miti divenne Fonzarelli della serie televisiva “Happy Days”, più volte citato, ma anche imitato quando si presentò agghindato da Fonzie alla trasmissione di Maria De Filippi nel 2013. Al punto che sui social network venne soprannominato Arthur Renzarelli. Boschi fa sorridere definendo Renzi un folgorato sulla via del Valdarno dalla politica quando aveva soltanto dieci anni e quella divenne la sua strada. La sua tesi di laurea si intitolava “Firenze 1951-1956: la prima esperienza di Giorgio La Pira sindaco di Firenze” e si laureò, nel 1999, in Giurisprudenza. Intanto, la sua carriera politica proseguiva spostandosi nel 2001 dalla zona di centro un po’ più a sinistra quando venne nominato coordinatore fiorentino della Margherita. Segretario del Partito Popolare, riuscì a fare tenere il primo congresso nazionale della Margherita proprio a Firenze, dove il Partito Popolare subì la trasformazione. Si scagliò subito così contro la vecchia politica, iniziando quella rottamazione che caratterizzerà il suo diventare primo ministro. Divenne presidente della Provincia di Firenze a 29 anni, il più giovane d’Italia. Eppure poi considererà questo ente inutile. Durante il mandato scrisse il secondo libro, questa volta da solo, e lo fece diventare un manuale della rottamazione scrivendo nell’introduzione “Anche i dinosauri prima o poi si estinguono”. In quel periodo il suo protagonismo cominciò a infastidire, afferma l’autore. Invece di ricandidarsi alla Provincia, si candidò alle amministrative e divenne il sindaco più amato d’Italia, secondo i sondaggi del 2010. Anno che diede il via alla mitica “Leopolda”, dal nome della ex stazione ferroviaria, la prima di Firenze, dedicata al granduca Leopoldo, luogo di aggregazione non nuovo per Renzi e che diverrà famoso anche in seguito.
Renzi continua ad imparare: come parlare, come vestirsi, come rispondere, ancora come parlare, soprattutto come continuare a parlare. Diventa quello che Vittorio Feltri sintetizza così: “Quando uno scopre l’acqua calda spacciandola per un’idea geniale bisogna diffidarne”. Il tono del lavoro di Boschi è questo, preparato, e divertente in fondo, molto ben scritto, ma un’idea vi è imperante, e che mette in soggezione e in ansia: che tipo di persone siamo per avere dei rappresentanti che ci “imboniscono”, se la teoria proposta è vera? Ci facciamo piacere l’apparenza? Renzi che si opponeva al vecchio dei giochi di potere, ne è di fatto un artefice?
Questo è il merito del lavoro di Federico Boschi, praticamente coetaneo di Renzi, giornalista e scrittore. Un’analisi che, a parte i dati precisi, ci permette di ragionare, processo che in Italia è stato appiattito al punto che quando qualcuno tra i comuni mortali ha un vago sentore di domanda tra sé e sé su cosa non va, in realtà si chiede se è l’unico fuori luogo tra tutti.
Da leggere.
Federico Boschi: “La grande illusione. Matteo Renzi 2004-2014”, Amon, 2014.
Alessia Biasiolo