Un simbolo della Shoah a Montorio

Una struttura fatiscente, danneggiata dal trascorrere del tempo e dall’aggressione della vegetazione. Un luogo della Memoria andato dimenticato dalla storia e dal ricordo civile per oltre 70anni, rimanendo nascosto nelle campagne tra Montorio e San Michele Extra. È questa la storia del Campo di Concentramento di Montorio, individuato ufficialmente nel 2017 e oggi, dopo un primo intervento di riordino, restituito alla città per diventarne uno dei luoghi simbolo della Shoah e di tutte le sue vittime.

I lavori di valorizzazione dell’area hanno riguardato, in particolare, la pulizia dell’area da rifiuti e vegetazione, la posa di recinzioni per la limitazione del percorso di visita e la messa in sicurezza degli spazi attorno allo stabile non ancora recuperato. La struttura è stata liberata nella parte esterna dalla vegetazione, così da consentirne una migliore visione. Infine, cartelli informativi, sulla storia del luogo e sul suo ritrovamento, sono stati posizionati nell’area antistante lo stabile, a supporto della visita. L’intervento è ad opera delle associazioni Figli della Shoah e Montorioveronese.it, in collaborazione con la Regione Veneto, Comunità ebraica di Verona, Comune, Agsm-Aim e Amia.

Lo stabile è stato utilizzato nella seconda guerra mondiale come campo di concentramento e luogo di detenzione per prigionieri politici ed ebrei. Il Campo, oggi chiamato “DAT Colombara”, è stato individuato grazie ad una ricerca storica svolta dall’associazione Montorioveronese.it. Tutto è partito da un documento, più precisamente una lettera datata 21 giugno 1945, inviato dall’’Ufficio Accertamenti e Amministrazione Beni Ebraici al Prefetto, dove si chiedeva riscontro delle spese sostenute per il campo di concentramento per ebrei di Montorio. A seguito del ritrovamento iniziarono, da parte di alcuni studiosi, le ricerche per la sua individuazione. Ritrovamento avvenuto nel 2017, nelle campagne tra Montorio e San Michele Extra. Oggi, in una cerimonia che rientra nel programma celebrazioni del Giorno della Memoria, oltre a ricordare i drammatici accadimenti di cui il luogo è stato protagonista, sono stati anche presentati gli interventi effettuati per il suo riordino e pulizia.

Presenti, oltre al sindaco Federico Sboarina, i presidenti dell’associazione Figli della Shoah Daniela Dana Tedeschi e dell’associazione montorioveronese.it Roberto Rubele. Sono inoltre intervenuti, in rappresentanza del Prefetto il capo di Gabinetto Daniela Chemi, il presidente della Provincia Manuel Scalzotto, il consigliere nazionale dell’associazione figli della Shoah e della comunità ebraica di Verona Roberto Istrael, il vescovo monsignor Giuseppe Zenti, l’onorevole Vincenzo D’Arienzo e rappresentanti dell’Esercito. E, ancora, il presidente di Agsm-Aim Stefano Casali, di Amia Bruno Tacchella, del Consorzio Zai Matteo Gasparato, della Fiera Maurizio Danese, il comandante della Polizia locale Luigi Altamura.

“Questa struttura è un segno tangibile di quanto è successo – sottolinea il sindaco –. Abbiamo il dovere di non dimenticare e luoghi come questo, soprattutto per le nuove generazioni, sono una straordinaria testimonianza. Ognuno di noi, nel proprio ruolo, deve essere portatore di questi ricordi, non solo per darne memoria ma, soprattutto, per far comprendere agli uomini e alle donne di domani l’atrocità e il dolore che sono stati generati dall’odio per l’umanità. Solo così possiamo sperare di costruire un futuro migliore e una società più giusta, affinché certe tragedie non si ripetano mai più”.
“E’ per certi versi incredibile che a quasi 80anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale – dichiara la presidente dell’associazione Figli della Shoah Tedeschi – ci siano ancora luoghi della ‘Memoria’ dimenticati. Per troppo tempo questo campo di Concentramento è rimasto nascosto, invece di diventare un luogo simbolo, una testimonianza per le giovani generazioni. Grazie agli interventi di valorizzazione effettuati, ora l’area è visitabile e diventerà un luogo di conoscenza e storia”.

Per l’occasione è giunto a Verona anche un messaggio dalla senatrice Liliana Segre, di cui ha dato lettura la presidente Tedeschi. “Praticare la memoria – precisa Segre nel suo scritto – aiuta a mantenere in buona salute la democrazia. La memoria dei luoghi ha una valenza particolarissima, perché il paesaggio è di per se un elemento di richiamo. Ci sono spazi, angoli senza nome, che hanno un’anima e che costituiscono memento. Sapere da dove veniamo è fondamentale per comprendere dove possiamo e dove vogliamo andare”.

Roberto Bolis (anche per la fotografia)

La Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova chiamata al Tavolo permanente del mondo della danza del Ministero della Cultura

Il Sovrintendente del Teatro Carlo Felice Claudio Orazi è tra le personalità nominate al Tavolo permanente del mondo della danza istituito dal Ministro della Cultura Dario Franceschini, con il compito di approfondire le tematiche e le problematiche della danza in Italia e per formulare proposte in materia.

“La danza è un’eccellenza della cultura italiana riconosciuta in tutto il mondo. Insieme alle fondazioni lirico-sinfoniche, come altri settori dello spettacolo dal vivo, ha sofferto in questo periodo di limitazioni ed è giusto che il Governo e le istituzioni siano vicine e lavorino al massimo per trovare delle soluzioni”, ha dichiarato il Ministro Dario Franceschini.

“Nel ringraziare il Ministro Dario Franceschini per la fiducia accordatami, dichiara il Sovrintendente Claudio Orazi, desidero sottolineare che la Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova è garante della custodia e della perpetuazione della grande tradizione del balletto classico e contemporaneo e della danza in tutte le sue forme, aperta a nuove forme di espressione propiziate dall’incontro tra la danza e le altre performing arts, in primis la musica e il teatro, all’interno di contesti elettivi. In questa prospettiva la direzione artistica e l’organizzazione del Nervi Music Ballet Festival, dove la Fondazione interviene dal 2020, nel rispetto della tradizione di una manifestazione di portata storica, pone in particolare l’accento sull’eccellenza, con progetti originali firmati dalle personalità di maggior rilievo sulla scena internazionale e dai più meritevoli esponenti della generazione di ballerini e di coreografi emergente.

La collaborazione con nuove piattaforme internazionali impegnate a garantire ai giovani professionisti di tutto il mondo di poter accedere e beneficiare della collaborazione con i più grandi professionisti in attività sulla base del puro merito artistico è un ulteriore elemento distintivo del Festival, sin dal 2021. L’incontro tra la nuova generazione di danzatori e le “star” è una chiave dell’ambizioso progetto, che mira a legare passato, presente e futuro della danza assieme.

Allo stesso modo, la stagione di Opere e Balletto del Teatro Carlo Felice di Genova mantiene vigile l’attenzione allo scenario coreutico contemporaneo, che coniuga con una simile attenzione al mondo della musica del nostro tempo. Nell’ottobre 2021 il debutto, in dittico con l’opera Pagliacci, della nuova creazione di Virgilio Sieni su musica di Francesco Filidei, Sull’essere angeli, interpretata in scena dalla danzatrice Claudia Catarzi e dal flautista Mario Caroli, può essere guardato come il punto di partenza di un filone che porterà in futuro a nuovi sviluppi”.

Dell’organismo, presieduto da Roberto Giovanardi, fanno parte: il Direttore generale Spettacolo; il Presidente dell’Associazione Nazionale Fondazioni Lirico Sinfoniche (ANFOLS); il Presidente dell’Accademia Nazionale di danza; un rappresentante dell’Accademia di danza del Teatro alla Scala di Milano; un rappresentante dell’Accademia di danza dell’Opera di Roma; un rappresentante dell’Accademia di danza del Teatro San Carlo di Napoli; il Presidente dell’Associazione italiana danza attività di formazione (AIDAF); il Presidente dell’Associazione italiana danza attività di produzione (AIDAP); il Presidente dell’Associazione Danza Esercizio e Promozione (ADEP); il Presidente Associazione Italiana Teatri di Tradizione (ATIT); il Presidente di ItaliaFestival; il coordinatore del “Tavolo Danza” di C.Re.S.Co – Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea; il direttore del ballo del Balletto del Teatro alla Scala di Milano; il direttore del ballo del Balletto dell’Opera di Roma; il direttore del ballo del Balletto del Teatro San Carlo di Napoli; il direttore del ballo del Balletto del Teatro Massimo di Palermo; il Sovrintendente del Teatro Carlo Felice di Genova; un rappresentante di NID-New Italian Dance Platform; un rappresentante del Liceo Coreutico Statale di Torino; il Presidente della Federazione nazionale danza sportiva (FIDS); Amedeo Amodio; Mauro Bigonzetti; Roberto Bolle; Vittoria Cappelli; Liliana Cosi; Donatella Ferrante.

Nicoletta Tassan Solet

A Verona il primo premio Legambiente “Animali in città”

Per la terza volta il Comune di Verona sale sul gradino più alto del podio, aggiudicandosi il Premio nazionale ‘Animali in città’, di Legambiente. La città scaligera si è classificata al primo posto tra i capoluoghi di grandi dimensioni (tra i 200 mila e i 500 mila abitanti), ottenendo il punteggio più alto per quanto riguarda il quadro normativo, le risorse destinate, i servizi ed i controlli effettuati in favore degli animali. Tra i fattori di maggiore rilievo tenuti in considerazione spiccano le tante attività svolte in tutela degli animali e i regolamenti e le ordinanze emanate negli ultimi anni a garanzia del loro benessere.

Il dossier nazionale di Legambiente, infatti, ha analizzato i dati direttamente forniti dalle pubbliche amministrazioni relativi all’anno 2020 e, attraverso molteplici indicatori, ha valutato lo sforzo e le performance raggiunte nelle differenti realtà italiane. Per sottolineare il positivo delle attività emerse, e far si che questo sia da stimolo per fare meglio, Legambiente accompagna la presentazione del dossier nazionale con la premiazione delle esperienze italiane più positive realizzate da Comuni e Aziende sanitarie, assegnando il premio nazionale “Animali in Città 2021”.

“Fin dal primo giorno di attività di questa Amministrazione, l’impegno e l’attenzione in favore degli animali non si sono mai fermati – spiega Sboarina –. Dalla specifica delega assegnata al consigliere Bocchi, all’emanazione del nuovo Regolamento degli animali, fino alla chiusura della linea di sperimentazione sui Macaca Mulatta, i primi in Italia ad essere stati tolti ad una ricerca già in atto e finanziata. Quest’ultimo premio è una nuova ed importante attestazione di quest’ampia azione, portata avanti quotidianamente per migliorare la qualità della vita dei tanti amici animali che vivono nella nostra città”.

“Il Comune di Verona, per la terza volta, sale sul gradino più alto del podio per quanto riguarda il Premio nazionale di Legambiente – sottolinea Bocchi, consigliere delegato per il Benessere e la Tutela degli animali –. Un nuovo riconoscimento che porta in evidenza il grande lavoro fatto e quanto sia importante, a parità di risorse, avere un impegno costante nella tutela degli animali permette di ottimizzare degli interventi e renderli più efficaci. La direzione intrapresa è quella giusta e ritengo debba continuare, per favorire sempre di più la convivenza positiva tra uomini e animali”.

Roberto Bolis

La serva padrona. Trouble in Tahiti

Debuttano in dittico al Teatro Carlo Felice di Genova venerdì 28 gennaio 2022 alle ore 20.00 Genova (con repliche il 29, 30 gennaio e 4, 5, 6 febbraio 2022) La serva padrona, intermezzo musicale in due parti di Giovanni Battista Pergolesi, su libretto di Gennarantonio Federico e Trouble in Tahiti, “one act opera in seven scenes” su musica e libretto di Leonard Bernstein. Le due brevi opere saranno rappresentate per la prima volta in assoluto sul palcoscenico del nuovo Teatro Carlo Felice di Genova. L’allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice, in prima rappresentazione teatrale, vede Alessandro Cadario alla testa dell’Orchestra del Teatro Carlo Felice, per la regia di Luca Micheletti, con le scene di Leila Fteita, le luci di Luciano Novelli. Il cast de La serva padrona si compone dello stesso Luca Micheletti (Uberto), Elisa Balbo (Serpina) e Giorgio Bongiovanni (Vespone), quello di Trouble in Tahiti di Luca Micheletti (Sam), Elisa Balbo (Dinah) e del Trio jazz formato da Melania Maggiore, Manuel Pierattelli, Andrea Porta.

«La programmazione del Teatro Carlo Felice prosegue con due brevi opere che, per la prima volta, arrivano sul palcoscenico del Teatro – commenta l’assessore alle Politiche culturali Barbara Grosso – l’opera buffa settecentesca La serva padrona di Giovanni Battista Pergolesi, andrà in scena in abbinamento con Trouble in Tahiti, opera di Leonard Bernstein che risale agli anni ’50 del secolo scorso: un accostamento tra generi differenti, che risulta quanto mai azzeccato e gradito a un pubblico vasto».

Il Sovrintendente Claudio Orazi spiega: «La serva padrona, gioiello di Giovanni Battista Pergolesi, è l’opera che segna la nascita del genere dell’opera buffa nel Settecento. In occasione della sua prima rappresentazione al nuovo Teatro Carlo Felice è significativamente stata abbinata, per la stessa mano registica di Luca Micheletti, acclamato sole poche settimane fa su questo stesso palco nella sua Vedova allegra, a Trouble in Tahiti, opera “dolceamara” di Leonard Bernstein, straordinario interprete e compositore che ha riportato il genere operistico a nuove vette di popolarità sul volgere degli anni ’50 del Novecento. I due titoli narrano di due storie d’amore dagli opposti destini, un happy ending, segnato dall’ascesa sociale della protagonista, nel primo caso e la caduta del velo di Maya sull’ipocrisia di un matrimonio borghese, nel secondo; ed è a maggior ragione per questo trovano una felice collocazione l’uno accanto all’altro. Il loro accostamento risulta vincente, in particolare in virtù di alcuni ingredienti comuni, iscritti nel patrimonio genetico dell’opera lirica d’ogni tempo: drammaturgie coinvolgenti, efficacissime, in grado di sollevare temi di grande attualità e interesse sociale, musica accattivante, l’alleanza tra il linguaggio della musica colta e una pronunciata vis melodica. I due capolavori dimostrano così quanto il passato, il presente e il futuro dell’opera siano tra loro vicini e contemporanei, alla portata di un pubblico quanto più eterogeneo possibile».

«Questi due atti unici, racconta Alessandro Cadario, pur esprimendosi con linguaggi  molto differenti, affondano le radici nello stesso terreno e si nutrono degli stessi archetipi musicali. La chiave di lettura è quindi la sensibilità alla parola cantata/recitata e alle sfumature psicologiche dei personaggi che la musica evoca e restituisce in maniera viva e toccante. Un teatro musicale che non è né moderno né antico e riesce a comunicare al di fuori delle categorie temporali. Per questo motivo ritengo importante, come cifra interpretativa, la massima attenzione alla proprietà stilistica al fine di lasciar vivere ogni linguaggio della sua propria natura espressiva e mi trovo particolarmente a mio agio nel lavorare in questa direzione perché le due partiture mi permettono di esprimere al meglio le diverse sfaccettature della mia personalità musicale».

Luca Micheletti ed Elisa Balbo

«Si tratta di un bel gioco di specchi, racconta Luca Micheletti, sia per la natura “giocosa” delle opere sia perché in questo spettacolo che affianca due coppie lontane nel tempo ma vicine nello spirito abbiamo per protagonista una terza coppia che si presta a rappresentarle entrambe. Essere in scena con mia moglie, Elisa Balbo – e aver ideato il progetto insieme a lei in tempo di lockdown – è sicuramente un valore aggiunto di questa operazione che finalmente incontra il pubblico dal vivo. L’idea alla base della mia regia è quella di assistere ad un viaggio nel tempo. E la macchina che lo consente è il teatro stesso. Dopo le schermaglie con apparente lieto fine nella Serva padrona, i due protagonisti si ritrovano nell’America di due secoli dopo, nel pieno di un’ennesima crisi di coppia. Una vicenda che Bernstein racconta da par suo, ispirandosi alla sua storia familiare. In Trouble in Tahiti, anche se Bernstein allude al genere dell’intermezzo, ne fa una citazione ironica e di fatto se ne distacca, soprattutto per il doppio fondo amaro che ci mette. Niente di troppo serio, diciamo uno spolvero di malinconia. Due capolavori che messi al fianco l’uno dell’altro brillano di una luce inedita: tante le somiglianze, ma anche le preziose differenze, che in questo allestimento vengono valorizzate dalla continua metamorfosi degli spazi, ma anche attraverso l’affiancamento di due diverse modalità di fruire del fatto musicale».

Ispirato alla commedia La serva padrona di Iacopo Angelo Nelli, del 1731, La serva padrona di Giovanni Battista Pergolesi fu rappresentato per la prima volta al teatro S. Bartolomeo di Napoli nel 1733 tra gli atti dell’opera Il prigioniero superbo. Universalmente riconosciuto come il capolavoro pergolesiano, l’intermezzo fu destinato a rivoluzionare l’intera tradizione del teatro in musica diventando ben presto un simbolo stesso dell’opera comica italiana, il cui potere deflagrò sull’intera tradizione lirica europea con la celebre Querelles des bouffons. La sua composizione risale al periodo dell’ingaggio di Pergolesi quale maestro di cappella (1732-34) del principe Ferdinando Colonna di Stigliano, a seguito della composizione della commedia musicale in dialetto napoletano, Lo frate ‘nnammorato (1732), che non raggiunse mai lo stesso livello di popolarità. Ne La serva padrona, la delicata e briosa struttura del disegno melodico, con motivi brevi ed immediati, la sorprendente varietà ritmica in mirabile equilibrio tra musica e parola, di apparente semplicità, sostiene il gioco sentimentale dei personaggi inseriti in una cornice quanto lieve e sottilmente delineata, e rappresentati dall’autore con una caratterizzazione psicologica di ineguagliata varietà di espressione, chiaramente ispirata alle maschere della Commedia dell’arte.

Stanco dei capricci e delle prepotenze di Serpina,  Uberto decide di ripristinare i giusti ruoli all’interno della casa fingendo di volersi sposare. La ragazza, ingelosita, annuncia a sua volta, con la complicità del servo Vespone, il suo matrimonio con il fantomatico capitan Tempesta, che minaccia il padrone: se non fornirà la dote dovuta, gli toccherà di sposarla lui stesso. Spinto un po’ dalla paura e un po’ dall’amore per Serpina, Uberto si lascia estorcere la promessa di matrimonio. La burla è poi svelata, ma ormai è tardi: e Serpina da serva diventa padrona.

Leonard Bernstein era in luna di miele nel 1951 quando iniziò a comporre Trouble in Tahiti, candido ritratto del travagliato matrimonio di una giovane coppia di periferia. Scritto tra i suoi più grandi successi di Broadway, On the Town del 1944, e Candide e West Side Story rispettivamente del 1956 e 1957, dal suo debutto nel 1952 al Festival of the Creative Arts della Brandeis University Trouble in Tahiti ha raggiunto le migliaia di rappresentazioni in tutto il mondo, tra cui 238 soltanto in occasione del centenario di Bernstein. La vicenda drammaturgica al centro dell’opera si ispira all’infelice vita coniugale dei genitori del compositore, ed è presaga del fallimento del matrimonio del compositore stesso, diviso tra le proprie inclinazioni omossessuali, i sentimenti e i doveri nei confronti della moglie e dei tre figli nati, il controllo sociale imperanti in quegli anni. Sul piano musicale l’opera attinge alla tradizione delle canzoni popolari americane del dopoguerra per offrire una critica senza compromessi del materialismo imperante. Dietro la discordia coniugale della coppia c’è un profondo desiderio di amore e intimità, assieme a un vuoto spirituale, in contrasto l’esibita patina di felicità. Il cuore del dramma  è enfatizzato da improvvisi cambiamenti stilistici nella musica, sottolineati in particolare dall’intervento del trio vocale jazz che, come una sorta di coro greco contemporaneo, contrappunta con i suoi commenti dissacranti l’idillio borghese in corso. L’opera, della durata di 45 minuti, porta la dedica all’amico Marc Blitzstein, che aveva guidato Bernstein alla scoperta del teatro musicale.

L’opera inizia con un trio vocale, una sorta di coro greco contemporaneo che fornisce commenti satirici al dramma, qui impegnato a decantare l’idilliaca vita borghese nei sobborghi degli anni ’50. Le loro strette armonie, i ritmi jazz e la rappresentazione idealizzata della vita americana evocano gli spot radiofonici dell’epoca. Il plot si concentra quindi sul conflitto domestico di Sam e Dinah, una giovane coppia che, in contrasto con l’immagine perfetta della vita suburbana dipinta dal Trio, è disperatamente infelice. La loro quotidianità è impietosamente descritta: Sam è un uomo d’affari di successo e Dinah è una casalinga frustrata. Discutono del figlio Junior, che non viene mai visto né sentito. Mentre la giornata continua, il competitivo e sicuro Sam mostra la sua abilità in ufficio e in palestra. Dinah visita il suo psichiatra e racconta un sogno di un bellissimo giardino irraggiungibile, poi trascorre il pomeriggio immersa in un film di evasione intitolato Trouble in Tahiti. Alla fine della giornata, profondamente consapevoli della loro infelicità, Sam e Dinah cercano di avere una discussione franca sulla loro relazione. Incapace di comunicare senza incolpare e discutere, Sam suggerisce di andare a vedere un nuovo film: Trouble in Tahiti

Teatro Carlo Felice di Genova

Venerdì 28 gennaio 2022 ore 20.00 Abb. Opera A

Sabato 29 gennaio 2022 ore 15.00 Abb. Opera F

Domenica 30 gennaio 2022 ore 15.00 Abb. Opera C

Venerdì 4 febbraio2022 ore 20.00 Abb. Opera B

Sabato 5 febbraio 2022 ore 20.00 Abb. Opera L

Domenica 6 Febbraio2022 ore 15.00 Abb. Opera R

La serva padrona

La serva padrona di Giovanni Battista Pergolesi. Intermezzo buffo in due parti su libretto di Gennarantonio Federico

Trouble in Tahiti di Leonard Bernstein. One-Act Opera in seven scenes

Nuovo allestimento in dittico della Fondazione Teatro Carlo Felice

Direttore musicale di palcoscenico Cristiano Del Monte, direttore allestimenti scenici Luciano Novelli, direttore di scena Alessandro Pastorino, vice direttore di scena Giorgio Agostini, maestri di sala Sirio Restani, Antonella Poli, altro maestro del coro Patrizia Priarone, maestri di palcoscenico Andrea Gastaldo, Anna Maria Pascarella, responsabile movimentazione consolle Andrea Musenich, caporeparto macchinisti Gianni Cois, caporeparto attrezzisti Tiziano Baradel, caporeparto audiovideo Valter Ivaldi, assistenti alla regia Francesco Martucci, Maria Grazia Stante, caporeparto sartoria, calzoleria, trucco e parrucche Elena Pirino, scene FM Scenografie e Teatro Carlo Felice, attrezzeria Rancati e Teatro Carlo Felice, costumi Compagnia Italiana della Moda e del Costume e Repertorio del Teatro Carlo Felice, parrucche Mario Audello (Torino), maschere Sartori, soprattitoli Prescott Studio.

Nicoletta Tassan Solet (anche per la fotografia)

Le parole e il vento, inseguendo aquiloni

Sabato 22 gennaio, alle ore 19 all’Opificio Golinelli, va in scena un evento fuori dall’ordinario: LE PAROLE E IL VENTO, INSEGUENDO AQUILONI, una performance di arte, scienza, musica e poesia che vedrà protagonisti un collettivo di artisti visivi, poeti, scienziati, narratori, attori e musicisti. Per l’occasione, Michelangelo Penso realizzerà un’istallazione site specific presso il Centro Arti e Scienze Golinelli (Via Paolo Nanni Costa, 14, Bologna).

Sceneggiatura e regia sono di Antonio Danieli, Carlo Fiorini e Andrea Zanotti. Parteciperanno: i poeti Franco Arminio e Gian Ruggero Manzoni, l’artista Alessandro Bergonzoni; gli scienziati Matteo Cerri e Mirko Degli Esposti; l’ingegnere “umanista” Antonio Danieli; il filosofo Adriano Fabris; i musicisti Federico Poggipollini e Walter Zanetti; il giurista Andrea Zanotti e il Coro della SOSAT.

La performance si svolgerà nel Centro Arti e Scienze Golinelli e potrà essere seguita a distanza in tutta Italia poiché sarà trasmessa anche in diretta streaming sul sito di Fondazione Golinelli.

Nel nuovo mondo che il dominio tecnico ha inaugurato rischiano di rimanere neglette la parola e le arti: bagaglio, viceversa, di vitale importanza da portare con noi nel futuro. È dunque necessario riproporre l’antica alleanza tra arte e scienza: patto che ha consentito il progresso dell’uomo mantenendone la misura e la dignità. È l’immaginazione che guarda al cielo a muovere pensieri e intuizioni, sulla scia degli aquiloni che i bimbi lanciano al vento.

Non sarà dunque una semplice esibizione quella a cui si assisterà all’Opificio Golinelli, ma un esperimento di trasmissione sinergica di parole, suoni e immagini per comunicare sentimenti, oltre che concetti, di fiducia nel presente che stiamo vivendo e nel futuro, seppur imprevedibile, che ci attende.

La performance, a ingresso libero su prenotazione, si articolerà in cinque parti: un prologo, tre atti centrali e un epilogo. Ciascuna parte vedrà un intrecciarsi e ripetersi ritmico di interventi, contributi scientifici, letture di poesie, esecuzioni di brani musicali e corali. Il prologo riguarderà il “Principio” e avrà al centro il concetto di parola come principio di ordine e dominio, dono di Dio all’uomo al momento della creazione. A seguire il primo atto dedicato al “Creato” in cui Michelangelo Penso illustrerà la genesi e il senso della sua opera site specific. Il secondo atto è dedicato al “Presente” e il terzo sarà incentrato sul “Futuro”. L’ epilogo cercherà di ritrovare, nel segno della bellezza, un cielo dove volare, un orizzonte dove esprimere la propria identità, come si intravvede nelle parole di Andrea Zanotti. Esso si concluderà con le note di The sound of silence sprigionate dalle chitarre di Poggipollini e Zanetti e con il canto del Coro della SOSAT Terra di Libertà.

Le luci andranno poi a illuminare l’opera site specific di Penso Physarum polycephalum, 2022 (omaggio a Gaston De Pawlowsky), che sarà presentata al pubblico e che resterà permanentemente esposta al Centro Arti e Scienze Golinelli.

Gli aquiloni sono oggetti pieni di grazia ma ferocemente determinati: puntati al cielo, pronti a captare ogni refolo o turbolenza, determinati a trovare nell’immensità una via. Le parole sono come aquiloni: e gli artisti, non meno degli scienziati, ne tengono in mano il filo, per farle volare, superare lo spazio e il tempo alla ricerca di mondi altri.

Come spiega il Presidente di Fondazione Golinelli, Andrea Zanotti: «La parola ci ha aiutato a nominare le cose, a uscire dal caos, a innalzarci. Oggi abbiamo più che mai bisogno di immaginare e costruire un futuro possibile. Occorre dare una speranza alle giovani generazioni che si nutra di pensiero e bellezza, che ne alimenti la cifra di creatività. Non basta interrogarsi sulla ricostruzione economica: dobbiamo fornire ai ragazzi un alimento spirituale più forte ed esigente. Bisogna insegnare loro la voglia di tornare a innalzarci seguendo il filo sottile delle parole e delle note, lasciandoci trasportare dove l’immaginazione, distillato prezioso dei meandri della nostra mente, può più del dominio tecnico».

«Diviene poi urgente, in un momento nel quale l’assedio del Covid torna a farsi stringente – prosegue Zanotti – dare un segnale di speranza non solo ai giovani, ma a tutti. Per questo – rispettando naturalmente ogni norma di sicurezza e di garanzia prescritta – abbiamo deciso di confermare questa iniziativa già programmata nel contesto di Arte Fiera – Art City: giacché, citando Kafka, “qualcuno deve vegliare, qualcuno deve essere presente”».

Nell’auditorium dell’Opificio, dove nell’arco dell’intera giornata di sabato 22 gennaio saranno organizzati laboratori di arte e scienza per un pubblico tra i 7 e i 13 anni, si potrà ammirare un’altra installazione di Michelangelo Penso, Cronòtopo, una macchina di rappresentazione scientifica sensoriale in grado di coinvolgere i visitatori attraverso una combinazione di luci e suoni.

Per partecipare alla performance è necessario prenotare su: www.fondazionegolinelli.it

Ingresso libero fino ad esaurimento posti nel rispetto delle vigenti norme anti Covid.
Delos (anche per la fotografia)

Un’ombra sulla verità

L’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici è lieta di ospitare la proiezione del film Un’ombra sulla verità di Philippe Le Guay. L’evento, in collaborazione con France Odéon,  avrà luogo giovedì 20 gennaio 2022 alle 18.30 nella sala Michel Piccoli della Villa (Viale della Trinità dei Monti, 1 Roma) alla presenza del regista e della produttrice Anne-Dominique Toussaint.

Il film, presentato a ottobre in anteprima alla 13°edizione di France Odeon, Festival del cinema francese di Firenze, è stato il più votato dal pubblico ed uscirà al cinema in Italia nel mese di febbraio, distribuito da Bim.

L’opera, interpretata da Bérénice Bejo, François Cluzet et Jeremie Renier, è ambientata a Parigi, dove una coppia – Simon ed Hélène – decide di vendere una cantina nello stabile dove abita, ma l’acquirente si rivela essere un uomo dal passato torbido che decide di installarsi per viverci senza informare nessuno; gradualmente la sua presenza sconvolgerà la vita della coppia.

Nell’ambito della serata sarà consegnato a Philippe Le Guay il premio Foglia d’oro del pubblico di France Odeon. Il premio, consegnato gni anno da France Odeon insieme all’antica famiglia artigiana fiorentina che dal 1500 produce oro per i maestri della doratura, consiste in una sottile sfoglia d’oro incastonata in due lastre di cristallo.

Per assistere all’evento, ad ingresso gratuito con presentazione di super green pass e mascherina FFP2, è obbligatorio prenotarsi al link specifico presente su www.eventbrite.it.

I prenotati che non possano più partecipare all’evento sono invitati a disdire la prenotazione per tempo per consentire la liberazione dei posti occupati e permettere ad altre persone di assistervi.

Elisabetta Castiglioni (anche per la fotografia di Caroline Bottaro)

‘Archeologia in biblioteca’: la città di Spina e la geografia storica del delta padano in età classica raccontate da Alberto Andreoli

Proporrà una panoramica aggiornata sugli studi relativi alla città di Spina e al delta padano in età classica la conferenza di Alberto Andreoli in programma martedì 18 gennaio 2022 alle 17 nella sala Agnelli della biblioteca comunale Ariostea (via Scienze 17 Ferrara) e in diretta video sul canale youtube Archibiblio web (per accedere clicca qui).

L’incontro, organizzato in collaborazione con la Società Dante Alighieri Comitato di Ferrara, è il primo dei tre appuntamenti a cadenza mensile del ciclo “Archeologia in Biblioteca” (8a edizione).

Quest’anno ricorre il centenario della scoperta del sepolcreto ‘spinetico’ di Valle Trebba, avvenuta casualmente durante operazioni di bonifica agraria nella primavera del 1922. All’epoca, dopo una preliminare, rapida e accurata ricognizione, era seguita una serie ultradecennale di scavi, con l’esplorazione di oltre 1200 tombe e il rinvenimento di una quantità eccezionale di materiali antichi. Ai fini della conservazione e valorizzazione di questi ultimi nel 1935 veniva istituito il Regio Museo di Spina (ora Museo Archeologico Nazionale) a Ferrara. La località deltizia dei rinvenimenti mise in crisi l’impianto metodologico e critico del dibattito allora in corso sul problema topografico dell’ubicazione della città di Spina, oggetto di una riflessione plurisecolare. A partire dal 1953 si svolse una seconda fase di fortunate indagini archeologiche ‘spinetiche’, che vide il recupero di oltre 2300 tombe in Valle Pega (e un altro paio di centinaia in Valle Trebba), l’esplorazione dell’area di S. Maria in Padovetere e dell’abitato principale di Spina. Più di recente, l’organizzazione di allestimenti espositivi stabili e temporanei, convegni e pubblicazioni tematiche, e la ripresa di campagne esplorative (con scavi e prospezioni geofisiche), attestano il permanere di un rilevante interesse scientifico e culturale per l’antico centro emporico etrusco-padano. Il ciclo di 3 incontri a cadenza mensile (18 gennaio – 1 febbraio – 8 marzo 2022) si propone di fornire una panoramica aggiornata dello stato degli studi e delle conoscenze storico-geografiche sulla città di Spina e il territorio deltizio, dalle origini all’epoca romana.

Alessandro Zangara

Il Cortile di Castelvecchio dedicato a Magagnato e Scarpa

Il Cortile della piazza d’Armi del Museo di Castelvecchio è intitolato alla memoria di Licisco Magagnato e Carlo Scarpa, ideatori ed esecutori, tra il 1958 e il 1964, dell’importante restauro e riallestimento del museo scaligero. È stata questa l’ultima tappa dell’ampio programma di eventi realizzato quest’anno dal Comune in occasione del centenario della nascita di Magagnato. Storico dell’arte e direttore dei Musei e delle Gallerie veronesi dal 1955 al 1986, Magagnato è oggi una fra le figure intellettuali più rappresentative dello sviluppo del sistema museale cittadino. L’apposizione della targa commemorativa è stata effettuata alla presenza dell’assessore alla Cultura Francesca Briani. Sono intervenuti anche Tobia Scarpa, figlio di Carlo Scarpa e Alba Di Lieto, responsabile Archivio Scarpa Musei Civici.

Promossi dal direttore Licisco Magagnato e realizzati dall’architetto Carlo Scarpa tra il 1958 e il 1964, costituiscono un punto di riferimento della felice stagione museografica italiana del secondo dopoguerra. Il Museo di Castelvecchio, infatti, offre una testimonianza esemplare del dialogo tra la committenza pubblica e illuminata di un direttore di museo e di un maestro dell’architettura, la cui memoria si salda tangibilmente nella doppia intitolazione del giardino di Castelvecchio.

“Continuare a dare memoria è fondamentale – dichiara l’assessore Briani –, in particolare quando si mantiene vivo il ricordo di quelle figure che hanno contribuito a rendere Verona lo straordinario patrimonio culturale che oggi conosciamo e ammiriamo. A Licisco Magagnato e a Carlo Scarpa viene dedicato il Cortile della piazza d’Armi in quanto luogo simbolo della lungimirante progettualità e della sintonia ed amicizia che si creò tra il direttore e l’architetto”.

Licisco Magagnato è direttore del Museo Civico di Bassano del Grappa tra il 1951 e il 1955. Dal 1955 al 1986, è alla guida dei civici Musei e Gallerie d’Arte di Verona.
Tra il 1958 e il 1964 è protagonista, con l’architetto Carlo Scarpa, del restauro e del riallestimento del Museo di Castelvecchio, secondo un progetto d’avanguardia tra i più rappresentativi della museografia del Novecento. Protagonista della resistenza vicentina e poi membro del Partito d’Azione e quindi del Partito Repubblicano, si dimostra sempre profondamente coinvolto nella vita politica, sociale e culturale del Paese e contribuisce alla creazione del Ministero dei Beni Culturali, istituito nel 1974, e nel 1977 è nominato vicepresidente del Comitato di settore per i Beni artistici e storici del ministero. Libero docente di Storia dell’Arte dal 1967, di-venta professore incaricato stabilizzato di Storia dell’Arte presso la facoltà di Economia e Commercio (Corso di Lingue) dell’Università di Padova (sede distaccata di Verona) a partire dall’anno accademico 1970-1971.

Tra il 1970 e il 1973 apre il Museo degli Affreschi, intitolato a G.B. Cavalcaselle, e la Casa di Giulietta. Nel 1982 riapre al pubblico il Museo Lapidario Maffeiano, su progetto dell’architetto Arrigo Rudi; avvia il restauro dell’isolato e del Palazzo Emilei Forti, su progetto dell’architetto Libero Cecchini. Come studioso, è attento a un ampio ventaglio di argomenti di storia dell’arte, con particolare riferimento all’arte veneta, a partire dagli studi sul Teatro Olimpico di Vicenza e su Jacopo Bassano, a temi palladiani e sulla storia dell’arte, la cultura, la trattatistica dal Medioevo al Settecento.

Roberto Bolis (anche per la fotografia)

Libero Spazio Libero. La nuova mostra della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna

Giulia Niccolai, Martha Rosler, Lucy Orta, Claudia Losi e Claire Fontaine sono le artiste protagoniste di LIBERO SPAZIO LIBERO, la nuova mostra promossa e organizzata dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. L’esposizione, curata da Fabiola Naldi, sarà aperta al pubblico gratuitamente fino a venerdì 15 aprile 2022 a Palazzo Paltroni, via delle Donzelle, 2 a Bologna. Le opere in mostra, in parte inedite in Italia o riportate a una nuova vita espositiva, guideranno i visitatori in un percorso alla scoperta del rapporto tra corpi, libertà e spazio. Da Martha Rosler e Giulia Niccolai, due autrici così distanti ma unite dalla volontà di far coincidere poesia, performance, arte e suono, si giunge a Lucy Orta, Claudia Losi e Claire Fontaine che mostrano come l’arte possa essere resa come uno spazio di svuotamento degli stereotipi. Le cinque artiste, di differenti generazioni e provenienze, si presentano come libere interpreti di uno spazio che inizialmente è puramente espositivo, ma poi si lascia manipolare per estendersi alle necessità di ciascuna. Un differente uso della parola, della scrittura, dell’oggetto e del corpo porta alla riconquista di uno spazio sociale, soggettivo, critico e di denuncia.

La scomparsa di Giulia Niccolai nel giugno 2021 ha impedito di portare a termine la conversazione iniziata con l’artista su Libero Spazio Libero, ma si è deciso di riportare all’attenzione del pubblico alcune preziose opere visive presenti negli archivi del Museion di Bolzano e una collaborazione con Maurizio Osti del 1972.

Di Martha Rosler in mostra i due video Vital Statistics of a Citizen, Simply Obtained (1977) e Secrets From the Street: No Disclosure (1980), con la volontà di parafrasare l’intero progetto anche attraverso le parole dell’artista, tradotte per la prima volta per il pubblico italiano. Claudia Losi presenta un’opera fotografica mai esposta, Dettaglio foto documentarie delle tappe del viaggio della balena Goliath, 1959-1977 (2021) e un intervento site specificnelle sale espositive della Fondazione del Monte.

Dal dialogo fra Lucy Orta e la curatrice è emersa la necessità di mostrare tre opere degli anni Novanta della serie Refuge Wear, corredate da un prezioso disegno a supporto dell’installazione.

Claire Fontaine dialogherà attivamente con lo spazio espositivo insinuandosi sulle pareti tramite una serie di interventi linguistici pensati appositamente e tre opere “rigenerate” dalla collaborazione fra il collettivo e la curatrice.

Fondazione del Monte accoglie nei propri spazi espositivi Libero Spazio Libero, ulteriore tappa di un percorso tutto declinato al femminile, due anni dopo la mostra collettiva 3 Body Configuration. Da alcuni anni, infatti, abbiamo scelto di dedicare una particolare attenzione alle donne, ponendo il tema di genere al centro di una riflessione estetica e culturale fortemente intrecciata alla critica del presente – dichiara Giusella Finocchiaro presidente della Fondazione. Il messaggio che affidiamo alla mostra è proprio questo: l’arte può concretamente dischiudere gli spazi e allargare la visione su un mondo mai come in questi ultimi tempi tanto ripiegato su se stesso e costretto entro i limiti fisici delle nostre case”.

Spazio, contesto, identità sono ambiti che nel corso della ricerca estetica degli ultimi decenni hanno rappresentato vere e proprie urgenze critico scientifiche. Certamente il periodo tanto drammatico quanto contraddittorio che stiamo tutti vivendo ha ulteriormente messo in campo questioni già presenti in molti movimenti artistici attivi dalla fine degli anni Sessanta ma che ora appaiono indispensabili – spiega la curatrice Fabiola Naldi. Lo spazio, nel caso della mostra, è uno spazio chiuso nei confini di un luogo espositivo istituzionale che può al contempo amplificare la frustrazione del limite ma offrire l’occasione di costruire l’ipotesi di un dialogo con le storie delle artiste invitate. È tuttavia anche uno spazio libero, che riporta agli spazi pubblicitari stradali di grandi dimensioni in cui si annuncia la possibilità di inserimenti pubblicitari a pagamento, ma allo stesso tempo può rappresentare l’occasione illegale e vandalica di subentrare all’annuncio con un significato alternativo» prosegue Naldi. «Il museo certamente contrasta con il concetto di spazio collettivo condiviso a confronto con l’idea di contesto e città, ma al contempo le artiste e i gruppi invitati, come anche alcune opere storiche esposte, rappresentano la costruzione di un’esperienza e di una fruizione alternativa in grado di rinnovare lo stesso concetto di libertà e di spazio. Memoria, identità, relazione con tempo e spazio del proprio vissuto trascendono l’idea di una dimora stanziale a favore di un’idea e di una reale capacità di oltrepassare lo schema sociale convenzionale”.

La mostra è accompagnata da un volume edito da SETE edizioni, con una raccolta di testi per lo più inediti e interviste alle artiste realizzate per l’occasione.

Delos

Lattanzio Gambara, pittore manierista, in mostra a Brescia

Resterà aperta a Brescia, presso il Museo di Santa Giulia, fino al prossimo 20 febbraio, la mostra “Il senso del nuovo” che la città dedica al concittadino Lattanzio Gambara, con un omaggio doveroso e una sottolineatura che rende la piccola mostra un gioiello davvero da non perdere.

Lattanzio Gambara, Autoritratto, 1561-1562, strappo d’affresco

La cornice del Museo della città è delle migliori e la mostra si può visitare sia con la visita del vasto museo compresa, sia singolarmente. Il pretesto dell’esposizione è l’acquisto da parte di Fondazione Brescia Musei di un dipinto che è stato infine attribuito al Gambara per continuità stilistica con altre sue opere; andato all’asta nel 2020 a Vienna come opera di scuola cremonese, è tornato in città. Pare che Lattanzio Gambara l’abbia dipinto durante il periodo di realizzazione di opere nel cantiere del Duomo di Parma tra il 1570 e il 1574, probabilmente destinato all’altare della chiesa di San Bartolomeo, fatto che spiegherebbe come mai nel Compianto sul Cristo morto appaia proprio quel santo. Il quadro forse è stato venduto in seguito alle soppressioni napoleoniche e si era disperso il nome del suo autore fino ad ora quando, posto in mostra accanto ad altre opere dello stesso, si può ammirare non soltanto la talentuosa capacità del nostro, definito da Vasari “il miglior pittore che sia a Brescia”, quanto anche la firma dell’opera. Il quadro è particolarmente interessante per un gesto d’amore che la Madonna compie verso il figlio che vede calare dalla croce sulla quale era spirato dopo la sua condanna a morte. La donna intreccia le dita della mano a quelle dell’uomo, come per essergli vicina ancora in un gesto materno difficile da trovare su opere simili. La sua compostezza rivela un dolore profondo per il quale non c’erano parole né lacrime, soltanto quell’ultima tenerezza rivelatrice di sentimenti che Gambara pone in pennellate dai toni caldi, vividi, a sottolineare così il pallore del corpo esanime.

Lattanzio Gambara, Compianto su Cristo morto con i Santi Bartolomeo e Paolo (?), 1570-1574 ca, particolare

Prima di giungere al Compianto, il percorso espositivo pone il visitatore subito davanti a Lattanzio, nel suo celebre autoritratto in uno strappo d’affresco datato tra il 1561 e il 1562, quando l’artista aveva poco più di trent’anni. Nato in città si pensa nel 1530, si forma alla bottega cremonese di Giulio Campi. Rientrato nella sua città, intraprenderà un rapporto di lavoro con Girolamo Romanino che diverrà suo suocero quando, nel 1556, Lattanzio ne sposerà la figlia Margherita. Dapprima Gambara era apprendista, poi frescante e collaboratore di Romanino, traendone ampie committenze, sia grazie al rapporto con il maestro, sia per la sua comprovata bravura. Sarà così che Lattanzio Gambara realizzerà gli affreschi sulle case della Contrada del Gambero, conclusi nel 1557, di cui sono esposti in mostra degli strappi molto interessanti. L’opera, che era voluta dal Comune di Brescia per rinnovare l’aspetto cittadino, si distingue per le figure di grande formato, ritraenti soggetti mitologici, con chiare influenze di Romanino.

Esposte sono poi le opere “Sepoltura di Cristo” e “Trasporto di Cristo nel sepolcro”, messe in relazione con il quadro di Campi “Deposizione di Cristo nel sepolcro” dipinta tra il 1580 e il 1590. La “Deposizione” di Gambara del 1568 è stata infatti una delle sue opere più copiate e riprodotte. Si notano in questo lasso di tempo i cambiamenti stilistici compiuti da Lattanzio Gambara che fa sue le istanze del Pordenone e di Correggio, oltre che le note di Salviati. Gambara sarà poi a fianco di Paolo Veronese nell’abazia di Polirone e i toni diventano quelli della “Conversione di Saulo”, tela esposta a Brescia. I prestiti sono della Galleria degli Uffizi e dei Musei Reali di Torino, oltre che da collezioni private e dalla Pinacoteca Tosio Martinengo cittadina.

Alessia Biasiolo