Resterà aperta a Brescia, presso il Museo di Santa Giulia, fino al prossimo 20 febbraio, la mostra “Il senso del nuovo” che la città dedica al concittadino Lattanzio Gambara, con un omaggio doveroso e una sottolineatura che rende la piccola mostra un gioiello davvero da non perdere.
La cornice del Museo della città è delle migliori e la mostra si può visitare sia con la visita del vasto museo compresa, sia singolarmente. Il pretesto dell’esposizione è l’acquisto da parte di Fondazione Brescia Musei di un dipinto che è stato infine attribuito al Gambara per continuità stilistica con altre sue opere; andato all’asta nel 2020 a Vienna come opera di scuola cremonese, è tornato in città. Pare che Lattanzio Gambara l’abbia dipinto durante il periodo di realizzazione di opere nel cantiere del Duomo di Parma tra il 1570 e il 1574, probabilmente destinato all’altare della chiesa di San Bartolomeo, fatto che spiegherebbe come mai nel Compianto sul Cristo morto appaia proprio quel santo. Il quadro forse è stato venduto in seguito alle soppressioni napoleoniche e si era disperso il nome del suo autore fino ad ora quando, posto in mostra accanto ad altre opere dello stesso, si può ammirare non soltanto la talentuosa capacità del nostro, definito da Vasari “il miglior pittore che sia a Brescia”, quanto anche la firma dell’opera. Il quadro è particolarmente interessante per un gesto d’amore che la Madonna compie verso il figlio che vede calare dalla croce sulla quale era spirato dopo la sua condanna a morte. La donna intreccia le dita della mano a quelle dell’uomo, come per essergli vicina ancora in un gesto materno difficile da trovare su opere simili. La sua compostezza rivela un dolore profondo per il quale non c’erano parole né lacrime, soltanto quell’ultima tenerezza rivelatrice di sentimenti che Gambara pone in pennellate dai toni caldi, vividi, a sottolineare così il pallore del corpo esanime.

Prima di giungere al Compianto, il percorso espositivo pone il visitatore subito davanti a Lattanzio, nel suo celebre autoritratto in uno strappo d’affresco datato tra il 1561 e il 1562, quando l’artista aveva poco più di trent’anni. Nato in città si pensa nel 1530, si forma alla bottega cremonese di Giulio Campi. Rientrato nella sua città, intraprenderà un rapporto di lavoro con Girolamo Romanino che diverrà suo suocero quando, nel 1556, Lattanzio ne sposerà la figlia Margherita. Dapprima Gambara era apprendista, poi frescante e collaboratore di Romanino, traendone ampie committenze, sia grazie al rapporto con il maestro, sia per la sua comprovata bravura. Sarà così che Lattanzio Gambara realizzerà gli affreschi sulle case della Contrada del Gambero, conclusi nel 1557, di cui sono esposti in mostra degli strappi molto interessanti. L’opera, che era voluta dal Comune di Brescia per rinnovare l’aspetto cittadino, si distingue per le figure di grande formato, ritraenti soggetti mitologici, con chiare influenze di Romanino.
Esposte sono poi le opere “Sepoltura di Cristo” e “Trasporto di Cristo nel sepolcro”, messe in relazione con il quadro di Campi “Deposizione di Cristo nel sepolcro” dipinta tra il 1580 e il 1590. La “Deposizione” di Gambara del 1568 è stata infatti una delle sue opere più copiate e riprodotte. Si notano in questo lasso di tempo i cambiamenti stilistici compiuti da Lattanzio Gambara che fa sue le istanze del Pordenone e di Correggio, oltre che le note di Salviati. Gambara sarà poi a fianco di Paolo Veronese nell’abazia di Polirone e i toni diventano quelli della “Conversione di Saulo”, tela esposta a Brescia. I prestiti sono della Galleria degli Uffizi e dei Musei Reali di Torino, oltre che da collezioni private e dalla Pinacoteca Tosio Martinengo cittadina.
Alessia Biasiolo