Pura per Dio e il prossimo

Ci sono delle storie che meritano di essere raccontate perché assomigliano a delle fiabe, racchiudendo in sé tutti quegli ingredienti che piacciono alla nostra parte più profonda: quella che è inconscio puro che si nutre di piccole semplici cose, senza appesantire la vita di altro che delle lievità dei nostri corpi sottili più elevati. Così capita di scrivere di un aspetto che molti chiamano fede, miracolo, eccezionalità, mentre dovrebbe essere la normalità di tutti gli essere umani. Questa storia è la normalità del tutto che siamo. Abbiamo imparato di avere bisogno di esempi per spiegarci e anche per capire meglio la complessità della vita, come per esempi si sono espressi i grandi e si è espresso Dio quando voleva svelare ad ogni essere umano un pezzetto della sua immensità. Allora non dobbiamo stupirci se poi, sullo scenario universale dell’esistenza, compare un esempio che indichi non tanto la strada, quanto che ciascuno di noi ha quella complessità che si perde o che ci si dimentica negli anfratti oscuri dei giorni. Intorno ai 1200 metri di altezza sul livello del mare, un paesino del Veneto povero come solo i territori italiani di un tempo potevano essere, forgiava tempre e saggiava la fede. Perché è molto facile pensare di raggiungere la complessità del nostro animo, quella vicina al Cristo che in piccola parte è in noi, viaggiando in pullman gran turismo verso santuari prossimi ad hotel e ristoranti; meno semplice è esserci già, in un luogo di fede anonimo come tanti, avere la chiesa a pochi metri innevati da casa e fredda, come solo può essere il freddo quando mangi poco e ti scaldi meno. Un paesino che ha forgiato una storia come tante, di tanti figli e molto lavoro, appena il necessario per mangiare, raccolto intorno alla chiesetta che si affaccia su un panorama bellissimo. Una sola navata, la chiesina si rivolge ai gruppetti di case che sono sparse qua e là, a punteggiare la vallata come i bei fiori che aprono le loro corolle in primavera, tempo di fieno e foraggio. Poco distante il cimitero, in modo che i propri defunti che sono già arrivati in quel cielo così vicino, siano sempre a casa, vicini e protettivi per i propri cari ancora sulla terra. I sacramenti dispensati dal parroco erano fondamentali per suffragare il tempo ricco di stenti e così la fede si forgiava nel modo più puro: guardare alle cose con la semplicità di chi non vuole altro che giungere ad essere ciò che Dio vuole che sia. E così anche in casa di una piccola Carmela Cesira accadeva. La recita del rosario, i buoni insegnamenti quotidiani, avevano portato una semplice bambina ad attardarsi sempre un po’, e un po’ troppo per il gusto dei familiari, in camera sua. Forse per le preghiere, forse per qualche gioco troppo difficile da lasciare anche per raggiungere la famiglia a tavola. Carmela era magra e sempre con la testa tra le nuvole. A soli dieci anni, infatti, aveva un amico che i fratelli credevano immaginario. Lei affermava convinta che stava con lui a giocare in camera sua, ma soltanto messa alle strette disse che quel bambino era Gesù. Certo, un innocente gioco di bimba, ma che poi si rivelò affatto un gioco e una verità che verrà condivisa con le persone che Carmela incontrava. Come? Non tardò a sentire la chiamata e a decidere di diventare suora. Suo padre, Benedetto, era contadino ed era riuscito a garantire alla famiglia una vita decorosa, senza troppe privazioni, malgrado i tempi difficili e le tante bocche da sfamare. Pensava già per la figlia, la quinta di nove, la possibilità di studiare e di conseguire un diploma, quindi la sua mentalità di montanaro era aperta per i tempi. I figli erano nati tra il 1905 e il 1925 e la piccola Carmela era del 1914, l’anno di inizio della guerra mondiale. Pertanto non fu affatto felice, malgrado la sua profonda fede, quando la figlia gli disse che voleva diventare santa e che per farlo sarebbe entrata in convento. Già una zia, sorella di mamma Oliva, era suora presso il convento fondato da monsignor Giuseppe Nascimbeni, le Piccole Suore della Sacra Famiglia, e uno zio della mamma era frate minore. Benedetto aveva conosciuto il fondatore delle Piccole Suore che gli aveva detto, a proposito della cognata, che non sarebbe stata l’unica della famiglia Pagani ad entrare a far parte della sua congregazione. Carmela volle seguire l’esempio della zia, infatti, soprattutto dopo avere conosciuto la cofondatrice delle Piccole Suore, suor Maria Mantovani, che la salutò dicendo “Questa sarà la tua casa”. Carmela Cesira un anno dopo, il 28 giugno 1932, entrò in convento. Pronuncerà i voti il 19 marzo 1935 e poi il 12 gennaio 1941. Il suo nuovo nome fu significativo: Suor Pura.

Parlare di suor Pura non è difficile, perché in molte zone nessuno la conosce o non ne ha mai sentito parlare. Se si sale al paesino verso i 1.200 metri, Campofontana di Selva di Progno, oppure se si viaggia in alcuni paesi della provincia di Verona, si scopre di avere a che fare con un esempio altissimo di semplicità religiosa. In un periodo che sembra non dare troppo peso alle terribili notizie di negazione della religiosità cristiana in molte parti del mondo, l’esempio di una semplice donna, portatrice di un velo scelto come simbolo della dedizione della propria vita, ma soprattutto capace di tramutare i simboli in significati profondi, è fondamentale. Suor Pura diventò come il suo nome, mantenendo inalterato un sorriso aperto, che dalla sua anima giungeva direttamente a chi le stava dinanzi al punto che, molto meno nota del più noto padre pugliese, presso di lei come a San Giovanni Rotondo giungevano centinaia di persone per vederla, parlarle, averne un consiglio, un insegnamento, una parola buona. Suor Pura non voleva se ne parlasse troppo, almeno finché fosse stata in vita, ma la sua casa era come la cella di San Pio. Le testimonianze sono tantissime a raccontare di come la donna fosse davvero un’immagine di Cristo tra la gente. Tanto che sono in corso le pratiche per innalzarla all’onore degli altari e di lei e del suo prezioso dono possano averne parte quante più persone possibile.

Grazie, richieste di preghiere, miracoli sembra fossero già successi mentre suor Pura Pagani era ancora in vita. Oggi pregarla di intercedere per le proprie intenzioni porta a sicuro soddisfacimento della preghiera sincera. Ne è testimonianza quanto accade al suo stesso istituto adesso, 2014. Il semplice bisogno di avere un numero adeguato di persone a cui rivolgere le proprie attenzioni, porta a chiedere a suor Pura, a “chiamarla” come lei diceva di fare, e lei subito pronta accorre, esaudendo la preghiera. E la casa accoglienza si riempie di persone. L’incontro più illuminante lo ebbi alcuni anni fa con la sorella più giovane della suora, Chiarina, classe 1925. Chiarina era una donna alta, buona, semplice. Non smetteva mai di parlare di sua sorella, che aveva conosciuto per poco in casa, ma che aveva imparato a conoscere attraverso la gente che le parlava di lei, dei suoi doni che elargiva abbondantemente. La donna raccontava di sua sorella “santa” in modo diretto e semplice, senza volersene fare un vanto, ma semplicemente per dedizione non alla parte della famiglia che suor Pura rappresentava, quanto alla parte di lei che era diventata appannaggio degli altri.

“Arrivano la mattina presto tante persone, su a Campofontana. Vogliono andare in cimitero, dove mia sorella è stata portata [infatti, le suore hanno il proprio cimitero a Castelletto di Brenzone, ma possono essere seppellite presso la famiglia su richiesta di quest’ultima]. Ci vanno a volte all’alba, prima di andare in chiesa o appena dopo. A volte le trovo lì, quando vado alla tomba, e se ne vanno senza dire niente. Mi guardano da lontano. Qualcuno mi chiede di dire qualcosa di mia sorella, ma io di per me so poco, racconto quanto mi raccontano tante persone. A volte mi dicono di essere arrivate fin qui perché hanno ricevuto una grazia. Ma quello che mi dispiace di più è quando piove o fa freddo: vengono lo stesso, anche in mezzo alla neve. E poi trovo le cose. Io non sono tutto il giorno in cimitero, così quando ci vado trovo messi lì vicino alla tomba, un sacco di oggetti. Fiori, corone del rosario, orsacchiotti, di tutto! A me dispiace, perché è tanta roba che portano a mia sorella e rimane lì che si bagna ed è un peccato. Mi faccio riguardo per la gente che viene fin qui”, negli occhi sempre un filo di malinconia, quasi di pianto. Era come se la donna si immedesimasse nei problemi delle persone comuni, quelle che magari di sua sorella avevano visto soltanto un santino, o forse ne avevano solo sentito parlare.

“Così ho fatto preparare una specie di teca dove mettere dentro tutto. Perché io la roba la porto anche a casa, e la tengo lì, apposta, per chi ha voluto rendere omaggio e ringraziare mia sorella, ma non è bello che poi non si trovino più le loro cose, oppure che non stiano vicino a suor Pura. Allora ho pensato di far fare qualcosa dove mettere tutto dentro, perché non si bagni. È bello che tutto resti lì in cimitero…”, ma lo diceva e ripeteva come se fosse contenta che sua sorella, lì in cimitero, non fosse da sola.

“Forse vengono anche per ché è un bel posto, ma d’inverno… penso che vengono apposta per lei”. E la semplicità era quella di chi non capiva fino in fondo come fosse davvero successo di essere la sorella di una santa. Carmela ci era riuscita davvero, come aveva sempre desiderato!

Infatti la sua vita è quella di coloro che sono eletti per eccellenza. Ma come può essere successo? Certo, non tutti i bambini giocano con Gesù, ma suor Pura continuò a giocare con i bambini per tutta la vita. Insegnava alla scuola materna e l’incarico la portò a Folgaria, Cavazzale, Verona Porta Nuova, Ferrara, Stienta e Porto Sant’Elpidio, Monte Romano. Era una maestra premurosa e gentile, che si dedicava con impegno e solerzia anche all’insegnamento del catechismo in parrocchia. Tuttavia, è risaputo che la vita delle persone sante non può essere senza spine, senza difficoltà, e infatti a suor Pura capitò addirittura che la volessero cacciare dal convento, esortandola a rinunciare ai voti. Il caso coinvolgeva un sacerdote, parroco del paese dove suor Pura prestava servizio da anni già in qualità di superiora, che venne trasferito in altra sede; l’uomo fece intendere attraverso terzi che il suo trasferimento era dovuto alla presenza della suora e che anch’ella sarebbe dovuta, finalmente, partire. In realtà erano scaduti i tre mandati previsti come massimo di permanenza in una casa, e la suora sarebbe stata trasferita comunque, ma le maldicenze erano circolate in fretta, costringendo il vescovo a chiedere il prolungamento dell’incarico della suora, non soltanto perché preziosa per le sue qualità, ma per evitare che si alimentassero le malelingue. Fu autorizzato un quarto mandato, ma la casa madre chiedeva alla religiosa che si attenesse a partire quando fosse giunto il momento. Suor Pura si rifiutò, essendo ancora in circolazione le calunnie sul suo conto e non volendo dare adito di cattivo comportamento quando non ce n’era ragione. La mancata obbedienza comportò una sospensione e la sorella si sentì tradita. Venne ricoverata presso le Terziarie Francescane di Verona perché non mangiava più, non dormiva più. Il suo senso di giustizia era stato violato, e assomiglia molto alla scelta di questi giorni da parte di una donna condannata a morte, di non cedere alle adulazioni di professarsi colpevole di qualcosa che non aveva commesso in cambio di aver salva la vita, per non essere disonorata agli occhi della sua stessa anima per tutta la vita. Presso la casa di preghiera veronese, la giovane suora si trovò a sbagliare il piano della stanza e, credendo di entrare nella propria, era entrata nella camera di un frate. All’uomo la suora raccontò la sua triste vicenda e il buon frate le consigliò di recarsi subito in Vaticano per spiegare la sua posizione. Lui stesso si sarebbe occupato di spiegare al vescovo il motivo di quella partenza improvvisa, tramite un biglietto scritto di pugno da suor Pura. Ella, in Vaticano, incontrò papa Pio XII che, sentita la storia, chiese alla suora di restare in Vaticano per occuparsi di un vecchio sacerdote malato. Era il monsignore Fortunato Raspanti, che in breve chiamava suor Pura “La mia nuova mamma”, tanto era l’amore e la dedizione con cui veniva curato. Suor Pura, grazie al voto di povertà espresso, non aveva nemmeno un secondo abito per potersi cambiare, così il monsignore le regalò una sua veste dalla quale la religiosa ricavò un abito adatto a lei. Suor Pura era solita leggere libri di morale, che poi discuteva con i preti che incontrava sulla sua strada. Iniziò anche l’abitudine di attardarsi sotto il colonnato di Piazza San Pietro dove trascorreva molto tempo ascoltando poveri e pellegrini, dando loro sempre la giusta parola di conforto. Da Roma ebbe l’occasione, poi, di recarsi in pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo e poté seguire la santa messa celebrata da padre Pio, del quale divenne figlia spirituale. Ebbe modo di recarsi altre numerose volte dal padre con il quale restava in preghiera. Così la sua anima venne perfezionata dall’incontro con colui che Giovanni Paolo II volle santo. Il legame tra padre Pio e suor Pura divenne molto forte e si consolidò nel tempo, anche se lui stesso le consigliò di scegliere come padre spirituale padre Cappello, a Roma. Noto per il dono dell’ubiquità, padre Pio divenne protagonista di un episodio particolare della vita della suorina. Infatti, suor Pura doveva recarsi in Svizzera in treno, viaggiando di notte da sola. Lo scompartimento del treno era vuoto oltre a lei, fino al momento in cui non arrivò a sederlesi accanto un uomo dall’aspetto minaccioso. La suora, impaurita, pregò padre Pio di aiutarla. Il padre era ancora vivo. Poco dopo arrivò nello scompartimento un controllore, chiese il biglietto al tizio e lo invitò a scendere dal treno perché non in regola. Il viaggio fu poi regolare e la suora arrivò a destinazione tranquillamente. Ovviamente si dimenticò dell’accaduto fino al giorno in cui, tornata a Prietrelcina, padre Pio sorridendo la ammonì di non fargli fare più il controllore del treno! Negli anni suor Pura affermò di essere sempre in contatto spirituale con padre Pio, tanto che, ad esempio, teneva un suo ritratto nella stanza dei colloqui dove incontrava le persone in provincia di Verona. Un giorno, una donna a lei devota era nella stanza per parlare con suor Pura che la esortava a prendere una coroncina del rosario e, mentre suor Pura le parlava, la donna vide il ritratto di padre Pio muoversi. Voltata la testa verso di lei, il padre del ritratto, sorridendo, la esortava a fare come la suora le stava suggerendo.

Piccoli atti, piccoli gesti che sembrano inverosimili o addirittura dettati da paranoie pericolose. Eppure pensiamo a quante volte vorremmo che qualcuno ci dicesse se ciò che stiamo facendo, la decisione che stiamo prendendo è quella giusta o quella sbagliata. Pura e Pio sono stati dei tramiti di infinita importanza nella vita di molte persone, a immagine di quel Gesù di Nazareth che trascorreva il tempo a guarire chi aveva fede dalle piccole cose di tutti i giorni, senza occuparsi di costruire imperi nel deserto.

Suor Pura, sempre a Roma ad accudire l’anziano monsignore, patì lo sconforto di vederlo morire. Sola, lontana dal suo convento, timorosa di doversi trovare ancora in mezzo alle incomprensioni che l’avevano fatta andare a Roma evidentemente per il segreto disegno di farla arrivare in Puglia da padre Pio, si trovava per strada assorta nei suoi tristi pensieri, quando vide camminare davanti a sé una suora. Non sapeva chi fosse, non l’aveva vista in volto, ma prese a seguirla mentre quella camminava sicura per le strade della capitale. Entrò infine nella chiesa di Sant’Ignazio e indicò a suor Pura un confessionale. Nel farlo si voltò a guardarla sorridendo. Era madre Maria Mantovani, la cofondatrice delle Piccole Suore, ora beata. In quel momento sparì. Suor Pura iniziò la confessione senza sapere che aveva trovato padre Felice Cappello, già indicatole tempo prima da padre Pio. Il padre la seguì spiritualmente fino al suo ritorno alla casa madre, consigliandole di mantenersi ferma nella fede e rafforzarla. Prima della partenza le consigliò di chiedere una grazia al Signore e suor Pura chiese di non provare rancore nei confronti di coloro che l’avevano indotta ad allontanarsi dal suo convento per dissipare il momento di calunnie nei suoi confronti. Venne esaudita. Tornata alla casa madre di Castelletto di Brenzone nel 1960 con una festa pacificatrice, riprese ad essere una suora serena capace di superare le difficoltà della vita. Fino al 1970 quando venne inviata a San Zeno di Mozzecane, sempre in provincia di Verona, dove avrebbe dovuto occuparsi di chiudere una scuola materna. Invece di pensare alla chiusura della scuola, suor Pura organizzò un migliore servizio per le famiglie, iniziando ad aprire la scuola dalla mattina presto per andare incontro alle esigenze dei genitori lavoratori, migliorò la mensa e le attività al punto che la scuola non chiuse. Riprese anche a San Zeno l’ascolto delle persone come aveva fatto a Roma, convinta sempre più che quella fosse la sua vocazione. Fu proprio a San Zeno che divenne la suora dell’accoglienza e del sorriso, come viene ricordata. Le ore dedicate agli altri, a cercare di capire e non soltanto ascoltare le sofferenze furono importantissime per lei e per coloro che ebbero la fortuna di incontrarla. Per quello il motto è “Chiamatemi e verrò”, anche ora che non manca di ascoltare e capire chi le parla con cuore sincero. La sua empatia era tale che le persone si sentivano a loro agio e venivano rassicurate da un fatto semplicissimo: suor Pura avrebbe pregato per loro. Questa era la sua formula. Nessuna promessa, nessuna esortazione se non la preghiera. Se proprio non riusciva a trovare una soluzione da sola, allora risolveva il problema con una semplicità estrema: avrebbe pregato con i bambini.

E non solo con loro. La sua preghiera era costante, spesso notturna per avere il giusto momento di comunione con Dio. E la sua preghiera procurava miracoli, sia spirituali che materiali, come un naso che non era più rotto grazie ad una notte di intense orazioni. I miracoli di suor Pura accadevano anche durante la sua esistenza terrena, ancorati alla certezza che nulla avviene per caso. Concetto che ripeteva spesso. E non era stato un caso se da piccola lei giocava con Gesù: lo racconterà adulta, proprio a San Zeno, svelando che non solo aveva conosciuto il piccolo Gesù, ma tutta la Sacra Famiglia che le faceva visita anche nel suo studio di San Zeno dove effettivamente la gente la sentiva parlare con qualcuno anche quando nella stanza con lei non c’era alcun mortale.

Tra le testimonianze sulla sua vita, leggiamo l’opinione comune di come fosse umile: pur essendo stata nominata superiora, spesso le decisioni le prendevano le consorelle e lei non si imponeva. Inoltre, chiedeva sempre la preghiera, per sé e per le intenzioni per cui pregava, non riteneva una via privilegiata quella che aveva con la Sacra Famiglia, ma un modo per comunicare e per esortare gli altri a farlo, con la fede nel cuore. Anche l’esortazione a pregare, infatti, era convinzione, non modo per occuparsi delle anime altrui, come spesso accade a chi si sente investito o investita da una missione così importante. La richiesta di pregare di suor Pura era la certezza che quella fosse l’unica via per risolvere i problemi. L’unica via efficace per rivolgersi al Padre. Non teneva nulla per sé: quello che riceveva donava, serenamente, allegramente. Se riceveva doni di valore li inviava alla Casa Madre. Rispettava l’imperativo del Decalogo di amare il prossimo e questo atto d’amore si concretizzava nel farsi carico di insegnare a prepararsi ai tempi nuovi. Dio le comunicava come i tempi futuri sarebbero stati difficili e suor Pura esortava non tanto a spaventarsi, pentirsi, ma a cambiare preparandosi al cambiamento. Le persone sagge sanno, infatti, che non porta buoni frutti cambiare tutto d’un tratto, tuttavia l’esortazione evangelica di vegliare veniva ricordata dalla suora affinché si fosse pronti a cogliere le opportunità offerte dalla modifica delle situazioni esterne. Pregare con suor Pura o suor Pura, significa ottenere grazie potenti, perché lei ha ottemperato alla volontà divina di seguire la strada che era stata segnata per lei. Come accade alle persone tramite del Bene, il Male la attanagliava e la minacciava: le diceva che l’avrebbe fatta impazzire, oppure andavano da lei persone alle quali era stata praticata qualche forma di maledizione. E suor Pura consigliava di pregare e pregava per loro, oppure metteva in guardia contro certi tipi. Poteva accadere che alcune persone, cercando di raggiungerla per un colloquio, avessero incidenti o rotture all’automobile. Da posizioni di assoluta ragione finivano per passare dalla parte del torto, insomma, una serie di situazioni negative e spiacevoli si abbattevano su di loro. Alla fine tutto si risolveva in modo semplice e misterioso allo stesso tempo, come se ci fosse stato un intervento divino, chiesto dalla buona suora. Accadevano pertanto anche episodi reali di problemi anche seri, che venivano risolti dalla fede e dall’intervento divino. Come il giorno in cui la stanza della suora era avvolta nel fumo, un mobile era mezzo bruciato, ma la statua della Madonna che vi era appoggiata sopra era rimasta intatta. Il demonio l’aveva più volte minacciata di bruciarle l’immagine sacra, ma suor Pura non gli aveva creduto, non si era impaurita. Infatti, non l’ebbe vinta e ancora una volta la fede nel Bene trionfò. Che aggiungere? Le testimonianze raccolte dalle persone sulla vita di suor Pura, le sue parole, la sua testimonianza terrena, non narrano nulla di straordinario. Raccontano di una semplice donna dall’immensa fede. Certo, avere il quadro di padre Pio che si muove, ospitare la Sacra Famiglia in camera, essere esaudita ad ogni preghiera non sono certo fatti ricorrenti nella vita delle persone, anche se suore. Ma il punto fondante della storia di questa religiosa che è destinata a diventare beata, è proprio nella quotidianità che l’avvicina al Maestro al quale ha dedicato l’esistenza terrena. Ogni suo gesto era animato da fede profonda, non importa se si trattava di comprendere i problemi di qualcuno osservandolo in fotografia portatale dai fedeli, oppure raccogliere i soldi per le mamme che non potevano pagare la retta scolastica per i figli, oppure vivere con il sorriso sempre sul viso. L’importanza data ai singoli giorni e al senso che ciascuno di noi deve dare ad ognuno di essi è l’esempio più grande. I cristiani si riconoscono proprio da questo operare in silenzio, ma assiduamente per le cose più alte, senza creare clamori, ma infondendo pace, amore, consolazione, certezza nel prossimo. Essere punti di riferimento certi, senza tentennamenti e senza cedimenti. Quando la situazione diventa difficile, deve diventare più sicura la preghiera e la richiesta di aiuto. Non dobbiamo, infatti, sentirci così importanti oppure così soli da non essere in grado di chiedere di essere aiutati. E l’incontro con suor Pura, anche attraverso uno scritto, rassicura proprio che lei c’è. C’è sempre. Per sempre. Per tutti.

Alessia Biasiolo

 

“Ieri e Oggi. Brescia e la sua birra”

PARLA LEOPer celebrare una lunga serie di anniversari, non ultimo il venticinquesimo di gestione dell’Antica Birreria Wührer di Brescia da parte della Società 5 Stelle, è stato editato il nuovo volume di Alessia Biasiolo dal titolo “Ieri e Oggi. Brescia e la sua birra”. Il volume, che è stato omaggiato agli ospiti di un’elegante serata di festeggiamenti tenutasi lo scorso 13 ottobre presso il ristorante dell’Antica Birreria Wührer, e presentato ufficialmente alla città di Brescia durante una conferenza stampa tenutasi presso la bellissima Sala dei Giudici di Palazzo della Loggia, martedì 14 ottobre scorso, alla presenza dell’assessore alla Cultura comunale e vicesindaco Laura Castelletti, è stato definito un vero gioiello.

Il volume è di carattere strettamente storico, a partire dalla storia della birra dall’antichità. Corredato da un interessante apparato fotografico, consta di 224 pagine a colori e in bianco e nero. L’impaginazione è stata motivata da una scelta stilistica. La parte di storia in bianco e nero riguarda gli anni di nascita della preziosa bevanda, di arrivo a Brescia del fondatore della birra Wührer, Franz Xavier, fino agli anni Ottanta del Novecento, quando si avvicina il momento di subentro dell’attuale gestione dell’Antica Birreria, cioè l’unica attività storica rimasta operativa di quanto originariamente fondato. Da quel momento, iniziano le immagini a colori, in un crescendo di feste tra spillatura di barili di birra Oktoberfest e sfilate di Miss per la selezione di Miss Italia.

COPERTINAIl libro è un continuo rimando a fonti bibliografiche e a fonti iconografiche, con accezioni uniche. L’accurata ricerca delle immagini condotta da Alessia Biasiolo, infatti, è andata dalla consultazione di libri del fondo antico della Biblioteca Civica Queriniana di Brescia, con riproduzioni dei disegni degli erbari del Cinquecento e del Seicento che servivano a riconoscere le specie di orzo e di luppolo, piante indispensabili per la produzione della birra, alla scelta di inserire adeguatamente le splendide immagini dell’Archivio Storico della Fondazione Fiera di Milano. Il motivo della scelta sta proprio nell’impianto del testo storico. Una volta sviscerata in sintesi la nascita della bevanda nell’antichità, il discorso giunge all’Ottocento di Brescia, quando vi arriva Franz Xavier Wührer. Austriaco, si era semplicemente spostato in altri territori dell’Impero, seguendo una logica personale, ma anche motivazioni di carattere politico ed economico, spiegate nel dettaglio. I territori, che godevano di una parentesi di apertura da parte imperiale dopo una serie di moti di ribellione inneggianti all’indipendenza dall’ormai odiato dominio austriaco, erano idonei ad introdurre una bevanda che era sì prodotta in tanti laboratori praticamente artigianali, anche a Brescia stessa, ma che non avevano quell’idea di gestione e di produzione che Franz importerà dagli altri territori dell’impero. Infatti, pensare di poter servire la birra alla grande guarnigione austriaca presente in città; utilizzare le coltivazioni di orzo della vasta Bassa Bresciana; insistere sulla possibilità di fare convivere il vino, tipico italiano, e la birra di nuova introduzione su ricetta originale dei paesi di maggior consumo, era davvero vincente. E così fu. La diffusione della bevanda fu rapida proprio per la presenza dei soldati austriaci, tanto che già negli anni Quaranta dell’800 fu necessaria la regolamentazione da parte delle autorità comunali. Per poter avere una fabbrica di birra bisognava dimostrare di saperci fare, bisognava dichiarare la ricetta e sottoporsi al controllo della commissione apposita al fine di consentire di verificare che gli impianti fossero “a norma”, diremmo noi oggi. Significa che le caldaie di rame non dovevano essere stagnate per evitare avvelenamenti; che non si doveva addizionare birra vecchia alla nuova; che l’acqua doveva essere ottima e che la materia prima doveva essere selezionata. Negli anni, Franz riuscì a far crescere la propria fabbrica, malgrado i moti ben più organizzati contro il dominio austriaco che portarono alle celeberrime Dieci Giornate di Brescia, fino alla seconda guerra di indipendenza, grazie alla quale la Lombardia poté liberarsi dall’odiato dominio e annettersi al Regno di Sardegna. Subentrò al padre Pietro Wührer e a sua volta il figlio di questi, Pietro anch’egli. I due riuscirono ad ampliare la loro fabbrica, ad aprire e far prosperare il nuovo stabilimento al limitare cittadino, in territorio Bornata, malgrado la tassazione a ritmi alterni “catenaccio” per le attività economiche. Interessante notare come, leggendo i testi di fine Ottocento e primi Novecento, sembri di leggere cronache contemporanee in tema di tasse e proteste da parte degli imprenditori.

RENATO-ALESSIA-LAURA

In ogni caso, il criterio con il quale la fabbrica è stata gestita ha portato lavoro e ampliamenti, fino alla costruzione della vetreria, degli stabilimenti di estratto per brodo e alle acquisizioni in tutta Italia. Le belle immagini dell’Archivio Fondazione Fiera di Milano, come spiegato durante la conferenza stampa di presentazione anche dal curatore Andrea Lovati, illustrano il periodo dagli anni Venti agli anni Cinquanta del Novecento, con interessanti curiosità: i padiglioni dedicati alle nostre colonie in Cirenaica e il passatempo per i bambini in groppa ad un cammello; le visite del Re in atteggiamenti informali rispetto a quelli ai quali siamo abituati; la presenza dell’ambasciatore americano in visita alla Fiera negli anni della fine del proibizionismo e tanto altro ancora. Si arriva poi al prezioso contributo d’archivio della Società 5 Stelle, depositaria di numerose fotografie originali delle attività della Wührer, così come di oggetti utilizzati sia presso lo stabilimento, ad esempio le casse per il trasporto della birra in bottiglia, sia presso lo storico ristorante, creato come annesso allo stabilimento della Bornata. Il rifacimento del ristorante celebra i cinquant’anni proprio quest’anno e anche questa occasione ha portato il presidente della Società 5 Stelle Leo Ruocco a volere il volume storico. Sono allora i numerosi cliché di stampa a troneggiare sulle pagine, oppure i bicchieri di vetro che sostituiscono i tradizionali becker di stampo tedesco, oppure i vassoi, i portaombrelli, il bancone di mescita originale in formelle fatte a mano. Fino ai momenti di festeggiamento societario con buffet offerti agli ospiti: il 29 settembre 1989, data di celebrazione dell’acquisizione; il diciottesimo; il ventennale. E tante altre notizie sulla birra e su Brescia: la Brescia della Mille Miglia o dei bombardamenti sul finire della seconda guerra mondiale, che hanno visto scenario anche i terreni dove sorgeva lo stabilimento di birra e la birreria; gli anni del boom economico e delle trasmissioni mitiche di Mike Bongiorno, che ruotavano anche intorno alle ricette dei concorrenti al famoso “Lascia o raddoppia”; la parabola della Funivia per il monte Maddalena, il monte di casa per i bresciani; fino alla giornata organizzata nel luglio scorso per gli amanti delle bike o delle camminate a piedi proprio verso la cima della Maddalena (poco meno di mille metri) a partire dall’Antica Birreria i mesi scorsi. Insomma, un interessante spaccato di vita in cui è facile riconoscersi e riconoscere le proprie origini. Una ricerca storica puntuale, ricca di spunti e di apparati che aiutano la lettura, ma che sono essi stessi fonte preziosa per la memoria collettiva, insolito modo di concepire il particolare nel tutto e l’influenza del tutto sul locale.

“L’ampio apparato fotografico”, ha spiegato l’autrice Alessia Biasiolo “non serve a rendere la ricerca storica più leggibile, ma è esso stesso storia che si narra per immagini. Le fonti fotografiche sono diventate parte integrante del narrato che si avvale sia dello stile giornalistico che di quello storico, per creare un tessuto di parole adatto a vario tipo di pubblico. La scelta di interfacciare una storia particolare come quella della birra a Brescia con la storia nazionale e sovranazionale, mi ha permesso di dare il senso di come singoli eventi possano incidere sulla storia mondiale e, viceversa, come la storia propriamente detta, quella studiata sui libri, incida sulle scelte dei singoli. Come mi è proprio, ho lasciato molto spazio alle parole della gente comune dei tempi passati, affinché non sia solo il parere dello storico a trasparire, ma la realtà come vissuta al momento, soprattutto dagli attori della straordinaria fiaba della birra italiana, non ultimi gli attuali gestori dello storico, grande, bellissimo locale di Brescia, culla per me non soltanto di birra di alta qualità, ma di storia e di cultura alla quale ho attinto grazie all’amico Leo Ruocco che mi ha permesso di studiare gli archivi privati aziendali”.

LAURA CASTELLETTI-LEO RUOCCO-ANDREA LOVATIUn contributo alla cultura che esprime l’amore per il passato, la continuità con la passione di Pietro Wührer per lasciare qualcosa di scritto a beneficio dei posteri.

Soprattutto, il modo per celebrare il mondo della birra e dei suoi comparti; l’attività indefessa di centinaia di addetti in tutta Italia, dalla produzione al packaging, che sono tesi non a dare da bere e basta, ma a produrre un prodotto di alta qualità, ricco di nutrienti preziosi per la salute, in cui la qualità sia dimostrazione del lavoro dal fusto alla spillatura. Una schiuma di birra che racchiude l’universo degli amanti del bello e della cultura, anche se racchiusa in un buon bicchiere di bionda, rossa, scura.

Alessia Biasiolo: “Ieri e Oggi. Brescia e la sua Birra”, Arti edizioni, Brescia, 2014; pagg. 224, euro 35,00.

 

Renato Hagman

 

 

Il complesso monumentale del Lazzaretto di Verona al FAI

Il Comune di Verona ha consegnato al FAI – Fondo Ambiente Italiano – il complesso monumentale del Lazzaretto, all’interno del Parco dell’Adige Sud di Verona. Presenti alla cerimonia il Sindaco di Verona Flavio Tosi, l’assessore all’Ambiente Enrico Toffali, il presidente di Fondazione Cariverona Paolo Biasi, il Prefetto Perla Stancari e, per il FAI, il presidente nazionale Andrea Carandini, il vicepresidente Marco Magnifico, il direttore generale Angelo Maramai, il capo delegazione di Verona Annamaria Conforti Calcagni. Presenti inoltre il presidente della 7^ circoscrizione Nicola Carifi e numerosi consiglieri comunali e di circoscrizione. La consegna sancisce l’accordo firmato lo scorso 14 luglio dal Sindaco Flavio Tosi e dal direttore generale del FAI Angelo Maramai, alla presenza del Sottosegretario al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo Ilaria Borletti Buitoni. Secondo la convenzione il FAI, in collaborazione con il Comune di Verona, si impegna per 18 anni prima a riqualificare e poi a gestire e valorizzare questa storica area veronese, oggi in forte stato di degrado. “Un progetto che ha trovato subito l’unanime condivisione dell’Amministrazione e di tutto il Consiglio comunale – ha detto il Sindaco Flavio Tosi – per individuare la migliore modalità di recupero di questo splendido tempietto e dell’area che lo circonda. Per il FAI è un intervento importante, che trova il pieno sostegno dell’Amministrazione comunale e della Fondazione Cariverona, che ringrazio per aver dimostrato ancora una volta la sua vicinanza alla città. Fino ad ora questa era un’area degradata e insicura: oggi la consegniamo al FAI per farla tornare a rivivere e, con l’impegno di tutti, per restituirla alla fruibilità della collettività veronese, con un progetto importante che la trasformerà in luogo di cultura e di svago”. “La Fondazione Cariverona – ha detto il presidente Paolo Biasi – ha da sempre riservato una particolare attenzione alla conservazione e trasmissione alle future generazioni del patrimonio ambientale, artistico e storico-culturale, con propri interventi diretti e con l’affiancamento ad importanti iniziative promosse da enti e benemerite associazioni culturali. Ne è testimonianza il lungo e proficuo rapporto di cooperazione instaurato nel tempo con il FAI, che l a Fondazione Cariverona conferma ancora una volta con un nuovo impegno di 250.000 euro, da ripartirsi nel biennio 2014-2015, finalizzato al recupero e alla valorizzazione del monumento e dell’area complessiva del cosiddetto Lazzaretto, in zona San Michele di Verona. L’accordo, che vede la compartecipazione dell’Amministrazione comunale di Verona, del FAI e della Fondazione Cariverona, rappresenta un significativo esempio di cooperazione tra Pubblico e Privato, che rende possibile la realizzazione di importanti progetti di pubblica utilità”. “Oggi una splendida area della città comincia a rivivere – ha detto l’assessore all’Ambiente Enrico Toffali – affidarla al FAI, viste le difficoltà finanziarie in cui si dibattono gli enti pubblici, è stata la migliore scelta possibile per garantirne il recupero e la piena fruibilità pubblica. Dal punto di vista amministrativo è stata un’operazione complessa, che ha impegnato notevolmente l’Amministrazione comunale, che oggi è lieta di averla condotta a buon fine”. “Un paesaggio da salvare – ha detto il presidente del FAI Andrea Carandini – con l’attento piano di recupero di un’intera area, al momento abbandonata e poco collegata alla città. Questo l’intento del FAI, che si propone di rispettare la natura originaria di questo territorio, impegnandosi dapprima a conoscerlo e poi, d’intesa con l’Amministrazione comunale, a gestirlo e a valorizzarlo con interventi sostenibili , nel rispetto del paesaggio, dell’anima del luogo e della sua storia. Il FAI ringrazia la Fondazione Cariverona per l’importante contributo alla realizzazione del progetto di restauro e di riqualificazione dell’area”. “La consegna del Lazzaretto segna un momento importante per il FAI e per la Delegazione di Verona – spiega Annamaria Conforti – che da anni si è spesa a favore di questo bene simbolo della città. Un luogo della memoria amato dai veronesi che lo hanno segnalato in occasione del quinto e del sesto censimento del FAI I Luoghi del Cuore per proteggerlo dalla cementificazione e farlo conoscere. L’attenzione sarà rivolta, oltre che al Lazzaretto, anche al terreno adiacente di tre ettari, donato al FAI nel 2012. Una vasta area da restituire alla città con un piano di sviluppo turistico a vocazione naturalistica e sportiva , pensato per il benessere del fisico e dello spirito. Il luogo di un’antica sofferenza verrà così trasformato nel fulcro di un progetto di recupero storico e ambientale, destinato a creare un’area di benessere per la città”. Queste le prime azioni che saranno messe in atto. Bonifica : il FAI porterà a termine la pulitura e la bonifica dell’area del Lazzaretto dagli ordigni bellici rimasti inesplosi; la pulitura dell’area da vegetazione infestante e da cumuli di macerie per mettere in luce quanto resta dell’edificio originario, ed eventuali primi interventi di consolidamento se si renderanno necessari durante la pulitura e la bonifica. Approfondimento della conoscenza del Bene : sarà intrapresa una campagna di rilievo fotogrammetrico e un’analisi di tutti i materiali superstiti riconducibili alla struttura architettonica originaria – al fine di documentare le testimonianze presenti nell’area. Solo approfondendo la conoscenza di quanto resta dell’edificio e verificandone lo stato di conservazione, sarà possibile intervenire con restauri e nuovi interventi che aiutino la lettura dell’edificio e che contribuiscano alla sua valorizzazione. Ricerca storica su fonti d’archivio e su testimonianze dirette. Gestione : in un’ottica di riqualificazione, il FAI mira a rivitalizzare l’intera area e punta a dare vita a un sistema del Parco dell’Adige Sud – coinvolgendo il Comune e altri enti territoriali – di cui il Lazzaretto possa essere il fulcro, diventando un luogo di incontro e per il tempo libero. Tra le prime idee prese in considerazione la realizzazione di una passerella ciclopedonale che colleghi la riva destra del fiume con quella sinistra, in prossimità di Villa Bernini Buri, favorendo una più facile viabilità nell’area. Il FAI ha già interpellato l’architetto Michele De Lucchi che si è mostrato disponibile per un suo coinvolgimento. Un’altra idea riguarda invece la realizzazione di un grande orto collettivo sul terreno donato al FAI, che possa diventare un luogo da vivere, in cui si possa recuperare e rafforzare anche il legame dei cittadini con la campagna. Durante le fasi di bonifica e di approfondimento l’area del Lazzaretto, per motivi di sicurezza, sarà un cantiere recintato e non accessibile al pubblico.

 

Il Lazzaretto di Verona

«Gran cortile vi sta in mezzo con portici e stanze dai quattro lati, due maggiori e due minori, quelli di arcate 51, questi di 24. Metton nel detto cortile quattro porte, ognuna alla metà circa di ogni lato; e nel minore a sera sta la porta del principale ingresso. Un po’ elevato è il pian terreno per meglio preservare dall’umidore e dalle alluvioni le 152 stanze o celle, comprese le quattro più grandi, che s’alzano sui lati in guisa di torri, le quali hanno un piano di sopra colle rispettive scale. Un secondo ordine di celle, pur a volta reale, avente ciascuna quanto occorre per abitarvi separatamente, sta al di sopra di rincontro alle proprie arcate. Sopra il lato del principale ingresso si ha un altro ordine, compartito in dieci stanze, al servigio del magistrato, e risponde alle cinque arcate del portico, mettendo ad esso due ben ordinate scale. In quattro parti eguali vien da muretti diviso il cortile per distinguere in tempi diversi le rispettive contumacie degli appestati. Ognuno dei quattro angoli del cortile ha il suo pozzo; e due ve ne stanno tra i muri, che dividono il lato maggiore. Sopra tre ordini di gradini s’alza al centro del cortile un tempietto rotondo con doppio giro di colonne del nostro marmo, d’ordine toscano, differenti nell’altezza. Le colonne interne sostentano il timpano e la cupola del tempietto; le esterne forniscono il portico dattorno allo stesso, cupola e cupolini, quella coperta di piombo, questo sormontato dalla statua di San Rocco, il gran protettore degli appestati. Nel centro del tempio v’ha l’altare a quattro facce, sì ch’esso è in vista di tutti i malati; stando di rincontro ad ogni porta delle dette 152 celle.»

(da Giambattista da Persico in “Descrizione di Verona e della sua provincia”, 1821)

Costruito tra il 1549 e il 1628, il Lazzaretto di Verona nacque come struttura per l’accoglienza delle persone affette da malattie contagiose. La città decise di dotarsi di una simile struttura nel 1539, quando l’amministrazione comunale si trovò a disposizione alcuni fondi provenienti dagli introiti dell’ospedale di Tomba, che da tempo provvedeva alla prevenzione dei contagi e alla cura delle malattie infettive.

La zona di San Pancrazio fu ritenuta adatta ad ospitare il Lazzaretto: la sua posizione, a valle della città e all’interno di un’ansa dell’Adige, permetteva l’accesso dei malati dalla terraferma e dal fiume che, senza alcun danno per il centro abitato alle spalle, garantiva una radicale “pulizia” grazie alle periodiche piene autunnali. Nel gennaio del 1549 iniziarono i lavori.

La paternità del Lazzaretto è attribuita quasi unanimemente all’architetto Michele Sanmicheli. La pianta architettonica, di forma rettangolare, è costituita da lati di 239 x 117 metri. La superficie venne suddivisa in quattro settori separati, con un tempietto al centro che fungeva da cappella: le 152 celle disposte lungo il perimetro comprendevano i servizi igienici e il caminetto per la preparazione dei cibi ed erano collegate da un porticato coperto. Ogni settore era dotato di un pozzo di approvvigionamento dell’acqua e sul lato d’accesso si trovava l’astanteria, dove venivano suddivisi gli ammalati. Una particolarità progettuale del Lazzaretto è l’attenzione all’acustica ambientale che permetteva di udire anche dalle celle più lontane il sacerdote durante le celebrazioni eucaristiche dal tempio centrale.

La costruzione del Lazzaretto fu completata nel 1628. Nel 1630, nei primi giorni dell’estate, scoppiò a Verona una grande epidemia di peste (la calamitas calamitatum portata dalle truppe tedesche discese per assediare Mantova e descritta dal Manzoni nei Promessi Sposi): in quel periodo il Lazzaretto arrivò ad accogliere fino a 5000 sfortunati ospiti. Questo fu l’ultimo grave contagio che colpì la città: in seguito, l’uso sanitario del Lazzaretto cessò e fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale (1945) la struttura venne utilizzata come deposito di polveri, munizioni ed esplosivo. La struttura rimase intatta ad eccezione della cupola del tempietto, che alcuni storici riportavano già crollata agli inizi del Novecento.

Circa un mese dopo la fine del conflitto, il 20 maggio 1945, una violenta deflagrazione distrusse l’antico edificio. Dell’imponente costruzione del XVII secolo rimasero solo resti di mura e il tempietto centrale, ridotto in rovina e parzialmente ricostruito nel 1960 in occasione delle celebrazioni sanmicheliane. Il resto dell’architettura è a tutt’oggi ridotta a rudere.

 

Roberto Bolis

Casi di tortura in Messico mentre il governo chiude un occhio

È quanto afferma Amnesty International in un nuovo rapporto: negli ultimi 10 anni i casi di tortura e maltrattamenti sono aumentati del 600 per cento. L’organizzazione per i diritti umani ha chiesto al governo messicano di agire per fermare il massiccio e costante uso della tortura da parte delle forze di polizia e dell’esercito. Il rapporto, intitolato “Fuori controllo: torture e maltrattamenti in Messico” – il primo di una serie di cinque rapporti prodotti nell’ambito della campagna globale “Stop alla tortura” di Amnesty International – descrive il grave aumento del fenomeno e la dominante cultura di accondiscendenza e impunità che lo alimenta. I responsabili di tortura condannati dalle corti federali sono solo sette e il numero di quelli condannati dalle corti statali è ancora più basso. “Le autorità non possono continuare a chiudere un occhio nei riguardi della tortura. La continua mancata applicazione delle garanzie per prevenire la tortura e i maltrattamenti e l’inadeguatezza delle indagini sulle denunce, dicono che il governo sta venendo meno al dovere di proteggere i diritti umani” – ha dichiarato Erika Guevara Rosas, direttrice del Programma Americhe di Amnesty International. “Il drammatico aumento della tortura in Messico significa che ogni cittadino è a rischio. Un sondaggio di Amnesty International ha rivelato che il 64 per cento dei messicani teme di venir torturato in caso d’arresto” – ha proseguito Guevara Rosas. Il rapporto di Amnesty International segnala che, tra il 2010 e la fine del 2013, la Commissione nazionale per i diritti umani ha ricevuto oltre 7000 denunce di tortura e maltrattamenti. Nel 2014 il numero è diminuito ma risulta sempre maggiore rispetto a 10 anni prima. Vittime di varie zone del paese hanno riferito ad Amnesty International di essere state sottoposte a pestaggi, minacce di morte, violenza sessuale, scariche elettriche e semi-soffocamento da agenti di polizia o militari, spesso per estorcere “confessioni” o per incriminare altre persone in gravi reati. Angel Amílcar Colón Quevedo, un honduregno nero, ha subito torture da parte della polizia e dell’esercito a causa della sua condizione di migrante e della sua origine etnica. È stato picchiato, soffocato con una busta di plastica, costretto ad atti umilianti e sottoposti a offese razziste. Si trova in carcere, sulla base di dichiarazioni che gli sono state estorte con la tortura. Nel corso dell’anno, Amnesty International lo ha dichiarato prigioniero di coscienza. Il rapporto di Amnesty International descrive oltre 20 casi analoghi a quello di Angel Amílcar Colón Quevedo. Nonostante la tortura sia proibita per legge, i tribunali continuano ad accettare prove ottenute durante la detenzione arbitraria e con la tortura. Ciò non solo incoraggia a continuare a usare la tortura e i maltrattamenti ma significa anche che i processi irregolari e le condanne ingiuste sono in aumento, pregiudicando ulteriormente la credibilità del sistema giudiziario e compromettendo i diritti umani degli imputati. Le rare indagini aperte sulle denunce di tortura si sono rivelate inadeguate. La procedura speciale adottata dall’ufficio della procura generale federale per indagare sulle denunce di tortura e maltrattamenti non rispetta gli standard internazionali previsti dal Protocollo di Istanbul. Ciò nonostante, i magistrati e i giudici si basano sui risultati di questa procedura e non accettano prove indipendenti. “L’assenza di indagini credibili e approfondite sulle denunce di tortura costituisce un doppio abuso. Se le autorità non raccolgono prove, le vittime sono lasciate senza rimedio e non sono in grado di poter dimostrare che le loro ‘confessioni’ sono state estorte con la tortura” – ha sottolineato Guevara Rosas. “È davvero il momento di rivedere da capo la procedura d’indagine sulle denunce di tortura e maltrattamenti e di applicare gli standard internazionalmente riconosciuti del Protocollo di Istanbul. Le autorità messicane devono inoltre garantire che le prove raccolte da esperti medici indipendenti siano ammesse ed esaminate nei procedimenti giudiziari” – ha concluso Guevara Rosas. Il rapporto di Amnesty International identifica una serie di misure da intraprendere per prevenire, indagare e punire la tortura e i maltrattamenti, a partire dal riconoscimento da parte del governo della dimensione della tortura e dall’impegno pubblico a combattere in via prioritaria questa grave violazione dei diritti umani. Tra il 2010 e il 2013, mentre la Commissione nazionale per i diritti umani riceveva oltre 7000 denunce di tortura e maltrattamenti, l’ufficio della procura generale federale ha attivato la procedura speciale d’indagine in 364 casi, riscontrando la tortura in 26 di essi. Tra il 2006 e il 2013 l’ufficio della procura generale federale ha aperto 1219 indagini su denunce di tortura e maltrattamenti ma ha ordinato rinvii a giudizio in soli 12 casi. Le condanne per tortura da parte delle corti federali sono state solo sette, con un tasso di colpevolezza dello 0,006 per cento. A livello statale, la prevalenza della tortura e dell’impunità è persino maggiore. La Commissione nazionale per i diritti umani spesso non indaga in modo approfondito e tempestivo su tutte le denunce di tortura che riceve né difende in modo adeguato i diritti delle vittime. Delle oltre 7000 denunce ricevute tra il 2010 e il 2013, ha emesso raccomandazioni che confermavano la tortura in soli 44 casi. Il Protocollo di Istanbul, del 1999, è il nome con cui è conosciuto il Manuale delle Nazioni Unite sull’efficacia delle indagini e sulla documentazione della tortura e degli altri trattamenti o pene crudeli, disumani o degradanti.

Amnesty International Italia

Stagione concertistica 2014-2015 dell’Università degli Studi Roma Tor Vergata

Si svolgerà dal 29 ottobre al 18 marzo la stagione concertistica 2014-2015 dell’Università di Roma Tor Vergata, organizzata dall’Associazione Roma Sinfonietta e dall’Associazione Culturale Musica d’Oggi.

Dopo un lungo periodo di interruzione, i concerti nell’ateneo romano sono ripresi soltanto nel gennaio scorso, e la positiva accoglienza del pubblico è stata d’incoraggiamento per portare gli appuntamenti dagli undici della stagione scorsa ai diciassette della prossima. Questo è stato reso possibile, oltre che dal finanziamento del Mibact, dall’intervento della Banca di Credito Cooperativo di Roma, che, con una sensibilità per la cultura e una generosità rare in questo periodo difficile, ha voluto dare il proprio contributo a una stagione di concerti di grande qualità, che ha la caratteristica di rivolgersi a tutta la città ma in particolare agli studenti dell’Università di Roma Tor Vergata e agli abitanti di una zona – Roma est e i comuni limitrofi – in cui la grande musica è pressoché assente e rare sono le occasioni culturali in generale.

Tutti i concerti si svolgeranno il mercoledì alle 18.00 nell’Auditorium “Ennio Morricone” della Facoltà di Lettere e Filosofia, in via Columbia 1. È allo studio al possibilità di aprire le prove generali agli studenti.

Si inizia il 29 ottobre nel nome di Johann Sebastian Bach, di cui saranno eseguiti quattro concerti (i “Brandeburghesi” nn. 4 e 5 e il Concerto in re minore per due violini e il Concerto per obore, violino, archi e basso continuo) che sono tra le sue composizioni più famose e segnano il punto d’incontro tra il grande compositore tedesco e la musica italiana. Ne saranno interpreti i violinisti Marco Fiorini – uno dei migliori violinisti italiani, già “spalla” dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia – Prisca Amori e Anna Chulkina, l’oboista Giovanni Cretoni, la flautista Monica Berni e il clavicembalista Michelangelo Carbonara, insieme all’Orchestra Roma Sinfonietta.

Il 5 novembre suonerà Viktor Ciuckov, pianista e compositore, bulgaro di nascita, italiano di formazione e ora tornato di nuovo in Bulgaria, noto soprattutto per la sua musica da film. Quest’originale figura di musicista presenterà un programma singolare, intitolato “Gioilelli per pianoforte”, in cui si susseguono un gran numero brevi brani celebri di epoche e autori diversi, dal primo Settecento ai nostri giorni.

Dal recital pianistico si passa al blues: il 12 novembre è difatti in scena il Luca Velotti Jazz Ensemble, un quartetto di eccellenti musicisti jazz riuniti intorno al clarinetto e ai sassofoni di Luca Velotti, che col suo gruppo ha suonato in importanti festival internazionali (Sydney, Praga, Beirut, Ascona, Roma, ecc.) e in più dal 1992 fa parte della band di Paolo Conte.

L’appuntamento successivo, il 19 novembre, è dedicato a Ludwig van Beethoven: non un concerto tradizionale, ma un “dialogo” con questo gigante della musica, guidato dalla voce del musicologo Giorgio Sanguineti, dal violoncello di Kyung Mi Lee e dal pianoforte di Michelangelo Carbonara.

Il 26 novembre irrompe la musica tzigana del gruppo Taraf da Metropulitana, formato da musicisti di etnia rom romeni e dall’italiano Paolo Rocca.

Questi primi cinque concerti danno indubbiamente la misura del valore, dell’interesse, dell’originalità e della varietà delle proposte di questa stagione e il resto della stagione lo conferma.

Ecco infatti il 3 dicembre Luca Pincini, uno dei migliori violoncellisti italiani, e Gilda Buttà, la pianista preferita da Morricone, in un programma assolutamente classico, che allinea tre dei massimi compositori del barocco, del romanticismo e del Novecento: Bach, Schumann e Sostakovič.

La settimana dopo invece un incontro-concerto con Francesco Antonioni, giovane compositore contemporaneo che ha un già un curriculum importante, con esecuzioni alla Biennale Musica di Venezia e all’Accademia di Santa Cecilia con Antonio Pappano sul podio. Antonioni colloquierà con il notoscrittore Nicola Lagioia, vincitore del premio Viareggio 2010 con il romanzo Riportando tutto a casa, che nell’occasione presenterà anche il suo nuovo romanzo, di prossima uscita. Sia Antonioni che Lagioia sono noti al pubblico anche come conduttori delle trasmissioni di Rai Radio3. Alle parole si alterneranno le musiche dello stesso Antonioni e di Schumann, compositore da lui particolarmente amato, nelle esecuzioni dell’Ensemble Musica d’Oggi

Il 2014 si chiude con il Concerto di Natale, il 17 dicembre. Musiche notissime, da Rossini a Strauss, da Bizet a Rota, nell’esecuzione dell’Orchestra Roma Sinfonietta diretta da Marcello Panni, che non ha bisogno di presentazioni: è stato direttore dei teatri di Bonn, Nizza e Napoli, è salito sul podio del Metropolitan di New York, dell’Opera di Vienna e di tanti altri grandi teatri, e i romani hanno ascoltato molte volte a Santa Cecilia e all’Opera. Il giorno prima, 16 dicembre, questo concerto sarà portato al policlinico di Tor Vergata, dando il via a un ciclo di concerti presso questo ospedale, che proseguirà a febbraio e marzo con quattro concerti per piccole formazioni, che andranno nei vari reparti per portare la musica ai pazienti che non sono in grado di spostarsi.

Il 21 gennaio il gruppo salentino Kalàscima, che tanto successo ha avuto quest’estate nei concerti organizzati da Roma Sinfonietta al Museo Etrusco di Villa Giulia, torna con “L’altra notte della taranta”, un’ora di musica coinvolgente e trascinante al ritmo della pizzica.

Dopo le serate dedicate a Bach e Beethoven, un altro dei musicisti più grandi e amati di tutti i tempi – Mozart – è protagonista il 28 gennaio. Il giovane pianista Gesualdo Coggi, affermatosi in vari concorsi e già con due CD all’attivo, e l’Orchestra Roma Sinfonietta eseguiranno due suoi Concerti, un Divertimento e una Serenata.

Il 4 febbraio è la volta di uno dei migliori gruppi cameristici italiani, l’Ars Trio di Roma, che presenta due dei massimi capolavori mai composti per questa formazione strumentale, il Trio op. 100 di Schubert e il Trio op. 67 di Sostakovič.

L’11 febbraio è la volta di un altro trio, ma “irregolare”, perché la sua formazione insolita mette insieme la viola di Raffeale Mallozzi, il flauto di Carlo Tamponi e la chitarra di Gianluigi Giglio: questi tre eccellenti solisti eseguiranno musiche del primo Ottocento di Francesco Molino, Joseph Kreutzer e Wenzeslaus Matiega, che si ascoltano molto raramente e che saranno una piacevolissima scoperta.

Il 18 febbraio ecco un’altra formazione cameristica classica, anzi la formazione cameristica per eccellenza, il quartetto d’archi. Con il Quartetto di Roma faremo un meraviglioso volo attraverso tre secoli, con tre capolavori di Haydn, Brahms e Sostakovič.

Un madrigale rappresentativo? Un’opera da camera? Una forma di teatro musicale di concezione unica e geniale? È un’impresa vana cercare di definire un capolavoro come Il combattimento di Tancredi e Clorinda, che Claudio Monteverdi ha scritto sui versi di una degli episodi più belli e commoventi della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. Ma la definizione non ha alcuna importanza, l’importante è poter ascoltare il 25 febbraio uno dei massimi capolavori di tutti i tempi, che sarà messo in scena dal regista Cesare Scarton, con il soprano Angela Nisi, il baritono Roberto Abbondanza e il tenore Roberto Iachini, con l’ Orchestra Roma Sinfonietta diretta da Fabio Maestri.

Il 4 marzo un duo formato da due violinisti – e che violinisti: la bella e soprattutto brava, bravissima Francesca Dego, già messa sotto contratto in esclusiva dalla prestigiosa etichetta Deutsche Grammophon, per cui ha già inciso Paganini e Beethoven, e Domenico Nordio, anche lui violinista di fama internazionale – esegue duetti di rarissimo ascolto, sebbene siano firmati da grandi musicisti, come Haendel, Prokofiev e Berio: un’occasione da non perdere.

Cent’anni fa, nel 1915, l’Italia entrava in guerra. L’Europa intera ricorda in questi mesi la terribile mattanza della prima guerra mondiale e anche l’appuntamento dell’11 marzo è dedicato a questo tragico anniversario: Suoni, parole, immagini a cento anni dalla prima guerra mondiale è un concerto multimediale con suoni elettronici, strumenti tradizionali, voce recitante eimmagini. Saranno eseguite musiche di Giovanni Costantini, Giorgio Nottoli e Riccardo Santoboni. Al pianoforte Francesco Prode e al violoncello Kyung Mi Lee.

Con il concerto di chiusura del 18 marzo si torna ad atmosfere più serene. Il direttore Gabriele Bonolis, il soprano Sarah Baratta, il contralto Mariella Guarnera, il baritono Luca Bruno e l’Orchestra Roma Sinfonietta eseguono “Le più belle arie del mondo”. nel programma dominano di diritto i musicisti italiani, Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi, Puccini e Mascagni, ma non si poteva tener fuori Bizet e la sua “Habanera” della Carmen.

Pochi giorni dopo, il 24 marzo, l’Università di Roma Tor Vergata conferirà la laurea honoris causa in musicologia ad Antonio Pappano, la cui lezione magistrale non consisterà in un discorso ma appunto in una lezione, durante la quale spiegherà i segreti dell’interpretazione operistica ad alcuni giovani cantati. Questo evento chiaramente non rientra nella stagione concertistica, ma viene qui segnalato perché dimostra la grande attenzione del secondo ateneo romano nei confronti della musica.

Tutti i concerti saranno registrati a cura del master in Sonic Arts dell’Università di Roma Tor Vergata.

 

Mauro Mariani

ExtraTeatro Extraordinary Theatre

Sulla scia dell’ entusiasmante esperienza americana con due spettacoli ospiti al New York International Fringe Festival, tenutosi lo scorso Agosto con oltre 200 compagnie da tutto il mondo per un totale di 1200 spettacoli, Extra Teatro Extraordinary Theatre è lieta di presentare la prima stagione di teatro bilingue (inglese/ italiano) per i bambini e per le famiglie romane, con spettacoli in scena il sabato. Gli spettacoli bilingue, pensati, ideati e recitati per un pubblico giovanissimo con un cast di attori professionisti, di madrelingua inglese, sono cantati e suonati dal vivo e prevedono la partecipazione attiva dei piccoli presenti nel pubblico, che saranno da subito catturati dai divertentissimi ed esilaranti personaggi che li coinvolgeranno con canzoni e momenti interattivi. L’ideazione degli spettacoli nasce dalla collaborazione di professionisti con diversi background e con lunga esperienza nel teatro e nella collaborazione con le scuole di tutta Italia: Arianna De Giorgi, regista italiana diplomata in regia presso la New York University; Jason Goodman, musicista e attore statunitense nonché autore di tutte le musiche e Daniela Remiddi, autrice di teatro per ragazzi, regista e burattinaia con una forte esperienza di teatro figura. Il Progetto ExtraTeatro Extraordinary Theatre quindi, proponendo spettacoli in lingua inglese, si inserisce a pieno merito nell’ambito di un offerta culturale per bambini che necessita di spazi ed esperienze multiculturali e plurilinguistiche, offrendo spettacoli che rappresentano momenti ludici e di sicuro impatto emotivo, stimolando nel bambino la creatività e la flessibilità linguistica di cui oggi, sempre più, necessita per inserirsi ed integrarsi nell’odierna società multietnica. Gli spettacoli in programmazione:

MY MONSTER FRIEND 29 NOV ore 16 e 17.30 In America uno scienziato inglese crea nel suo laboratorio un amico con un cervello che ha ordinato online. Quando la creatura si sveglia, però parla italiano! Per sbaglio, infatti, lo scienziato ha usato un cervello sbagliato! Un trascinante spettacolo musicale che parla con ironia di diversità, talento e amicizia. E da non dimenticare… intanto insegna l’inglese! Dai 5 Anni.

VAGABOND$ 25 OTT; 6 DIC ore 16 e 17.30 Un italiano in cerca di fortuna arriva in America e si imbatte in uno stravagante vagabondo autoctono. Le loro canzoni bizzarre ed entusiasmanti catturano il pubblico, il duo diventa famoso e viene catapultato nel mondo della cultura materialistica a loro completamente estranea. Imparando le prime frasi in inglese scopriremo insieme il valore e la “ricchezza” della vera amicizia. Dai 6 anni.

MAGIC SONGS 3,20,27 DIC; 3 E 6 GEN ore 16 e 17.30 Pix, una maghetta apprendista, per un incantesimo sbagliato si ritrova dall’altra parte del mondo, dove tutti parlano un’altra lingua: l’inglese. Grazie all’aiuto di Babbo Natale, di altri simpatici compagni di viaggio e del pubblico, la nostra eroina conoscerà mondi e culture lontane e imparerà le parole necessarie per recitare la formula magica e tornare a casa. Dai 3 anni.

TEATRO BELLI (Trastevere) Piazza Santa Apollonia, 11/a – Roma Prezzo del biglietto: 9€ acquisto online, 11€ al botteghino Ticket Price: 9€ online, 11€ at the door. Per informazioni: Extrateatro 06 5812491 339 4936631 http://www.extrateatro.it

Elisabetta Castiglioni

La festa della castagna e del marrone

 

CastagneValleranoFino al 2 novembre 2014 a Vallerano, gioiello medievale della Tuscia, è in corso la tanto attesa Sagra della Castagna, una vera e propria festa che nei fine settimana celebrerà il frutto del territorio che dal 2009 è stato inscritto dall’Unione Europea nel Registro di Denominazione d’Origine Protette (DOP) ed è così rientrato nei 115 prodotti italiani agroalimentari di eccellenza italiana. Un’occasione unica per scoprire i sapori e le ricette della tradizione con un ricco calendario di iniziative che alterneranno degustazioni e percorsi conoscitivi a manifestazioni culturali di ogni genere.

Come tutti gli anni ottobre significa per noi la Festa della Castagna e del Marrone – afferma il giovane ed attivissimo sindaco di Vallerano Maurizio Gregori – E proprio per mantenere intatta nel tempo la bellezza dei nostri castagni colgo l’occasione per ribadire l’impegno dell’Amministrazione comunale alla salvaguardia del territorio soprattutto in questo periodo di difficoltà per i produttori di castagne”.

In pochi forse sanno che a Vallerano ci sono infatti circa 635 ettari di castagneti con secolari ed affascinanti boschi e la coltivazione della Castagna è ampiamente documentata dopo l’anno mille; oggi, essa rappresenta un grande prodotto di qualità ed una risorsa sostanziale per la gente del luogo e va preservata ma anche diffusa in ogni modo. Per tale motivo, da tredici anni, ed anche per questa edizione, i turisti convenuti hanno l’occasione di poter assaggiare un prodotto genuino ed altre specialità locali sia in paese, dove verranno distribuite “caldarroste” per riscaldare i cuori e i fisici dal freddo autunnale, sia nelle caratteristiche cantine di tufo (dove anticamente venivano conservate le castagne ed il vino) che verranno aperte eccezionalmente nei giorni della sagra con menu dedicati a prezzo fisso. Saranno inoltre calendarizzate visite guidate nel centro storico come anche una suggestiva camminata nei castagneti, prevista il primo novembre.

La manifestazione è organizzata dall’Associazione Amici della Castagna di Vallerano che, attraverso una speciale guida a tema distribuita in tale occasione, mette a disposizione anche un ricettario sulla castagna e una serie di “curiosità eno-gastro-turistiche” per poter apprezzare in pieno questa significativa iniziativa culturale atta a stimolare i nostri cinque sensi.

SAGRA DELLA CASTAGNA DI VALLERANO XIII Edizione anno 2014 PROGRAMMA Domenica 19 ottobre Ore 9:30 Mercatino dell’antiquariato e dell’artigianato. Ore 10:00 Mostra di Pittura e Creazione Artigianale prodotti in ceramica. Ore 10:00 Apertura stand vendita prodotti tipici locali e assaggi marmellate. Ore 10:00 Visite guidate gratuite al Centro Storico, alle caratteristiche cantine, a due vecchie botteghe di antichi mestieri, un laboratorio di costruzione di presepi e allo stabilimento di lavorazione delle castagne con partenza da Piazza della Repubblica presso lo stand dell’Associazione “Amici della Castagna”. Ore 13:00 Pranzo nelle caratteristiche cantine con degustazione di piatti tipici locali. Ore 15:30 Il Corte Storico Medioevale, Sbandieratori e Musici della Città di Giove sfileranno e si esibiranno in Piazza della Repubblica. Ore 16:00 Caldarroste per tutti, in Piazza. Ore 20:00 Cena nelle caratteristiche cantine con degustazione di piatti tipici locali. Sabato 25 ottobre Ore 15:00 Apertura stand vendita prodotti tipici locali e assaggi marmellate. Ore 15:30 Musica itinerante con il Gruppo Fire Dixie Jazz Band di Roma. Ore 16:00 Caldarroste per tutti, in Piazza. Ore 18:00 Presso “Osteria degli Orti”: incontro con Emanuela Ghinazzi autrice di Senza glutine. Ricettario goloso per celiaci. Senza la pretesa della scienza ma con la voglia di riscoprire il gusto del pane in tutte le sue forme. Ore 20:00 Cena nelle caratteristiche cantine con degustazione di piatti tipici locali. A seguire il gruppo itinerante allieterà con il suo jazz le caratteristiche Cantine portando allegria agli ospiti presenti. Domenica 26 ottobre Ore 9:30 Mercatino dell’antiquariato e dell’artigianato. Ore 9:30 Autoraduno d’epoca e storiche: premiazione. Ore 10:00 Mostra di Pittura e Creazione Artigianale prodotti in ceramica. Ore 10:00 Apertura stand vendita prodotti tipici locali e assaggi marmellate. Ore 10:00 Visite guidate gratuite al Centro Storico, alle caratteristiche cantine, a due vecchie botteghe di antichi mestieri, un laboratorio di costruzione di presepi e allo stabilimento di lavorazione delle castagne con partenza in Piazza della Repubblica presso lo stand dell’Associazione “Amici della Castagna”. Ore 13:00 Pranzo nelle caratteristiche cantine con degustazione di piatti tipici locali. Ore 15:30 Conosciamo i Romani, sfilata e presentazione della Legio Secunda Parthica Severiana con il supporto dei Ballistari della Legio IX Hispana. Ore 16:00 Caldarroste per tutti, in Piazza. Ore 20:00 Cena nelle caratteristiche cantine con degustazione di piatti tipici locali. Sabato 1 novembre Ore 9:00 Trekking tra i secolari castagneti alla volta del sito rupestre di San Leonardo, in collaborazione con il C.A.I. di Viterbo e il Gruppo Archeologico di Vallerano. Ore 9:30 Mercatino dell’antiquariato e dell’artigianato. Ore 10:00 Mostra di Pittura e Creazione Artigianale prodotti in ceramica Ore 10:00 Apertura stand vendita prodotti tipici locali e assaggi marmellate. Ore 10:00 Visite guidate gratuite al Centro Storico, alle caratteristiche cantine, a due vecchie botteghe di antichi mestieri, un laboratorio di costruzione di presepi e allo stabilimento di lavorazione delle castagne con partenza in Piazza della Repubblica presso lo stand dell’Associazione “Amici della Castagna”. Ore 13:00 Pranzo nelle caratteristiche cantine con degustazione di piatti tipici locali. Ore 15:30 Si balla: esibizione ed intrattenimento, in Piazza della Repubblica, del Gruppo di Musica Popolare “Le Tarantole”, gruppo folkloristico tipico salentino di pizzica…con ballo e suoni folkloristici. Ore 16:00 Caldarroste per tutti, in Piazza. Ore 18:00 Presso “Osteria degli Orti” incontro con Giorgio Nisini in attesa del suo prossimo libro. “L’autore, già finalista del Premio Strega, parlerà dei suoi libri e del mestiere di scrivere”. Ore 20:00 Cena nelle caratteristiche cantine con degustazione di piatti tipici locali. Domenica 2 novembre Ore 9:30 Mercatino dell’antiquariato e dell’artigianato. Ore 10:00 Apertura Mostra di Pittura e Creazione Artigianale prodotti in ceramica. Ore 10:00 Apertura stand vendita prodotti tipici locali e assaggi marmellata. Ore 10:00 Visite guidate gratuite al Centro Storico, alle caratteristiche cantine a due vecchie botteghe di antichi mestieri, un laboratorio di costruzione di presepi e allo stabilimento di lavorazione delle castagne con partenza in Piazza della Repubblica presso lo stand dell’Associazione “Amici della Castagna”. Ore 13:00 Pranzo nelle caratteristiche cantine con degustazione di piatti tipici locali. Ore 15:30 Sfilata e intrattenimento dell’Associazione culturale Pilastro con Corteo Storico “Famiglie Nobili Viterbesi” e “Gruppo Musici e Sbandieratori”. Ore 16:00 Caldarroste per tutti, in Piazza. Ore 20:00 Cena nelle caratteristiche cantine con degustazione di piatti tipici locali. Tutte le domeniche della sagra (compreso l’1 ed il 2 novembre) dalle ore 11 alle ore 13 e dalle ore 15 alle ore 18, sarà possibile visitare il Santuario di Maria SS. ma del Ruscello, dei Donatori di sangue.

 

Elisabetta Castiglioni

 

“Sangiovese vino di Romagna”

“Sangiovese vino di Romagna” è il titolo del nuovo libro che racconta storia e tipicità di questo famoso vitigno, anche in virtù di un’interessante scoperta importante per la viticoltura romagnola, nazionale e anche mondiale.

Il Sangiovese è uno dei vitigni più diffusi in Italia e all’estero, ma le sue origini sono ancora in parte misteriose e discusse. Per tale motivo, ogni documento antico che getta luce su tale argomento è accolto con grande interesse; come la scoperta nell’Archivio di Stato di Faenza di un atto notarile del 1672 che attesta già all’epoca la coltivazione del Sangiovese nel territorio di Casola Valsenio, nell’Appennino faentino in Romagna. È il primo documento noto che riporta il termine Sangiovese, preceduto solo da un paio di citazioni, ma con denominazioni diverse.

Partendo dal documento, Beppe Sangiorgi, storico e giornalista, ha sviluppato una ricerca sull’origine del nome, sulla culla del Sangiovese e sulle sue successive vicende consultando circa 200 testi italiani e stranieri editi dal 1600 a oggi. Ricerca pubblicata, per iniziativa del Consorzio Vini di Romagna e con prefazione dello storico dell’alimentazione Massimo Montanari, nel libro Sangiovese vino di RomagnaStoria e tipicità di un famoso vitigno e di un grande vino. Volume che nella seconda parte, curata da Giordano Zinzani, enologo e presidente del Consorzio Vini di Romagna, descrive il terroir romagnolo e le varie tipologie e denominazioni nelle quali si articola l’attuale produzione viticola ed enologica del Sangiovese in Romagna.

Incrociando la constatazione che il Sangiovese è inizialmente presente nell’area imolese-faentina con la convinzione di gran parte degli studiosi che individuano l’origine del Sangiovese nella parte montana dell’Appennino Tosco-Romagnolo, Sangiorgi ha ipotizzato che la culla di tale vitigno, figlio di un vitigno toscano e di un vitigno meridionale emigrato in Toscana, sia stata nella prima metà del secondo millennio la parte alta delle vallate dei fiumi Lamone, Senio e Santerno. E precisamente i monasteri vallombrosani di Crespino e Santa Reparata (Marradi), Susinana (Palazzuolo sul Senio) e Moscheta (Firenzuola), tre comuni amministrati da Firenze ma posti nel versante romagnolo dell’Appennino.

Dai gioghi dell’Appennino il vitigno è sceso, da una parte lungo le vallate faentine e imolesi prendendo il nome dialettale di sanzuves (contrazione di sangue dei gioghi) e poi sanzvés, italianizzato in sangiovese, nome che ha sempre mantenuto diffondendosi nel ‘700 nel resto della Romagna. Dall’altra parte, è sceso in Toscana assumendo i nomi di Sangiogheto, Sangioeto, San Zoveto e Sangioveto e solo dalla metà dell’800 di Sangiovese. Il vitigno non solo ha assunto due nomi differenti di qua e di là dell’Appennino, ma ha sviluppato nei secoli anche caratteri diversi stante la sua grande sensibilità al terroir.

A partire dalla metà dell’800 il Sangiovese e il Sangioveto si sono poi diffusi nelle altre regioni dell’Italia centrale e, verso la fine del secolo, la denominazione romagnola “Sangiovese” si è via via affermata, anche in Toscana. E non solo dal punto di vista linguistico, ma anche materiale, attraverso il reimpianto dei vigneti distrutti dalla fillossera.

L’identità romagnola del Sangiovese e il suo stretto legame con il territorio vengono rimarcate da Giordano Zinzani attraverso la descrizione del terroir e la presentazione delle varie tipologie e denominazioni nelle quali si articola l’attuale produzione viticola ed enologica di tale vitigno in Romagna. Cominciando dal “Romagna DOC Sangiovese” e proseguendo con il Sangiovese dei “Colli” romagnoli e il Sangiovese IGT.

Sangiovese vino di Romagna”, Storia e tipicità di un famoso vitigno e di un grande vino. di Beppe Sangiorgi e Giordano Zinzani.

Valfrido Edizioni (Faenza) in collaborazione con Consorzio Vini di Romagna.

Pag.110. €10,00.

Giuseppe (Beppe) Sangiorgi, è nato e vive a Casola Valsenio (RA). Laureato in Scienze Politiche a indirizzo storico ha lavorato nella Pubblica Amministrazione ed è giornalista, scrittore e storico del mondo rurale romagnolo. Ha pubblicato su quotidiani, settimanali e riviste circa quattromila articoli inerenti alla storia, al paesaggio, alle tradizioni e al patrimonio enogastronomico della Romagna, temi sui quali tiene conferenze e lezioni, oltre che averne trattato in una decina di pubblicazioni. Inoltre, ha curato il soggetto, i testi e la regia di sei video documentari sulla Romagna vista attraverso i suoi vini, sulle pievi, rocche e torri della provincia di Ravenna e sui paesi della valle del Senio, con il quale ha vinto il Premio Guidarello per il Giornalismo d’Autore.

Giordano Zinzani,è nato e vive a Faenza. Enologo diplomato a Conegliano Veneto, dal 1975 ha iniziato la professione come tecnico. Dal 1984 lavora alla CAVIRO S.c.a., dove attualmente ricopre l’incarico di direttore Enologia e Servizi, Sviluppo Soci. Relatore in diversi convegni e seminari sia in Italia sia all’estero, ha pubblicato articoli di carattere tecnico, riguardanti aspetti innovativi della tecnologia enologica. Ha collaborato in molte ricerche e sperimentazioni effettuate in Romagna e in particolare con l’Università di Bologna. Dal 1990 al 2013 è stato presidente della sezione Romagna Assoenologi e consigliere nazionale. Per molti anni consigliere dell’Union Internationale des Oenologues. Nel 2008 ha assunto l’incarico di presidente del Consorzio Vini di Romagna del quale è stato a lungo consigliere. Ha fatto parte del gruppo di lavoro “Pratiche enologiche” alla Commissione Europea D.G. Agri a Bruxelles. È corrispondente dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino e dal 2008 vice-presidente dell’Enoteca Regionale dell’Emilia Romagna e componente del C.d.A. di Federdoc.

 

Tratto da “Sangiovese vino di Romagna”, PREFAZIONE di Massimo Montanari (Docente di Storia medievale e di Storia dell’alimentazione all’Università di Bologna).

È sempre difficile fare la storia di un vitigno o di un vino, rintracciarne le origini, localizzarle in un territorio. Perché vini e vitigni sono figli della geografia ma soprattutto della storia: l’azione dell’uomo sull’ambiente, nel corso dei secoli, sposta e modifica le coordinate naturali, confondendo le tracce fino a renderle talvolta irriconoscibili. Tutto ciò che ha a che fare con la cultura – e di cultura stiamo parlando – è per definizione mobile e cangiante, perché vivo. Gli esiti di queste storie, le identità che esse preparano e producono sono realtà che si ridefiniscono di continuo, sicché cercarne le radici, andare a fondo nella ricerca delle ‘origini’ comporta avventure imprevedibili, che possono portarci ovunque. Quando, poi, l’oggetto di studio non è un vitigno o un vino qualsiasi, ma uno dei più fortunati e di maggiore successo, come è il caso del Sangiovese, la sfida parrebbe impossibile. Non così la pensano gli autori di questa ricerca, che propongono una sintesi ragionata di tutto ciò che sappiamo sulla storia del Sangiovese, integrando e reinterpretando le conoscenze acquisite sulla base di nuovi dati e di nuove intuizioni – a cominciare dall’idea che la rete di monasteri stabilitasi nel Medioevo sull’Appennino tosco-romagnolo possa essere stato il luogo di incubazione di questa storia straordinaria, che in seguito avrebbe preso direzioni diverse, nel senso del metodo e del gusto oltre che della geografia. Importante è anche l’aver retrodatato al XVII secolo il riferimento a un ‘Sangiovese’ romagnolo che non è solo vino ma vitigno. Ciò conferma la continuità di una cultura, tipicamente italiana, che fin dal Medioevo privilegiò il vitigno come elemento distintivo della produzione enologica, mentre altrove – per esempio in Francia – si metteva l’accento soprattutto sulla proprietà e sul terroir. Questa ricerca sul vino principe dell’enologia romagnola si fa apprezzare per la chiarezza con cui cerca di districare le linee portanti della storia del Sangiovese. Ovviamente, nessuna ricerca può mai dirsi definitiva e la sorte migliore di qualsiasi studio è di essere superato da altri, che ne metteranno a frutto i risultati. È l’augurio migliore da fare a questo lavoro, che diventerà un punto di riferimento obbligato per chiunque vorrà tornare sull’argomento. Il senso critico che traspare da queste pagine, la serietà con cui il tema è stato affrontato, il riferimento sistematico alle fonti e agli studi utilizzati sono marchi di qualità come quelli che sempre più spesso accompagnano il rosso sangiovese.

 

Pierluigi Papi

GLITCH. Interferenze tra arte e cinema in Italia

Il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano presenta “GLITCH. Interferenze tra arte e cinema in Italia”, una collettiva che riunisce opere di artisti italiani delle ultime generazioni, volte a esplorare le relazioni di linguaggio e contesto tra due diversi mondi. La mostra è la più ampia panoramica dedicata finora in Italia ad uno dei temi centrali dell’arte contemporanea.

Promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura, PAC e CIVITA, GLITCH inaugura in occasione della 10a Giornata del Contemporaneo indetta da AMACI, Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani, di cui il Padiglione milanese è socio fondatore.

“Il PAC sta accompagnando i suoi visitatori lungo un viaggio alla scoperta di una realtà che incide profondamente sul nostro quotidiano e sulla nostra emozione, contribuendo a formare la nostra sensibilità e, in fondo, la nostra cultura di uomini contemporanei – ha dichiarato l’Assessore alla Cultura Filippo Del Corno –. Dopo aver condotto i visitatori in un percorso affascinante che si snodava tra crimine e arte con The crime is almost perfect, ecco ora una mostra che ci introduce in un mondo immaginario situato all’esatta intersezione tra tecnologia e arte, grazie al linguaggio più attuale in assoluto: quello dell’immagine in movimento. Un ‘luogo’ tutto italiano dove Milano si trova perfettamente a suo agio, essendo la capitale della creatività italiana e, al tempo stesso, dell’industria e dell’innovazione tecnologica”.

La mostra partecipa a Milano Cuore d’Europa, il palinsesto culturale multidisciplinare dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano dedicato all’identità europea della nostra città anche attraverso le figure e i movimenti che, con la propria storia e la propria produzione artistica, hanno contribuito a costruirne la cittadinanza europea e la dimensione culturale.

Commissionata dal nuovo Comitato Scientifico del PAC – alla sua seconda mostra – e curata da Davide Giannella, GLITCH presenta una selezione di opere tra film, installazioni, fotografia e performance, realizzate da artisti italiani negli ultimi quindici anni, dal 2000 al 2015, con pochissime eccezioni che suggeriscono antecedenti e contrappunti.

Il titolo della mostra si rifà al linguaggio dell’elettronica e del digitale: il glitch è una distorsione, un’interferenza non prevista all’interno di una riproduzione audio o video, un’onda breve e improvvisa che dura un istante e poi si stabilizza. Un momento inatteso che può diventare rivelatore, come possono esserlo le opere in mostra: tracce di un territorio i cui confini sono in costante via di definizione, tesi e sfumati tra diversi sistemi critici, di produzione, distribuzione e fruizione.

Filo conduttore è l’idea di storytelling, di rifrazione tra narrativa lineare e non lineare, verità e finzione, ma anche di ricerca attorno all’atto di guardare e di montare storie: elementi fondanti del cinema e trame dell’arte recente, ma soprattutto strumenti nella creazione di miti e immaginari attraverso differenti linguaggi.

Il passaggio definitivo al digitale ha portato allo snellimento degli strumenti e all’assottigliamento dei costi nella produzione e distribuzione di immagini in movimento. Quelle che sino a pochi anni fa erano, per qualità formale e costi, produzioni esclusive dell’industria cinematografica, sono oggi alla portata di un sempre più ampio numero di autori. L’episodio dell’ 11 Settembre 2001 ha decretato in maniera definitiva quanto la creazione e rielaborazione di immagini sia dominio di tutti e come i racconti, per quanto frammentati, siano generatori di immaginari prima ancora che testimonianze di realtà, rendendo il reale fittizio e materializzando finzioni.

A questo si è aggiunta nel 2003 la nascita di youtube.com: sempre più artisti visivi – anche in Italia – si sono avvicinati alla sperimentazione nell’ambito delle immagini in movimento, superando o discostandosi della videoarte per avvicinarsi al linguaggio più narrativo del cinema e all’immediatezza di internet. Il risultato è l’allargamento di quell’area di confine in continua evoluzione, l’interstizio tra territori attigui, ma ancora distinti, chiamato Art Cinema.

GLITCH si sviluppa su tre livelli principali, tre aree che si muovono intorno all’idea di opera filmica.

Il primo livello, quello cinematografico, trasforma il PAC in un multisala: 64 film d’artista sono stati suddivisi in due programmi, che verranno proiettati a giorni alterni all’interno di tre mini-cinema realizzati ad hoc per la mostra. Le opere, raccolte in serie e per temi, avranno soprattutto carattere narrativo: produzioni di artisti che lavorano nella cornice dell’arte contemporanea o meta-film, appartenenti all’ampia categoria del cinema sperimentale.

Il secondo livello, quello delle installazioni, contiene opere che instaurano relazioni con il linguaggio e l’immaginario cinematografico e funzionano come declinazioni, traduzioni o presupposti dei lavori filmici.

Il terzo livello, quello performativo, proporrà performance come dispositivi dal vivo di immagini in movimento, presentando progetti che sfondano la dimensione dello schermo, oppure creano relazioni multimediali o ancora analizzano e sottolineano, reinterpretandoli, elementi specifici del cinema.

Per garantire al pubblico la visione di tutte le opere video sarà possibile acquistare, in alternativa ai consueti ticket di ingresso giornalieri, un abbonamento alla mostra che consente un accesso illimitato alle proiezioni e agli eventi collaterali.

La mostra è realizzata con il sostegno di TOD’S, sponsor dell’attività espositiva annuale del PAC, e con il supporto di Vulcano.

L’allestimento dei mini cinema sarà realizzato con materiale Alcantara prodotto in due speciali versioni.

Seguendo una precisa volontà di collaborare con altri progetti e istituzioni attive sul territorio, in occasione della mostra il PAC collabora con Careof DOCVA, che presenta all’interno del proprio spazio espositivo in via Procaccini Diamanti: una mostra di approfondimento che ripercorre la filmografia e la produzione degli artisti italiani selezionati per Glitch, attraverso i preziosi materiali conservati nell’archivio video.

Come di consueto, il PAC ha in programma una serie di attività per avvicinare il pubblico alle opere in mostra. Ogni giovedì alle 19.00 e la domenica alle 18.00 sono previste visite guidate gratuite per tutti i visitatori. La mostra sarà inoltre accompagnata da un public program di approfondimento con proiezioni dedicate a monografie d’autore, talk e selezioni di carattere tematico.

Davide Giannella (1980) è curatore indipendente. La sua ricerca è incentrata principalmente sulle relazioni tra il sistema dell’arte e i differenti ambiti dell’orizzonte culturale contemporaneo. Ha lavorato parimenti per istituzioni pubbliche come la Triennale di Milano (Junkbuilding, 2008, collettiva) e il Museo Marino Marini di Firenze (Glaucocamaleo, 2014, Luca Trevisani) e per gallerie private e spazi indipendenti come Ramiken Cruicible (New York; Surfing With Satoshi, 2013, Alterazioni Video) e Le Dictateur (Milano; UV-Ultraviolento, 2012, collettiva). Per il Milano Film Festival cura dal 2010 verniXage, rassegna dedicata al territorio liminale dell’Art Cinema, lavorando con artisti nazionali e internazionali. Attraverso queste esperienze ha elaborato una figura che fonde la pratica curatoriale con quella di produttore esecutivo sui set cinematografici, occupandosi dei contenuti, della produzione e della distribuzione su più piani delle opere filmiche. È stato coordinatore del corso in Arti Patrimoni e Mercati dell’Università IULM c/o Triennale di Milano (2009-13).

La seconda mostra nella programmazione guidata dal nuovo Comitato Scientifico del PAC continua a esplorare le interazioni tra arti visive e altri linguaggi, filo conduttore delle mostre della kunsthalle milanese per il biennio 2014 -16.

La prima, Il delitto quasi perfetto (Luglio-Settembre 2014), immaginata e allestita come la scena di un crimine, ha messo in rapporto le opere di artisti internazionali delle ultime generazioni che hanno colto come spunti creativi il noir, il gotico e il giallo: generi letterari, cinematografici e televisivi. Glitch trasforma invece il PAC in un multisala e in una fantasmagoria sul cinema, per esplorare il territorio di confine tra arte, film e immaginazione, con l’ambizione di diventare anche punto di partenza per una ricerca continua sulle produzioni e sui modi di diffusione di lavori che, anche in Italia, alimentano uno dei luoghi più densi dell’attuale scena artistica internazionale.

Obiettivo del Comitato Scientifico del PAC è infatti quello di amplificare il ruolo storico del Padiglione come osservatorio sulle nuove tendenze nelle arti e nelle culture contemporanee, con un’enfasi particolare sul rapporto tra arti visive e altri campi della creatività e del pensiero.

A Milano, dai movimenti d’avanguardia del primo ’900 in avanti, i confini tra arti visive e altri linguaggi – architettura, arti performative, design, editoria, letteratura, moda, musica, poesia, pubblicità – sono sempre stati ridefiniti e scientemente messi in discussione – da Marinetti a Munari a Cattelan. Un’attitudine che è anche il risultato della disponibilità di Milano ad accogliere culture altre e della persistenza della sua stessa cultura, che considera e pratica da sempre il pensare e il fare come parti di uno stesso processo: imparar facendo.

Milano e il PAC sono per questo autorevoli punti di riferimento dei movimenti che stanno cambiando l’ambiente artistico globale. Le relazioni tra passato e presente, individuale e collettivo, alto e basso, artistico e industriale, originale e copia, sud-nord, est-ovest si stanno riconfigurando radicalmente, in maniera spesso ambigua e contradditoria, seguendo traiettorie nuove e inaspettate. L’arte contemporanea è luogo d’osservazione privilegiato di queste mutazioni.

Il Comitato Scientifico del PAC – sotto la direzione di Domenico Piraina, Direttore del Polo Mostre e Musei Scientifici – è attivo da gennaio 2014 e composto da Defne Ayas (Direttrice del Witte de With – Center for Contemporary Art, Rotterdam), Ilaria Bonacossa (Direttrice del Museo di Villa Croce, Genova), Davide Quadrio (Direttore di Arthub Asia, Shanghai), Diego Sileo (Conservatore del PAC, Milano) e da Massimo Torrigiani (curatore ed editore, Milano), che ne coordina le attività.

GLITCH. Interferenze tra arte e cinema in Italia

PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano, fino al 6 gennaio 2015.

 

Barbara Izzo, Arianna Diana

Presentata la Stagione Sinfonica 2014-2015 del Teatro Carlo Felice

La Fondazione Teatro Carlo Felice ha presentato tutti gli appuntamenti della Stagione Sinfonica 2014–2015 con un prestigioso e dettagliato calendario.

Una stagione ricca di pagine esaltanti per le nostre compagini artistiche, dirette da bacchette di valore assoluto e con la partecipazione di grandi solisti, con novità e particolarità che rendono unica l’offerta artistica di questo Cartellone.

Diciannove appuntamenti, all’interno dei quali spicca il ritorno del M° Fabio Luisi, direttore onorario del Teatro, che oltre a dirigere alcuni concerti della Stagione sarà anche il direttore del 54° Premio Paganini. Tra i solisti, alcuni nomi tra i più importanti del concertismo internazionale: i violinisti Salvatore Accardo e Viktoria Mullova, la violoncellista Natalia Gutman, il pianista Andrea Lucchesini.

Continuano i progetti culturali con le prolusioni per ogni Concerto, ad esclusione del Concerto di Capodanno, dell’Astana Ballet Gala e del Premio Paganini, organizzate la sera stessa del concerto, nel Foyer alle ore 19.00, incontri di presentazione del programma musicale a cura di musicologi o giornalisti.

Nell’ambito del Progetto di Educazione alla Musica rivolto agli Istituti scolastici di ogni ordine e grado, sono state previste prove generali aperte di alcuni concerti per gruppi di studenti con dispense didattiche di supporto per l’approfondimento del programma musicale. Incontri prima e dopo la prova con il Direttore d’orchestra e i solisti presenti.

In collaborazione con l’Associazione Amici del Carlo Felice e del Conservatorio N. Paganini viene organizzato il ciclo di incontri-conferenze La Storia della Sinfonia, per conoscere ed avvicinarsi ai grandi compositori di musica sinfonica, presso l’Auditorium Eugenio Montale alle ore 16.00 con il seguente calendario:

 

Il calendario – i titoli e i relatori

18 ottobre – LA SINFONIA TARDO ROMANTICA – Lorenzo Costa

29 novembre -JOSEPH ANTON BRUCKNER (I^) – Guendalina Cattaneo della Volta

6 dicembre – JOSEPH ANTON BRUCKNER (II^) – Guendalina Cattaneo della Volta

17 gennaio – GUSTAV MAHLER (I^) – Roberto Iovino

7 febbraio – GUSTAV MAHLER (II^) – Roberto Iovino

21 marzo – JEAN SIBELIUS – Lorenzo Costa

18 aprile – RICHARD STRAUSS – Lorenzo Costa

Di rilievo la nuova politica dei prezzi attraverso la campagna abbonamenti della Stagione Artistica 2014/2015.

In particolare quella Sinfonica prevede una consistente e allettante riduzione dei costi sia degli abbonamenti sia dei biglietti.

Un’attenzione particolare è stata data verso le proposte rivolte ai giovani che da un abbonamento pari a 190 euro a fronte di 18 appuntamenti (situazione della stagione scorsa) prevede quest’anno di poter ascoltare 19 concerti a 100 euro.

Sono stati ridotti anche i costi dei singoli biglietti: 25 euro (escluso Capodanno) e 10 euro per i giovani.

L’obiettivo fondamentale diventa avvicinare alla cultura musicale anche coloro che per motivi economici dovevano restarne esclusi.

 

STAGIONE SINFONICA 2014 – 2015

Venerdì 7 novembre 2014 ore 20.30

ANDREA BATTISTONI, direttore

KYOKO TAKEZAWA, violino

Musica di J. Sibelius, D.Šostakovič, L.van Beethoven

 

Giovedì 20 novembre 2014 ore 20.30

ANDREA BATTISTONI, direttore

CORINA BELCEA, violino

ANTOINE LEDERLIN, violoncello

MICHAIL LIFITS, pianoforte

Musica di L. van Beethoven, A. Honegger

 

Giovedì 27 novembre 2014 ore 20.30

STEFANO RANZANI, direttore

ANNA TIFU, violino

Musica di W. A. Mozart, L. van Beethoven

 

Sabato 13 dicembre 2014 ore 20.30

IGUDESMAN & JOO

A LITTLE SILENT NIGHT MUSIC

 

Giovedì 1 gennaio 2015 ore 16.00

FELIX KRIEGER, direttore

MICHAIL LIFITS, pianoforte

Musica di S. Rachmaninov, J. Strauss

 

Giovedì 8 gennaio 2015 ore 20.30

FABIO LUISI, direttore

SALVATORE ACCARDO, violino

Musica di L. van Beethoven, A. Bruckner

 

Domenica 11 gennaio 2015 ore 20.30

CARLO RIZZI, direttore

VERONIKA EBERLE , violino

Musica di S. Prokof’ev, L. van Beethoven

 

Giovedì 15 gennaio 2015 ore 20.30

CHRISTOPH POPPEN, direttore

SVIATOSLAV MOROZ, violino

NATALIA GUTMAN, violoncello

Musica di J. Brahms, L. van Beethoven

 

Venerdì 23 gennaio 2015 ore 20.30

ASTANA BALLET GALA

Musica di P.I. Čajkovskij, S. Prokof’ev, A. Borodin

 

Giovedì 5 febbraio 2015 ore 20.30

THOMAS RÖSNER, direttore

JOSHUA BELL, violino

Musica di M. Bruch, L. van Beethoven,

  1. Mendelssohn-Bartholdy

 

Venerdì 13 febbraio 2015 ore 20.30

STANISLAV KOCHANOVSKY, direttore

VIKTORIA MULLOVA, violino

Musica di J. Brahms, L. van Beethoven

 

Giovedì 26 febbraio 2015 ore 20.30

FABIO LUISI, direttore

SERGEJ KRYLOV, violino

Musica di N. Paganini, L. van Beethoven

 

Sabato 7 e Domenica 8 marzo 2015 ore 15.00

Finale 54° Premio Paganini

 

Sabato 28 marzo 2015 ore 20.30

MASCAGNI GALA

L’AMICO FRITZ in forma di concerto

ANDREA BATTISTONI, direttore

STEPHEN COSTELLO, tenore

AILYN PÉREZ, soprano

 

Giovedì 14 maggio 2015 ore 20.30

PHILIPPE AUGUIN, direttore

ANDREA LUCCHESINI, pianoforte

Musica di J. Brahms

 

Venerdì 29 maggio 2015 ore 20.30

DONATO RENZETTI, direttore

MASSIMILIANO DAMERINI, pianoforte

Musica di J. Brahms

 

Venerdì 5 giugno 2015 ore 20.30

YVES ABEL, direttore

Musica di J. Brahms

 

Venerdì 10 luglio 2015 ore 20.30

LÜ JIA, direttore

Musica di L. van Beethoven