Da Bach a Villa-Lobos

Mercoledì 31 maggio 2023 alle ore 20.00, nel Primo Foyer dell’Opera Carlo Felice, Andrea Bacchetti sarà protagonista del recital pianistico Da Bach a Villa-Lobos.

Il programma nasce inizialmente per la televisione, grazie alla collaborazione tra Andrea Bacchetti e Piero Chiambretti, con l’obiettivo di portare sul grande schermo una selezione di brani a comporre un vero e proprio percorso attraverso quattro secoli di musica per tastiera. In concerto al Carlo Felice, Bacchetti presenterà Da Bach a Villa-Lobos unendo all’esecuzione musicale un racconto dei brani volto a coinvolgere il pubblico anche attraverso la possibilità di dialogare con il maestro.

Il programma si apre con quattro preludi e fughe dal Clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach, del quale Bacchetti ha recentemente pubblicato un’integrale del secondo volume per l’etichetta discografica Arthaus Musik, riscuotendo grande successo dalla critica internazionale; si procede con la Sonata in do minore di Domenico Cimarosa e tre sonate inedite di Domenico Scarlatti, alle quali seguono alcuni tra i più celebri e amati brani del repertorio classico e romantico: la Fantasia in re minore K. 397 di Wolfgang Amadeus Mozart, l’Improvviso n. 2 op. 142 di Franz Schubert e la Consolazione n. 3 di Franz Liszt. In chiusura Notturno di Lili Boulanger, brano di rara esecuzione, The Little Shepherd e Jimbo’s Lullaby di Claude Debussy e O polichinelo di Heitor Villa-Lobos.

Nato a Genova nel 1977, ancora giovanissimo Andrea Bacchetti ha raccolto i consigli di Karajan, Magaloff, Berio, Horszowski, Siciliani. Debutta a undici anni a Milano nella Sala Verdi con i Solisti Veneti diretti da Claudio Scimone. Da allora suona più volte in rinomati Festival internazionali e presso prestigiosi centri musicali. In Italia è ospite delle maggiori orchestre ed enti lirici, e di tutte le più importanti associazioni concertistiche. All’estero ha lavorato con numerose orchestre, come Lucerne Festival Strings, Camerata Salzburg e Salzburg Chamber Soloists, RTVE Madrid, Sinfónica de Asturia, Oviedo, OSCYL, Valladolid; ORF Vienna, MDR Lipsia, Kyoto Symphony Orchestra, Sinfonica di Tenerife, SWKO Pforzheim, Filarmonica della Scala, OSI Lugano, Sinfonica del Estado de Mexico, RTL Lubiana, Cappella Istropolitana, Bratislava, Russian Chamber Philharmonic St. Petersburg, Dubrovnik Symphony Orchestra, Philharmonique de Nice et de Cannes, Prague Chamber Orchestra, Philharmonie der Nationen, Enescu Philharmonic di Bucarest, e con direttori come Bellugi, Guidarini, Venzago, Luisi, Zedda, Manacorda, Panni, Petitgirard, Buribayev, Pehlivanian, Grazioli, Sanguineti, Toyama, Urbansky, Gullberg Jensen, Nanut, Lü-Ja, Justus Frantz, Baumgartner, Valdes, Renes, Goldstein, Bender, Bisanti, Ceccato.

Incide per Sony Classical e fra la sua ampia discografia sono da ricordare il SACD con le sonate di Cherubini (Penguin Guide UK Rosette 2010) e The Scarlatti Restored Manuscript (RCA Red Seal) vincitore dell’ICMA 2014 nella categoria “Baroque Instrumental”. Di Bach pubblica Invenzioni e Sinfonie (CD del mese nel settembre 2009 per BBC Music Magazine), The Italian Bach (CD del mese nel maggio 2014 per Record Geijutsu) e Keyboard Concertos BWV 1052 – 1058 con l’Orchestra Nazionale della RAI (CD del mese nel maggio 2016 per Musica).

Si dedica con passione alla musica da camera; proficue le collaborazioni con partner come R. Filippini, Prazak Quartet, Maxence Larrieu, Quartetto d’Archi e Strumentisti della Scala, Quartetto di Cremona, Quatour Ysaye, Sestetto Stradivari dell’Accademia di Santa Cecilia, Antonella Ruggero. Diversi compositori, come Vacchi, Boccadoro e Del Corno, gli hanno dedicato brani. Nelle ultime stagioni ha tenuto concerti in Giappone, Spagna, Messico, Cuba, Corea, Svizzera, Polonia, Lussemburgo, Belgio, Russia, nella stagione in corso ha compiuto tournée in Sud Africa, Sud America, Germania, e sono previsti concerti in Spagna, Romania, Russia oltreché in Italia con i Virtuosi Italiani e la Sinfonica Abruzzese.

Per ulteriori informazioni: www.operacarlofelicegenova.it

Biglietti. Intero: 12,00 euro. Under 18: 7,00 euro

S.C.F. (anche per le fotografie)

In stile italiano. Stasera all’Opera Carlo Felice di Genova

Riccardo Minasi torna alla direzione dell’Orchestra dell’Opera Carlo Felice Genova con In stile italiano, un concerto dedicato a musiche di Schubert, Haydn, Beethoven e Mendelssohn. L’appuntamento si replica come ultima data stasera, domenica 21 maggio, alle ore 20.00 all’Opera Carlo Felice Genova.

Il programma si apre con l’Ouverture In stile italiano di Schubert. Quando fu composta, nel 1817, spopolavano a Vienna le opere di Rossini, che accendevano nella capitale austriaca un nuovo interesse per lo stile italiano. Proprio in questo contesto Schubert compose due ouverture, tra cui la D. 590 in re maggiore. L’Ouverture si apre con un Adagio molto lirico che dopo una breve transizione porta al fresco e brillante Allegro. In questa seconda sezione un tema è tratto da Tancredi di Rossini, con una citazione quasi letterale dell’aria “Di tanti palpiti”. Anche la chiusura, con diverse cadenze e arpeggi, rimanda alla stretta finale tipica dei lavori rossiniani.

Segue la Scena di Berenice “Berenice, che fai?” di Haydn, è stata composta a Londra nel 1795 con dedica a Brigitta Giorgi Banti, prima soprano dell’Opera Concert. Il testo, di carattere tragico, è tratto dall’Antigono di Metastasio. In questa cantata all’italiana emerge lo stile sinfonico di Haydn, e l’orchestra dialoga e partecipa attivamente al livello drammaturgico espresso dalla linea vocale.

Si prosegue con “Ah, perfido!”, scena e aria per soprano, che Beethoven compose in prima battuta per la contessa Josephine Clary, aristocratica e cantante dilettante. La destinazione era quindi quella di un contesto ristretto, salottiero. Nel 1796 tuttavia il compositore riprese e ampliò la stessa Scena e aria per Josepha Dusek, cantante rinomata soprattutto in ambito cameristico. Ora una vera e propria aria da concerto all’italiana, “Ah, perfido!” ha una scrittura quasi neoclassica, in cui si individuano diversi tratti di quel drammatismo musicale che sarà poi ampiamente sviluppato in Fidelio.

In chiusura la Sinfonia n. 4 Italiana di Mendelssohn, composta proprio durante un soggiorno italiano attorno al 1830/31. Il carattere è vivace, solare e cantabile, come appare subito evidente nell’Allegro iniziale. Lo stesso Andante, il movimento “meno italiano”, non cede alla malinconia, sfociando piuttosto in un atteggiamento lirico-sognante. Nel terzo movimento, simile al minuetto classico, con il protagonismo di corni e fagotti si rimanda ad un’atmosfera pastorale. Il vivace Saltarello finale è il riferimento più diretto alla cultura musicale italiana, in particolare alla musica popolare romana.

S.C.F.G.

Tosca al Carlo Felice di Genova

Il quinto titolo della Stagione Lirica 2022-2023 dell’Opera Carlo Felice Genova sarà Tosca, che andrà in scena con sei recite programmate tra il 24 febbraio e il 5 marzo 2023. Il celebre melodramma composto da Giacomo Puccini su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, tratto dal dramma La Tosca di Victorien Sardou, sarà diretto da Pier Giorgio Morandi che salirà sul podio dell’Orchestra, del Coro (Claudio Marino Moretti è il maestro del coro) e del Coro di voci bianche (Gino Tanasini è il maestro del coro di voci bianche) dell’Opera Carlo Felice Genova. L’allestimento di proprietà della Fondazione Teatro Carlo Felice porta la firma del regista Davide Livermore, che ha curato anche le scene e le luci, mentre i costumi sono di Gianluca Falaschi; la regia sarà ripresa nell’occasione da Alessandra Premoli. Nel cast ricordiamo la presenza di Maria José Siri/Monica Zanettin (Tosca), Riccardo Massi/Sergio Escobar (Mario Cavaradossi), Amartuvshin Enkhbat/Stefano Meo (Scarpia), Donghoo Kim (Angelotti), Matteo Peirone (Sagrestano), Manuel Pierattelli (Spoletta), Claudio Ottino (Sciarrone), Franco Rios Castro/Roberto Conti (Un carceriere). 

Redatto dai fidati collaboratori Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, il libretto di Tosca fu tratto dall’omonima pièce del celebre drammaturgo francese Victorien Sardou (Parigi 1887), che Giacomo Puccini ebbe l’occasione di veder interpretata da Sarah Bernardt a Milano e Torino nel febbraio e marzo del 1889. Il compositore toscano poté lavorare a Tosca tra l’estate 1895 e l’ottobre 1899; l’opera debuttò il 14 gennaio 1900 al Teatro Costanzi di Roma. Da allora, la struggente vicenda d’amore e morte di Floria Tosca e Mario Cavaradossi, mirabilmente intrecciata nel contesto politico tardo settecentesco della restaurazione papale, rappresenta uno dei più grandi successi operistici di sempre. Tosca, certamente uno dei titoli del repertorio lirico più amati dal grande pubblico, non fu però accolta altrettanto benevolmente da una parte della critica che ne considerò invece con sospetto il carattere di dramma ‘a forti tinte’, intessuto d’azioni e passioni estreme: amore e gelosia, gioia e prostrazione, commozione e cinismo, tenerezza idilliaca e truce violenza. In verità l’accusa che tuttora più spesso si sente muovere a Tosca – l’essere costantemente esposta al rischio di scadere nel kitsch – è parziale: essa verte solo intorno a taluni aspetti della vicenda e non tiene conto del fatto che, oggi come ieri, questa presenta contenuti non propriamente banali o scontati, come l’equivalenza tra fede bigotta e ipocrisia, potere politico e corruzione.

Muovendo inoltre dall’ovvio assunto che un’opera è non solo un libretto, ma anche e soprattutto una partitura, bisognerebbe saper riconoscere la dirompente e formidabile energia drammatica posseduta dalla musica di Tosca. In essa l’obiettivo di una capillare aderenza all’azione appare assolutamente centrato e la creatività di Puccini – alla ricerca, dopo l’intimismo della Bohème, di nuovi soggetti e nuove situazioni drammatiche – poté conseguire ulteriori traguardi nel coniugare suggestioni desunte dall’opera verista ad un’interpretazione del soggetto storico in chiave realistica. Sul piano musicale ciò dischiuse possibilità d’invenzione inedite che spaziano dal recupero della modalità alla sperimentazione di regimi stilistici radicalmente alternativi a quelli tradizionali, di norma associati dalla musicologia a nomi quali Schoenberg, Stravinskij e Debussy. Proprio l’intensa ammirazione provata per Tosca da compositori quali Arnold Schoenberg e Alban Berg dovrebbe indurre alla riflessione e spingere a considerare l’opera in una prospettiva radicalmente diversa, quella prospettiva che additava Fedele D’Amico: «SalomeElektraWozzeck: si dovrà ben trovare il coraggio, un giorno o l’altro, di nominare Tosca nella lista; cronologicamente verrebbe al primo posto».

U.S. (anche per le fotografie)

Die Fledermaus

La divertente operetta di Johann Strauss II nel nuovo allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova in coproduzione con la Fondazione Teatro Comunale di Bologna, ha felicemente debuttato il 31 dicembre scorso, con replica altrettanto applaudita il primo gennaio. Le prossime repliche saranno sabato 7 e domenica 8 gennaio alle ore 15, e martedì e mercoledì 10 e 11 gennaio alle ore 20.

In tre atti, l’operetta Die Fledermaus (Il pipistrello) venne rappresentata la prima volta al Theatre an der Wien di Vienna il 5 aprile 1874 e vede come protagonisti il banchiere Gabriel von Eisentstein, sua moglie Rosalinde e la sua cameriera Adele, Ida sorella di Adele, il principe Orlovskij, il direttore della prigione Frank e la guardia carceraria Frosch, Alfred, il dottor Falke, oltre che varie maschere, servi, ballerini, signori e signore. L’orchestra del Teatro Carlo Felice, diretta da Fabio Luisi, è stata strepitosa nell’interpretare le belle musiche di Strauss, tra le quali alcune molto note anche al pubblico meno frequentante il teatro. L’azione si svolge in una località balneare nei pressi di una grande città nell’ultimo terzo del XIX secolo, e il regista Cesare Lievi ha optato per una scenografia semplice ed efficace, non priva di interessanti spunti capaci di sorprendere gli spettatori. Le linee pulite della scena che contraddistinguono spesso i lavori firmati da Lievi (scene e costumi di Luigi Perego), sono avvalorate da uno struzzo che percorre il palcoscenico venendo ad un certo punto “spennato” e tramutato, almeno parzialmente, in eleganti ventagli da parte di tutti gli interessati alla scena, vestiti elegantemente ma con estro moderno, mentre alcune comparse si muovono come tecnici luci e come spalla di una commedia che diventa esilarante. Lo stesso dicasi per le grandi gabbie della prigione, oppure per i sobri mobili che lasciano lo spazio a imponenti idee di saloni per le danze e per la festa voluta dall’annoiato principe Orlovskij. Molto bella e azzeccata la parte comica della guardia interpretata dall’attore Ugo Samel, mentre Rosalinde (Valentina Farcas) è davvero molto brava a mantenere un’azione interessante, mettendo in luce le sue ottime qualità canore. Si tratta della solita commedia degli equivoci, resa affascinante dalla musica operettistica e dalle belle voci, trascinati dalle arie di Strauss e da un vortice di eventi che vanno seguiti da presso per non perdere il filo, grazie anche alla recitazione in tedesco, pur se coadiuvata dalle simultanee e scritte traduzioni principali in italiano.

Von Eisentstein (Simon Schorr) tre anni prima degli eventi narrati, aveva partecipato ad un ballo in maschera vestito da farfalla, assieme all’amico Falke (Liviu Holender) vestito da pipistrello. Complice l’ubriacatura e la voglia di burlarsi dell’amico, il banchiere lo abbandona addormentato in un bosco, costringendolo ad attraversare la città vestito da pipistrello l’indomani mattina, al suo risveglio. Quindi è arrivato il momento di vendetta di Falke che riesce a fare mascherare un po’ tutti allo scopo di burlarsi a sua volta di Gabriel. La cameriera di Rosalinde Adele (Julia Knecht) parteciperà al ballo dal principe Orlofsky (Caterina Piva) invitata dalla sorella Ida (Alena Sautier) camuffata da attrice dopo essersi appropriata di un abito della sua padrona e averla supplicata di darle la serata libera per poter assistere una zia morente. La menzogna viene smascherata dal suo padrone che però non può tradirla, dato che anche lui è andato al ballo di nascosto dalla moglie, in cerca di qualche compagnia femminile, utilizzando la solita finta promessa di regalare un orologio da tasca. Gabriel, a sua volta, avrebbe dovuto andare in carcere al quale era stato condannato a otto giorni, ma si lascia convincere dall’amico Falke di rimandare la sua carcerazione all’indomani. Al suo posto, il direttore del carcere Frank (Levent Bakirci) arresta Alfred (Enrico Casari) che si è introdotto in casa di Rosalinde assumendo le vesti del marito, dato che vuole corteggiare la bella donna che a fatica riesce a resistergli. Quando Frank lo arresta, non può dire la verità per non compromettere una donna sposata che, a quel punto, può andare alla festa del principe mascherata per osservare le gesta libertine del marito. Lei tuttavia è più scaltra e si impossessa dell’orologio dopo essere stata corteggiata dal marito stesso, ignaro della sua identità, conoscendola solo per la mascherata contessa ungherese. Tutto si mescola tra danze e ampie bevute di champagne, fino a quando non arriva la chiusa con chiarimenti e smascheramenti che mettono in luce di ciascuno le vere identità, sia in senso stretto che in senso figurato. Se von Eisentstein chiede vendetta perché pensa di essere stato tradito, ha ben da farsi perdonare per essere stato scoperto dalla moglie, mentre Adele capisce che il suo destino è diventare attrice, data la sua disinvoltura a fingersi chi non era. Falke ha la sua vendetta e si capacita di farsi scoprire dall’amico, affinché non si ripeta un tradimento come quello che l’aveva visto svolazzare come pipistrello per la città.

Insomma un aroma da “molto rumore per nulla”, mentre il pubblico è divertito e convinto da un lavoro ben fatto, molto ben cantato e recitato, e con una regia capace di farlo apprezzare anche un secolo e mezzo dopo. Eccellente l’orchestra dalla direzione impeccabile.

Uno spettacolo da non perdere!

Alessia Biasiolo

Die Fledermaus

Il terzo titolo della Stagione Lirica 2022-2023 dell’Opera Carlo Felice Genova sarà Die Fledermaus (Il pipistrello), che andrà in scena con sei recite programmate tra il 31 dicembre 2022 e l’11 gennaio 2023. La fortunata operetta, composta da Johann Strauss II su libretto di Carl Haffner e Richard Genée tratto da Le révellion di Henri Meilhac e Ludovic Halévy, sarà diretta da Fabio Luisi, direttore onorario del teatro, che ritorna a dirigere al Carlo Felice il repertorio operistico dopo gli appuntamenti concertistici delle scorse stagioni. Il nuovo allestimento, realizzato in coproduzione con la Fondazione Teatro Comunale di Bologna, porta la firma del regista Cesare Lievi, che si è avvalso della collaborazione di Luigi Perego per quanto concerne le scene e i costumi e di Luigi Saccomandi per le luci. Nel cast ricordiamo la presenza di Bo Skovhus/Thomas Johannes Mayer (Gabriel von Eisentstein), Valentina Nafornita/Valentina Farcas (Rosalinde), Levent Bakirci (Frank), Deniz Uzun/Caterina Piva (Prinz Orlofsky), Bernhard Berchtold/Enrico Casari (Alfred), Liviu Holender (Dr. Falke), Benedikt Kobel (Dr. Blind), Danae Kontora/Julia Knecht (Adele), Alena Sautier (Ida), Udo Samel (Frosch). 

In molte occasioni è stato notato come la definizione di “operetta” sia effettivamente riduttiva per Die Fledermaus. Questa celebre composizione di Johann Strauss II va infatti ben oltre la tipologia di riferimento del genere: la partitura è estremamente ricca di stimoli e suggestioni e presenta parti di notevole difficoltà per gli artisti protagonisti. Johann Strauss II, il più noto e prolifico dei figli del “Padre del valzer”, crea un vero gioiello, un capolavoro del teatro musicale di tutti i tempi, nel quale si fondono mirabilmente brio, malizia, leggerezza, affascinanti melodie, la parodia dell’opera “seria”, la danza, l’eleganza e l’umorismo, ma nel quale non mancano anche spunti per una riflessione lucida sull’umanità, su ciò che siamo, su quello che ci fa paura e su quello che non vorremmo affrontare. Strauss traduce la leggerezza e il disincanto della vicenda in un fantasmagorico montaggio di elementi eterogenei. Il cuore pulsante del Pipistrello batte a ritmo ternario di valzer ma il potpourri musicale creato dal compositore prevede anche polke, arie che fanno il verso all’opera italiana, citazioni dei brani più conosciuti del momento (le operette di Offenbach) e brani folcloristici, come la scoppiettante csárdás intonata da Rosalinde alla festa. 

Il pipistello durerà circa tre ore.

La Redazione

Mozart l’italiano al Carlo Felice di Genova

Al Teatro Carlo Felice di Genova, stasera alle ore 20, il concerto sinfonico “Mozart l’italiano” con il seguente programma:

WOLFGANG AMADEUS MOZART
La Clemenza di Tito K. 621: Ouverture

WOLFGANG AMADEUS MOZART 
La Clemenza di Tito K. 621: “Parto, ma tu ben mio”

WOLFGANG AMADEUS MOZART  
Sinfonia n. 23 in re maggiore K. 181

WOLFGANG AMADEUS MOZART 
Recitativo e aria in mi bemolle maggiore K. 505:
“Ch’io mi scordi di te?… Non temere amato bene”

GIOACHINO ROSSINI
Il barbiere di Siviglia: Sinfonia

GIOACHINO ROSSINI
Il barbiere di Siviglia: Temporale

GIOACHINO ROSSINI
Il barbiere di Siviglia: “Ma forse, ohimè… Ah, se è ver che in tal momento

WOLFGANG AMADEUS MOZART

Sinfonia n. 31 in re maggiore Paris K. 297

Direttore Diego Fasolis Orchestra dell’Opera Carlo Felice Genova. Mezzosoprano Lucia Cirillo

Verso Berio 100

Due autori distanti nel tempo e nello spazio quanto Robert Schumann e Luciano Berio, un’unica fonte di ispirazione: gli autografi delle ultime sinfonie, la “Grande” e l’incompleta Decima di Franz Schubert. In Schumann, lunedì 25 aprile alle ore 20.00, al Teatro Carlo Felice di Genova, Fabio Luisi, direttore onorario del Teatro sul podio dell’Orchestra del Teatro Carlo Felice conduce alla scoperta dei sottili, reconditi legami tra un gigante della tradizione sinfonica europea del Romanticismo, come Robert Schumann, e uno dei massimi rappresentanti italiani della scena musicale post avanguardistica mondiale, fautore di una rivoluzione linguistica, poetica, sonora che giunge sino ai nostri giorni, qual è Luciano Berio, tra le massime espressioni di una civiltà musicale che affonda le sue radici in Liguria e che la Fondazione Teatro Carlo Felice desidera riscostruire e celebrare con nuove produzioni concertistiche e operistiche.

In programma, la Sinfonia n. 4 in re minore, op.120 di Robert Schumann e Rendering di Luciano Berio, la cui esecuzione segna l’avvio del percorso concertistico Verso Berio 100, dedicato dalla Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova in collaborazione con il Centro Studi Luciano Berio all’esplorazione del corpus strumentale per orchestra e operistico del compositore originario di Oneglia, che culminerà nel 2025, anno del centesimo anniversario della sua nascita.

Il concerto, che si tiene nel giorno della 77° ricorrenza della Festa della Liberazione sarà preceduto alle ore 19.45 da una breve esibizione introduttiva del Coro accademico nazionale ucraino G. Veryovka, diretto da Igor Kuriliv, con sede a Kiev. La compagine sarà protagonista di un concerto dedicato, mercoledì 27 aprile alle ore 19.45 al Teatro Carlo Felice, il cui incasso sarà interamente devoluto a sostegno della popolazione ucraina. Il concerto, promosso dalla Regione Liguria e dal Comune di Genova, in collaborazione con il Teatro Carlo Felice, segnerà la prima data di una tournée nazionale.

Luciano Berio compone la “sinfonia” in tre movimenti (Allegro, Andante, Allegro), Rendering, in omaggio a Franz Schubert tra il 1989 e il 1990, per la Royal Concertgebouw Orchestra di Amsterdam, sulla base degli appunti che il compositore viennese andava accumulando nelle ultime settimane della sua vita in vista di una Decima Sinfonia in re maggiore (D. 936 A). Usando l’organico orchestrale dell’Incompiuta e cercando di salvaguardare, in alcune sue parti, un colore schubertiano, Berio restaura la frammentaria partitura, non la ricostruisce, seguendo “nello spirito, quei moderni criteri di restauro che si pongono il problema di riaccendere i vecchi colori senza però celare i danni del tempo e gli inevitabili vuoti creatisi nella composizione (com’è il caso di Giotto ad Assisi)”, come spiega egli stesso sue note. E così, nei vuoti tra uno schizzo, di ispirazione mendelssohniana e altre parti che “sembrano abitate dallo spirito di Mahler”, inserisce un tessuto connettivo sempre diverso e cangiante, sempre pianissimo e «lontano», intessuto di reminiscenze dell’ultimo Schubert, e attraversato da riflessioni polifoniche condotte su frammenti di quegli stessi schizzi, che comprendono molte parti di grande estro contrappuntistico, segnalando i suoi interventi attraverso l’uso di suoni particolari, come quello della celesta.

La Sinfonia n. 4 in re minore op.120 fu scritta da Robert Schumann sull’onda della scoperta dell’autografo di una sinfonia in do maggiore di Franz Schubert, da lui ritrovato nel 1839 tra le partiture incluse nel lascito del compositore viennese, finito in possesso del fratello Ferdinand, anch’egli compositore. Entusiasta dell’ultima e più grande delle sinfonie di Schubert, Schumann ne sottolineò a suo tempo “la completa indipendenza da Beethoven”, così come fece nelle sue note su Rendering Luciano Berio, secoli dopo. L’opera fu composta durante l’estate del 1841, sull’onda dell’impulso grazie a cui vennero alla luce nel gennaio dello stesso anno la Prima Sinfonia e, appena dieci giorni prima, la Fantasia per pianoforte e orchestra (partitura che confluirà nel Concerto per pianoforte op.54) oltre agli abbozzi di una terza sinfonia, quella in do minore. Il modesto esito della sua prima, il 6 dicembre al Gewandhaus di Lipsia e l’insoddisfazione dell’autore fecero sì che la partitura, pronta alla stampa, fosse ritirata. L’opera venne drasticamente revisionata soltanto nel 1851 per essere data alla stampa nella forma definitiva nel 1853.  Per un compositore il cui mondo poetico era stato fino ad allora così fortemente legato alle forme miniaturistiche e ai contesti formali “liberi”, di ispirazione poetica, la sontuosa Quarta Sinfonia rappresenta una svolta senza precedenti, con l’adozione di un’unica tonalità cioè il re, maggiore o minore, che rimane sostanzialmente immutata fino alla fine, l’unità tematica, a partire da materiale derivante dai tre motivi presenti nell’introduzione, il suo sviluppo organico, in un unico flusso tematicamente interrelato in grado di sintonizzarsi con l’espressione dei più svariati e contrapposti stati emotivi, alla luce di un anelito mai sopito a rappresentare il mondo dei sentimenti in forma fantastica e musicale: dall’inquietudine, nel primo movimento (Moderatamente lento, vivace) alla struggente espressività, nella Romanza (Moderatamente lento), alla vigorosa passionalità, nello Scherzo (Vivace), alla contemplazione idilliaca, nel Trio fino alla trascinante esultanza, nel finale (Lento, vivace, più presto).

Teatro Carlo Felice, venerdì 22 aprile 2022, ore 20.00

Programma

Schumann

LUCIANO BERIO (Imperia, 24 ottobre 1925 – Roma, 27 maggio 2003)

Rendering

Verso Berio 100

ROBERT SCHUMANN   (Zwickau, 8 giugno 1810 – Endenich, 29 luglio 1856)    

Sinfonia n. 4 in re minore op. 120
Fabio Luisi, direttore
Orchestra del Teatro Carlo Felice

Nicoletta Tassan Solet

Alle Psallite (cum luya!). Tra sacro e profano dal medioevo al jazz

Il concerto di Pasqua interpretato dal Coro di voci bianche del Teatro Carlo Felice di Genova, in programma sabato 9 aprile 2022 alle ore 20.00, al Teatro Carlo Felice è incentrato sul repertorio sacro, spaziando dal medioevo al jazz, a testimonianza di quanto la finalità religiosa abbia costituito una forte motivazione per molti compositori.

Il titolo è tratto da un mottetto di autore anonimo, risalente alla fine del XIII secolo, costruito sulla parola Alleluya. Questo termine è un’esortazione antica che in ebraico significa  “preghiamo/lodiamo” ed alla quale si abbina anche un senso di gioia, la gioia di stare insieme. In questo senso il mottetto presente nel Montpellier Codex diventa la testimonianza di un ulteriore modo di vivere la gioia grazie anche al gioco dell’invenzione che, per via di graduali manipolazioni letterali, permette amplificazioni musicali: è la tecnica del “tropare”, ovvero interpolare testi vecchi e nuovi con lo scopo di ampliare il gesto musicale che sottende la parte poetica.

Il programma della serata prevede anche l’esecuzione della sequenza di Pasqua Victimae paschali laudes. Si racconta che la celebre e intensa melodia gregoriana fosse particolarmente cara a Giuseppe Verdi, che aveva in più occasioni mani-festato, in virtù della forza drammatica contenuta nel canto, l’idea di poter cedere la paternità di tutta la sua produzione in cambio di questa sequenza risalente all’XI secolo. Questo genere di canto liturgico, benché scritto in stile monodico era spesso eseguito con armonizzazioni polifoniche. Ne danno testimonianza diverse fonti, tra le quali i codici conservati nell’abazia di San Marziale di Limoges, ai quali si fa riferimento quando si cita la cosiddetta polifonia Aquitana, pratica esecutiva cui l’armonizzazione proposta fa riferimento.


Il programma procede con l’esecuzione del Magnificat che Franz Liszt scrisse a compimento
della sua Dante-Symphonie (1857) qui proposto nella trascrizione dello stesso compositore per canto e pianoforte. Quando nel 1857 Liszt suonò la Dante  Symphonie a casa di Richard Wagner, al quale la partitura è dedicata, quest’ultimo si dimostrò scettico proprio riguardo il finale, in quanto fortissimo e potente, e dunque non adatto all’idea di Paradiso. Così Liszt, in un primo momento, eliminò il finale fermandosi al secondo movimento dedicato al Purgatorio. Poi, su spinta della principessa polacca Carolyne zu Sayn-Wittgenstein, rimise mano alla partitura decidendo di aggiungere come terzo movimento questo delicato e luminoso Magnificat intonato dal coro di voci bianche, che si spinge fino all’armonizzazione a quattro parti.

La musica permette all’uditorio di compiere salti  temporali  inusitati,  il  programma  passa  dal Medioevo  all’epoca  Romantica,  alle  atmosfere jazzate del ‘900 nel giro di qualche manciata di minuti. Infatti, il Coro delle voci bianche eseguirà la A  Little  Jazz  Mass di Bob Chilcott. Si tratta di una  missa  brevis  (le  tradizionali  cinque  parti dell’ordinario  Kyrie/Gloria/Sanctus/Benedictus/Agnus Dei, senza il Credo) in cui il compositore, attingendo agli stilemi propri del jazz, della black music, dello swing e del blues, riesce a interpretare in modo originale l’afflato religioso del testo liturgico.  Bob  Chilcott,  compositore,  direttore e cantore britannico, presentò questa partitura per la prima volta nel 2004 per il Crescent City Choral Festival di New Orleans, ottenendo un significativo successo.

Altri brani sacri molto noti seguiranno nel programma: la conosciutissima Ave Verum Corpus KV 618 in re maggiore e, ancora del Salisburghese, l’Alleluja a canone KV 553 in una versione appositamente preparata dal coro.

Il concerto prevede infine l’esecuzione di Preferisco il Paradiso che il compositore Marco Frisina nel 2010 introdusse all’interno della colonna sonora della fiction italiana omonima interpretata da Gigi Proietti: un gioioso crescendo in musica. E un tributo a Fabrizio De André e al suo brano Spiritual, dall’album d’esordio Vol. 1° del 1967. Il Coro delle voci bianche ne propone una versione adattata all’organico nella quale si ripercorre un tema caro al cantautore genovese, ovvero l’umanità smarrita che si rivolge direttamente a Dio dando voce alle proprie fragilità ed aspettative.

PROGRAMMA

Teatro Carlo Felice di Genova sabato 9 aprile 2022, ore 20.00

GREGORIANO Victimae paschali laudes, sequenza

FRANZ LISZT Dante Symphonie: Magnificat 

BOB CHILCOTT A Little Jazz Mass

ANONIMO Codice di Montpellier: Alle psallite cum luya

WOLFGANG AMADEUS MOZART Alleluja KV 533  

ANONIMO Deus te salvet Maria, adattamento di Gino Tanasini

WOLFGANG AMADEUS MOZART Ave Verum Corpus KV 618

MARCO FRISINA Preferisco il Paradiso

FABRIZIO DE ANDRÉ Spiritual

RICHARD RODGERS e OSCAR HAMMERSTEIN The sound of music: Do re mi

JOHN WILLIAMS Double Trouble

Gino Tanasini, direttore

Enrico Grillotti, pianoforte

Coro di voci bianche del Teatro Carlo Felice

Prezzo del biglietto: 5 euro, prezzo unico, con posto assegnato

Nicoletta Tassan Solet

Manon Lescaut a Genova

Ritorna in scena al Teatro Carlo Felice di Genova dopo 14 anni di assenza, in un nuovo allestimento realizzato in coproduzione tra Fondazione Teatro Carlo Felice, Teatro San Carlo Napoli, Teatro Liceu Barcellona, Palau de les Arts Reina Sofía Valencia il dramma lirico in quattro atti Manon Lescaut di Giacomo Puccini, su libretto di Domenico Oliva e Luigi Illica. La produzione che debutta venerdì 25 marzo 2022 alle ore 20.00 (repliche il sabato 26, domenica 27 marzo e venerdì 1, sabato 2, domenica 3 aprile) è dedicata alla memoria del grande soprano pesarese Renata Tebaldi, nel 1961 protagonista di una Manon Lescaut al Teatro Margherita di Genova entrata nella leggenda, in occasione del centenario della sua nascita.

Donato Renzetti dirige l’Orchestra e del Coro del Teatro Carlo Felice, preparato da Francesco Aliberti, la regia è di Davide Livermore, ripresa da Alessandra Premoli, con le scene di Giò Forma e Davide Livermore, i costumi di Giusi Giustino, le luci di Nicolas Bovey e il videodesign di D – Wok. Il cast si compone di Maria Josè Siri/Monica Zanettin (26/3 – 2/4) nella parte di Manon Lescaut, Marcelo Álvarez/Riccardo Massi (27/3 – 3/4)/Francesco Pio Galasso (26/3 – 2/4) nella parte di Renato Des Grieux, Stefano Antonucci/Enrico Marabelli (26/3 – 2/4) nella parte di Lescaut,  Matteo Peirone nella parte di Geronte di Ravoir, Giuseppe Infantino nella parte di Edmondo e di Claudio Ottino (L’oste), Didier Pieri (Il maestro di ballo e Il lampionaio), Sandra Pastrana (Il musico), Matteo Armanino (Il sergente degli arcieri), Loris Purpura (Un Comandante di marina).

Il debutto dell’opera è preceduto da due conferenza illustrative a ingresso libero, in programma sabato 19 marzo alle ore 16.00 all’Auditorium Montale, Manon Lescaut. Opera di passione e melodia,  a cura di Roberto Iovino, realizzata in collaborazione con Amici del Teatro Carlo Felice e del Conservatorio Niccolò Paganini e mercoledì 23 marzo, alle ore 17.45, nel I Foyer del Teatro Mi chiamano Manon. Il primo, grande personaggio pucciniano, a cura di Ida Merello, docente di Letteratura e cultura francese e Davide Mingozzi, dottore di ricerca in Arti visive, performative e mediali, realizzata in collaborazione con la Scuola di Scienze Umanistiche presieduta da Raffaele Mellace dell’Università degli Studi di Genova.

Al Teatro Regio di Torino, il 1 febbraio 1893, otto giorni prima del debutto di Falstaff alla Scala, Puccini raggiungeva il suo primo successo con Manon Lescaut. La scelta del tema era un rischio, dato che il fortunato romanzo dell’abate Prévost era già stato trasformato in opera da Massenet, con successo, nove anni prima. Ma il trentacinquenne Puccini era già pienamente consapevole del suo talento e non temeva il confronto: «Massenet lo sente da francese – disse a proposito del soggetto –, con la cipria e i minuetti, io lo sento da italiano, con passione disperata». E i fatti gli diedero ragione. L’anno dopo Manon trionfò anche al Covent Garden di Londra e, recensendola, George Bernard Shaw scrisse, con giudizio profetico: «Puccini mi sembra che, più di qualsiasi altro suo rivale, sia il più probabile erede di Verdi». Questa Manon, per la regia di Davide Livermore, parlerà soprattutto al pubblico di oggi, spingendoci a pensare e a riflettere sulla contemporaneità: qui Manon infatti, è un’emarginata, una migrante tra tanti emigranti europei faticosamente approdati nel Nuovo Mondo, che non ce la farà. Avvolta in un gigantesco flash back, l’opera inizia con la rievocazione di Des Grieux, anziano, nel 1954,  dell’appassionata e al tempo stesso maledetta storia d’amore che l’ha condotto a fuggire in America, a seguito dell’amata deportata, là dove la storia di Manon finisce, “in una landa desolata ai confini con New Orleans”, che con Livermore diventa il reparto quarantene di Ellis Island, alle porte di New York, nel centro di smistamento degli immigrati in arrivo dall’Europa.

«Dopo 14 anni di assenza, il primo grande successo di Puccini torna al Teatro Carlo Felice e dedica il suo debutto alla memoria del grande soprano Renata Tebaldi protagonista, nel 1961 al Teatro Margherita, di una leggendaria Manon Lescaut – commenta l’assessore alle Politiche culturali del Comune di Genova Barbara Grosso – Un’altra grande opera va ad aggiungersi a questa stagione del Teatro Carlo Felice, che si rivolge alla città con un cartellone diversificato, di grande impatto e di sicuro successo tra un pubblico vasto».

«Ospitare nei più importanti titoli della storia dell’opera, come in questa drammaticamente attuale Manon Lescaut, i più grandi interpreti vocali della scena internazionale –  afferma il Sovrintendente Claudio Orazi –  tra cui Maria José Siri e Marcelo Álvarez, con la direzione di Donato Renzetti, direttore emerito del Teatro Carlo Felice, per la regia di Davide Livermore ripresa da Alessandra Premoli, è una parte fondamentale della mission della Fondazione in particolar modo quest’anno, in questa fase di progressivo ritorno alla normalità. Il Teatro Carlo Felice ha riaperto le sue porte alla città con un cartellone che accosta capolavori di Donizetti, Puccini, Verdi ad alcune perle nascoste nelle pieghe della storia, dal Settecento di Pergolesi al Novecento di Bernstein, e della Civiltà musicale genovese, rivolgendosi in particolare alle nuove generazioni di spettatori che, grazie all’iniziativa Studenti all’Opera, realizzata con il sostegno di Iren, possono beneficiare gratuitamente di un abbonamento alla nostra stagione. È doveroso che l’educazione al bello, in un paese come il nostro, passi dalla trasmissione e quindi dall’appropriazione da parte dei giovani del linguaggio dell’opera lirica, una forma d’arte dal vivo unica, in cui si compie una summa della tradizione poetica classica e della tradizione musicale italiana ed europea in particolare, ed è compito del Teatri d’opera agevolare tale forma di conoscenza assieme alla consapevolezza dell’importanza di questo genere nel Patrimonio culturale dell’umanità ».

«Manon Lescaut è il primo grande successo di Puccini. È l’opera in cui, dopo l’iniziale prevalenza delle dimensioni del denaro e del potere, l’amore prevale e trionfa, anche se finisce tragicamente, racconta il direttore Donato Renzetti. È un’opera attualissima, perché in effetti non è cambiato molto dall’epoca della vicenda: oggi come allora chi ha il potere domina e lo usa il più delle volte per esaltare il proprio ego. E col potere vi è il denaro, con cui si pensa di poter comprare tutto, di risolvere tutto. Sul piano drammaturgico, Manon Lescaut differisce in particolare per la definizione del ruolo di uno dei protagonisti, Des Grieux, sia dal romanzo di Prévost, che ne L’histoire du Chevalier des Grieux et de Manon Lescaut è un uomo tormentato, corrotto, sia dall’opera di Massenet, Manon, dov’è un timido ragazzo innamorato. In Puccini, è un uomo adulto e passionale. Sul piano musicale, Puccini modificò la partitura a più riprese, tanto è vero che per trent’anni dopo il debutto dell’opera fino a poco prima della morte, l’editore Ricordi ne pubblicò otto diverse versioni per canto e pianoforte. I tempi lunghi della composizione dell’opera sono frutto dello studio del romanzo intrapreso da Puccini, oltre che delle numerose revisioni cui fu sottoposto il libretto, che condussero Puccini alla conclusione di dover eliminare del tutto il suo secondo atto (ritraente l’idillio di coppia di Manon e Des Grieux): quindi in fondo, il vero librettista di Manon Lescaut, dopo gli interventi di Ruggero Leoncavallo, Marco Praga, Domenico Oliva, Luigi Illica, Giuseppe Giacosa, Giulio Ricordi è lo stesso Puccini. La musica di Manon Lescaut è caratterizzata da un’orchestrazione densa ma raffinata, dall’utilizzo di tecniche antiche, come nel caso del madrigale nel secondo atto, a evocare la società aristocratica settecentesca. Manon chiude così l’epoca del melodramma verdiano, ma allo stesso tempo il filo diretto che la unisce a Tosca lascia presagire l’ingresso del dramma lirico nel Novecento storico».

«Come tutte le partiture di Puccini, spiega il regista Davide Livermore, Manon Lescaut è difficilissima da ricondurre a un altro momento storico o ad un’altra geografia. Cionondimeno, ho sentito l’esigenza di rendere contemporanea una materia che a suo tempo lo era per come era stata scritta; ed è stata la partitura stessa in un certo senso a richiederlo e a suggerirlo. In Manon Lescaut, Puccini ambienta la morte della protagonista in un deserto in Louisiana che nella realtà non esiste. Mi piace pensare, data la conoscenza che Puccini aveva di quella terra, che in realtà questo sia stato il suo modo di invitarci ad una lettura più approfondita di questa scena, dove Manon muore “sola, perduta e abbandonata”, in uno stato di prostrazione morale che quella “landa desolata” vuole evocare. Di indurci a partire da questa pista per approfondirla, come se si trattasse di uno story board cinematografico. La storia di Manon è ambientata nel 1893, a pochi giorni dall’apertura della struttura di accoglienza per gli immigranti dello stato di New York: l’anno in cui l’opera di Puccini è stata scritta, quindi non nell’ambientazione settecentesca originaria. Ma l’inizio dell’opera avviene, come in un prologo, prima della musica, nell’ambientazione di un ipotetico sequel dell’opera, in un futuro possibile dove Des Grieux vive una delle vite che certamente avrebbe potuto vivere: siamo nel 1954 nella sala della quarantena di Ellis Island, Des Grieux è diventato americano, è ormai un uomo anziano, e nell’anno della chiusura del centro torna là dove Manon è morta, tra migliaia di altri emigranti europei –giovani e vecchi, uomini e donne, italiani, polacchi, irlandesi, ebrei: in una parola, noi – tra scene di disperazione meravigliosamente ricreate da Alessandra Premoli su di un mio disegno registico originale».

Mercoledì 23 marzo 2022, ore 17.45, I Foyer

Presentazione dell’Opera

In collaborazione con l’Università degli Studi di Genova, Scuola di Scienze Umanistiche

Mi chiamano Manon. Il primo, grande personaggio pucciniano

Relatori: Ida Merello, docente di Letteratura e cultura francese

Davide Mingozzi, dottore di ricerca in Arti visive, performative e mediali

Ingresso libero


Nicoletta Tassan S.

La serva padrona. Trouble in Tahiti

Debuttano in dittico al Teatro Carlo Felice di Genova venerdì 28 gennaio 2022 alle ore 20.00 Genova (con repliche il 29, 30 gennaio e 4, 5, 6 febbraio 2022) La serva padrona, intermezzo musicale in due parti di Giovanni Battista Pergolesi, su libretto di Gennarantonio Federico e Trouble in Tahiti, “one act opera in seven scenes” su musica e libretto di Leonard Bernstein. Le due brevi opere saranno rappresentate per la prima volta in assoluto sul palcoscenico del nuovo Teatro Carlo Felice di Genova. L’allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice, in prima rappresentazione teatrale, vede Alessandro Cadario alla testa dell’Orchestra del Teatro Carlo Felice, per la regia di Luca Micheletti, con le scene di Leila Fteita, le luci di Luciano Novelli. Il cast de La serva padrona si compone dello stesso Luca Micheletti (Uberto), Elisa Balbo (Serpina) e Giorgio Bongiovanni (Vespone), quello di Trouble in Tahiti di Luca Micheletti (Sam), Elisa Balbo (Dinah) e del Trio jazz formato da Melania Maggiore, Manuel Pierattelli, Andrea Porta.

«La programmazione del Teatro Carlo Felice prosegue con due brevi opere che, per la prima volta, arrivano sul palcoscenico del Teatro – commenta l’assessore alle Politiche culturali Barbara Grosso – l’opera buffa settecentesca La serva padrona di Giovanni Battista Pergolesi, andrà in scena in abbinamento con Trouble in Tahiti, opera di Leonard Bernstein che risale agli anni ’50 del secolo scorso: un accostamento tra generi differenti, che risulta quanto mai azzeccato e gradito a un pubblico vasto».

Il Sovrintendente Claudio Orazi spiega: «La serva padrona, gioiello di Giovanni Battista Pergolesi, è l’opera che segna la nascita del genere dell’opera buffa nel Settecento. In occasione della sua prima rappresentazione al nuovo Teatro Carlo Felice è significativamente stata abbinata, per la stessa mano registica di Luca Micheletti, acclamato sole poche settimane fa su questo stesso palco nella sua Vedova allegra, a Trouble in Tahiti, opera “dolceamara” di Leonard Bernstein, straordinario interprete e compositore che ha riportato il genere operistico a nuove vette di popolarità sul volgere degli anni ’50 del Novecento. I due titoli narrano di due storie d’amore dagli opposti destini, un happy ending, segnato dall’ascesa sociale della protagonista, nel primo caso e la caduta del velo di Maya sull’ipocrisia di un matrimonio borghese, nel secondo; ed è a maggior ragione per questo trovano una felice collocazione l’uno accanto all’altro. Il loro accostamento risulta vincente, in particolare in virtù di alcuni ingredienti comuni, iscritti nel patrimonio genetico dell’opera lirica d’ogni tempo: drammaturgie coinvolgenti, efficacissime, in grado di sollevare temi di grande attualità e interesse sociale, musica accattivante, l’alleanza tra il linguaggio della musica colta e una pronunciata vis melodica. I due capolavori dimostrano così quanto il passato, il presente e il futuro dell’opera siano tra loro vicini e contemporanei, alla portata di un pubblico quanto più eterogeneo possibile».

«Questi due atti unici, racconta Alessandro Cadario, pur esprimendosi con linguaggi  molto differenti, affondano le radici nello stesso terreno e si nutrono degli stessi archetipi musicali. La chiave di lettura è quindi la sensibilità alla parola cantata/recitata e alle sfumature psicologiche dei personaggi che la musica evoca e restituisce in maniera viva e toccante. Un teatro musicale che non è né moderno né antico e riesce a comunicare al di fuori delle categorie temporali. Per questo motivo ritengo importante, come cifra interpretativa, la massima attenzione alla proprietà stilistica al fine di lasciar vivere ogni linguaggio della sua propria natura espressiva e mi trovo particolarmente a mio agio nel lavorare in questa direzione perché le due partiture mi permettono di esprimere al meglio le diverse sfaccettature della mia personalità musicale».

Luca Micheletti ed Elisa Balbo

«Si tratta di un bel gioco di specchi, racconta Luca Micheletti, sia per la natura “giocosa” delle opere sia perché in questo spettacolo che affianca due coppie lontane nel tempo ma vicine nello spirito abbiamo per protagonista una terza coppia che si presta a rappresentarle entrambe. Essere in scena con mia moglie, Elisa Balbo – e aver ideato il progetto insieme a lei in tempo di lockdown – è sicuramente un valore aggiunto di questa operazione che finalmente incontra il pubblico dal vivo. L’idea alla base della mia regia è quella di assistere ad un viaggio nel tempo. E la macchina che lo consente è il teatro stesso. Dopo le schermaglie con apparente lieto fine nella Serva padrona, i due protagonisti si ritrovano nell’America di due secoli dopo, nel pieno di un’ennesima crisi di coppia. Una vicenda che Bernstein racconta da par suo, ispirandosi alla sua storia familiare. In Trouble in Tahiti, anche se Bernstein allude al genere dell’intermezzo, ne fa una citazione ironica e di fatto se ne distacca, soprattutto per il doppio fondo amaro che ci mette. Niente di troppo serio, diciamo uno spolvero di malinconia. Due capolavori che messi al fianco l’uno dell’altro brillano di una luce inedita: tante le somiglianze, ma anche le preziose differenze, che in questo allestimento vengono valorizzate dalla continua metamorfosi degli spazi, ma anche attraverso l’affiancamento di due diverse modalità di fruire del fatto musicale».

Ispirato alla commedia La serva padrona di Iacopo Angelo Nelli, del 1731, La serva padrona di Giovanni Battista Pergolesi fu rappresentato per la prima volta al teatro S. Bartolomeo di Napoli nel 1733 tra gli atti dell’opera Il prigioniero superbo. Universalmente riconosciuto come il capolavoro pergolesiano, l’intermezzo fu destinato a rivoluzionare l’intera tradizione del teatro in musica diventando ben presto un simbolo stesso dell’opera comica italiana, il cui potere deflagrò sull’intera tradizione lirica europea con la celebre Querelles des bouffons. La sua composizione risale al periodo dell’ingaggio di Pergolesi quale maestro di cappella (1732-34) del principe Ferdinando Colonna di Stigliano, a seguito della composizione della commedia musicale in dialetto napoletano, Lo frate ‘nnammorato (1732), che non raggiunse mai lo stesso livello di popolarità. Ne La serva padrona, la delicata e briosa struttura del disegno melodico, con motivi brevi ed immediati, la sorprendente varietà ritmica in mirabile equilibrio tra musica e parola, di apparente semplicità, sostiene il gioco sentimentale dei personaggi inseriti in una cornice quanto lieve e sottilmente delineata, e rappresentati dall’autore con una caratterizzazione psicologica di ineguagliata varietà di espressione, chiaramente ispirata alle maschere della Commedia dell’arte.

Stanco dei capricci e delle prepotenze di Serpina,  Uberto decide di ripristinare i giusti ruoli all’interno della casa fingendo di volersi sposare. La ragazza, ingelosita, annuncia a sua volta, con la complicità del servo Vespone, il suo matrimonio con il fantomatico capitan Tempesta, che minaccia il padrone: se non fornirà la dote dovuta, gli toccherà di sposarla lui stesso. Spinto un po’ dalla paura e un po’ dall’amore per Serpina, Uberto si lascia estorcere la promessa di matrimonio. La burla è poi svelata, ma ormai è tardi: e Serpina da serva diventa padrona.

Leonard Bernstein era in luna di miele nel 1951 quando iniziò a comporre Trouble in Tahiti, candido ritratto del travagliato matrimonio di una giovane coppia di periferia. Scritto tra i suoi più grandi successi di Broadway, On the Town del 1944, e Candide e West Side Story rispettivamente del 1956 e 1957, dal suo debutto nel 1952 al Festival of the Creative Arts della Brandeis University Trouble in Tahiti ha raggiunto le migliaia di rappresentazioni in tutto il mondo, tra cui 238 soltanto in occasione del centenario di Bernstein. La vicenda drammaturgica al centro dell’opera si ispira all’infelice vita coniugale dei genitori del compositore, ed è presaga del fallimento del matrimonio del compositore stesso, diviso tra le proprie inclinazioni omossessuali, i sentimenti e i doveri nei confronti della moglie e dei tre figli nati, il controllo sociale imperanti in quegli anni. Sul piano musicale l’opera attinge alla tradizione delle canzoni popolari americane del dopoguerra per offrire una critica senza compromessi del materialismo imperante. Dietro la discordia coniugale della coppia c’è un profondo desiderio di amore e intimità, assieme a un vuoto spirituale, in contrasto l’esibita patina di felicità. Il cuore del dramma  è enfatizzato da improvvisi cambiamenti stilistici nella musica, sottolineati in particolare dall’intervento del trio vocale jazz che, come una sorta di coro greco contemporaneo, contrappunta con i suoi commenti dissacranti l’idillio borghese in corso. L’opera, della durata di 45 minuti, porta la dedica all’amico Marc Blitzstein, che aveva guidato Bernstein alla scoperta del teatro musicale.

L’opera inizia con un trio vocale, una sorta di coro greco contemporaneo che fornisce commenti satirici al dramma, qui impegnato a decantare l’idilliaca vita borghese nei sobborghi degli anni ’50. Le loro strette armonie, i ritmi jazz e la rappresentazione idealizzata della vita americana evocano gli spot radiofonici dell’epoca. Il plot si concentra quindi sul conflitto domestico di Sam e Dinah, una giovane coppia che, in contrasto con l’immagine perfetta della vita suburbana dipinta dal Trio, è disperatamente infelice. La loro quotidianità è impietosamente descritta: Sam è un uomo d’affari di successo e Dinah è una casalinga frustrata. Discutono del figlio Junior, che non viene mai visto né sentito. Mentre la giornata continua, il competitivo e sicuro Sam mostra la sua abilità in ufficio e in palestra. Dinah visita il suo psichiatra e racconta un sogno di un bellissimo giardino irraggiungibile, poi trascorre il pomeriggio immersa in un film di evasione intitolato Trouble in Tahiti. Alla fine della giornata, profondamente consapevoli della loro infelicità, Sam e Dinah cercano di avere una discussione franca sulla loro relazione. Incapace di comunicare senza incolpare e discutere, Sam suggerisce di andare a vedere un nuovo film: Trouble in Tahiti

Teatro Carlo Felice di Genova

Venerdì 28 gennaio 2022 ore 20.00 Abb. Opera A

Sabato 29 gennaio 2022 ore 15.00 Abb. Opera F

Domenica 30 gennaio 2022 ore 15.00 Abb. Opera C

Venerdì 4 febbraio2022 ore 20.00 Abb. Opera B

Sabato 5 febbraio 2022 ore 20.00 Abb. Opera L

Domenica 6 Febbraio2022 ore 15.00 Abb. Opera R

La serva padrona

La serva padrona di Giovanni Battista Pergolesi. Intermezzo buffo in due parti su libretto di Gennarantonio Federico

Trouble in Tahiti di Leonard Bernstein. One-Act Opera in seven scenes

Nuovo allestimento in dittico della Fondazione Teatro Carlo Felice

Direttore musicale di palcoscenico Cristiano Del Monte, direttore allestimenti scenici Luciano Novelli, direttore di scena Alessandro Pastorino, vice direttore di scena Giorgio Agostini, maestri di sala Sirio Restani, Antonella Poli, altro maestro del coro Patrizia Priarone, maestri di palcoscenico Andrea Gastaldo, Anna Maria Pascarella, responsabile movimentazione consolle Andrea Musenich, caporeparto macchinisti Gianni Cois, caporeparto attrezzisti Tiziano Baradel, caporeparto audiovideo Valter Ivaldi, assistenti alla regia Francesco Martucci, Maria Grazia Stante, caporeparto sartoria, calzoleria, trucco e parrucche Elena Pirino, scene FM Scenografie e Teatro Carlo Felice, attrezzeria Rancati e Teatro Carlo Felice, costumi Compagnia Italiana della Moda e del Costume e Repertorio del Teatro Carlo Felice, parrucche Mario Audello (Torino), maschere Sartori, soprattitoli Prescott Studio.

Nicoletta Tassan Solet (anche per la fotografia)