Dopo la scolastica di stamattina, andrà in scena nuovamente stasera, alle ore 20.30, al Teatro Sociale di Brescia, lo spettacolo “Perlasca. Il coraggio di dire no”, di e con il sempre superlativo Alessandro Albertin, a cura di Michela Ottolini. Prenotato dal CTB nel 2018 perché fosse a Brescia proprio nella Giornata della Memoria 2020, Albertin non è nuovo in città, che l’ha ospitato ripetutamente sia al Teatro Santa Chiara-Mina Mezzadri, che poi al Sociale, dato il vasto consenso di pubblico. Impossibile non restare rapiti dalla capacità recitativa dell’attore, reso ancor più partecipe della toccante storia che racconta perché l’ha dedicata al padre, quando si è trovato nel cimitero di Maserà di Padova, lo stesso che custodisce il riposo eterno di Giorgio Perlasca, Giusto delle Nazioni. La dedica porta l’attore, e quindi ogni spettatore, nel profondo della propria coscienza, perché, al di là di una storia molto ben narrata, non si può non essere colpiti dai molti interrogativi che ciascuno, nel silenzio della sala, pone a se stesso. E se fosse toccato a me? E se fossi stato al suo posto? Mi sarei lasciato cogliere dallo sconforto? Sarei partito per tornare in Italia? in quale Italia, poi, all’indomani dell’8 settembre 1943? Ciò che indubbiamente più colpisce del lavoro teatrale “Perlasca”, e di conseguenza della biografia del “vero” Perlasca, è che ogni parola, ogni immedesimazione di Albertin in un personaggio, sono seguiti da centinaia di persone, e di ragazzi nelle scolastiche, in un silenzio irreale. Non è un silenzio attento, né un silenzio rapito. È come se l’attore fosse davvero solo in scena, nel suo monologo che porta a vedere con gli occhi del cuore ciascuna scena che non c’è sul fondale, ma che egli ben rende, tra il nero di due cubi-sedia, il nero del suo vestire, il nero di una storia che solo il coraggio di un uomo ha illuminato, salvando la vita a migliaia di ebrei dal destino segnato.
Si legge nella presentazione dello spettacolo: “Budapest, 1944. Giorgio Perlasca, un commerciante di carni italiano, è ricercato dalle SS. La sua colpa è quella di non aver aderito alla Repubblica di Salò. Per i tedeschi è un traditore e la deve pagare. In una tasca della sua giacca c’è una lettera firmata dal generale spagnolo Francisco Franco che lo invita, in caso di bisogno, a presentarsi presso una qualunque ambasciata spagnola.
In pochi minuti diventa Jorge Perlasca e si mette al servizio dell’ambasciatore Sanz Briz per salvare dalla deportazione quanti più ebrei possibile.
Quando Sanz Briz, per questioni politiche, è costretto a lasciare Budapest, Perlasca assume indebitamente il ruolo di ambasciatore di Spagna. In soli 45 giorni, sfruttando straordinarie doti diplomatiche e un coraggio da eroe, evita la morte ad almeno 5.200 persone.
A guerra conclusa torna in Italia e conduce una vita normalissima, non sentendo mai la necessità di raccontare la sua storia, se non a pochi intimi. Vive nell’ombra fino al 1988, quando viene rintracciato da una coppia di ebrei ungheresi che gli devono la vita e solo allora, la sua storia torna alla luce.
Oggi il suo nome è scritto nel giardino di Gerusalemme come “Un giusto tra le nazioni”. Un esempio straordinario, il suo, raccontato in uno spettacolo che accompagna lo spettatore a riflettere sul fatto che sempre abbiamo una scelta, che sempre possiamo cambiare la nostra storia.
Alessandro Albertin porta in scena, pur se in forma di monologo, una decina di personaggi che, nel bene e nel male, hanno affiancato Perlasca nella sua straordinaria avventura nella Budapest dell’inverno 1944-45. Un’avventura che è necessario conoscere. In quanto italiani. In quanto uomini.
Per scrivere il testo della pièce, Albertin si è consultato con la Fondazione Giorgio Perlasca, fondata dal figlio dell’eroe padovano”.
In un’ora e mezza circa di dialogo con gli spettatori, Albertin permette a Perlasca di rivivere e di raccontarsi solo uomo: senza appartenenze, senza etichette, perché quando si arriva al dunque, a scegliere (consapevolmente o meno), a doversi porre a paladini della giustizia, della libertà, della vita sulla morte, non serve altro che quello. Jorge si è differenziato dai nazisti perché ha salvato vite umane e non le ha condannate a morte per uccisione sul posto o per deportazione nei campi di sterminio. E non perché avesse rinnegato la sua politica, ma perché credeva profondamente nell’essere umano. Davanti ai grandi principi esistenziali siamo tutti uguali: un insegnamento che Giorgio Perlasca ha pagato con la vita, perché nel dopoguerra fu inviso da tutti proprio per questo. Molto idoneo il parallelo calcistico, che mantiene attenti anche i meno interessati; molto adatto il contatto con il presente, con i Like, per dimostrare che chi si interessa della verità di questi temi non è un avanzo preistorico rimaterializzatosi in un misero giorno di gennaio.
Concordo con Albertin che lo spettacolo si può vedere sempre, in ogni giorno e mese dell’anno, perché la Memoria non si estingue con un liberarsi la coscienza per avere osservato il dettame scelto oltre dieci anni fa dal nostro Parlamento, il 27 gennaio. La costruzione del Sé, della coscienza personale, della capacità di avere valori, riconoscerli e saperli difendere è un processo quotidiano che chiama in causa tutti e non si esaurisce mai, finché c’è vita.
La soddisfazione più grande di condividere lo spettacolo con ragazzi e studenti è sentirsi chiedere quando replica, perché sentono il bisogno di condividerlo con amici e familiari. Ogni anno. Ogni volta.
Grazie Alessandro.
Alessia Biasiolo (foto di scena fornite dal CTB)