Pronto il modello della statua dedicata a Salgari a Verona

Salgari

Il sindaco Flavio Tosi ha visitato nel pomeriggio di ieri la fonderia artistica Fratelli Folla a Dossobuono di Villafranca, dove è stato realizzato il modello della statua dedicata allo scrittore veronese Emilio Salgari. Presenti i componenti dell’associazione Fantasia Claudio Gallo, Emanuele Delmiglio, Armando Pisani e Enrico Boni promotori dell’iniziativa, il titolare della fonderia Silvano Folla e lo scultore autore dell’opera Sergio Pasetto. “Emilio Salgari – ha detto il sindaco Tosi – è tra gli scrittori di romanzi d’avventura più conosciuti nel mondo. La scultura a lui dedicata, una volta completata, potrebbe trovare la giusta collocazione vicino a Porta Borsari, dove lo scrittore ha abitato. In considerazione dell’importanza di questa illustre figura per la nostra città, l’Amministrazione comunale si attiverà con le istituzioni cittadine per reperire i fondi necessari alla realizzazione dell’opera, affinché Verona, come è nelle intenzioni dei promotori dell’iniziativa, possa essere riconosciuta oltre che come città dell’amore anche dell’avventura”.

Roberto Bolis                                                                                                  Gruppo e Salgari

The Dark Side of the Wall. Intervista a R-Evolution Band

The Wall è una delle opere rock per eccellenza, probabilmente l’ultimo grande lascito a un certo modo di concepire e interpretare il rock, tipico dell’era classica. Per quale motivo “profanarlo”?

Tutto iniziò negli anni ’80 quando mio zio mi regalò il vinile di The Wall qualche anno dopo la sua uscita. Me ne innamorai subito in maniera maniacale, ma mai avrei immaginato che la mia esperienza personale e musicale mi avrebbe portato ad affrontarlo in maniera così intima e allo stesso tempo violenta. Comunque più che di profanazione parlerei di rivoluzione ed evoluzione, cosa che ci riconduce al nome della band. So che per i fan dei Pink Floyd, da sempre abituati alla perfezione chirurgica e a ’quelle’ sonorità senza dubbio impareggiabili, può risultare difficile se non impossibile digerire un progetto che si pone come obiettivo primario la distruzione e ricostruzione integrale di The Wall. Ma siamo in un’epoca di sperimentazione, e personalmente ero attratto da questa impresa da molto tempo.

Dopo due dischi originali (One Way…No Way del 2010 e Versus del 2011) ho deciso che era giunto il momento giusto per lavorare a ‘qualcosa’ d’importante da immortalare sotto nuove vesti; e la scelta è ricaduta inevitabilmente su The Wall. Mettersi a cospetto del ‘Muro’ originale non è stata cosa semplice, affrontarlo, lasciarsi avvolgere totalmente per poi destrutturarlo e infine ricostruirlo a modo mio e in qualche modo oltrepassarlo. Insomma, alla fine possiamo dire che questo progetto è stato il risultato di un’evoluzione naturale del mio percorso artistico che mi ha condotto all’inevitabile confronto/conflitto.

Nelle note di copertina parlate di un “nuovo concept” che accomuna i brani rivisitati: di che si tratta?

L’idea di un nuovo concept era necessaria, un’opera come The Wall che nasce da una grande idea portante, una sorta di leitmotiv, non poteva che essere ricostruita seguendo lo stesso principio; non avrebbe avuto alcun senso rimodellare ogni brano singolarmente. La certezza che ci ha guidato fin dall’inizio è stata quella di volerci distinguere nettamente dalle cover/tribute band, operando un lavoro profondo di revisione, manomissione e ri-arrangiamento dei singoli brani a seconda del loro ruolo all’interno della setlist. Ogni brano doveva essere in sintonia con quello precedente e allo stesso tempo visto in funzione di quello successivo, oltre ad avere un ruolo ben preciso all’interno di macro aree tematiche. Considerata la durata del disco originale ho evitato che i ventisei brani risultassero stilisticamente simili tra loro, ma allo stesso tempo non volevo che sembrassero ‘separati in casa’. Da qui l’idea di un sottilissimo filo conduttore da ricercare con un ascolto attento, che rappresenta un’intrigante sfida per i fan dei Pink Floyd e non solo.

 

The Dark Side Of The Wall spicca immediatamente per la profonda alterità rispetto alla versione originale: che tipo di orientamento avete seguito nel confrontarvi con i singoli pezzi?

Questo lavoro è frutto di un profondo studio dell’originale durato oltre sei mesi durante i quali ho cercato di assimilare il maggior numero possibile di elementi, non solo musicali. Molti li ho estrapolati dalle opere di Gerald Scarfe e dai primi demo di Roger Waters, oltre che dai vari live, altri da materiale che sembrerebbe avere poco a che fare con The Wall. Tutto questo per entrare fino in fondo nel mondo che stavo per distruggere brutalmente! So che può sembrare un paradosso ma non avrebbe avuto senso copiare o cercare affinità evidenti con i brani originali. Dopo questo lavoro destrutturante far rinascere i brani con caratteristiche completamente differenti pur preservandone alcuni elementi caratteristici è stata la vera e propria sfida! Revisioni stilistiche, tematiche, armoniche, ritmiche e formali sono state operate per ciascun brano, cercando di far emergere quegli elementi che nel disco originale risultano meno evidenti. Chi si aspetta di ‘comprendere’ tutti questi aspetti nella loro complessità fin dal primo ascolto rimarrà probabilmente deluso, ma chi vorrà dedicargli il giusto tempo arriverà a scoprire il ‘lato oscuro’ di The Wall.

È quanto meno bizzarro che la “mente” dei R-Evolution Vittorio Sabelli sia un fiatista di estrazione jazz amante del metal estremo… Queste due aree musicali quanto sono state influenti sulla rilettura floydiana?

Sono state senz’altro fondamentali. Ho cercato di far confluire tutte le mie esperienze in questo disco, e data la sua lunghezza sarebbe stato impensabile e anche un peccato agire diversamente. Ho lavorato per oltre dieci anni in Orchestra Sinfonica e da oltre dieci anni m’interesso di jazz e musica contemporanea, ma le componenti rock e metal estremo mi hanno portato a scoprire la chitarra e la batteria. Sarebbe stato impensabile comporre musica con il solo ausilio di clarinetto o sax, anche se la storia ci insegna che le grandi rivoluzioni musicali del ‘900 sono avvenute proprio per merito di ‘fiatisti’. Basti pensare a Charlie Parker, Miles Davis, John Coltrane, Ornette Coleman e non ultimo John Zorn.

Oltre al jazz e al metal altri riferimenti popolano il vostro album, dall’elettronica alla musica contemporanea: c’è un segreto per far convivere queste anime?

Mi diverto a far convivere i diversi generi con i quali mi sento a mio agio, sperimentando dei blend che possano risultare più o meno fruibili, ma che non sono mai prevedibili e scontati. Di segreti particolari non ce ne sono; ho semplicemente messo a punto un mio particolare modo di scrivere e ascoltare musica per capire quali sono generi che vanno più d’accordo, creando un piccolo laboratorio di esperimenti musicali. Non dimentichiamoci poi che il momento delle prove è cruciale perché è la fase in cui ognuno dei musicisti dà il proprio contributo in termini musicali, e viene alla luce la prima vera bozza di quello che sarà il progetto finale.

Quali sono le differenze sonore e stilistiche rispetto al vostro precedente album Versus?

Partirei ancor prima dal mio primo disco One Way…No Way del 2010, incentrato su sonorità classiche e jazzistiche, con aperture all’avanguardia e alla dodecafonia. Da One Way a Versus un primo cambio di formazione ha spinto il tiro verso la musica etnica e i tempi dispari. Mentre quello che differenzia maggiormente Versus da TDSOTW è il rapporto improvvisazione/musica scritta. Mentre Versus è incentrato maggiormente su un discorso d’improvvisazione collettiva, The Dark Side Of The Wall è l’esatto opposto, con molta musica scritta e sezioni d’improvvisazione che lasciano meno spazio ai singoli musicisti. D’altronde l’organizzazione in ventisei brani non poteva esser approcciata con lunghi assoli, altrimenti avremmo rischiato di fare un disco triplo. L’altra differenza è sotto il profilo timbrico, con un’accurata scelta della line-up e degli ospiti che hanno reso possibile differenziare i vari episodi.

Spesso opere del genere diventano ingombranti e le si valuta solo in un’ottica celebrativa: a più di trent’anni di distanza, secondo voi quali sono i pregi e i difetti di The Wall?

Sappiamo tutti della fredda accoglienza riservata inizialmente a The Wall, soprattutto se lo si pensa in relazione al trittico che lo ha preceduto The Dark Side Of The Moon, Wish You Were Here e Animals che lo ha preceduto. Chi adorava i Pink Floyd si è sentito spaesato e spiazzato dalle sonorità imposte dal lavoro di Waters, che virano per l’ennesima volta verso nuovi orizzonti, questa volta meno visionari e molto più realistici e personali. La perfezione in ogni singolo dettaglio di The Wall lascia meno spazio per perdersi nel cosmo, cercando invece di coinvolgere l’ascoltatore all’interno del proprio stato emotivo. Chissà in quanti avranno immaginato allora cosa quel disco avrebbe rappresentato in futuro, ovvero un punto di riferimento e un mattone fondamentale nella storia della musica. Per quanto riguarda i difetti, fino a qualche mese fa avrei detto nessuno, ma ora potrei dirti che il suo unico difetto è The Dark Side Of The Wall

Se doveste cimentarvi con un’altra operazione di rilettura di un classico, a cosa pensereste?

A dire la verità sto già lavorando a del nuovo materiale per la R-Evolution Band, sia con brani originali che con nuovi esperimenti per ulteriori attacchi a un’altra band storica, ma per ora è top secret. Una testata americana a proposito di TDSOTW ci ha definito una anti-tribute band, forse non allontanandosi troppo dalla realtà. Vorrei solo chiarire che il nostro modo di approcciare la musica altrui va visto come un amore profondo che nasce da un rispetto infinito e da tanto studio sulle band che andiamo a ‘manomettere’. In futuro non escludo che Led Zeppelin, Metallica e Beatles entrino a far parte di questo universo parallelo, così come qualche cantautore e compositori quali Mozart e Brahms.

Donato Zoppo

The Dark Side of the Wall

“Tutto iniziò negli anni ’80 quando mio zio mi regalò il vinile di The Wall. Me ne innamorai subito in maniera maniacale, ma mai avrei immaginato che la mia esperienza personale e musicale mi avrebbe portato ad affrontarlo in maniera così intima e allo stesso tempo violenta. Più che di profanazione parlerei di rivoluzione ed evoluzione”. Vittorio Sabelli – fiatista, arrangiatore e mente della R-Evolution Band – si confessa così: da un lontano amore per il capolavoro floydiano è nato il suo recente proposito di rielaborazione, che alcuni giornalisti hanno definito “anti tributo” vista la lontananza dall’originale e lo spirito anticonformista. “The Dark Side Of The Wall” (Wide Production, 26 tracce, 66 minuti) non è un semplice tribute album né un prevedibile esperimento da cover band: è il risultato di un’appassionata, scrupolosa e irriverente rivisitazione dell’opera di Roger Waters.

Dopo due album incentrati su varie forme di contaminazione jazz, la R-Evolution Band svolta e si accosta a The Wall con uno spirito differente da quanto solitamente accade. Non è un caso che Sabelli e i suoi abbiano individuato un “nuovo concept” alla base del lavoro: “La certezza che ci ha guidato fin dall’inizio è stata quella di volerci distinguere nettamente dalle cover/tribute band, operando un lavoro profondo di revisione, manomissione e ri-arrangiamento dei singoli brani a seconda del loro ruolo all’interno della setlist. Ogni brano doveva essere in sintonia con quello precedente e allo stesso tempo visto in funzione di quello successivo, oltre ad avere un ruolo ben preciso all’interno di macro aree tematiche”.

Metal, elettronica, musica colta contemporanea, blues, musica etnica: il rock sontuoso e struggente di The Wall è accantonato in favore di un viaggio sorprendente e visionario negli aspetti più oscuri di The Wall. “Dopo questo lavoro destrutturante, far rinascere i brani con caratteristiche completamente differenti pur preservandone alcune tipicità è stata la vera e propria sfida! Revisioni stilistiche, tematiche, armoniche, ritmiche e formali sono state operate per ciascun brano, cercando di far emergere quegli elementi che nel disco originale risultano meno evidenti. Chi si aspetta di ‘comprendere’ tutti questi aspetti nella loro complessità fin dal primo ascolto rimarrà probabilmente deluso, ma chi vorrà dedicargli il giusto tempo arriverà a scoprire il ‘lato oscuro’ di The Wall”.

R-Evolution Band

Vittorio Sabelli: clarinetto, voce, sax alto e baritono, arrangiamenti

Marcello Malatesta: keys, cbu programming

Gabriele Tardiolo ‘Svedonio’: chitarre, bouzuki, lap steel

Graziano Brufani: basso, contrabbasso

Oreste Sbarra: batteria

 

Donato Zoppo

Paolo Gioli. “Abuses. Il corpo delle immagini”

Paolo Gioli (Sarzano-RV 1942) è uno degli artisti italiani più apprezzati della seconda metà del XX secolo; pittore, filmaker, fotografo, le sue opere sono conservate nelle collezioni di musei internazionali come il MoMA di New York, il Centre Georges Pompidou di Parigi e l’Art Institute of Chicago. Il suo lavoro è attualmente al centro di un particolare interesse scientifico e critico internazionale per le innovazioni linguistiche che l’autore ha introdotto nel campo della fotografia e del cinema. Nel 2015 la GNAM di Roma presenterà una grande antologica dedicata ai molteplici aspetti della sua ricerca.

La mostra “Paolo Gioli- Abuses. Il corpo delle immagini” a cura di Giuliano Sergio, che inaugurerà il 12 aprile a Villa Pignatelli, Napoli, presso la Casa della fotografia (Riviera di Chiaia, 200), vuole offrire una lettura inedita della sua opera fotografica, attraverso una selezione di oltre un centinaio di immagini che affrontano un tema centrale nella ricerca dell’artista veneto: l’indagine sul corpo e sulla natura morta.

L’esposizione illustra come la ricerca dell’autore sulle superfici fotografiche produca una carnalità dell’immagine fatta di innesti, suture e artifici. Per Gioli la fotografia non è documento ma emanazione del corpo, l’artista forza i limiti strutturali dell’immagine, le sue aberrazioni e gli effetti ottici, per utilizzarli come elementi drammatici. La tecnica del foro stenopeico –principio originario della camera oscura che rinuncia all’uso dell’ottica- il montaggio di fotografie e di pellicole trouvée, gli interventi di luce in sede di sviluppo, i trasferimenti della polaroid, gli inserti di stoffa e gli interventi con la pittura, costituiscono una narrazione visiva che trasforma il medium fotografico nell’icona che incarna la seduzione, il desiderio, la sofferenza del corpo.

Nelle sale di Villa Pignatelli il pubblico si accosterà alla ricerca dell’autore partendo da una serie di autoritratti che introducono una riflessione sul motivo del volto e della maschera, come opposizione tra identità e simulacro.

Il ciclo delle nature morte (1986-1997), presentate in dialogo con le “Autoanatomie” (1986-1987), sviluppano il tema dell’erotismo che sarà ripreso dalla più recente serie delle “Naturae”(2007-2010). Lo studio anatomico e di genere permette all’artista di misurarsi con la carnalità della superficie polaroid trasferita su carta, seta e pittura. I soggetti sono riferimenti di un corpo intimo che aderisce alla fotografia stessa.

Nei “Torsi” (1997-2007) Gioli affronta l’iconografia classica del corpo “martirizzato”, sublimato nel celebre autoritratto “Omaggio a Hyppolite Bayard” (1981), fino alle ultime ricerche delle “Vessazioni” (2009-2010) dove ritorna il tema della maschera. Simboli del passaggio inesorabile del tempo sono, infine, i due cicli che chiudono la mostra: gli “Sconosciuti” (1994) e i “Luminescenti” (2006-2010), che riprendono rispettivamente foto di identità degli anni Cinquanta e resti di antiche sculture greco –romane, frammenti visivi dove quel che resta del corpo è la corruzione della materia.

In occasione della mostra sarà pubblicato un catalogo a cura di Giuliano Sergio edito da Peliti Associati.

La mostra è promossa e organizzata dalla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Napoli e della Reggia di Caserta con Incontri Internazionali d’Arte. Resterà aperta fino al primo di giugno.

Simona Golia

 

Trionfale il bilancio del Grande Teatro

Autori di grande rilievo, attori e registi di altissimo livello, capolavori di sicuro richiamo del Novecento e opere drammaturgiche dei giorni nostri: la stagione 2013/14 del Grande Teatro – pluridecennale rassegna di prosa organizzata dal Comune di Verona in collaborazione col Teatro Stabile di Verona, con Unicredit come main partner e con il contributo della Provincia di Verona – ha avuto un esito trionfale. Con le sue 30.044 presenze – 5.386 in più rispetto alla precedente edizione (pari a un incremento del 22% con un aumento di quasi centomila euro di incasso) – la rassegna ha letteralmente ribaltato la tendenza nazionale che purtroppo vede il teatro in crisi. La formula, consolidata negli anni, si è arricchita (in questa edizione, la ventottesima) di nuovi elementi fermo restando il criterio che sta alla base della rassegna: proporre al pubblico un ventaglio, ampio e di qualità, della drammaturgia classica quanto del teatro del secolo scorso e del nuovo millennio. Il tutto con messinscene che si sono avvalse degli attori più amati e stimati da pubblico e critica a livello nazionale e dei migliori registi italiani.

Il cartellone 2013/14 ha abbinato capolavori dell’Ottocento e del Novecento (come Hedda Gabler di Henrik Ibsen, Le voci di dentro di Eduardo De Filippo ed Erano tutti miei figli di Arthur Miller che appartengono a un filone drammatico) a commedie comiche e brillanti come I ragazzi irresistibili di Neil Simon e Servo per due che il cinquantasettenne drammaturgo inglese Richard Bean ha rielaborato dal Servitore di due padroni di Carlo Goldoni. Restando in ambito contemporaneo due testi in programma sono stati di sicuro e forte impatto per le tematiche che trattano: Prima del silenzio del regista e drammaturgo Giuseppe Patroni Griffi (scomparso nel 2005) che nel fare un raffronto tra generazioni, traccia il bilancio che un uomo maturo fa della sua vita, e La torre d’avorio del settantanovenne sudafricano Ronald Harwood, testo che affronta il tema della libertà di un artista durante il nazismo. E infine la poetica Ballata di uomini e cani, tributo di Marco Paolini allo scrittore Jack London e al “senso del limite” che la montagna ci impone.

Lo spettacolo che ha fatto registrare più presenze è stato, con 4.204 spettatori, La torre d’avorio con protagonista Luca Zingaretti. Seguono, nell’ordine, Ballata di uomini e cani (4.185) con Marco Paolini, Servo per due (4.177) con Pierfrancesco Favino, Le voci di dentro (4.100) con Toni Servillo, I ragazzi irresistibili (3.875) con Eros Pagni e Tullio Solenghi, Prima del silenzio (3.267) con Leo Gullotta e con il giovane veronese Eugenio Franceschini, Erano tutti miei figli (3.184) con Mariano Rigillo ed Hedda Gabler (3.052) con Manuela Mandracchia.

Enrico Pieruccini e Betty Zanotelli

Il nuovo allestimento del Museo d’Arte Sacra di San Gimignano

Con il 2014, il Complesso monumentale del Duomo di San Gimignano presenta il nuovo Museo d’Arte Sacra. Il prezioso Museo si mostra ora con un diverso allestimento delle sale e svela tesori che, per motivi di restauro, sono stati a lungo nascosti.

La raccolta museale ospita opere d’arte e oggetti liturgici provenienti dalla Collegiata e dalle chiese del comprensorio, ed è stato riallestito, in particolare, per conferire un giusto rilievo alla grande pala di Fra Paolino da Pistoia che ha fatto il suo ritorno in museo dopo un’assenza di oltre un decennio. Il restauro ha conferito splendore non soltanto all’opera, ma anche alla cornice. La pala di Fra Paolino, eseguita nel 1525, raffigura la Madonna col Bambino e i santi Gimignano, Domenico, Antonino, Girolamo, Caterina d’Alessandria e Lucia. Nella predella si vedono a sinistra Santa Caterina da Siena, al centro la Visitazione e, a destra, Tobiolo e l’Angelo. Fra’ Paolino il cui vero nome era Paolo di Bernardino del Signoraccio si formò nella bottega del padre e, nel 1503, entrò nel convento dei Domenicani di Pistoia, l’ordine dei padri che aderivano alle idee del Savonarola. La pala si trova nella medesima sala ove si ammira la celebre “Madonna della rosa” di Bartolo di Fredi, simbolo del Museo.

Dopo il restauro ritorna anche la cornice cinquecentesca originale del dipinto che rappresenta la Sacra Famiglia con San Giovannino, copia da Andrea del Sarto. Adesso quadro e cornice sono riuniti dopo molti anni. La cornice giaceva infatti nei depositi in attesa del ripristino, lungo e complesso. Come osserva la direttrice del Museo d’Arte sacra, Susan Scott, che ha seguito i lavori, “la prima sala del museo è stata completamente riallestita e si presenta adesso di grande impatto. Entrando, il visitatore vede subito la bella tavola della Sacra Famiglia con San Giovannino nella parete di fondo. Nella stessa sala, inoltre, sono tornati ad essere visibili due curiosi quadri di Matteo Rosselli dopo essere stati nascosti alla vista dei visitatori del Museo per una quindicina di anni. Sono opere del quinto decennio del XVII secolo che creano suggestivi giochi ottici. A seconda di come si pone lo spettatore, raffigurano un doppio ritratto del Redentore o della Santa Maria Maddalena, San Francesco o Santa Chiara. Siamo infine molto contenti di un importante lascito dello studioso Gabriele Borghini, di recente scomparso, relativo a due grandi tele ottocentesche raffiguranti Santa Fina, che sono importanti per la storia dell’iconografia della santa. Le tele adesso sono esposte nella grande sala degli arredi sacri, una volta la loggia sopra il battistero di fianco al Duomo.”

Anche monsignor Mauro Fusi, proposto della Collegiata, si ritiene soddisfatto del nuovo allestimento ed è grato ad una famiglia senese che ha concesso in deposito permanente al Museo un altarolo di scuola fiorentina eseguito tra la fine del Trecento e gli inizi del Quattrocento. “Il dipinto che raffigura la Madonna col Bambino – osserva ancora monsignor Fusi – è preziosa testimonianza della grande devozione privata nei confronti della Vergine Maria”.

I visitatori potranno ammirare il nuovo Museo con l’ausilio dell’audioguida gratuita. La nuova audioguida vi accompagnerà attraverso i capolavori della Collegiata, le Storie del Vecchio e Nuovo Testamento, la cappella di Santa Fina, gioiello del Rinascimento, dunque nel Museo d’Arte sacra, che risulta di estremo interesse per conoscere il patrimonio storico, artistico, culturale della città di San Gimignano e oltre.

Il nuovo allestimento del Museo è stato fortemente voluto dal Duomo di San Gimignano.

Con il biglietto di ingresso viene consegnata gratuitamente un’audioguida realizzata da Opera Laboratori Fiorentini Civita Group.

ORARI DI APERTURA DAL 01/04 – AL 31/10

Dal Lunedì al venerdì 10/19:30

Sabato 10/17:30

Domenica 12:30/19:30

ORARI DI APERTURA DAL 01/11 – AL 31/03

Dal Lunedì al Sabato 10/17

Domenica 12:30/17

Chiuso dal 15 al 31 Gennaio, 12 Marzo, dal 15 al 30 Novembre, 25 Dicembre, 1 Gennaio

PREZZI

DUOMO

Intero € 4,00 – utilizzo audioguida gratuito

Ridotto €2,00 – utilizzo audioguida gratuito

Gruppi €3,50 – utilizzo audioguida gratuito

MUSEO ARTE SACRA

Intero €3,50 – utilizzo audioguida gratuito

Ridotto €2,00 – utilizzo audioguida gratuito

Gruppi €3,00 – utilizzo audioguida gratuito

CUMULATIVO (Duomo + Museo Arte Sacra)

Intero € 6,00 – utilizzo audioguida gratuito

Ridotto € 3,00 – utilizzo audioguida gratuito

Gruppi € 5,00 – utilizzo audioguida gratuito

Barbara Izzo e Arianna Diana

 

Sergio Staino. Satira e sogni

Staino

Da oggi, 6 aprile, al 3 novembre, apre al pubblico, nelle sale del Santa Maria della Scala in Siena, la prima rassegna “antologica” di Sergio Staino.

Nell’esposizione, dall’emblematico titolo “Satira e Sogni”, che evoca le due attitudini principali che hanno da sempre caratterizzato il lavoro dell’artista, si potranno ammirare gli acquarelli e le più recenti opere digitali che hanno reso Sergio Staino uno tra i maggiori protagonisti della satira in Italia. Sono esposte in mostra oltre trecento opere, dalle prime strisce di Bobo per Linus, che risalgono ai primi anni Settanta, fino alle più recenti creazioni in digitale.

“Sembra quasi un destino, e se lo è, è un bel destino, che uno nato in provincia di Siena e per la precisione a Piancastagnaio sull’ Amiata, arrivi in età avanzata a vedersi consacrato in una bella mostra nel proprio capoluogo. Già questo mi rende particolarmente felice ed emozionato, spingendomi nella ricerca di un percorso e di un senso a questa mostra, che vada al di là di una normale rassegna antologica e retrospettiva – dichiara Sergio Staino- La realtà è che vorrei tanto che l’aspetto più importante di questa esposizione non fosse il retrospettivo ma alcuni piccoli germi di futuro, germi di futuro messi a disposizione dalle attuali tecnologie”.

Intorno all’anno 2000 l’artista ha infatti dovuto abbandonare per motivi di eccessivo degrado della vista il disegno tradizionale fatto a punta di matita o di penna a china, per spostarsi obbligatoriamente sul digitale. “Mi sembrava un ripiego e in questo senso anche un passaggio triste – commenta oggi Sergio Staino – In realtà ho scoperto una parte di mondo meravigliosa: le mille occasioni di raccordo, di confronto e di cambiamento che il touch screen mi offriva.”

La parte più ampia della mostra è quindi dedicata a questo territorio ancora così largamente inesplorato e che solo recentemente alcuni artisti, primo fra tutti David Hockney, hanno cominciato a precorrere.

“Ho spostato il mio segno nel virtuale, utilizzando una penna elettronica e scannerizzando di tutto, e nel virtuale l’ho fatto incontrare con i segni e i colori di artisti di ogni luogo e ogni epoca, oppure ho sposato il digitale con i miei acquerelli informi, confusi, creati più col cuore che con l’occhio, e ne è venuta fuori questa materia che adesso metto in mostra.

Non essendoci originali concreti nel momento della stampa si può giocare come vogliamo, si possono ingrandire su grandi dimensioni e farli vivere in questi stupendi spazi dell’antico ospedale senese”.

La mostra dunque segue questo passaggio: dai primi disegni nati su Linus nel ’79 agli appassionati interventi su l’Unità, e poi il cinema e quello che ha significato nell’evoluzione del suo disegno, fino alle ultime opere disegnate a mano e acquerellate in grigio prima dell’addio definitivo e il passaggio al digitale. Mescolati tra loro temi politici, dispute familiari, disegni per bambini o di puro gioco, tutti segnati e contraddistinti, da un segno e da una fantasia che, al di là delle tante tecniche usate, rimangono completamente sue.

Nella mostra si entrerà attraverso un arco trionfale, sormontato da un Bobo-Rodin pensatore e subito ci si imbatterà in una sorta di Pantheon dei nostri giorni: grandi sagome dei personaggi che hanno animato gli ultimi trenta tormentati anni della nostra vita politica e istituzionale. Nelle prime sale troveranno spazio le memorabili storie degli anni di Linus (Capitan Kid, Moskava, Senza famiglia) e de l’Unità ( I funerali di Belinguer, Livorno 1921, A proposito di Arbasino ). Sono gli anni dei disegni a penna, dell’uso della china e dei pennarelli.

Nel 1989 Sergio Staino si misura con la regia e gira il film Cavalli si nasce. Oltre a rivedere quella pellicola ormai quasi dimenticata i visitatori potranno rivedere lo storyboard originale: cinque grandi quaderni nei quali l’artista anticipa con deliziosi acquarelli tutte le scene del film. Sono gli anni dei disegni a china e dei lavori con acquarello.

Con la “Storia di Montemaggio”, disegnata per le pagine de l’Unità e poi pubblicata in volume, inizia quel progressivo uso delle tecnologie di cui Sergio Staino è costretto a servirsi. In sequenza si potranno ammirare le molte sezioni fatte di opere così realizzate: Furti e omaggi, Acque toscane, Canzoni e fumetto, le Scenografie teatrali del Premio Tenco. Non mancherà, naturalmente, uno sguardo alla satira del “ giorno dopo giorno” con cinquanta tavole sulla produzione satirica più recente.

Questo lungo viaggio nell’opera di Sergio Staino sarà raccontato anche in un grande catalogo, edito da Effegi, che conterrà, oltre alla riproduzione di gran parte delle opere esposte, anche scritti di Maurizio Boldrini, Tomaso Montanari e Sabrina Benenati. Curatori della mostra sono Maurizio Boldrini e Claudio Caprara.

Presso il Bookshop del Complesso Museale Santa Maria della Scala sarà possibile oltre al catalogo della mostra consultare ed acquistare altre pubblicazioni relative ai lavori e disegni di Sergio Staino e verrà presentata la linea di merchandising ufficiale studiata e realizzata per la mostra senese.

La mostra, fortemente voluta dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Siena e organizzata da Opera Civita Group, sarà parte integrante dei sette percorsi museali del Santa Maria della Scala. Contemporaneamente alla mostra sarà infatti possibile percorrere i suggestivi ambienti monumentali dell’antico ospedale così da valorizzare i sette percorsi museali esistenti : I luoghi dell’accoglienza e della cura; Jacopo della Quercia (La Fonte Gaia); Museo Archeologico Nazionale; Le bandiere delle Contrade (dal museo Stibbert); Siena, Racconto della città (Dalle origini al medioevo); Il tesoro (Le reliquie e gli ori) e il Museo d’Arte per bambini.

SERGIO STAINO. Satira e Sogni. Disegni acquarelli opere digitali

Complesso Museale Santa Maria della Scala

Tutti i giorni dalle 10.30 alle 18.30

BIGLIETTO INTERO: € 10,00

BIGLIETTO RIDOTTO: € 8,00

Barbara Izzo e Arianna Diana

 

La Bohème. Al Teatro Carlo Felice dal 5 al 16 aprile 2014

Sabato 5 aprile 2014, alle ore 20.30, va in scena La Bohèmedi Giacomo Puccini, opera in quattro quadri su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, tratto da Scènes de la via de bohème di Henri Murger. Tragedia della giovinezza, ma anche inno all’amore puro in un’ottocentesca ambientazione parigina, rappresentata, per la prima volta, il 1° febbraio 1896 al Teatro Regio di Torino con la direzione di Arturo Toscanini. La musica di Giacomo Puccini, scritta in soli otto mesi, diede vita ad una delle sue opere più amate e rappresentate, ancora oggi in grado di commuovere e meravigliare. La storia sincera e semplice di Mimì e Rodolfo, le schermaglie amorose di Marcello e Musetta, sono spettacolari tranches de vie che ispirano registi, scenografi ed artisti da ormai 113 anni.

Questa produzione del Teatro Carlo Felice è stata presentata per la prima volta nel dicembre 2011, in cui scene e costumi, ricchissimi di colori, sono stati disegnati da Francesco Musante, famoso pittore genovese, allora al suo debutto nel mondo della lirica. La regia è di Augusto Fornari, conosciuto come brillante attore e regista, anche lui alla sua prima esperienza nel mondo dell’opera. La direzione di Coro e Orchestra del Teatro Carlo Felice è affidata a Giampaolo Bisanti, applaudito più volte dal pubblico genovese, mentre il Coro di voci bianche è guidato a Gino Tanasini. Le luci sono di Luciano Novelli.

L’opera si avvale di due cast prestigiosi che si alternano nelle recite: Maite Alberola, Olga Busuioc (Mimì), Alessandra Marianelli, Jessica Nuccio (Musetta), Teodor Ilinčai, Giordano Lucà (Rodolfo), Roberto De Candia, Simone Piazzola (Marcello), Andrea Porta, Roberto Maietta (Schaunard), Andrea Concetti, Emanuele Cordaro (Colline). Al loro fianco, i giovani del secondo Ensemble Opera Studio, la compagnia stabile EOS di giovani talenti che il Carlo Felice sta coltivando dall’inizio della stagione.

La Fondazione Teatro Carlo Felice propone, dopo il successo conseguito nei passati incontri, la piacevole consuetudine dell’esclusiva cena dopo Teatro con gli Artisti, al termine delle “Prime” di ogni opera.

Il terzo appuntamento di quest’anno è dunque fissato per sabato 5 aprile, dopo la recita di La Bohème. L’organizzazione della cena è affidata a Svizzera Ricevimenti, che si distingue per un servizio professionale, elegante ed efficiente, contribuendo a rafforzare l’immagine del Teatro come luogo di incontro tra convivialità e cultura.

Il prezzo della “Cena Esclusiva” è di euro 45.00.=, per informazioni ed acquisto: Biglietteria del Teatro.

 

Marina Chiappa

Creatività in cucina. Due nuovi concorsi

Sono aperti a tutti i due concorsi banditi nei giorni scorsi da A.D.I.D. delegazione di Brescia, in collaborazione con Associazione Sidus e con ReToBIA, Brescia Flair e A.S.B.I.

Si tratta di insegnare a “Bere bene”, o bere consapevolmente soprattutto superalcolici, a tutela del gusto, del piacere sensoriale e, soprattutto, della salute propria e altrui.

Per arrivare a questo, la delegazione di Brescia dell’Associazione Degustatori Italiani Distillati, che a Brescia è nata, propone a chi si diletta o vuole provare a cimentarsi in cucina, due concorsi.

Uno si chiama MIXTAIL per la creazione di nuovi cocktail, sia analcolici che alcolici, con varie tipologie e con la possibilità di suggerire abbinamenti di finger food, e per farlo si è affidata alla gestione di ReToBIA con il patrocinio di Brescia Flair e A.S.B.I., con l’organizzazione tecnica di supporto di Sidus.

L’altro si chiama CUOCHI DISTILLATI e propone la creazione di prodotti di pasticceria (biscotti, torte, dolci) a base di distillati. In entrambi i casi il concorso non è fine a se stesso, ma porterà ad eventi sul territorio, a corsi e Masterclass previsti nel regolamento.

La parte più interessante è l’apertura a tutti, esperti o no, basta che siano consapevoli di creare ricette nuove, ripetibili, capaci di innovare il gusto per ottenere uno scopo, non solo tanto per fare. Quindi ai fornelli o al bancone e… buoni esperimenti!

Per approfondimenti e per i bandi completi, potete collegarvi a adidbrescia.com, oppure chiedere informazioni a: adidbrescia@virgilio.it; retobia@virgilio.it

Janine Jansen. Atteso ritorno all’Aula Magna della Sapienza

Guardando una foto della giovane olandese Janine Jansen, si potrebbe pensare che sia una modella, ma lei fin da piccola aveva deciso che sarebbe stata una violinista e ha raggiunto quel che si prefiggeva. Ora la si può ammirare nelle principali sale da concerto, dove suona con orchestre quali Royal Concertgebouw Orchestra, Berliner Philharmoniker, New York Philharmonic e Los Angeles Philharmonic e con direttori come Valery Gergiev, Zubin Mehta, Lorin Maazel, Gustavo Dudamel e Antonio Pappano. Arriva a Roma da Philadelphia, dove ha appena suonato con l’orchestra che fu di Riccardo Muti, e dopo il concerto alla IUC di sabato prossimo, 5 aprile, alle ore 17.30, accompagnata da Itamar Golan al pianoforte (Aula Magna – Sapienza Università di Roma, Piazzale Aldo Moro 5), la attende una lunga tournée italiana, al cui termine vola subito a Barcellona.

Janine Jansen, ViolineJanine Jansen suona lo Stradivari “Barrère” del 1727, prestatole dalla Fondazione Elise Mathilde. Incide in esclusiva per Decca, che ha appena pubblicato un suo nuovo cd, in cui esegue i Concerti per violino di Johann Sebastian Bach.

Per la musica da camera ha una vera devozione. Ha fondato un festival internazionale di musica da camera a Utrecht, nella sua Olanda, e fin dal 1998 partecipa ogni anno alla serie di concerti da camera della Phlharmonie di Berlino. Per la musica da camera non ha scelto un semplice accompagnatore ma un pianista di classe, Itamar Golan, con cui presenta all’Aula Magna un raffinato programma, che si conclude con Brahms ma prima allinea tre splendidi lavori, eseguiti non troppo frequentemente, di tre autori molto diversi, accostati con una certa audacia ma con gusto sicuro.

Inizia con l’unica Sonata per violino e pianoforte di Leos Janacek, un’opera della piena maturità, che per il compositore boemo fu una vera estate di san Martino, la sua stagione più ricca di capolavori. Poi la Fantasia di Franz Schubert, in cui il compositore abbandona le forme classiche per adottare andamenti più liberi e più vicini al suo mondo espressivo; fu composta nel 1827, nei mesi tragici ma fertili di musiche straordinarie che precedettero la sua precocissima morte. Si passa agli immediati dintorni dell’impressionismo con Ernest Chausson e il suo Poème op. 25, composto durante una vacanza a Firenze nel 1896 e inizialmente intitolato Le Chant de l’amour triomphant, come il racconto di Ivan Turgenev a cui si ispira.

In conclusione la Sonata n. 3 in re minore op. 108, composta nella maturità dei suoi cinquantacinque anni da Johannes Brahms, animato qui da un’ispirazione aristocratica e meditata, nella vena di un lirismo sottilmente elaborato, senza sbalzi violenti, e nutrito da una particolare fecondità di idee.

Janacek Sonata JW VII/7

Schubert Fantasia in do maggiore D 934

Chausson Poème op. 25

Brahms Sonata n. 3 in re minore op. 108

 

Mauro Mariani