“Sguardi” a Lodi

Prosegue fino al 21 aprile alla Bipielle Arte di Lodi (Via Polenghi Lombardo, Spazio Tiziano Zalli, Lodi) con ottimo riscontro di pubblico la mostra di Roberto Rampinelli Sguardi.

Organizzata dalla Fondazione Banca Popolare di Lodi e curata da Simona Bartolena, con il patrocinio della Provincia e del Comune di Lodi, la mostra include oltre ottanta opere che coprono un arco di quarant’anni di ricerca, dal 1985 al 2025, che evidenzia il ruolo centrale della grafica nell’opera di Rampinelli. L’artista ha trovato nella carta un potente strumento espressivo, utilizzando una combinazione di disegno, tecniche di stampa e pittura per creare opere che si pongono come spazi metafisici, in cui il segno, la luce e il colore non riflettono semplicemente la realtà, ma la trasformano, coinvolgendo lo spettatore a un livello emotivo profondo.

Le opere di Rampinelli non sono solo rappresentazioni visive, ma anche espressioni di un’intensa ricerca psicologica e emotiva. La tecnica incisoria, a lui particolarmente cara, gli consente di fissare l’impronta del gesto, dando vita a immagini che sembrano emergere da una tensione interiore. Ogni segno e incavo nella matrice è studiato per costruire una trama visiva che parli direttamente alla sensibilità del pubblico.

La mostra, che si apre con alcune opere giovanili realizzate negli anni Ottanta e si conclude con un lavoro del 2025, evidenzia come la ricerca di Rampinelli si ispiri a grandi maestri come Piero della Francesca, De Chirico, Carrà e Morandi, e ha due temi preponderanti, la natura morta e i paesaggi.

Le composizioni di natura morta, che includono oggetti, fiori e frutti, raccontano le motivazioni più profonde della sua ricerca artistica, con opere che, pur immersi nella realtà quotidiana, sfuggono alla banalità e acquisiscono una dimensione, metafisica, magica. La rigorosità stilistica delle opere riflette la sua formazione a Urbino con i maestri Renato Bruscaglia e Carlo Ceci, e un esempio di questa influenza è la serie delle Urne (2020), in cui il rigore delle prospettive e l’armonia geometrica delle forme si uniscono a un calore tattile nelle superfici.

Accanto alle nature morte, i paesaggi rivestono un’importanza fondamentale nel lavoro di Rampinelli. Per l’artista, il paesaggio è una visione interiore, un sogno, una poesia che richiama la tradizione romantica, ma che trova anche un parallelo con il pensiero del filosofo americano Henry David Thoreau. Il paesaggio, per Rampinelli, non è solo una rappresentazione della natura, ma una riflessione sul rapporto tra l’uomo e il mondo naturale, una meditazione sul silenzio e sull’osservazione.

Le opere di Rampinelli non si limitano a raccontare una storia, ma evocano un’emozione profonda che coinvolge chi le osserva. La sua ricerca è fortemente identitaria, con l’artista che cerca di portare lo spettatore dentro un percorso riflessivo e creativo che sfida le convenzioni. Come scrive Patrizia Foglia nel catalogo della mostra, le opere di Rampinelli hanno l’obiettivo di “dare senso alle cose”, di liberarle dal loro significato strumentale, e di farci guardare oltre, nel profondo, verso ciò che si cela oltre l’apparenza.

Gli Sguardi di Roberto Rampinelli offrono uno spunto per riflettere sul valore dell’arte come mezzo per comprendere la vita, per fermarsi a osservare e per trasformare gli oggetti e le situazioni quotidiane in simboli di una realtà più profonda e misteriosa. Rampinelli, con la sua straordinaria capacità di mescolare tecnica e poesia, invita lo spettatore a guardare oltre la superficie, a cercare il significato nascosto dietro le cose e a scoprire una visione del mondo che trascende il quotidiano.

Sguardi si presenta come un’antologica con oltre ottanta opere che coprono quarant’anni di ricerca, dal 1985 al 2025. La grafica riveste un ruolo centrale nell’opera di questo artista raffinato, complesso e coerente, che ha trovato nella carta un alleato prezioso, utilizzandola come strumento di espressione creativa. Su di essa, ha saputo mescolare con grande libertà e maestria disegno, tecniche di stampa e pittura, mettendole in dialogo tra loro.

Le opere di Rampinelli non si limitano a rappresentare il mondo visibile, ma si trasformano in spazi metafisici, dove nulla è lasciato al caso e dove si manifesta un’intensa indagine psicologica ed emotiva. Luce, colore e segno sono i protagonisti di un dialogo che non riflette semplicemente la realtà, ma la trasforma, offrendo una visione che coinvolge lo spettatore a un livello più profondo.

La tecnica incisoria, campo privilegiato di esplorazione per l’artista, con la sua capacità di fissare l’impronta del gesto, gli consente di dar vita a immagini che sembrano emergere da una tensione interiore. Qui il segno si fa più deciso, pur mantenendo una ricerca di equilibrio: ogni incavo nella matrice è pensato per costruire una trama visiva che parli direttamente alla sensibilità di chi osserva.

Simona Bartolena, nel suo testo in catalogo, sottolinea: “C’è una continuità esemplare nella ricerca di Rampinelli, un filo rosso che unisce tutti i lavori, rendendoli, pur essendo figli di stagioni diverse, frammenti di un unico grande paesaggio: il paesaggio dell’anima di un artista poetico e profondo, che sfiora le piccole cose quotidiane e le trasforma in icone silenziose, avvolte da un’aura di magia. Roberto entra ed esce dalle diverse tecniche, le mescola, le sovrappone, le confonde. Non importa se si tratta di tempera, olio, matita o inchiostro da stampa: la scelta della tecnica (o delle tecniche) è finalizzata esclusivamente all’esito che egli desidera ottenere, con la massima libertà e una totale confidenza con gli strumenti”.

L’esposizione si apre con due opere giovanili, realizzate nella seconda metà degli anni Ottanta, e si chiude con un lavoro del 2025. In tutti e tre i casi compare la figura umana, un elemento raro nelle opere di Rampinelli: Impronta (1985) e Angeli (1990), entrambe a tecnica mista su base litografica, e L’uomo e la montagna (2025), in tecnica mista su carta antica.

Nel mezzo, venticinque anni di lavori che evidenziano come la ricerca di Rampinelli, tanto nelle incisioni quanto nei dipinti, sia esteticamente ispirata a Piero della Francesca e alla pittura quattrocentesca italiana, ma anche alla lirica metafisica di De Chirico, Carrà e Morandi.

La natura morta è uno dei temi predominanti nell’opera di Rampinelli. Le sue composizioni con oggetti, frutti e fiori raccontano le ragioni più profonde della sua ricerca artistica, che scorre sempre attraverso la vita. Opere che mantengono atmosfere silenziose e sospese, pur immergendosi nella realtà quotidiana, ma che riescono a sfuggire alla banalità del quotidiano, arricchendosi di una dimensione magica e, talvolta, metafisica. Gli spazi che ospitano questi oggetti e il rigore con cui sono realizzate le opere riflettono la formazione dell’artista a Urbino, sotto la guida dei maestri Renato Bruscaglia e Carlo Ceci.

Un esempio di questa influenza è la serie delle Urne (2020), in cui il rigore matematico delle prospettive e l’armonia geometrica delle forme sono accompagnati dal calore tattile delle superfici. Altre opere, come Ciotola nera e vasi (2023) e Conchiglie remote (2016), mostrano lo stesso approccio formale e di sintesi, mentre la serie Classico (2024), con la testa marmorea, suggerisce una continuità con la figurazione classica e una dimensione senza tempo.

Accanto alle nature morte, i paesaggi sono altrettanto significativi nella produzione di Rampinelli. Per lui, il paesaggio è una visione interiore, un sogno, una poesia che attinge alla tradizione romantica, trovando il suo alter ego nel filosofo americano Henry David Thoreau, la cui riflessione sulla natura, pur romantica, conserva una straordinaria attualità, sospesa nel tempo, dove l’uomo è solo sottinteso, osservatore silenzioso.

Di fronte alle nature morte e ai paesaggi di Roberto Rampinelli, si percepisce che la leggibilità della sua opera risiede in una pittura d’emozione, non di soggetto, e che la dimensione straniante di solitudine nella quale l’artista si muove liberamente rappresenta lo spazio privilegiato della sua pittura e della sua poesia.

La ricerca di Roberto Rampinelli, tanto semantica quanto tecnica, è fortemente identitaria. Egli cerca di coinvolgere lo spettatore in un percorso riflessivo e creativo non convenzionale, cercando di suscitare stupore e, al contempo, disagio. Come scrive Patrizia Foglia nel suo testo in catalogo dal titolo L’ermeneutica della visione, le opere proposte da Rampinelli rispondono a un principio preciso: “Dare senso alle cose è dare senso alla nostra vita, non permettere che tutto passi in un istante fugace, ma consentire a esse di vivere a lungo, di partecipare della nostra contemporaneità. Non siamo abituati a ‘guardare’, non siamo abituati a fermarci incantati davanti alla natura e alla vita. Liberare gli oggetti, ma anche gli esseri umani, dal loro mero significato strumentale è un’operazione impegnativa. Ci viene allora in aiuto l’arte, ci soccorrono le opere di Rampinelli e la sua capacità ermeneutica di farci comprendere cosa si cela oltre le cose, al di là dell’orizzonte, oltre lo sguardo, dentro la visione”.

De Angelis (anche per la fotografia)

Al Buonconsiglio la prima retrospettiva su Cipper

Finalmente un’ampia, documentata mostra incentrata su un artista, Giacomo Francesco Cipper (Feldkirch, 1664 – Milano, 1736) comunemente noto come il Todeschini (ma firmava i suoi quadri semplicemente come “Tedesco”) le cui opere sono patrimonio dei maggiori musei europei e delle più importanti collezioni d’arte antica, ma sul quale si continuano ad avere più interpretazioni – talvolta suggestive – che reali certezze. Con il titolo “Il teatro del quotidiano”, la mostra sarà al Castello del Buonconsiglio, a Trento, dal 12 aprile al 14 settembre, a cura di Maria Silvia Proni e Denis Ton. Riunisce opere provenienti da una grande raccolta privata milanese e da diversi musei italiani e stranieri e altri collezionisti.

“Non è una monografica pura – sottolineano i curatori – ma propone, accanto ad un vasto corpus di opere del maestro, attivo per lo più a Milano nei primi decenni del Settecento, diverse tele di artisti del contesto, in particolar modo lombardo, che hanno influenzato Cipper o da questi ne hanno tratto ispirazione: Antonio Cifrondi, Felice Boselli, Monsù Bernardo, il Maestro della Tela Jeans, Giacomo Ceruti. Con primizie assolute, come un inedito “Ritratto di pellegrino” di Ceruti e una versione poco nota della “Filatrice” di Pietro Bellotti. Accanto ai dipinti vengono esposti talvolta oggetti che aiutano a capire la concretezza e il legame del pittore con la cronaca e la materia: strumenti musicali, bussolotti da elemosina…”.

Di certo Giacomo Francesco Cipper o, alla tedesca, Zipper, fu un artista vulcanico. Dipingeva, con anticonformismo e libertà di tratto, scene di vita quotidiana, di cronaca vera. Popolani al mercato, contadini, ambulanti, vagabondi, mendicanti, zuffe o lezioni di musica, arti e mestieri, giocatori di carte e morra. Tutti protagonisti su un palcoscenico, quello della vita, dove ad essere rappresentata non è la desolazione ma la vitalità e il divertimento. C’è indubbiamente una vitalità quasi provocante nelle sue raffigurazioni che manca in altri: una tavolozza vivace, una spregiudicatezza nei soggetti e una simpatia nei confronti di alcuni personaggi, in particolar modo dell’infanzia. In queste sue “istantanee” Cipper riesce a cogliere ovunque un movimento e un sorriso, vita non tristezza. In ciò distinguendosi dagli altri pittori di “Pitocchi” e dallo stesso grande Giacomo Ceruti, che pur conosceva vivendo entrambi nello stesso quartiere di Milano. “Le scene di vita quotidiana e le nature morte di Cipper incontrano il gusto della committenza italiana ma non solo. Entrano così a far parte delle raccolte di molte grandi famiglie e casate, in area lombarda e italiana innanzitutto. Nonostante le scene umili, spesso i suoi committenti e collezionisti erano di rango elevato: attraverso le ricerche condotte per la mostra abbiamo scoperto che i suoi dipinti erano nelle gallerie della famiglia Colloredo (Governatore di Milano) e dei Clerici a Milano, di Pietro Mellarede a Torino, e nel Settecento quattro suoi quadri erano già nelle collezioni reali inglesi”, sottolineano i curatori. Una “Lezione di musica”, già nel Settecento nella residenza inglese di Richard Temple a Stowe sarà presente in mostra. Le sue invenzioni sono apprezzate anche in Austria e Germania, Cecoslovacchia, Polonia e persino in Russia. Sono dipinti che colpiscono per il loro realismo, per la capacità di racconto, quasi ad anticipare il moderno fotogiornalismo, ma anche per l’ironia, la benevolenza, la positività dello sguardo con cui l’artista coglie le situazioni. Cipper racconta la miseria ma non indulge sull’abbrutimento. Il successo porta l’artista a “riscrivere” i suoi dipinti e stimola altri artisti, meno fantasiosi e dotati, ad ispirarsi ad essi o copiarli. Per questo ancora oggi il mercato è invaso da opere attribuite al maestro, inquinandone la grandezza e la figura che questa importante mostra intende mettere correttamente a fuoco.

Buonconsiglio (anche per l’immagine)

Dieci canzoni finaliste del premio Amnesty International Italia 2025

Ci sono artisti e canzoni di vario genere ed età nella rosa dei dieci finalisti della sezione Big del Premio Amnesty International Italia di Voci per la libertà, lo storico riconoscimento che va a brani sui diritti umani pubblicati da nomi affermati della musica italiana nell’anno precedente.

In lizza quest’anno ci sono:

Arisa con “Canta ancora” (Pippa / Barbera)

Assalti Frontali feat. Luca D’Aversa con “Il mio nome è Lala” (D’Aversa / Mascini)

Martina Attili con “Eva e Adamo” (Attili)

BigMama con “La rabbia non ti basta” (Mammone / Lazzerini / Botta / Brun)

Vasco Brondi con “Un segno di vita” (Brondi / Dragogna / Brondi)

Dargen D’Amico con “Onda alta” (Cheope / D’Amico / Roberts / Marletta / Fazio)

Ghali con “Casa mia” (Ghali / Petrella / Michelangelo)

Paolo Jannacci e Stefano Massini con “L’uomo nel lampo” (Bassi / Jannacci / Massimi)

Fiorella Mannoia con “Disobbedire” (Mannoia / Cheope / Simonelli / Colavecchio / Di Francesco / Simonelli)

Piero Pelù con “Scacciamali” (Pelù)

Le dieci canzoni sono state scelte da Amnesty e Voci per la libertà a partire dalle segnalazioni giunte dal pubblico e dagli addetti ai lavori.

Una selezione decisamente varia anche per le tematiche affrontate: bullismo, cittadinanza, discriminazioni, aborto, body shaming, conflitti, cambiamento climatico, migrazioni, sicurezza sul lavoro, diritto di protesta.

Nel frattempo sono ancora aperte le iscrizioni per la sezione Emergenti del Premio Amnesty International, con scadenza fissata per lunedì 7 aprile. Bando e scheda di iscrizione si possono trovare a questo link: https://www.vociperlaliberta.it/premio-amnesty-emergenti/

Le semifinali e finali si terranno live a Rovigo durante ‘Voci per la libertà – Una canzone per Amnesty’, lo storico festival che unisce musica e diritti umani, in programma quest’anno dal 18 al 20 luglio.

Nella giornata finale verrà anche consegnato il premio al vincitore della sezione Big. Ad assegnarlo sarà nelle prossime settimane una giuria composta da giornalisti, conduttori radiofonici e televisivi, intellettuali, addetti ai lavori del settore musicale, referenti di Amnesty International Italia e di Voci per la Libertà.

Nelle precedenti edizioni hanno vinto il Premio Amnesty, sezione Big: “Il mio nemico” di Daniele Silvestri (2003);“Pane e coraggio” di Ivano Fossati (2004); “Ebano” dei Modena City Ramblers (2005); “Rwanda” di Paola Turci (2006); “Occhiali Rotti” di Samuele Bersani (2007); “Canenero” dei Subsonica (2008); “Lettere di soldati” di Vinicio Capossela (2009); “Mio zio” di Carmen Consoli (2010); “Genova Brucia” di Simone Cristicchi (2011); “Non è un film” di Frankie Hi-Nrg MC e Fiorella Mannoia (2012); “Gerardo nuvola ‘e Povere” di Enzo Avitabile e Francesco Guccini (2013); “Atto di forza” di Francesco e Max Gazzè (2014); “Scendi giù” di Alessandro Mannarino (2015); “Pronti a salpare” di Edoardo Bennato (2016); “Ballata triste” di Nada (2017); “L’uomo nero” di Brunori Sas (2018); “Salvagente” di Roy Paci & Aretuska feat. Willie Peyote (2019); “Io sono l’altro” di Niccolò Fabi (2020); “Dalle mie parti” dei Negramaro (2021); nuovamente Carmen Consoli con “L’uomo nero” (2022); “Severodonetsk” di Manuel Agnelli (2023), “La mia terra” di Diodato (2024).

Ender comunicazione

Salvatore Garau. Corpo non Corpo

Dopo il clamore suscitato in tutto il mondo con “Io Sono” e “Davanti a te”, le prime due sculture immateriali vendute all’asta nel 2021 rispettivamente a 15mila e 28mila euro, Salvatore Garau torna a Milano dall’8 aprile all’11 maggio (dal lunedì alla domenica dalle 10.00 alle 19.00) allo Spazio Roseto di Corso Garibaldi 95 con la mostra “CORPO non CORPO”, curata da Milo Goj con testo critico in catalogo di Lóránd Hegyi.

Organizzata da Art Relation e promossa da Roseto e Jarvés in occasione della Milano Design Week 2025, a sottolineare una volta di più il legame fra impresa, arte e tessuto cittadino, l’esposizione presenta quindici tele di grande formato e due video, uno dei quali inedito, che raccontano nell’unione fra il corpo della pittura e il non corpo dell’immateriale l’interesse che l’artista ha sempre avuto per la materia e, allo stesso tempo, per lo spirito.

Questo itinerario artistico” – precisa Rocco Roggia Amministratore Delegato di Roseto Srl – “si configura come una nuova opportunità di stimolare la creatività e arricchire l’anima collettiva. Passione e dedizione sono i principi alla base della nostra attività quotidiana e allo stesso tempo punti cardinali che orientano il nostro impegno nel mondo dell’arte”.

Una narrazione sulla presenza e l’assenza, sul visibile e sull’indefinito, tema già anticipato da Garau nella sua prima personale da Cannaviello nel 1984, con grandi tele nere allestite su pareti nere.

Da una parte, dunque, una pura forma astratta, atemporale, trasparente” – come sottolinea nel suo testo in catalogo Lóránd Hegyi – “dall’altra una materialità sensuale, tangibile, imperscrutabile, soggetta a un permanente e intenso processo di trasformazione.”

Oggi, a oltre quarant’anni di distanza, quella stessa riflessione torna in una nuova forma poetica e plastica dove la separazione fra ciò che è fisico e ciò che è mentale si dissolve, suggerendo la realtà come una coesistenza dinamica fra materia e immateriale.

In un’epoca in cui la tecnologia e l’intelligenza artificiale dominano ogni aspetto della nostra vita, Garau ritiene che sia più che mai necessario riconoscere le peculiarità invisibili che ci rendono unici, speciali, e che neanche l’IA potrà mai replicare.

Un esempio significativo di questo contrasto è il video Autoritratto del 2022, presentato per la prima volta in questa mostra. Un ossimoro per eccellenza, un’opera immateriale che si rivela iperrealista, dove non è più l’artista a imitare il modello, ma è il modello a imitare l’artista. Un pensiero che, con estrema semplicità, coglie il senso profondo dell’esistenza.

Le quindici opere su tela e su teloni PVC riciclati provenienti dalle pubblicità dismesse, dominate soprattutto dal verde e dal viola sacrale, rappresentano invece la parte tangibile della mostra. Titoli come Università Immateriale di estrema Sapienza invitano a riprendere possesso della nostra immaginazione, senza la quale, sempre più, l’uomo si allinea al pensiero comune perdendo la propria indipendenza e umanità.

Con “CORPO non CORPO” Salvatore Garau espande il concetto di realtà, facendo sì che l’immateriale acquisisca una rilevanza pari a quella della materia stessa, un concetto che ci spinge a riflettere su come percepiamo il mondo e sulle infinite possibilità che si celano dietro l’apparire.

Salvatore Garau, nato a Santa Giusta (Oristano) nel 1953, si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1974. Dal 1976 al 1983 entra a far parte del gruppo di rock d’avanguardia degli Stormy Six. La prima personale è del 1984 nello Studio Cannaviello di Milano, seguiranno personali a Lugano, Losanna, Barcellona, San Francisco, Washington, Strasburgo, Londra. Due le presenze di Garau alla Biennale d’Arte di Venezia, nel 2003 e 2011. Negli ultimi anni ha esposto nei musei di Saint-Étienne, Cordoba, Brasilia, San Paolo, Montevideo. Nel 2017 ha scritto e diretto “La tela” docufilm girato in un carcere di Massima Sicurezza in Sardegna con la fotografia di Fabio Olmi. Nel 2019 ha girato un docu-thriller prendendo spunto dalle ultime opere “Futuri affreschi italiani” (Pale d’Altare per altri pianeti). I due film sono invitati e premiati in decine di festival in tutto il mondo. Nel 2021 la vendita all’asta delle opere immateriali “io sono” e cinque mesi dopo “Davanti a te” hanno creato accesi dibattiti in tutto il mondo.

De Angelis (anche per l’immagine)

Horse Green Experience – Giubileo 2025

Sarà Varese a dare il via, il prossimo 27 marzo, alla tratta lombarda dell’Equiraduno dell’Anno Santo, un pellegrinaggio equestre che, attraversando l’Italia, condurrà cavalieri e amazzoni fino a Piazza San Pietro a Roma per la metà di maggio. Questo itinerario a cavallo, promosso in collaborazione con Regione Lombardia, rappresenta un’opportunità unica per valorizzare il turismo slow e riscoprire il rapporto millenario tra uomo, cavallo e territorio.

La partenza ufficiale è fissata per la mattina del 27 marzo alle 10.30 con la benedizione alla Fontana del Mosè, sullo scenografico Sacro Monte di Varese, sito UNESCO e luogo simbolo di spiritualità e cultura. Un punto di inizio carico di significato, da cui i cavalieri scenderanno attraverso i suggestivi boschi del Parco Regionale Campo dei Fiori, una delle aree naturali più affascinanti della Lombardia, con i suoi panorami mozzafiato sui laghi prealpini.

Dopo una giornata immersi nella natura, il gruppo raggiungerà Induno Olona, comune che sorge lungo il tracciato della storica Via Francisca del Lucomagno, antico percorso di pellegrinaggio che collegava il cuore dell’Europa con Roma. Il giorno successivo la carovana ripartirà verso Sumirago, attraversando un paesaggio che alterna boschi, borghi rurali e dolci colline.

Il 29 marzo il pellegrinaggio equestre giungerà a Milano, dove alle 11.30 in Duomo si terrà la benedizione ufficiale dei cavalieri e dei loro compagni di viaggio, scortati dal gruppo Esercito Voloire di stanza alla Caserma Perrucchetti di Milano, i Carabinieri a Cavallo, la Polizia a Cavallo e le Giacche Verdi, prima di proseguire verso sud. La tratta lombarda si concluderà il 13 aprile a Varzi – Pavia, dove il gruppo si ricongiungerà con i cavalieri della tratta piemontese per proseguire il cammino verso Roma.

L’Equiraduno dell’Anno Santo è più di un viaggio spirituale: è una straordinaria occasione per scoprire, al ritmo del passo dei cavalli, angoli meno conosciuti della Lombardia. Dai sentieri del Sacro Monte alle storiche mulattiere del Parco Campo dei Fiori, fino ai tracciati rurali della provincia di Varese, il percorso offre agli appassionati di turismo e natura la possibilità di avvicinarsi a un modo di viaggiare autentico e sostenibile.

L’iniziativa vede il coinvolgimento di importanti realtà equestri, tra cui il Consorzio CavalliVarese, Confagricoltura Lombardia, Natura a Cavallo e le Giacche Verdi Lombardia, che da anni promuovono l’equiturismo come strumento di tutela ambientale e di valorizzazione del territorio. Il percorso è studiato per garantire la sicurezza e il benessere dei cavalli, permettendo ai partecipanti di godere appieno dell’esperienza in un contesto naturale straordinario.

L’Equiraduno rappresenta dunque un’opportunità non solo per i cavalieri, ma anche per il pubblico, che potrà assistere al passaggio del corteo e vivere l’atmosfera di questo evento unico.

Per ulteriori informazioni e dettagli sul percorso, è possibile consultare il sito ufficiale: giubileoacavallo.it

“HORSE GREEN EXPERIENCE – GIUBILEO 2025” EQUIRADUNO DELL’ANNO SANTO è un’iniziativa, organizzata da Final Furlong in collaborazione con Omnia Vatican Rome, Università degli Studi di Firenze – DAGRI, Simtur e Natura a Cavallo, e con il patrocinio del Dicastero per l’Evangelizzazione.

Elisabetta Castiglioni (anche per la fotografia)

“Ognuno è un colore e ognuno ha il suo valore”

Sarà dedicata al tema dell’inclusione all’interno del mondo della scuola la conferenza di Chiara Corazzari in programma lunedì 24 marzo 2025 alle 17 nella sala Agnelli della biblioteca comunale Ariostea (via Scienze 17, Ferrara). L’incontro che rientra nel ciclo “I colori della conoscenza. I Linguaggi e le Scienze”, a cura dell’Istituto Gramsci di Ferrara, sarà introdotto da Cristina Corazzari e potrà essere seguito anche in diretta video sul canale youtube Archibiblio web.

In un’epoca segnata da crescenti contrasti e disuguaglianze sociali, è indispensabile affrontare il tema dell’inclusione attraverso l’esperienza diretta di chi ne vive quotidianamente la complessità. L’obiettivo di un docente è favorire un processo di crescita degli alunni nella consapevolezza che la diversità racchiude al tempo stesso criticità e ricchezza. La relazione svilupperà una serie di riflessioni finalizzate a facilitare la comprensione delle buone prassi adottate a scuola con l’intento di promuovere l’inclusione educativa “di tutti e di ciascuno”.

Chiara Corazzari è laureata in Scienze dell’educazione presso la Facoltà di Scienze della Formazione (Università di Bologna); ha poi conseguito sia la specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità all’Università di Ferrara, sia la specializzazione nel Corso biennale sui disturbi del linguaggio e dell’apprendimento tenuto dal prof. Stella (IFRA, Bologna). Da tredici anni lavora come insegnante di sostegno (Scuola dell’Infanzia). Ha lavorato per dieci anni nelle agenzie educative extrascolastiche: la Comunità appartamento per minori a rischio; l’Ufficio Politiche Sociali (adozione, affidi, abuso minorile) e il Centro Donna Giustizia (donne vittime della tratta con figli minori).

Gli incontri hanno valore legale di corso di formazione-aggiornamento ai sensi del DM prot. n. 802 del 19/6/2001, DM prot. n. 10962 dell’8/6/2005. Ai docenti iscritti verrà rilasciato attestato di frequenza e agli studenti iscritti attestato per accedere al credito formativo (info: gramsciferrara@gmail.com; kappadaniela32@gmail.com).

Alessandro Zangara

La metafisica di De Chirico

Sarà dedicato a “Le muse e le vergini inquietanti” il prossimo appuntamento, martedì 25 marzo 2025 alle 17, alla biblioteca comunale Bassani (via Grosoli 42, Ferrara) con il ciclo di incontri, a cura di Adello Vanni, su “La metafisica di De Chirico”, spiegata secondo i criteri della psicobiografia.

L’appuntamento è a partecipazione gratuita con prenotazione da effettuare chiamando il numero 0532797414 o scrivendo a info.bassani@comune.fe.it

Il prossimo incontro del ciclo è in programma per l’8 aprile 2025.

Nel 1918 Giorgio de Chirico stava lavorando ad un quadro intitolato  Le vergini inquietanti. Oggi quel quadro è conosciuto in tutto il mondo come Le muse inquietanti. Perché l’autore ha cambiato il titolo? Cosa voleva comunicarci? Con queste domande è partita la ricerca indiziaria, che progressivamente si è estesa anche ad altri quadri  eseguiti tra il 1917 e il 1918. Esiste, infatti, un continuum narrativo che lega Il Trovatore, Ettore e Andromaca a Le muse inquietanti. Questi quadri possono essere maggiormente compresi alla luce dell’innamoramento avvenuto  nel 1917 tra l’artista e Antonia Bolognesi, la sua promessa sposa. Indizio dopo indizio, la narrazione psicobiografica arriva ad una possibile conclusione: le tre figure presenti nel quadro potrebbero essere un muso inquieto, alter ego dell’artista stesso, che nella piazza del Castello Estense s’intrattiene con le due muse/vergini inquietanti, le persone più importanti della sua vita in quel momento: una è Antonia, la sua fidanzata, e l’altra figura chi sarà?

Il ciclo di lezioni è a cura del dott. Adello Vanni, medico psichiatra a Ferrara il quale da sempre ama approfondire dal punto di vista psicobiografico l’arte Metafisica, specialmente quella ferrarese, animata ed inventata da cinque artisti-soldato nel periodo della Grande Guerra: Giorgio de Chirico e Alberto Savinio, Carlo Carrà, Filippo de Pisis e Mario Pozzati. Nel triennio 1915-1918 la “provinciale” Ferrara è stata inconsapevolmente la capitale dell’arte metafisica, una esperienza di nicchia pre-surrealista molto importante nella storia dell’arte europea. Il corso didattico, che comprende quattro incontri, intende risvegliare la curiosità e l’interesse su questo argomento culturale, sia pittorico che letterario.

Qui la locandina con il calendario del ciclo di lezioni la Metafisica di De Chirico

Info e prenotazioni allo 0532797414 o scrivendo a info.bassani@comune.fe.it

Alessandro Zangara

Il duo Gabriele Geminiani – Monaldo Braconi per Roma Sinfonietta

Il duo formato da uno dei migliori violoncellisti e uno dei migliori pianisti italiani è i protagonista del concerto di Roma Sinfonietta di mercoledì 26 marzo 2025 alle 18.00 presso l’Auditorium “Ennio Morricone” dell’Università di Roma “Tor Vergata (Macroarea di Lettere e Filosofia, via Columbia 1).

Il legame artistico tra Gabriele Geminiani e Monaldo Braconi nasce nel grembo dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma dove Geminiani è stato primo violoncello solista e Braconi pianista. Da subito l’affinità musicale ha fatto sì che il duo affrontasse con successo l’importante repertorio per violoncello e pianoforte, indirizzandosi verso progetti ambiziosi quali l’esecuzione integrale delle sonate di Ludwig van Beethoven e di Johannes Brahms. Di recente è uscito un cd per la casa discografica Promu Label dedicato a due capolavori della musica sovietica: la Sonata di Prokofiev e quella di Shostakovich.

Proprio con la Sonata di Shostakovich si concluderà il concerto, che viene aperto da uno dei capolavori di Claude Debussy e di tutta la musica del Novecento, la Sonata in re minore per violoncello e pianoforte. Composto nel 1915, quando il compositore francese era già gravemente malato, questo brano mostra la sua tendenza ad un’arte più severa, che non mirasse a sedurre l’ascoltatore con le sue sonorità preziose e incanalasse la sua ispirazione in una struttura musicale di proporzioni classiche.

Segue la Fantasia in due movimenti di Simonide Braconi, prima viola dell’Orchestra del Teatro alla Scala di Milano nonché apprezzato compositore. La sua musica, che unisce l’autenticità del sentimento alla raffinata scrittura, è stata definita neoromantica.

In conclusione la Sonata in re minore op. 40 per violoncello e pianoforte di Dmitrij Shostakovich, che la compose nel 1934, quando aveva soltanto ventotto anni ma era già uno dei compositori russi più in vista, anche in campo internazionale. Proprio all’inizio di quell’anno la sua musica era stata violentemente attaccata dalle autorità sovietiche per il suo modernismo, che allontanava la musica dal popolo e la metteva al servizio di una élite di esteti. Di conseguenza Shostakovich rinuncia in questa Sonata alle spericolate arditezze della musica del primo Novecento, a favore di una semplificazione espressiva più chiara e discorsiva, che fosse accessibile ad un pubblico più vasto.

Biglietti:€ 12,00 intero; € 8,00 ridotti personale universitario, over 65 e titolari CartaEffe Feltrinelli; € 5,00 studenti. I biglietti si possono prenotare telefonicamente(06 3236104) e ritirare il giorno del concerto oppure acquistare direttamente prima del concerto.

Informazioni: www.romasinfonietta.it

Mauro Mariani

Die Liebe der Danae

Da domenica 6 aprile 2025 sarà in scena a Genova – in prima rappresentazione italiana della versione originale con complessi artistici italianiDie Liebe der Danae (L’amore di Danae), mitologia gaia in tre atti di Richard Strauss su libretto di Joseph Gregor.

Dopo il successo di A Midsummer Night’s Dream, titolo inaugurale della Stagione 2023-2024, Laurence Dale cura la regia del nuovo allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice, con le scene e i costumi di Gary McCann, le coreografie di Carmine De Amicis e le luci di John Bishop. Coreografo e regista collaboratore Carmine De Amicis, costumista collaboratore Gabriella Ingram. Orchestra, Coro e Tecnici dell’Opera Carlo Felice. Maestro del Coro Claudio Marino Moretti. Balletto Fondazione Formazione Danza e Spettacolo “For Dance” ETS. Con i danzatori Daniele Bracciale, Luca Cappai, Simone Cristofori e Giuseppe Sanniu, i mimi Erika Melli e Roberto Pierantoni e il mimo acrobata Davide Riminucci.

A dare vita ai protagonisti dell’opera: Scott Hendricks (Jupiter), Timothy Oliver (Merkur), Tuomas Katajala (Pollux), Angela Meade (Danae), Valentina Farcas (Xanthe), John Matthew Myers (Midas), Albert Memeti (Erste König), Eamonn Mulhall (Zweite König), Nicolas Legoux (Dritte König), John Paul Huckle (Vierte König), Anna Graf (Semele), Agnieszka Adamczak (Europa), Hagar Sharvit (Alkmene), Valentina Stadler (Leda), Domenico Apollonio, Bernardo Pellegrini, Davide Canepa, Luca Romano, Andrea Scannerini (Vier Wächter) e Valeria Saladino (Eine Stimme).

Lo spettacolo sarà in replica mercoledì 9 aprile 2025 alle ore 20.00 (turno B), domenica 13 aprile 2025 alle ore 15.00 (turno C) e mercoledì 16 aprile 2025 alle ore 20.00 (turno L).

La Fondazione Teatro Carlo Felice ha ricevuto la seguente comunicazione di Fabio Luisi – direttore onorario dell’Opera Carlo Felice, direttore musicale della Dallas Symphony Orchestra, direttore principale della Danish National Symphony, direttore emerito dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI e direttore principale della NHK Symphony Orchestra di Tokyo – a cui era stata affidata la direzione dell’opera:

«Con grande dispiacere devo rinunciare per improvvisi e gravi motivi familiari all’impegno della direzione musicale dell’opera Die Liebe der Danae in programma al mio amato Teatro Carlo Felice di Genova. Questa decisione, riguardante un prestigioso progetto di cui mi ero fatto forte testimone, e per il quale avevo trovato completo consenso e coraggioso appoggio da parte del Teatro, mi addolora, ma è purtroppo necessario. Confidando nella comprensione del Teatro e delle sue maestranze, dell’Orchestra, del Coro, dei Maestri, dei Tecnici e degli Amministrativi, rimango con gli auguri più sinceri per un sereno svolgimento di prove e recite di questa splendida opera».

Il Sovrintendente esprime al Maestro Luisi la sua vicinanza e quella di tutto il Teatro, unitamente a un particolare ringraziamento a Michael Zlabinger per aver accettato di dirigere l’intera produzione.

Die Liebe der Danae (L’amore di Danae), di Richard Strauss, è una mitologia gaia in tre atti composta nel 1940. Circa vent’anni prima, il poeta e drammaturgo Hugo von Hofmannsthal aveva proposto al compositore un canovaccio dal titolo Danae, o il matrimonio di convenienza, che però era stato accantonato in favore di altri progetti. Quando Strauss decise di realizzare l’opera, affidò la bozza di Hofmannsthal al librettista Joseph Gregor. Die Liebe der Danae venne allestita per la prima volta in forma privata nel 1944, mentre la prima rappresentazione pubblica si tenne nel 1952 a Salisburgo. La trama è tratta dalla tradizione greca, e vede protagonisti Danae, Mida e Giove in un intreccio di inganni, amore e desiderio. Anche se inizialmente Danae cerca solo di sfuggire alla condizione di povertà, si innamorerà sinceramente di Mida e nonostante l’ira di Giove riuscirà a far trionfare il proprio amore. Con una scrittura raffinata ed elegante, fatta di frasi morbide e suadenti e di timbri travolgenti, Strauss crea un racconto musicale vibrante di tensione.

Commenta Fabio Luisi: «Sono felicissimo di presentare per la prima volta in Italia l’ultima opera di Richard Strauss, L’amore di Danae, che rappresenta in un certo senso un testamento spirituale e drammaturgico del compositore bavarese. Sempre oscillando, come nei suoi capolavori Arianna a Nasso e La donna senz’ombra fra mitologia e mito, fra commedia e rappresentazione sacra, fra buffo e tragico, Strauss dipinge un poliedrico ed a tratti spietato ritratto delle passioni e delle debolezze umane, con un linguaggio musicale complesso e maturo. Ringrazio l’Opera Carlo Felice per il coraggio nel voler produrre questo progetto».

Laurence Dale: «L’anno scorso ho avuto un’esperienza meravigliosa con la regia di A Midsummer Night’s Dream di Benjamin Britten all’Opera Carlo Felice Genova. Non c’è complimento più grande che essere nuovamente invitato, e sono molto felice di tornare a Genova per lavorare insieme ai colleghi e agli amici del Teatro a un progetto per me ancora più difficile. Si tratta di Die Liebe der Danae, penultima opera di Richard Strauss. Anche questa volta abbiamo un meraviglioso direttore musicale, Fabio Luisi, esperto in questo repertorio, che conosco da molto tempo e con il quale sono molto contento di lavorare per la prima volta. Per questa produzione molto complessa sul piano vocale abbiamo inoltre gli interpreti più adatti. Die Liebe der Danae è una commedia, caso raro per Strauss se pensiamo a Salome o Elektra, è quindi una bella un’opportunità per realizzare una commedia con una musica di grande ricchezza e invenzione. La protagonista dell’opera è la principessa Danae, della quale Giove è sinceramente innamorato. Danae adora l’oro, così Giove finge di essere Mida, che può trasformare tutto in oro. Danae dovrà scegliere tra il vero amore e la ricchezza, e alla fine troverà l’amore. Non vedo l’ora di tornare a Genova!»

Per ulteriori informazioni: www.operacarlofelicegenova.it

D.F. (anche per le foto dei bozzetti di scena)

Portuali

Martedì 18 marzo alle ore 21.00, presso il cinema Greenwich di Roma (Via Giovanni Battista Bodoni, 59 – Roma -Testaccio-), sarà presentato Portuali, documentario di Perla Sardella che porta lo spettatore al fianco del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova (C.A.L.P.), raccontandone le lotte politiche e sindacali tra il 2019 e il 2023. Realizzato con materiali di repertorio provenienti dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico ETS (AAMOD), il documentario intreccia memoria storica e presente per restituire il senso profondo di un’esperienza collettiva di resistenza e trasformazione.

Il film sarà introdotto da Vincenzo Vita, presidente dell’AAMOD, insieme a Mazzino Montinari (Giornate degli Autori). Seguirà un incontro-dibattito insieme alla regista Perla Sardella.

Un gruppo di lavoratori del porto di Genova, riuniti sotto la sigla autonoma C.A.L.P., si incontra in assemblea per discutere delle difficoltà nel rapportarsi con il sindacato, per denunciare il passaggio delle navi che trasportano armamenti ed esplosivi destinati ai teatri di guerra, per riflettere sulla necessità di creare reti di solidarietà e adottare un approccio intersezionale nelle proprie battaglie. Portuali segue da vicino questa realtà, portando sullo schermo il loro impegno antimilitarista, le rivendicazioni per maggiori diritti e sicurezza sul lavoro, il dialogo con altri collettivi portuali del Mediterraneo.

Attraverso un montaggio che alterna immagini d’assemblea, ritualità quotidiane e materiali d’archivio, il film restituisce un ritratto intimo e corale di un mondo in lotta, in cui il lavoro e il conflitto sociale si impongono come motori di cambiamento storico.

Portuali è un film nato dalla volontà di esporsi all’irriducibile flagranza della lotta – racconta la regista – innescando un corpo a corpo con la realtà dove il cinema rinunciasse a strategie affrettate. Trovandomi a confronto con un gruppo interamente maschile, ne ho offerto un ritratto da una prospettiva inattesa, quella della parola, che qui è materia, ritmo, motore di un’azione volta al cambiamento”.

Dopo l’anteprima mondiale al 65° Festival dei Popoli, il film è distribuito in Italia da OpenDDB ed è prodotto da Berenice Film, con il sostegno di Rosa-Luxemburg-Stiftung Brussels Office e Stiftung Menschenwürde und Arbeitswelt, in collaborazione con AAMOD.

Perla Sardella (Jesi, 1991) vive e lavora a Genova, dove è anche insegnante di scuola superiore. Filmmaker e artista visiva, lavora con immagini fisse e in movimento, esplorando il confine tra sperimentazione e osservazione. I suoi progetti spaziano tra documentario, fotografia, audio e video-installazioni. Tra i suoi lavori: Please Rewind (2017), Prendere la parola (2019), Le grand viveur (2020), Le Ersilie (2022) e Prima Persona Plurale (2023).

La serata si inserisce nell’ambito di Solo di Martedì, rassegna che ogni settimana propone film capaci di interrogare il presente attraverso linguaggi e prospettive differenti. Il progetto, ideato da Paola Cassano, Mazzino Montinari, Antonio Pezzuto e Cristina Piccino in collaborazione con Associazione Filmmaker, nasce dal desiderio di trasformare la sala cinematografica in un luogo di incontro e dialogo tra autori e pubblico. Un’occasione per confrontarsi con opere che illuminano le contraddizioni del contemporaneo, alternando anteprime, titoli emersi nei festival e film che, nel tempo, hanno assunto lo status di classici.

Elisabetta Castiglioni