Il coraggio di dire no. Perlasca a Brescia il 6 febbraio

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(foto di Alberto Scandolara)

Uno spettacolo come pochi. Ricordare, tramandare, le solite parole che sembrano vuote di senso, soprattutto quando la frase stantia “Ricordare per non commettere gli stessi errori” si scontra con la dura realtà degli attuali atti di violenza, spesso simili, in modo raccapricciante, a quelli raccontati in un testo indimenticabile. In scena solo un uomo. Già questo sottolinea come basti solo una persona per cambiare la vita di molte altre: la differenza, in questo caso, tra la vita e la morte nella storia di Giorgio Perlasca. Raccontata in modo assolutamente partecipe e affettuoso da Alessandro Albertin, autore di questo testo bellissimo e interprete del monologo capace di tacitare, assolutamente silenzio assoluto, intere scolaresche. Otto le repliche previste a Brescia, alle 10.30 e alle 15.00 scolastiche e stasera per “il pubblico adulto pagante” (fuori abbonamento) come lo chiama Albertin. La replica di stasera è esaurita, pertanto, in accordo con il CTB, ci sarà la possibilità di partecipare ancora a delle repliche il prossimo 6 febbraio, sia per le scuole che serale (così abbiamo saputo dall’attore). Il Teatro Santa Chiara Mina Mezzadri, di Brescia è perfetto per la rappresentazione, scelta per commemorare la Giornata della Memoria, promossa a Brescia, oltre che dal CTB, dal Comune di Brescia, dall’Associazione Familiari Caduti Strage di Piazza Loggia e dalla Provincia di Brescia, nell’ambito di un nutrito programma di iniziative. Trovo, tuttavia, senza nulla togliere a tutti i doverosi altri strumenti per raggiungere ogni sensibilità, ogni modo di ricordare e di pensare, che questo “Il coraggio di dire no”, proprio per come è stato strutturato e realizzato, colpisca corde profonde in modo massiccio e totale. Comunque, ora parliamo di teatro e di questo lavoro a cura di Michela Ottolini, che ha il patrocinio della Fondazione Giorgio Perlasca (gestita dal figlio e dalla nuora di Giorgio), in collaborazione con SPAZIO MIO Overland teatro, produzione Teatro de Gli Incamminati-Teatro di Roma.

Alessandro Albertin ha pensato di raccontare la storia di Giorgio Perlasca nel dicembre di cinque anni fa, quando ha accompagnato suo padre al cimitero del paese d’origine, Maserà, in provincia di Padova, dove l’uomo era nato nel 1943. Il padre di Albertin è sepolto a pochi metri di distanza da Giorgio Perlasca, nativo di lì, di Maserà, e probabilmente lo conosceva, lui barbiere, nel cui salone si parlava di alcune storie, di un certo uomo che aveva fatto qualcosa in Ungheria, forse aveva salvato della gente.

Giorgio Perlasca, infatti, non aveva raccontato nulla, o quasi, della sua storia assurda quanto terribilmente vera e preziosa e proprio per questo è stato nominato Giusto delle Nazioni e il suo albero è a Gerusalemme, a ricordarlo nel modo forse più consono, più elegante e silenzioso. Modo altrettanto bello per Albertin di ricordare il suo papà, in un legame di intenti e di storia che è profondo e di quella profondità vera che non smette di commuovere l’attore in scena e di convincere, così, centinaia di ragazzi delle scuole, muti a sentirlo e guardarlo, trascinati da parole, toni, luci e sentimenti in una storia che rimane dentro. Già, perché mentre nasceva il papà di Albertin, Perlasca era a Budapest, nel 1942, 1943. Si occupava di comperare bestiame da inviare in Italia per il macello. Conosceva bene e amava la bella città sul Danubio, al tempo filonazista; conosceva bene anche la stazione e i carri bestiame: lui li mandava a sud, qualcun altro li mandava a nord, diretti ai campi di sterminio.

Giorgio Perlasca era fascista: aveva combattuto come volontario durante la guerra civile spagnola, meritando una lettera-salvacondotto di Francisco Franco, da usare in caso di necessità. E così sarà. La sorte e la forza di un uomo si incontrano dopo l’8 settembre 1943: l’Italia dichiara l’armistizio. Perlasca resta senza lavoro perché la sua azienda chiude immediatamente. Gli italiani sono guardati con sospetto, compreso lui che, malgrado fosse fascista, contestava le leggi razziali e quei giochi spaventosi di molti tedeschi, e molti ungheresi delle Croci frecciate, che sparavano agli ebrei anche per strada, tanto erano da eliminare. Senza passaporto, senza lavoro, Perlasca comincia ad avere paura di fare la loro stessa fine e allora va all’ambasciata spagnola e, vantando la lettera del generalissimo, riesce ad ottenere il passaporto spagnolo e l’egida di diplomatico. Vuole fare qualcosa e, in quel momento, qualcosa significava difendere e salvare gli ebrei che chiedevano aiuto, soprattutto se ebrei spagnoli, ma anche solo perché sembrava che l’ambasciata spagnola si occupasse di loro. Inizia allora la lotta contro il tempo, contro gli ideali antiebraici, contro l’idea della razza ariana, contro la violenza gratuita, contro la propria stessa paura. Inizia la trattativa con le autorità, inizia la disperata e folle catena di giornate contro il massacro, l’invio nelle camere a gas, le uccisioni sulle rive del Danubio. Albertin in scena interpreta vari toni, vari accenti, vari personaggi. La sua bravura è sostenuta da questo testo e dalla storia che vive come se Perlasca, adesso Jorge Perlasca, fosse lui. Jorge riuscirà a salvare migliaia di vite, una delle quali Lili, bambina, che riuscirà a fare scendere dal treno diretto ad Auschwitz e che rincontrerà nel 1957, ragazza felice diretta in Canada a cercare fortuna. Saranno però due ungheresi sulla sessantina, nel 1988, a trovarlo a Maserà e a scoperchiare la verità. La coppia lo stava cercando da tempo e portava ancora in borsa il foglio di tutela che aveva salvato la vita. La firma quella di Perlasca che si era addirittura spacciato per il console di Spagna quando il vero era dovuto rientrare nel proprio Paese. Da quel momento, la storia di Giorgio si saprà e meriterà l’attenzione internazionale.

Un po’ meno quella italiana. Giorgio Perlasca era un personaggio scomodo, che non aveva rinnegato la sua appartenenza fascista, che aveva dichiarato di avere fatto tutto quanto come uomo e non come cristiano cattolico, che non era proprio così simpatico alla sinistra. Sta di fatto che di tanta gente non se ne sa più niente, con i propri dinieghi, la propria spocchia giudicante, mentre Perlasca è una luce fulgida in grado di dirci che sì, si può dire la verità, si può dire no, anche quando è difficile e scomodo e tutti dicono il contrario. Rimanere se stessi, o imparare ad esserlo, è l’insegnamento più grande che resta dal lavoro di Albertin, oltre all’insegnamento su quell’uomo straordinario della provincia di Padova. La possibilità di riconoscere le situazioni e di opporvisi se necessario. Perlasca era fascista, ma non aveva accettato le leggi razziali, pertanto la sua storia insegna che si può abbracciare un’idea ma non per questo in toto, se quello che professa è contrario alla propria etica. Insegnare a ricordare, a capire, è difficile per quanto necessario e sempre “di moda”, dal momento che ci troviamo davanti anche oggi a delle necessità e impellenze a tratti simili a quelle narrate: salvare la vita di fronte a gente che pensa qualcuno non ne abbia diritto. Pertanto, se qualcuno pensa alla Giornata della Memoria come ad un momento per lavarsi la coscienza, legga, grazie ad Albertin-Perlasca, che è il giorno di partenza per riflettere e approfondire le proprie nozioni e convinzioni in difesa della libertà e della giustizia.

 

Alessia Biasiolo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Premio UBU migliore attrice 2016 a Elena Bucci

 

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Il CTB di Brescia esulta per il premio UBU come migliore attrice 2016 a Elena Bucci per gli spettacoli “La locandiera” produzione proprio del CTB, “La Canzone di Giasone e Medea” sempre produzione CTB nella Stagione di prosa 2015/16, “Macbeth Duo”, “Bimba. Inseguendo Laura Betti”.

La premiazione della trentanovesima edizione dei Premi Ubu, curata dall’Associazione Ubu per Franco Quadri, con il patrocinio e contributo del Comune di Milano e in collaborazione con Ateatro e Il tamburo di Kattrin, si è svolta il 14 gennaio scorso a Milano, negli studi Rai di Piazza Verdi, a cura di Elio Sabella.

Il Premio Ubu per il teatro – l’unico realizzato totalmente in forma di referendum, da 39 anni – è, storicamente, un riconoscimento dallo sguardo lungo, che cerca di individuare non solo il meglio che c’è, ma quello che verrà, aprendosi alle nuove prospettive. I premi sono stati decretati dai voti di una giuria di 59 referendari, tra critici e studiosi teatrali e abbracciano diversi ruoli del teatro, dalla regia agli attori e attrici, dalla scenografia alla drammaturgia contemporanea, fino allo spettacolo dell’anno e ai ‘premi speciali’, destinati a segnalare realtà trasversali, non contemplate dalle altre categorie.

“Un po’ stordita dalla mia fortuna e tra qualche capriola di gioia, ringrazio con tutto il cuore chi ha voluto darmi questo Premio, che mi incoraggia a future ardite visioni e allo stesso tempo mi evoca personalità, volti, spettacoli, progetti che sono emozionanti memorie e storie del teatro. Mi parla del mistero e della grazia del nostro mestiere e del suo gioco che sempre con stupore si rinnova mentre si innesta in una tradizione antica che si perde nel tempo. Riporta in luce il desiderio di incontrarsi e lavorare insieme in nome del valore e del piacere dell’arte nella vita di tutti e di ogni giorno.

Lo dedico quindi, grata a chi mi ha concesso di trovarmi in tanto straordinaria compagnia, a chi non c’è più ma resta nella maestria, a chi mi ha accompagnato e sostenuto fino a qui con qualità e dedizione, a chi lavora con coraggio e passione nella luce e in ombra e a chi ancora non c’è, ma porterà con sé il teatro del futuro”, ha affermato Elena Bucci.

 

Silvia Vittoriano (foto GZPictures)

 

 

 

 

Le avventure dell’ingegnoso ed errante cavaliere don Chisciotte della Mancha a teatro

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In occasione dei 400 anni dalla morte di Miguel de Cervantes e dopo il grande successo ottenuto la scorsa stagione, il CTB ripropone al teatro Sociale di Brescia il fortunato percorso di spettacolo dedicato a Don Chisciotte, figura emblematica della letteratura di ogni tempo, un eroe alla ricerca della sua identità che cavalca i secoli e giunge fino ai giorni nostri saldamente in sella al suo fido destriero Ronzinante.

I piccoli spettatori seguiranno da lunedì 12 a venerdì 16 prossimi, in quattro repliche (ore 9.00/10.30/12.00/14.30) e sabato 17 in due repliche (9.30/11.00); sabato 17 dicembre anche per le famiglie in prima replica alle ore 15.00 e in seconda replica alle ore 16.45; da lunedì 19 a mercoledì 21 dicembre ancora in quattro repliche (alle ore 9.00/10.30/12.00/14.30), Don Chisciotte e il suo fedele scudiero Sancho Panza nelle più errabonde e tragicomiche avventure, all’inseguimento dell’amore per Dulcinea e della speranza in un mondo più giusto e più nobile.

Ogni piccolo spettatore verrà nominato governatore di un’isola tutta sua dove coltivare la propria fantasia e far crescere l’immaginazione.

Don Chisciotte non è un super eroe, ma un eroe tragicomico, forse un perdente, ma con molto da insegnare ai suoi spettatori. Un eroe fedele ai propri sogni, ideali e progetti, che combatte con ogni sorta di avversità, mettendosi al servizio dei più deboli. Attraverso di lui i bambini impareranno come l´immaginazione, può superare talvolta la realtà.

In teatro, luogo per eccellenza dell’immaginazione, i bambini della scuola primaria di primo e secondo grado, accompagnati dal simpatico servo Sancho Panza e da altri personaggi minori, potranno intraprendere un viaggio fisico all’interno degli spazi del Sociale e, contemporaneamente, conoscere i personaggi che ricoprono spesso a loro volta, nel racconto, il ruolo di attori.

Biglietto di ingresso a euro 3,00 con prenotazione obbligatoria al tel. 030 2928616.

Silvia Vittoriano (anche per la foto)

La verità nei sonagli di un berretto

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Andrà in scena ancora oggi pomeriggio, alle ore 15.30, al Teatro Sociale di Brescia, “Il berretto a sonagli” di Luigi Pirandello, adattato da Valter Malosti per il Teatro di Dioniso e con il sostegno del Sistema Teatro di Torino. Una delle commedie più amate del genio di Girgenti e, ancora una volta, la commedia sulla verità e la convenienza o meno di dirla. Perché chi dice la verità viene passato per pazzo, legato, rinchiuso, come il matto più matto della città e di tutti i tempi. La verità deve restare nascosta, conosciuta da tutti eppure negata, edulcorata, semplificata come si fa con i bambini quando si deve spiegare loro un concetto da grandi. Ecco in scena, anche regista, Valter Malosti stesso nel ruolo di Ciampa, il fedele servitore dedito al suo padrone che, per l’interpretazione di Malosti, non è il succube arrendevole alla tragicità dei fatti, bensì colui che si ribella e che mette in atto una sua personale guerra alle convenzioni, interpretando il reale con il metro del suo adattamento. Scritta in dialetto siciliano, la commedia “A birritta ccu ‘i ciancianeddi” viene recitata ancora nella commedia del Teatro di Dioniso in siciliano, per lasciarle la musicalità e la tragicità comica che il dialetto rende vividamente. Bravissima Roberta Caronia nella parte della moglie tradita che, è vero, assolutamente ed eccessivamente gelosa, crede alle parole della malvagia pettegola del paese, e ordisce una trama per smascherare l’adultero. La tresca è con la moglie di Ciampa, bella, giovane, ma rozza, popolana e ben segregata in casa da Ciampa stesso. Il quale si comporta da bravo marito, chiude casa bene a chiave con tanto di catenaccio e se, come gli viene fatto notare, lascia aperta la comoda finestra, beh, questo le convenzioni non lo prevedono. Si dice di chiudere dentro casa a chiave la moglie e tanto fa, indifferente al fatto che tutto il paese chiacchiera sulle corna che la moglie gli mette proprio con il suo padrone il quale, tra l’altro, ha le chiavi del catenaccio.

3_berretto_a_sonagli_caronia_malosti_ph_le_peraRecitato originariamente da Angelo Musco, attore di grande successo, il testo in dialetto siciliano originario di Pirandello, del 1916, non fu mai pubblicato, fino alla versione ritrovata nel 1965 e pubblicata solo nel 1988. Di grande successo attuale, molto applaudita al Teatro Sociale di Brescia con ripetute uscite degli attori, la commedia assume tinte fosche, grottesche e spassosissime quando si incontrano il Delegato, che si deve preoccupare di redigere il verbale necessario all’arresto del traditore e della sua amante; la madre di questa, il fratello, la serva e lei stessa, ben presto in preda ad una crisi isterica. Infatti, il marito è stato arrestato quasi in flagranza di reato, ma le fanno tutti notare che non avrebbe dovuto creare lo scandalo che l’avrebbe liberata dall’ossessione di essere tradita, le avrebbe autorizzato la separazione e le avrebbe garantito una vita dignitosa con i soldi del mantenimento che il marito le avrebbe dovuto a vita. Se non ché, l’arresto non l’aveva messo in atto il Delegato, siciliano e rispettoso della tradizione non scritta di comportamento, ma un suo sottoposto “calabrese”. Il calabro, ignaro che a volte è meglio sistemare un po’ la verità, aveva permesso di palesare una realtà a tutti ben nota, ma che doveva necessariamente essere taciuta. Inutile ripetere che le convenzioni volevano la donna sempre “al suo posto”, ma in realtà non è di lei che si parla. È di Ciampa, il quale, scoperto che avevano arrestato anche sue moglie, si chiede perché lui, poveraccio, dovesse subire tutto questo. Lui che non era ricco, che avrebbe dovuto vivere in un paese sbeffeggiato per sempre, non era stato preso in considerazione da nessuno. Tutti a pensare al signore e alla signora, al processo, alla sistemazione dei propri fatti e lui? “Becco” per sempre. Insomma, la verità resa ufficiale doveva per forza prendere un’altra strada, quella molto amata da Pirandello: la follia. Solo la pazzia permette agli esseri umani di esprimersi come desiderano e credono giusto, altrimenti vengono additati al pubblico ludibrio e finiscono la vita sociale per sempre. Il mite e saggio Ciampa, sottolinea come si poteva risolvere il misfatto parlandone, chiarendo l’equivoco oppure anche l’adulterio tra di loro, in faccia, non tramando dietro le spalle. Forse ci sarebbe stata un’altra soluzione, lui avrebbe preso moglie e bagagli e se ne sarebbe andato, avrebbe chiuso meglio a chiave il catenaccio, insomma, avrebbe potuto salvare l’onore senza per questo lasciare la sua signora nel dolore dell’essere tradita. Ma così, adesso? Cosa si sarebbe potuto fare per rendere la verità più docile se non ricoverare per pazzia proprio la vittima di tutta la tragicommedia?

Personaggi riusciti, perfettamente diretti, dalle movenze che sottolineavano tanto quanto il dialetto siciliano della recitazione, caratteri e formalismi (con Malosti e Caronia, in scena Paola Pace, Vito Di Bella, Paolo Giangrasso, Cristina Arnone e Federica Quartana), su e giù per le interessanti scene di Carmelo Giammello. Giammello ha interpretato altrettanto bene di Malosti Pirandello, coprendo le pareti di specchi riflettenti in modo impreciso, a volte distorto, le persone di passaggio davanti a loro e, guarda caso, raramente propense a specchiarsi. Molto belli anche i costumi di Alessio Rosati, adatti alle scene di frenesia e di agitazione della brava Roberta Caronia, sotto le luci di Francesco Dell’Elba, fino al sacro cuore dell’abito della serva che non smetteva mai di ricordare come si dovesse essere timorati di Dio, lasciando che il marito avesse le sue scappatelle! Assolutamente da non perdere.

Foto di scena di Tommaso Le Pera.

Alessia Biasiolo

 

 

 

 

La tragedia di Oreste, la carriera delle Erinni

 

SPETTACOLI BRESCIA CENTRO TRATRALE BRESCIANO EUMENIDI NELLA FOTO SCENA   25/01/2016 REPORTER FAVRETTO

Il nuovo allestimento di “Eumenidi”, messo in scena dal CTB di Brescia in collaborazione con il 68° Festival del Teatro Classico di Vicenza, riprende la versione realizzata nel 2004 per la Biennale di Venezia sempre dal CTB (in collaborazione con la Biennale di Venezia, il Teatro di Roma e Fondazione Orestiadi di Gibellina) e testi, regia e costumi di Vincenzo Pirrotta che è anche l’interprete principale. Premio dell’Associazione Nazionale Critici nel 2005, lo spettacolo si arricchisce ora di ricerche su testi e musiche, rendendo lo spettacolo ancor più un vero incanto. La bravura di Pirrotta, per la maggior parte del tempo impegnato in un monologo a più voci, trascina lo spettatore in una riflessione su come va il mondo e come è sempre andato, se anche le terribili Erinni accettano di diventare Eumenidi per “sistemare” le cose e fare in modo che tutti, da profondamente arrabbiati, diventino sereni e felici. La storia è nota: Oreste ha ucciso la madre Clitennestra perché si era macchiata dell’omicidio di Agamennone, suo padre. Ossessionato dalla necessità di eliminare quella profonda colpa eliminando la colpevole, Oreste è consapevole di caricare su di sé il delitto dei delitti: l’uccisione della sua stessa madre. Per questo motivo, le Erinni lo perseguitano, come il rimorso si è impossessato di lui e lo perseguita, chiedendo un tributo di sangue a loro volta per cancellare la terribile colpa. Oreste si recherà nell’Aeropago per essere giudicato in presenza di Atena e, dopo discussioni e lamenti, dialoghi tesissimi, monologhi ipnotici in un ritmo frenetico che ricorda la corsa delle Erinni dietro il malcapitato, ma anche l’ossessione che non ha fine con l’omicidio, ecco che si trova la soluzione. Oreste non può essere ucciso perché protetto da Apollo, quindi bisogna accontentare il dio e, allo stesso tempo, soddisfare le dee antiche degli Inferi tramutandole in benevole Eumenidi appunto. Non è così anche ora, propone nella riflessione Pirrotta? Nel testo sono stati inseriti ricerche personali, vocalità, sfumature di dialetto siciliano e tanta fisicità degli attori. Pirrotta, in primo luogo, che impersona Oreste, l’ombra di Clitennestra e la Pitia, ma anche Giovanni Calcagno, Marcello Montalto, Salvatore Ragusa ed Enrico Vicinanza. Le musiche sono di Ramberto Ciammarughi e le scene di Pasquale De Cristofaro; mentre la musica è eseguita dal vivo da Luca Mauceri alle tastiere e strumenti elettronici, Michele Marsella alla chitarra elettrica e Govanni Parrinello alla tamorra e alle percussioni. Gli attori maschi interpretano anche ruoli femminili, come tradizione nel teatro greco classico, recuperando il dialetto della zona di Alcamo, culla della lingua italiana. Abbiamo, quindi, interessanti argot della malavita siciliana, ma anche il baccàghiu che viene reso magistralmente da Pirrotta. Allievo di Mimmo Cuticchio, Pirrotta si avvia a diventare uno dei grandi del teatro contemporaneo, portando avanti ricerche sulle tradizioni popolari e una personale sperimentazione. Particolarmente riuscita in questo spettacolo coinvolgente, emozionante, capace di scuotere lo spettatore e di farlo ridere a distanza di poche battute. Interessante la ripresa del cunto abbinato al blues arcaico che, però, non dimentica i ritmi mediterranei, di tutto il bacino di mare che avvicinava le sponde africane alle italiane e greche forse più un tempo che oggi.

(nella foto: CTB, Brescia, foto di scena di “EUMENIDI” 25/01/2016, Reporter Favretto, per gentile concessione del CTB)

Alessia Biasiolo

 

Il Centro Teatrale Bresciano Teatro di Rilevante Interesse Culturale

È arrivato da Roma l’atteso riconoscimento di Teatro di Rilevante interesse culturale per il Centro Teatrale Bresciano.

Il neodirettore Gian Mario Bandera esprime piena soddisfazione per l’ottenuta qualifica: “Il riconoscimento di TRIC è motivo d’orgoglio per la città di Brescia, e vede confermate le nostre aspettative. Il Ministero ha voluto premiare una storia teatrale importante ed un progetto artistico e produttivo valido: da domani, forti della professionalità che ci è stata riconosciuta, lavoreremo ancora più per aumentare il pubblico, rafforzare l’offerta culturale e la nostra presenza sul territorio. Non abbiamo intenzione di sederci sugli allori: questa nuova qualifica è un grande sprone al cambiamento ed alla crescita”.

Si associa alle dichiarazioni del direttore la presidente Carla Boroni: “Dopo due mesi di traversata nel deserto, tra improvvise dimissioni di Angelo Pastore, incognite sulla presentazione dell’istanza e revisioni statutarie, arriva questa meravigliosa e attesa notizia per il CTB e soprattutto per la città: sono davvero contenta. Anche personalmente sono ripagata di questo periodo difficilissimo durante il quale ho dovuto farmi carico di competenze e ruoli non miei per garantire la sopravvivenza dello Stabile. Ma quello che conta davvero in questo momento è il risultato: il CTB ha dimostrato ancora una volta di essere una realtà di peso nazionale capace di raccogliere e vincere le importanti sfide al cambiamento che questa riforma aveva posto.

Voglio ricordare che se siamo riusciti a raggiungere questo obiettivo è anche merito del fondamentale supporto arrivato dagli Enti fondatori e del tenace lavoro del personale dello Stabile: un ringraziamento sincero a tutti”.

Silvia Vittoriano