Madri e figlie. Rivalità e alleanza

Un tempo adatto per leggere, questo autunno uggioso e ricco di pioggia che ci induce a restare al calduccio. Allora, una serie di letture possono essere più adatte di altre per poter distrarsi o ritrovarsi. Il caldo della casa, del nido, riporta all’argomento di un interessante libro edito da Paoline, che già dal titolo fa rizzare i capelli in testa: “Madre vs Figlia”. Amiche/nemiche, odio profondo mascherato da amore e amicizia, ma sempre un rapporto conflittuale che, spesso, non trova soluzione. Per i motivi più disparati. Spesso la madre, attraverso i figli, desidera superare qualcosa di se stessa, i propri timori, il proprio senso di inadeguatezza, la propria voglia di amare. Ma verso la figlia tutto questo si tramuta, inconsciamente o meno, in una sorta di gioco al massacro che ingigantisce problemi e lascia nodi irrisolti più di prima. Ci si ritrova davanti a situazioni limite, con madri piovra che attanagliano le figlie e il loro futuro, fagocitandole in un motivo di rivalsa verso se stesse, riconoscendole come specchio al punto da non permettere loro di trovare la propria strada e di seguirla. L’identificazione della madre verso la figlia la può portare a credere di essere essa stessa l’artefice della vita della propria figlia, senza rendersi conto di sovrapporsi ad essa senza lasciarle spazio. Sia che si tratti di una figlia bambina, sia che si tratti di una figlia madre. Il rapporto difficile madri/figlie si travasa poi sui nipoti, con risultati altrettanto complessi e, spesso, ancor più giganteschi di prevaricazione. Anche di amore. Anche il troppo amore può generare drammi, il più delle volte inconsci, quindi ancor più difficili da affrontare e, se possibile, superare. Ci sono poi le situazioni di madri/bambine, in cui è la figlia a diventare mamma della propria madre, e non solo e non necessariamente nel caso in cui la figlia si debba prendere cura della madre in oggetto. Spesso è semplicemente il caso di madri che aspettano di vivere una vita “normale” attraverso le figlie che si occupano di loro. Pensiamo ai casi in cui le madri raccontano la loro vita sentimentale alle figlie? O a quando le madri si “appropriano” dei ragazzi che corteggiano le figlie? No, non è solo questo il caso. Siamo di fronte a situazioni ancor più delicate, semplici e subdole. Tante Cenerentola e tante streghe cattive, anche ammantate dei migliori sorrisi e dei migliori propositi. Il nipotino non mangia come dovrebbe, non è vestito accuratamente, alla sua età tu parlavi già e camminavi già e mangiavi da sola, e non sei brava a preparare la zuppa e non ti riesce bene la torta … e anche quando la casa è uno specchio, i voti a scuola sono altissimi, i risultati sportivi eccellenti, c’è sempre un capello fuori posto, la camera con il letto che ha una minima piega, e un ragazzo che poteva essere migliore, e una smorfia che doveva essere diversa. “Mi sta bene questo vestito?”, “Sì, ma potevi mettertene un altro, ma perché devi uscire, ma non potevi indossare un’altra camicetta, ma a che ora ritorni, ma perché non esci da sola, ma perché non metti gli stivali invece delle scarpe, ma potevi stare a casa …”. In fondo si tratta di forme di ricatto, di involontario tentativo di diventare matrigne e di fare pagare alle figlie i propri conflitti, spesso con la madre, ma anche con il padre. Sensi di colpa, rabbia repressa, senso di mancanza di amore, anaffettività, con il rischio che la storia si ripeta, non soltanto nei confronti dei nipoti, ma anche da parte della figlia stessa nei confronti dei propri figli e, ahinoi, delle proprie figlie.

Un panorama drammatico? No, soltanto la storia quotidiana della maggior parte dei rapporti interni alle famiglie e non solo italiane. In occasione della recente giornata contro la violenza sulle donne, dobbiamo prendere atto anche noi donne che spesso il male ce lo facciamo anche da sole e tra di noi. Iniziamo allora a prendere in mano la nostra vita dal nostro legame più forte, quello con la madre e materno e, se non possiamo cambiare il nostro rapporto con nostra madre, se non l’abbiamo più, se “è una causa persa”, cerchiamo almeno di imparare a diventare madri di noi stesse, a volerci bene e, soprattutto, ad essere madri migliori. Migliori sempre. Il libro di Yvonne Poncet-Bonissol è un valido strumento. Agile da leggere, diviso per capitoli tematici che centrano il problema senza tanti giri di parole, è scritto dalla presidente dell’Associazione francese di difesa contro il mobbing, spesso presente sui media per spiegare e proporre argomenti specifici. Il tema principe del volume è aiutare madri e figlie a trovare ciascuna il posto che le compete e si propone, quindi, una sfida importante senza la vittoria della quale la società non avrà mai un vero apporto femminile costruttivo fino in fondo. Il nostro essere madri/essere figlie, infatti, è all’origine di tanti conflitti non soltanto con noi stesse, ma con i nostri legami femminili, facendo sì che davvero le donne non siano mai amiche. Pertanto la lettura di quest’ottimo contributo è davvero essenziale.

Yvonne Poncet-Bonissol: “Madre vs Figlia”, Paoline, Milano, pagg. 176; euro 13,50.

Alessia Biasiolo

Buon Natale bambini

Il testo e il cd per la drammatizzazione del Natale. Si tratta di sei canzoni per vivere il Natale con i piccoli, in modo da insegnare loro a capire il senso profondo della festa più amata dell’anno. Le canzoncine sono di facile approfondimento e possono tramutarsi in un’occasione di crescita per tutti, adulti e bambini insieme. La canzone “Natale in famiglia” riscopre la tradizione di preparare l’albero con il papà, o il presepe con la mamma. Occasione non solo per trovare un passatempo per i piccini, ma perché la famiglia dedichi il tempo a se stessa e all’unione da ricreare giorno dopo giorno nel modo più semplice e partendo dai gesti più normali e spontanei. L’educazione dei bambini al Natale è un compito importante per chi crede, non deve semplicemente essere il ricordo divertente di gesti d’infanzia o la reminiscenza sterile di episodi trascorsi. Con il momento di sofferenza che il cristianesimo sta attraversando, deve essere un compito principale per tutti i cristiani credenti trasmettere la gioia dell’arrivo del Redentore come occasione di riscatto da tutte le cosiddette miserie accumulate durante un anno. Anche la “confusione” generata dal Natale, momento di arrivo di parenti e di incontri con gli amici, è un modo di insegnare ad assaporare anche lo scompiglio che qualcosa di nuovo provoca, la nascita non solo di un bambino, ma di qualcosa di nuovo nel nostro animo, da lasciare crescere fino a quando riusciremo a capire di cosa si tratta. Non manca “Il calendario dell’Avvento” o “Grazie Babbo Natale”, perché non si stanca mai e che dentro il suo sacco ha felicità, bontà, palloni e bamboline che sono l’ipotesi di ciò che i bambini diventeranno in futuro. Un Babbo Natale che scende ancora dal camino, anche se in molte case non c’è più, perché anche il tono fiabesco delle canzoni aiuta a ritrovare in sé quella magia che altrimenti non si ricreerebbe, magicamente, ogni anno, in quel solitamente magico mese di dicembre.

Il libretto con i testi delle canzoni e delle drammatizzazioni e gli spartiti musicali, viene venduto con il cd delle canzoni e le basi musicali.

Dolores Olioso: “Buon Natale bambini”, Paoline, Roma, 2013, pagg. 28; euro 17,50 con cd.

Alessia Biasiolo

Il sentiero dell’Illuminazione

In questo periodo dell’anno, normalmente, ci si dedica ad attività di approfondimento: corsi di lingue, lezioni d’arte, corsi di aggiornamento, lezioni di ballo, lezioni di ginnastica. Il pessimo tempo atmosferico e le di certo generali situazioni economiche, favoriscono la concentrazione su argomenti di arricchimento interiore e il lato positivo di una lunghissima crisi è che si ripiega spesso sui libri, passatempo poco costoso che apre un mondo denso di opzioni e di suggerimenti. D’evasione oppure di crescita personale. È il caso di un interessante testo sulla saggezza del Buddhismo, curato da Vincenzo Noja. Un libro che propone il distacco dalle situazioni contingenti, dai beni materiali, dalle preoccupazioni solite dalle quelli ci lasciamo solitamente invischiare, per guardare molto più in profondità di noi stessi, dei nostri veri desideri, delle nostre vere aspirazioni delle quali sole dovremmo preoccuparci. La nostra realizzazione viene spesso interpretata come la realizzazione di livelli economici, gradi sociali, eppure non è questo il nostro vero ruolo nella realtà. Pertanto, potere approfondire la conoscenza di una filosofia profonda e saggia come quella professata dall’Illuminato, può soltanto aiutarci a diventare migliori per noi stessi, e quindi con gli altri. Soprattutto in questo momento storico, la necessità di rivedere le proprie posizioni, i propri modi di agire e di sentire è indispensabile per uscire dall’invischiamento generale nel quale sembriamo finiti avendo perduto il punto di inizio di tutto. Il mondo ci chiama a cambiare e a farlo velocemente. L’asse terrestre si è spostato di molto in pochissimo tempo, le vibrazioni sono aumentate, dobbiamo lavorare su noi stessi per migliorare la situazione complessiva, perché soltanto cambiando noi in meglio possiamo sperare di cambiare ciò che ci circonda. Guardare al distacco non come momento di perdita e al momento fatidico nel quale lasciare tutto, ma come minore fragilità di fronte alle problematiche della vita. La pratica religiosa indicata da Buddha è il prendersi cura di sé e degli altri andando oltre il senso di separazione e riconoscendo l’origine dipendente di tutti i fenomeni. Dopo la sintesi sulla vita del Buddha, vengono proposti nel volume alcuni passaggi chiave della sua filosofia di vita con la proposta di alcuni suoi scritti, spiegandoli in maniera semplice, affinché siano efficacemente intuibili dal lettore. La bellezza della saggezza dell’Illuminato, sta nella semplicità del messaggio e nella possibilità che ciascuno lo possa tramutare in proprio, senza che gli sia fornito un dogma finito da accettare soltanto così com’è.

Interessante la purificazione della mente, sede di tutti i nostri mali come di tutto il nostro bene. “Il grande maestro Atisha”, si legge nel testo, “così insegnò: “Qualsiasi cosa percepite, qualsiasi cosa dichiariate, non c’è nulla che non provenga dalla vostra mente. … La meditazione è la continua concentrazione su tale saggezza senza distrazione alcuna”. E leggiamo ancora: “Non una madre, non un padre faranno tanto, né alcun altro parente; una mente indirizzata al bene ci renderà un servizio migliore”. Gli spunti interessanti sui quali riflettere sono molti, senza il peso della scrittura dogmatica. Il breve volume si legge senza fatica, eppure con la possibilità di meditarvi a lungo, senza sentirsene gravati.

A cura di Vincenzo di Noja: “La saggezza del Buddhismo”, Paoline, Milano, pagg. 160; euro 10,00.

Alessia Biasiolo

Aldo Moro

Un saggio che apre alla “Politica, filosofia, pensiero” dello statista, scritto da Danilo Campanella, con una prefazione di Giulio Alfano per i tipi Paoline di Milano. Un uomo, Aldo Moro, noto per il sequestro di Via Fani che portò alla sua prigionia e al suo omicidio da parte delle Brigate Rosse, ma meno approfondito dal punto di vista dello statista, della persona mite e capace di cercare quella via di dialogo con tutti che, probabilmente, l’ha portato all’odio politico che gli costò la vita. Una vicenda umana interessante, che attraversa il secondo dopoguerra italiano fatto di persone di varia appartenenza, ma di grande levatura, ancora oggi portata ad esempio. Moro, Spadolini, Almirante, Berlinguer, per citarne solo alcuni. Persone che tanti non hanno conosciuto se non dai documentari storici e che pure vengono segnate come spartiacque tra un mondo politico colto, riflessivo, pieno di idee ed uno diverso. Al di là delle appartenenze, delle fedi politiche, questi nomi sono indice di chi aveva un’opinione certa, maturata anche (se non soprattutto) dall’incontro politico con l’altro, con chi aveva ideali differenti, idee diverse e che era disposto a mettersi in gioco parlando, scrivendo, urlando, se necessario, ma sempre nel rispetto dell’interlocutore. Oggi siamo di fronte troppe volte a persone che sembrano agire da sole in uno scenario visto a misura propria, senza un vero “scontro” ideologico che non significa di quelle ideologie che hanno portato, riferendoci a quegli anni, allo scontro armato di stampo terroristico, ma che significava voler imparare, sapere, scoprire se le proprie idee erano veramente tali stando in mezzo a quelle di tutti gli altri uomini e donne del proprio tempo. Abbiamo quindi ora un libro che propone le scelte di un uomo che credeva di agire nel modo giusto, non il solo, non il più giusto, ma quello che riteneva il meglio in quel momento, in quello scenario. Un uomo credente, che metteva in campo una novità: la partecipazione dei corpi intermedi dello Stato, la famiglia, le associazioni, i sindacati, che pensava fondamentali “affinché si mantenesse vivo il dialogo fra le parti, favorendo il dinamismo e limitando il rischio di statolatria. I corpi intermedi avrebbero permesso ai partiti di costituirsi in partiti programmatici, senza il rischio di divenire centri di potere”. Pertanto, i cittadini, secondo Moro, non andavano semplicemente accontentati, ma guidati senza, e questa era la sua vera novità, la vera rivoluzione, ingerenze ideologico-politiche o confessionali. La sua innovazione era la laicità e la politica, ritenute un tutt’uno all’interno del limite istituzionale. Questi erano i suoi discorsi all’interno del suo partito, la Democrazia Cristiana, nel 1978. In quegli anni, negli Stati Uniti era al potere Kissinger. I due uomini furono “interpreti di due modi diversi di intendere la politica, il potere e, in definitiva, il postmodernismo”. Moro vedeva il potere come un mezzo, Kissinger come un fine. Mentre Kissinger usava l’instabilità per affinare il proprio potere e quello degli Stati Uniti, Moro riteneva che l’ordine sociale fosse il collante primario per la coesione di una comunità di nazioni. L’analisi proposta è ampia, completa e interessante e permette di conoscere e di capire il personaggio Moro, l’uomo che stava dietro al politico, colui che cercava di mettere in atto i valori nei quali credeva. Egli aveva individuato nella legittimizzazione del più radicale individualismo, un grave pericolo: la teoria di una volontà generalizzata che, emanando dal Parlamento, giustificava il rifiuto dell’autonomia delle strutture intermedie dello Stato, considerate tutte nate dalla suprema volontà dello stesso. “È in questa estremizzazione assai pericolosa che Moro individuava le radici complessive di quel terrorismo estremo di carattere politico, ma anche di un certo fanatismo religioso, che prescindeva dalla centralità creaturale dell’uomo. Il carattere ‘liberale’ di Aldo Moro si può considerare il profilo della più avanzata cultural postmoderna”. Argomentazioni quanto mai di moda, per motivi diversi da allora, ma che ruotano intorno alle stesse piccolezza umane.

L’analisi del compromesso storico, il ricordo di nomi ed episodi, la contrarietà di Ford con le idee di Moro, l’approfondimento dei suoi rapporti con Mosca, fino al 16 marzo 1978. Il testo è incalzante, profondo e di facile lettura. Quella mattina, prima di rapire lo statista democristiano, vennero uccisi i suoi uomini di scorta Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Raffaele Iozzino e Francesco Zizzi. In Parlamento Giulio Andreotti si accingeva a presentare il suo nuovo governo. I giorni della prigionia di Moro, di cui sono riportate le sue lettere, furono sconvolgenti per tutta l’opinione pubblica e i passi riportati nel testo lo fanno capire molto bene, divisi tra aspetti umani e scelte politiche. Poi la comunicazione del luogo in cui sarebbe stato trovato il cadavere.

“Non si assisterà ad alcuna manifestazione pubblica, ad alcuna cerimonia, ad alcun discorso, alcun lutto nazionale. La famiglia si isolò nel dolore e nel silenzio. Il corpo dello statista verrà tumulato a Torrita Tiberina, in provincia di Roma. Il governo terrà ugualmente un funerale simbolico, celebrato dal Papa, ma senz ala bara. La famiglia non partecipò a quelle esequie, forse per non accettare la vicinanza “morale” di quegli uomini politici che, nel momento del bisogno, avevano lasciato solo il Presidente. Probabilmente, erano ancora ancorati alle logiche non sempre comprensibili del potere, come anche ai “giochi” di partito, pregni di quel machiavellismo politico che lascia molto spazio alla strategia e poco spazio alla carità”.

Adatto ai giovani, agli studenti, a chi c’era in quegli anni, a chi ha vissuto l’ansia dell’attesa, a chi vuole capire. Un libro da non perdere.

 

Alessia Biasiolo

Nulla è per caso

Una frase ripetuta come un mantra, ma che costituisce il nucleo fondante di una trama avvincente e degna di un ottimo giallista. È l’opera prima di questo genere di Roberto Spingardi che propone un viaggio per splendide località italiane sparse dalla provincia di Brescia a Punta Ala, alla Sardegna, fino all’estero, all’inseguimento della scoperta di che cosa non è per caso in vite che sono sospese tra la normalità e l’assoluto Caos, sì, proprio quello con la C maiuscola. Che cosa c’è di anormale nel conoscere a menadito la storia di Roma, infatti? E in un belloccio colto e raffinato che ammalia belle donne prendendole per la mente invece che per la gola, pur sapendole conquistare anche tra le lenzuola? Apparentemente niente, se non che il bello di turno è figlio di un magistrato donna, impegnata sul fronte della malavita organizzata e poi spodestata da poteri scomodi per un comodo ufficio sì nella città eterna, ma anche eternamente insabbiata nell’immobilismo di chi non deve dare fastidio a nessuno. Poi c’è un progetto folle di un mafioso un po’ fuori dall’ordinario, con una figlia rapita o forse no, suora o forse no, in un traffico internazionale degno degli 007 più azzardati, immersi in atolli da sogno che celano miseri misteri. Insomma, una trama ingarbugliata ma così bene, da diventare un romanzo degno di attenzione, capace di catturare il lettore più esigente e di lasciarlo soddisfatto. Sia dal punto di vista dell’accuratezza delle descrizioni, delle persone, delle auto, delle strade e dei cocktail; sia per scelte stilistiche che accompagnano pagina per pagina con la sapienza di chi non spinge alla lettura, ma ammalia a portarla avanti. Un pregio, che scaturisce dalla buona scuola di chi sa che un libro deve sapere togliere il peso dell’esistenza e non aggiungerlo, soprattutto se di genere.

Assolutamente ottima la scelta di scandire tutto l’intreccio in capitoli di pochissime pagine, agevolanti la curiosità, ma anche la comprensione, soprattutto per chi non avesse il tempo di leggere il romanzo tutto d’un fiato. La scelta delle motivazioni dei personaggi, poi, è originale, dimostrando la volontà dell’autore di mettere l’attenzione su problematiche di ampio respiro, ma senza soluzioni illusorie e senza facili moralismi, con quel po’ di suspance anche nel finale che non guasta. Elegante la scelta delle personalità, con bellezze fisiche mai fini a se stesse e la dimostrazione di avere saputo introiettare la scuola dei grandi giallisti, soprattutto d’oltreoceano, che sanno mettere nelle loro storie molto della vita quotidiana, sia del jet set che delle persone comuni. Un romanzo interessante, che merita di essere letto, regalato agli amici e consigliato.

Roberto Spingardi: “Nulla è per caso”, Fausto Lupetti Editore, Bologna, 2014, pagg. 354; euro 15,00.

Alessia Biasiolo

S-ciapi de emossioni

Raccoglie in un volume le sue emozioni, la poetessa veronese Anna Maria Lavarini, capace in liriche snelle, chiare, dense di carica emotiva, di trasmettere le sue illuminanti acquerellate di interiorità con una freschezza che denota l’età anagrafica soltanto per i contenuti. Narra di storie passate, di bambini, di figli e nipoti, ma soprattutto del suo amore, diviso tra quello per il marito, compagno di vita e di emozioni, e per la Poesia, suo sfogo e sua migliore amica, compagna di sé, quando è sola con se stessa.

La sua naturale voglia di comunicare la porta a racchiudere in pagine i suoi pensieri, spesso “buttati giù” senza freno e senza volontà di dare loro forma, fino a quando se li ritrova davanti agli occhi come piccole creature che non possono fare a meno di andare per il mondo e comunicare anche ad altri il loro modo di voler essere. La poesia di Anna Maria vuole essere, infatti. Malgrado la naturale predisposizione che non fa essere razionale il percorso creativo, la Poetessa desidera ardentemente dividerlo con gli altri, in modo che il circolo di amicizia si allarghi e diventi universale, come lo sono i suoi versi.

Anche per questo appartiene a due circoli culturali , il Club dei Poeti Dialettali del Legnaghese e il gruppo Insiemepoesia di Caldezzano.

In ogni caso, la raccolta di liriche spazia vari argomenti, con versi ricercati per il suono armonico delle parole: Lavarini ha come caratteristica principale proprio il suono delle sillabe, con la ricerca di termini connotati in dialetto veronese che sappiano soddisfare la cadenza tipica del dialetto veneto ma che, soprattutto, sappiano trasmettere quella musicalità intrinseca senza la quale la poesia non esiste. Oltre a questo, le poesie sono significative per la carica sognante di cui sono proprie e che accompagna il lettore in un mondo magico, dove la Natura impera e dove gli esseri umani sono sagome che la completano, in una meraviglia che Lavarini ancora non ha finito di scoprire e che ancora non finisce di stupirla. Così con le sue poesie le sagome acquistano capacità di parola e illuminano la scena di suoni nuovi: “’Na folada de versi sa infilà de ficheton/ drento de mi … I è parole, a olte bele e dolse,/ a olte inrabiade, amare/ …’n arco de violin che me fa vibrar,/ vivar e sognar… a oci verti”, che interpretano la solita vita di tutti i giorni con una carica di colori così ottimista da essere contagiosa.

Anna Maria Lavarini scrive se stessa e non c’è differenza tra quello che si legge e la sua persona, solare e partecipativa anche quando deve fare tacere le sue emozioni più amare. Un libro che si legge con leggerezza e che apre un orizzonte dove gli arcobaleni si intrecciano e creano nel lettore nuova capacità di parola. Da leggere.

Anna Maria Lavarini: “S-ciapi de emossioni”, Edizioni Stimmgraf, San Giovanni Lupatoto, 2013

Alessia Biasiolo

Il nuovo romanzo di Raja Alem

Una donna araba che non pone in discussione il suo diritto di essere, il suo diritto di genere e il suo diritto di scrivere. In un romanzo accattivante, magnetico e soprattutto capace di aprire un varco tra le strade di un Paese che conosciamo per dovere di cronaca più che per fiction televisive, Raja Alem comunica il vissuto femminile arabo ma, soprattutto, si dimostra gigante della globalizzazione. Lo stile asciutto eppure carico di emotività che sa trasmettere riga dopo riga, con una capacità di scrittura di altissimo livello, meritatamente ha ottenuto il prestigioso International Prize for Arabic Fiction e il Premio UNESCO per i risultati artistici conseguiti. Tradotto in italiano e in molte altre lingue, il suo ultimo romanzo ha incontrato il plauso di critica e pubblico. L’autrice vive tra Gedda e Parigi e ama viaggiare, quasi il viaggio fosse uno spirito che la possiede. Raja considera non solo il viaggiare fisico, tra un posto e un altro, ma anche il viaggio interiore, il viaggio dell’anima. Tra un dentro e un fuori, in un continuo comunicare che le dia la capacità di andare oltre se stessa, quasi all’altro mondo, e poi tornare indietro. Tipico delle personalità che acquisiscono grande equilibrio interiore.

Lo stile narrativo di Raja Alem è davvero da non perdere. Omaggio alla città natale della scrittrice, la misteriosa e affascinante La Mecca, il suo ultimo lavoro ha come voce narrante niente meno che un vicolo dal nome inquietante. Aburrus, il Vicolo delle Teste, che può vivere la rivincita sulla sua storia malfamata e triste grazie alla possibilità che gli è data di parlare ai lettori. Racconta la sua storia, il vicolo delle passioni e dei silenzi, per spiegare un delitto e cosa si può nascondere all’ombra di una città santa che, malgrado la sua importanza spirituale, si trova ad essere una città come tutte le altre. Anche con delitti e tragedie irrisolte.

La Mecca è per l’islam il punto in cui Adamo, padre degli uomini, atterrò quando lasciò il Paradiso terrestre, cacciato per il suo peccato. Quindi è il punto in cui l’uomo dovrebbe portare le sue idee e la sua immaginazione. Dove potrebbe realizzare ciò che ha in mente. Una città ricca di opportunità, quindi, ma che deve essere vista come crogiolo di culture, non diventare simbolo di separazioni. Infatti, il titolo del romanzo di Alem è un omaggio ad un filosofo e poeta mussulmano dell’XI secolo, Ibn Hazm, che dedicò un suo lavoro all’armonia tra le religioni monoteiste ebraismo, cristianesimo e islamismo. Per Hazm bisognava creare un terreno sul quale le culture potevano fiorire e collaborare, e dove la cultura poteva diventare universale. Come per Ibn Hazm, Raja Alem vorrebbe creare la consapevolezza che solo l’amore può essere il punto d’incontro tra le nazioni, unica via d’uscita al male e al dolore che pervade l’umanità. Riconoscere l’altro come una parte di noi è la base per il rispetto reciproco, l’apprezzamento delle qualità che ognuno di noi possiede anche grazie alle proprie appartenenze.

Lo stile di Raja è fortemente influenzato dalla lettura del Corano, con la sua musicalità, e dalle letture degli antichi libri arabi, ai quali è arrivata o tornata dopo letture di testi appartenenti a tutte le letterature, dalla russa alla francese, dall’italiana all’anglosassone. Non avendo preconcetti, Raja Alem non ha mai visto frontiere tra le letterature, come non vede barriere tra le nazioni, e così, ricca di un ampio bagaglio culturale, ha creato il suo linguaggio.

Quel linguaggio che le ha consentito di scrivere con il suo vero nome anche se, quando è nata, il nome delle donne in una città conservatrice come La Mecca non veniva pronunciato in pubblico. L’autrice sostiene che le donne non devono trascorrere la vita a pensare di essere nate vittime, soprattutto in alcuni Paesi del mondo, mentre devono trovare la propria strada e seguirla, mettendo a frutto la propria creatività e le proprie attitudini. Per questo Raja ha costituito (con la sorella Shadia, artista di fama internazionale) un’associazione culturale in Arabia Saudita, volta a sostenere le donne soprattutto dal punto di vista dell’istruzione. La constatazione di come molte donne abbiamo fatto la differenza in Arabia Saudita, la porta ad essere convinta che la strada sia aperta nella misura in cui ci si assuma le responsabilità delle proprie scelte e non si trascorra il tempo a sostenere di non vivere o di non aver vissuto per colpa degli altri.

Nel romanzo, infatti, ci sono vari tipi di donne e vari tipi di uomini. Chi desidera nascondere la verità e chi vuole svelarla, chi pensa al passato e idealizza un amore spirituale e chi non sa scegliere tra il trattare le donne come un oggetto proibito oppure sfruttato. In fondo ogni tipo d’uomo costituisce un’entità sola, così come ogni singola donna è una realtà soltanto, mentre la trama la spinge ad uscire dalla paralisi dei luoghi comuni.

Fogli nascosti perché scritti in segreto, emozioni negate, forza spirituale e forza fisica che si scontrano in un intreccio che lascia con il fiato sospeso. È fuori di dubbio, tuttavia, che la parte da padrona la faccia proprio la città che sottende la storia narrata. Si percepisce quanto Raja Alem ami La Mecca e la sua gente, anche se non la idealizza; si percepisce, per il lettore occidentale, la differenza tra una città che non si scrolla di dosso la polvere della sabbia del deserto, per noi fonte di fascino e di mistero. In questo fascino e in questo mistero, giacciono le fiabe che rimandano ai tempi lontani de “Le Mille e una Notte” e serpeggia nel lettore attento il desiderio di saperne di più di un luogo che conosciamo sempre in modo troppo austero e distaccato, per economia o religione, ma mai così da vicino come per una trama gialla. La suspance è secondaria alla musicalità del narrato e la voce fuori campo diventa spesso quella dell’autrice, proprio come se riuscisse ad andarsene e a tornare incarnata nel Vicolo delle Teste durante il viaggio delle pagine e delle parole. Il lettore è rapito da quanto accade sotto i suoi occhi: la materializzazione di luoghi e persone che nascono nell’immaginario come evocati da un incedere narrativo maturo, strutturato ed elegante. Uno stile che testimonia come il Medio Oriente sia in fermento e contributo al rinnovamento della letteratura araba. La scrittrice parla infatti di libertà politica, di diritti per le donne, di rinnovamento, degli effetti della tradizione opprimente e dei pregiudizi, e sono proprio i contributi come il suo a diventare determinanti perché le cose cambino in meglio davvero. Così come importante è il contributo dei lettori che, seguendo l’evoluzione di una letteratura non come novità fine a se stessa, possano sostenere quel concetto di opinione pubblica fondamentale per non permettere passi indietro sulla strada delle conquiste positive.

Anche i lettori, quindi come l’ispettore Nasser, si devono immergere nella vita di Aisha, ripudiata dal marito e intrattenente una corrispondenza amorosa con il giovane vicino di casa Yussuf, giovane ossessionato dalla grandezza del patrimonio artistico e culturale dell’islam. Proprio da questo intreccio di lettere, l’ispettore scoprirà quanto la sua città sia corrotta e quanto il suo cuore sacro, la Kaaba, debba essere protetto da uno scontro sbagliato tra tradizione e modernità.

Raja Alem: “Il collare della colomba”, Marsilio, Venezia, pagg. 590, euro 21,00.

Alessia Biasiolo

 

“Franciscanae Variationes”. Poesie per il presente

La poetica di Elena Bugini è intensa, interessante, personale. Un tratto del panorama poetico italiano distinto, che si fa leggere con attenzione e interesse. Dedicate ad un pubblico colto, sensibile, le poesie di Elena, raccolte negli ultimi cinque anni, la vedono protagonista di un percorso che getta le basi per una poetica matura futura, in cui la ormai raggiunta consapevolezza delle proprie doti le permetta di donarci ancora considerazioni intense e pregevoli. Talvolta i suoi versi sono giochi di parole in cui i versi stessi eseguono capriole di senso per riempirsi di dimensione: bisogna seguirne l’andamento, più che il senso, in modo da fare proprio il significato profondo e carpirne i risvolti spessi. Altre volte abbiamo linearità, scandita da spaziature. Un’anima che ama, e in cui l’amore si sente anche (se non soprattutto) per le sue poesie, dove l’accento è posto con grazia. Una donna che mantiene inalterato il luogo comune di chi si perde in e per un amore, ma che in questo, come giustamente dev’essere, non perde la sua natura, la sua personalità, il suo termine di paragone. Le parole dedicate all’amato risuonano di più significati, quindi, sia legati a lui che legati a se stessa, e questo insegna come la poesia possa aiutare il sentire a crescere, maturare, traslandolo dal puro senso legato ad un avvenimento, ad un senso smisurato di attimi. Voltare la clessidra significa voltare pagina, ma anche essere protagoniste del tempo che passa, e non fugge. Lo stesso fatto, proprio di Elena, di scrivere i titoli in fondo, permette al lettore di non lasciarsi fuorviare o condizionare dal titolo scelto dall’Autrice per trovare, invece, alla poesia che sta leggendo un percorso, una strada maestra che lasci entrare nel cuore parole già scritte ma senza capilettera, da rimaneggiare. Non abbiamo, dunque, una poesia già ragionata, già definita, ma la spazialità lasciata a chi legge di moltiplicarla e darle tutti quei significati che merita, magari rilettura dopo rilettura. Quindi la sapiente combine di versi, parole, lettere che Elena Bugini sa incastrare l’una nell’altra ci fanno crescere dentro. Il merito più alto per un poeta.

Elena Bugini: “Franciscanae Variationes”, Aletti Editore, Villalba di Guidonia, 2010, pagg. 124; euro 14,00

Alessia Biasiolo

Gli anni tra cane e lupo

Un interessante libro di Rosetta Loy, caratterizzato dalla sua classica penna poetica nei tratti più personali, che a mezzo tra il saggio e il romanzo storico, ci riporta negli anni dell’Italia ferita a morte, come recita il sottotitolo, tra gli attentati terroristici e quelli di mafia, in un periodo che l’autrice ha scelto di analizzare compreso tra il 1969 e il 1994. Esattamente dall’inizio del periodo poi denominato gli anni di piombo, quello durante il quale si determinava la linea di demarcazione tra un prima e un dopo entro la quale si era “vasi di coccio”, inizio dato dalla strage di piazza Fontana a Milano, e la fine, fissata da Rosetta Loy con la nascita e l’avvento di Forza Italia al governo.

Un volume dal contenuto intenso, incalzante, formato da date, nomi anche dimenticati, intrecci che portano al 2013 appena trascorso. Un lavoro paziente, denso, filtrato da una memoria che spesso a tutti noi fa difetto, soprattutto quando arrivano nuovi personaggi sulla scena politica e non ci si ricorda di averli già veduti, che c’erano già in un prima a lungo funestato di morti.

Non è il computo preciso dei morti la trama, ne mancano tanti all’appello, ma è un tentativo di dare un senso all’accaduto, quando si sono conosciuti i retroscena, i muri di cartongesso sono caduti e sono apparsi i memoriali di Moro, o le agende si sono ritrovate, o i pentiti di mafia hanno fatto luce su passaggi della democrazia che vedevano la loggia P2, oppure Gladio, oppure i servizi deviati, oppure ancora stretti legami tra la politica al potere e la mafia, protagonisti. Burattinai a tirare le fila. Si ricordano i delitti eccellenti, dal commissario Calabresi ai giudici Falcone e Borsellino, ma anche l’attentato romano a Maurizio Costanzo, colpevole di essere amico di Falcone e di avergli dato spazio nel suo Maurizio Costanzo Show. E tornano alla memoria i nomi di altri giudici, dimenticati, oppure la storia della madre di tutte le tangenti, i legami Eni Enimont Montedison, l’acquisto di una certa villa ad Arcore, i dipendenti mafiosi e i capi delle inchieste, poi indagati e condannati.

La perizia con la quale Rosetta Loy conduce questa lunga inchiesta ci permette di capire, di capire quanto sulle pagine dei giornali è apparso sì, ma apparentemente senza legami, difficile com’è trovarli, i legami (a volte non ci riescono neanche con le inchieste giudiziarie), dopo anni e anni di rapporti di lavoro alla luce del sole o occulti, con giri di denaro che percorrono tutta la penisola.

Viene ricordato il misterioso suicidio di Raul Gardini, che si è sparato un proiettile alla tempia, ma l’arma era adagiata a metri da lui senza impronte, e altri misteriosi suicidi in carcere, come  quello di Gabriele Cagliari avvenuto il 20 luglio a San Vittore, dov’era rinchiuso come presidente dell’Eni (e già la Loy ci aveva spiegato molto su Mattei e la sua morte) accusato nell’inchiesta Tangentopoli per una tangente di sette milioni che era sfuggita e dalla quale erano partite le indagini che avevano portato al Pio Albergo Trivulzio e quindi a Mani pulite.

Tornano ad avere un contorno le figure di Michele Sindona e di Gelli, nomi di banche e di altri morti in carcere, come Aricò precipitato dal nono piano della prigione di Manhattan.

E tra soldi, banche e morti, la storia di Totò Riina, il suo arresto il 15 gennaio 1993, i papelli spariti e le perquisizioni della sua abitazione organizzate in ritardo, quando oramai la sua casa era stata svuotata. Ad esempio, il capo di quella operazione dei carabinieri dei Ros era stato, in quell’inizio del 1993, Mario Mori, promosso nel 1998 generale di brigata, trasferito nel 1999 alla Scuola ufficiali di Roma e diventato nel 2001 prefetto e direttore del Sisde fino al 2006. Quindi chiamato da Alemanno, nel 2008, come consulente per la sicurezza pubblica di Roma. Infine, sotto inchiesta da parte del tribunale di Palermo e nel 2010 iscritto nel registro degli indagati per concorso esterno in associazione mafiosa. Perché, appena arrestato Riina, prima che la moglie tornasse dalla spesa, non si era messa sottosopra la casa alla ricerca di prove, indizi, altri documenti? Perché anche in molti altri casi tanto tempo lasciato alla mafia o ai terroristi per sistemare le cose? Disorganizzazione o depistaggio?

Dov’è finita l’agenda rossa di Borsellino? Dove la cartella nera dalla quale non si separava mai Sergio Castellari?

E ancora nomi di politici: Andreotti, Cossiga, Craxi, Amato. Leggi cadute in prescrizione o nel dimenticatoio, il 45 bis non rinnovato da Conso per una sua iniziativa personale e altre sue scelte prese in solitudine, e provvedimenti non firmati dal ministro Martelli o dal presidente Scalfaro perché avrebbero affossato del tutto Mani pulite, oppure avrebbero agevolato la mafia.

Nomi di eroi che non si sono piegati, di pentiti, di persone spaventate dagli attentati che arrivarono fino alle mura vaticane. Citazioni dell’Opus Dei e della Cia e molto altro ancora, in un libro che è sì un romanzo d’Italia, ma a tratti dei più spaventosi.

Si legge di criminalità organizzata che passo dopo passo ha raggiungo il nord ed è talmente potente da non permettere di vederne più in contorni. Nel senso che non solo si è molto diramata, ma ha anche assunto tanti tipi di vestito, tanto da non essere più riconoscibile.

Il merito di questo lavoro (adattissimo per percorsi scolastici superiori e per l’aggiornamento degli insegnanti) è proprio avere tracciato un percorso preciso, dal quale si possono prendere le distanze, si possono avere altri pareri, ma di certo per confutarlo bisogna riandare ai fatti e non limitarsi alla retorica.

Oggi che sono passati non solo tanti anni da poter avere un quadro storico preciso, ma si sa anche com’è andata, si può rivedere il film del terrorismo con occhi meno offuscati, conoscendo le sentenze, i nomi, le deposizioni rilasciate in ritardo. Loy toglie dalla naftalina del dimenticatoio molti fatti, tanto da non lasciarci più alibi, non poter dire non lo sapevo o non lo ricordavo. Afferma l’autrice: “Si dimentica perché fa comodo, ed è criminale. E si dimentica per pigrizia, il che è stupido. La conoscenza di quanto accaduto è infatti l’unico strumento che abbiamo per distinguere il luogo dove ci capita di vivere. È la bussola che ci permette di orientarci”.

Con questa storia dobbiamo fare i conti tutti, nati o non nati in quel periodo, e solo la conoscenza, come sostengo sempre, ci permette di avere un’idea precisa di quello che vogliamo essere e vogliamo fare. Perché a un certo punto gli alibi non reggono più. E tutti noi siamo chiamati a rispondere di quello che è, oggi 2014, questo nostro Paese.

Da leggere.

Rosetta Loy: “Gli anni tra cane e lupo” chiarelettere, Milano, 2013, pagg. 298; euro 13,90.

Alessia Biasiolo

Polvere di diamante

L’autore di questo nuovo thriller è diventato famoso perché il suo primo romanzo, “Vertigo” è stato il primo poliziesco di successo del mondo arabo. Ahmed Mourad, egiziano, classe 1978, è stato fotografo personale di Mubarak, poi regista e scrittore, e ha visto la stampa di ben otto edizioni di “Vertigo” nel suo Paese. Voglia di polizieschi su modello occidentale? Sono gli effetti della primavera che non vuole dare spazio ad altre stagioni, nel travagliato nord Africa? Può darsi, ma leggendo i romanzi di questo giovane autore, si capisce che c’è molto di più. La capacità di calare il narrato nella storia degli ultimi decenni dell’Egitto contraddistingue anche la “Polvere di diamante” che dà titolo alla nuova opera. Una scrittura accurata, con un gran gusto per i vocaboli, scevra di nervosismi propri di molti narratori in erba o che sbandierano la novità della scrittura creativa.

Mourad è capace di avvincere con toni caldi, a volte ampollosi, ma sempre appropriati e scelti con molta cura. Lo scenario è complesso da raccontare, come vogliono i migliori thriller, romanzi di genere che non hanno solo del giallo e nemmeno solo del poliziesco, ma imbastiscono trame articolate, costruite su vite vere o presunte o verosimili dei propri personaggi con un’eleganza rara. Ecco allora che ci sono molti toni tratti dallo spionaggio, come se il nostro volesse farci ben capire il clima che si viveva davvero in un ambiente sovrastato dal potere, dai sospetti, dalla necessità di mantenere un matrimonio soltanto per non contrastare vecchie tradizioni e, soprattutto, per non essere considerato poco virile dalla cerchia di amici e conoscenti, soprattutto per vendetta da parte della moglie abbandonata. Storie di vita privata che si intrecciano con nomi noti di potenti, in un crescendo di suspance ma, soprattutto, di curiosità da parte del lettore che è come se si trovasse ad entrare, in punta di piedi, in un harem, o in un bagno turco affollato da maschi nudi e sconosiuti, che parlano una lingua strana e che ti guardano con sopresa.

Piano piano, quindi, si è condotti per mano a diventare il narratore e la voce narrante sembra la nostra, mentre aleggiano profumi di droge bruciate e di incensi inebrianti e i cadaveri vengono trovati nella casa di un povero ed apparentemente innocente paralitico.

Interessanti le storie basate sul rispetto, ma anche sul silenzio, quasi si fosse sempre nell’anticamera di una famiglia mafiosa, ma senza poterne individuare gli appartenenti, se non nel tutti sanno tutto, tipico di ogni luogo e, soprattutto, dei luoghi che non vedono troppa libertà. “L’omicidio è solo un effetto collaterale di una medicina che guarirà un paese in agonia”, si legge. E forse è vero. Nel contempo riuscendo a dare alla medicina-letteratura il vero ruolo, quello che dovrebbe avere dovunque ma che, molto spesso, da noi è andato dimenticato se non perduto. Il ruolo di stimolo e luce per indicare il cambiamento: quale possibile e verso dove dirigerlo.

Il Cairo è delineato per vizi inconfessabili, per scelte misteriose, per verità taciute e, soprattutto, per i bassifondi dove è lampante che abbia perso l’innocenza di capitale delle mummie e dei faraoni, luogo di vacanza e di turismo apparentemnete sopra le righe. Un romanzo interessante, intrigante ed affascinante come pochi, e, ripeto, non per l’ambientazione esotica, quanto per questo linguaggio così denso e carico di significati. E’ la parola a farla da protagonista. Finalmente.

Ahmed Mourad: “Polvere di diamante”, Marsilio, Venezia, 2013, euro 18,50.

Articolo di Alessia Biasiolo