Tamini. Un vecchio leone e il suo cammino

Il cammino del vecchio leone. Così viene definito il percorso di vita di Carlo Tamini, creatore nel 1916 di un’eccellenza italiana: un’officina che in soli dieci anni divenne la Tamini Costruzioni Elettromeccaniche. Passato indenne, o quasi, attraverso due guerre, Tamini ha molto da raccontare con la sua storia fatta d’amore e di lavoro, amore per il lavoro e lavoro per amore di creare un’industria che fosse molto più del guadagno. Oggi che si guarda al momento e al particolare, perdendo il più delle volte la visione d’insieme di un progetto e di un perché che possano avere un senso per l’oggi e per il futuro, sia per sé che per altri in un contesto di società dai problemi e dai successi condivisi, Tamini può diventare un punto di riferimento. Ecco allora storia industriale, con i big dell’acciaio come Riva e Lucchini, oppure altri grandi dell’imprenditoria come Olivetti, ma anche familiare e non sempre semplice e lineare; storia di interessi anche extralavorativi, dallo sport all’arte, fino agli scavi archeologici dell’erede Luciano che, con carattere deciso, mantiene il suo ufficio di presidente nella palazzina di Melegnano. Insomma, una storia italiana da cui imparare idee e coraggio, determinazione e creatività. Scritta con l’esperienza giornalistica di Erika Dellacasa, per anni nella redazione di “Globo”, dell’agenzia di stampa “Adnkronos, poi de “il Secolo XIX” e “Corriere della Sera”, fino al suo bel libro su un’altra dinastia imprenditoriale italiana “I Costa”.

Il racconto più interessante riguarda gli anni dei conflitti sindacali, oppure delle forniture di trasformatori per l’industria bresciana, come alle Acciaierie Stefana o all’Alfa Acciai. In questo, il rinnovamento dei trasformatori da forno che ebbero un’evoluzione ininterrotta nel tempo per alimentare forni sempre più grossi allo scopo di aumentare la produzione riducendo i consumi, soprattutto di energia elettrica. La storia dell’energia e dell’industria in Italia si ripercorre pertanto nel libro, ed è interessante leggere anche tra le righe come si è andati perdendo pietre miliari dell’industria nazionale. Arriviamo poi al 2013, quando una società di Tamini riceve il prestigioso premio International Utility Award dell’Edison Electric Institute di Washington, incoronandola tra le migliori utility europee per rendimento totale del titolo in tre anni, gli ultimi tre anni, e si parla di anni di crisi estrema. Infatti, ebbe un rendimento del 24per cento contro performance medie del settore negative. La “Tamini” resterà italiana, pur se le notizie parlavano già di acquisto da parte estera. Poi la chiusura del lungo racconto, arricchito anche da immagini e copie di documenti, è un cammino di altra natura, per le vie di un pellegrinaggio a Santiago. Come per dire che per trovare noi stessi, nel lavoro, nella vita, dentro di noi, dobbiamo comunque camminare.

Da leggere.

 

Erika Dellacasa: “Il cammino del vecchio leone”, Marsilio, Venezia, 2016.

 

Alessia Biasiolo

 

Un’altra America. In viaggio con Giuffrè

Adattissimo alle giornate estive il bel libro di Alberto Giuffrè che traccia un percorso tra alcune cittadine americane che si chiamano come le ben più note e importanti (almeno in Europa) città italiane. Un viaggio per conoscere gli Stati Uniti di oggi, come aveva fatto un’altra italiana viaggiatrice e giornalista come Giuffrè, Oriana Fallaci. E non solo lei. Scopriamo allora come sono gli States attraverso italoamericani di prima o successiva generazione, come si dice anche se in modo impreciso per chi nasce in un nuovo Paese da genitori che vi si sono trasferiti; ma anche grazie a italiani andati ad abitare là per motivi di lavoro o per altre insondabili vie in tempi recenti. Scopriamo Venice (Venezia) in California, Genoa (Genova) in Nevada, Palermo in North Dakota, Florence (Firenze) in Alabama, Rome (Roma) in Georgia, Naples (Napoli) in Florida, Milan (Milano) in Ohio e Verona in New Jersey. Storie di cittadine fantasma, che anche le mappe di Google si rifiutano di trovare, oppure città rinate grazie alla scoperta di greggio per almeno altri venticinque anni; città ricche e tranquille e personaggi apparentemente quotidiani che sono famosissimi o ricchissimi. C’è la storia del nipote di Thomas Edison o del Culinary Vegetable Institute, sorto dopo un’apparente disfatta. La saggezza di chi augura l’eterna insoddisfazione, perché solo così si rimane in auge e si cercano sempre nuove strade, e l’idea che si possa viaggiare da uno Stato all’altro, da un continente all’altro, senza per forza pensare di perder qualcosa di se stessi. Sono tante le storie, raccontate nel libro, di gente che ha cambiato vita anche più volte, cercando o trovando la propria vocazione, ma anche cambiandola, non essendo l’esistenza sempre uguale a se stessa. Un essere americani che ha anche molto di italiano, ma che spiega come questo grande Paese possa rinnovarsi sempre, non essendo legato a quei vincoli che troppo spesso, ad esempio, in Italia sono vangelo. L’America degli obesi che già sta trovando sempre più mercato nella ricerca del prodotto genuino, biologico, salutare, ma anche l’America della musica, dei templi del rock o dei mostri sacri delle grandi imprese musicali scopritrici di talenti. A proposito di Edison, bellissimo ricordare che quando gli facevano presente che aveva fallito diecimila volte nel tentativo di mettere a punto la pila alcalina, aveva risposto che, in realtà, non aveva fallito, ma aveva conosciuto diecimila modi non funzionanti. E continuando così avrebbe scoperto qualcosa di nuovo, che avrebbe funzionato. Successe proprio in quel modo, dopo cinquantamila esperimenti in dieci anni. Riporta Giuffrè nel suo lavoro la lezione del nipote del grande inventore: “le cose non accadono perché le vuoi, devi farle accadere”. Un Paese in cui devi guadagnarti tutto quello che hai, ma dove tutto è possibile, è reso possibile da una mentalità aperta al nuovo, all’aiuto al cambiamento senza il quale migliaia di persone non avrebbe trovato fortuna e libertà trasferendosi nel Nuovo Continente. E che pure tiene i cimeli come segno della storia che lì è recente o manca del tutto. Sono tanti i ricordi delle fabbriche automobilistiche che hanno lasciato il posto a innovazione o della fabbrica di bandiere più famosa d’America chiusa, mentre qualcuno ha l’idea di insegnare ai figli a sparare, in alcuni angoli vige il divieto di bere alcolici in pubblico, esistono sindaci rieletti per decenni. Uno stile narrativo agile, ricco di approfondimenti che aggraziano la frase e rendono spigliata e leggera la lettura, accattivandosi il lettore che si sente trascinato per chilometri di Route su un catorcio, letteralmente. Un viaggio dal sapore di altri tempi e che pure è così bello, ricco e nuovo, in un momento storico in cui l’informatica sembra spazzare via la vita reale, così come non c’è più il giornalista di nera che va sul luogo del delitto. Giuffrè usa la tecnologia (e come si potrebbe andando a spasso per la patria del “silicone”?) per aiutarsi a viaggiare, per informarsi (tanti sono i siti citati grazie ai quali si è documentato, visionando soprattutto gli archivi dei giornali locali), eppure si è catapultato nella realtà dei motel fantasma, nell’incomprensibile mancanza di benzinai per miglia e miglia, testando vari modi di mangiare e calandosi nei luoghi comuni e nella realtà di nostri connazionali o di personaggi interessanti dei luoghi visitati. Alcuni con un’indicibile nostalgia per la città “vera” in Italia, altri non spiegandosi nemmeno come il nome italiano sia arrivato fin là. Talvolta il battesimo delle cittadine era puramente casuale, dettato dalla volontà di altisonanza per posti piccoli e sperduti, oppure per motivi storici che si perdono nelle dispute degli storici locali. Insomma, un libro da leggere se non si va in vacanza, perché sembra di viaggiare davvero scorrendo le pagine; oppure per farsi ispirare un viaggio. O anche solo per curiosità e per farsi qualche risata, dato che i motivi per sorridere ci sono tra le righe. Un autore da scoprire, magari andando a leggere i suoi lavori precedenti e aspettando il prossimo.

Alberto Giuffrè: “Un’altra America”, Marsilio, Venezia, 2016, pagg. 126, euro 15,00.

 

Alessia Biasiolo

 

Opportunità nella crisi

Molto interessante, e indubbiamente di attualità, il libro di Giuliano Guerra, medico e psicoterapeuta, che per i tipi Paoline edita un saggio su come affrontare la problematica imperante della crisi economica che non ci attanaglia soltanto i portafogli, ma soprattutto le coscienze, i sensi di colpa, il senso di disperazione che si accompagna alla terribile sensazione di non sapere uscire da una sorta di tunnel nel quale ci sembra di essere, collettivamente, caduti. Guerra propone un interessante cammino di “rinascita” personale motivato, spronato, “creato” dalla crisi, rovesciando letteralmente la cognizione della negatività imperante. Nel testo si legge, infatti, di resilienza, cioè la capacità di fare fronte a momenti, o anche pensieri, traumatici, in modo positivo e propositivo, affinché anche un periodo lungo e buio come quello nel quale siamo finiti economicamente parlando, diventi volano di rinascita, crescita, positività. Può essere, infatti, che dal licenziamento per “crisi economica” si trovi il coraggio o il motivo per cambiare attività; può darsi che sia occasione per instaurare nuove conoscenze, nuovi legami; per cambiare modalità di approccio alla propria attività, cercando novità, nuove persone; può essere il momento per innovarsi, per studiare, per crescere; per uscire da percorsi di vita castranti, voluti dalla società, dai genitori, dalla propria incapacità di diventare adulti. Insomma, la casistica è varia, anche suscitata da esempi di casi clinici trattati dal psicoterapeuta Guerra e che debitamente sceglie come esemplificazione per stimolare nei lettori un’idea di cosa significa il suo lavoro e l’approccio al suo lavoro. Leggo con piacere che vengono chiamate in causa molte filosofie e che sono molti gli autori citati anche per aforismi. È il caso di Osho, ad esempio, oppure di Goethe: “Tutti i pensieri davvero saggi sono già stati pensati migliaia di volte. Per renderli veramente nostri, però, dobbiamo ripensarli fino a quando non mettano radici nella nostra esperienza personale”, cita Guerra nel suo libro. È come diceva il monaco maestro al seguace: doveva rileggere sempre lo stesso versetto dell’Illuminato. Soltanto la rilettura costante avrebbe portato l’adepto a capire la profondità delle parole, perché gli avrebbe consentito di attraversare le fasi necessarie per farle sue, per scoprire davvero la profondità che aveva pensato a materializzare la parole stesse. Guerra considera molto la lezione interiore, la necessità di ritrovare la propria spiritualità attraverso qualsivoglia esercizio, purché riproposto costantemente e, meglio, se seguito da un maestro. Un maestro in carne ed ossa, una guida spirituale, un maestro di yoga piuttosto che di altro, uno specialista come lo psicoterapeuta, chiunque possiamo incontrare sul nostro cammino e possa essere per noi guida in quel momento. A patto che sia una guida seria e positiva. Cita l’Autore, infatti, in modo snello e facilmente leggibile, le novità scientifiche nello studio del cervello che derivano da studi statunitensi di alcuni anni fa. Sembrerebbe che i pensieri siano emanazioni energetiche che influenzano l’ambiente, quindi come possono generare vibrazioni elettromagnetiche positive per tutto l’ambiente circostante, possono emanarne di negative, sempre per tutto l’ambiente circostante; questo significa che quanto più noi siamo positivi, tanto più influenziamo il nostro ambiente, e via, via, quello intorno a noi, positivamente, così come può avvenire viceversa. Queste considerazioni giacciono nella notte dei tempi per i mistici e per chi cerca risposte nella spiritualità intesa come conoscenza del sé profondo, delle proprie prerogative e infinite capacità di attuare la mediazione di forze insite nell’essere stesso. Il percorso tracciato da Guerra si propone proprio come una risposta alle latenti paure e alle conclamate crisi di ansia e di depressione che spesso la situazione esterna, economica preponderatamente in quest’ultimo periodo, si porta dietro, inaridendo tutto ciò che incontra, dai rapporti umani alle relazioni interpersonali più o meno superficiali. Da tempo insisto sulla mancanza di filosofia nella nostra vita, intendendo la filosofia come la capacità di generare pensiero fine a se stesso, non economico, non utilitaristico. Soltanto questo è troppo poco nella nostra esistenza, si trascina dietro solitudine negativa, incapacità ad affrontare il futuro, ad essere creativi. Soprattutto i più giovani sono molto fragili sotto questo punto di vista, ma non di meno le persone della cosiddetta mezza età che si trovano depauperate del proprio mondo, come impotenti verso il futuro e inutili nel presente, così create spesso dalla società consumistica attuale. Guerra, però, mette in guardia a non fermarsi a colpevolizzare se stessi o il mondo circostante, la crisi, le imprese, il fisco, lo Stato, gli altri. Mette l’accento su tutto questo come dato di fatto o considerazioni di ordine pratico, senza dare colpe. Da questo dato di fatto, se vogliamo prenderlo così, dobbiamo trovare proposte e vie d’uscita che non siano autodistruttive, non fermarci a piangerci addosso. Le filosofie cinesi affermano lo stesso: la stasi è causa di malattie e problemi, il fermarsi, il soggiacere a tutto ciò che di negativo ci può solo uccidere moralmente e talvolta anche fisicamente. Cosa bisogna costruire? Il pensiero. Non c’è pensiero dietro la fretta di rispondere ad un mondo virtuale che non si sa a cosa ci serve davvero, data la sua troppo frequente superficialità. Dobbiamo usare le opportunità, non esserne schiavi, fermandoci un’altra volta alla superficie di ciò che non vogliamo approfondire, noi stessi, traviando come “pensiero nuovo” qualche frase spot che arriva dalla mitizzata Rete, ad esempio. Il pensiero è approfondimento e silenzio, è capacità introspettiva e di generare spessore in noi, parlando quando sappiamo cosa dire, scrivendo per lo stesso motivo, nello stesso momento in cui sappiamo cosa stiamo scrivendo, a chi, perché. “Attraverso i nostri pensieri creiamo la realtà della vita e rendiamo possibile la nostra evoluzione.”, scrive l’Autore. “È indispensabile sorvegliare, dominare e avere il controllo di ciò che avviene nella nostra mente” e continua: “Le persone che non coltivano l’abitudine di lavorare continuamente con la forza del pensiero finiscono per diventare lamentose, vittimiste, oppresse, condizionate, bloccate. Hanno sempre un motivo pere essere infelici”. Oppure per fare infelici gli altri attorno. Il percorso, lo afferma bene Guerra, va seguito da un esperto che sia veramente tale, cioè che abbia affrontato a sua volta questo percorso sul serio, altrimenti si finisce per pensare di avere solo la verità rivelata e di doverla imporre agli altri ad ogni costo. Proprio come si pensa che sia giusto ogni messaggio che si scrive o si legge solo perché lo si è scritto, senza filtri. Un libro interessante, dal taglio agile, puntuale e con vari spunti di approfondimento, che parte dall’esperienza oggettiva personale a contatto con gli altri per proporre una soluzione all’esistenza contemporanea. Uno dei libri sulla strada dell’approfondimento nuovo e necessario proprio dinanzi alla tragedia dell’aridità collettiva verso la quale stiamo apparentemente naufragando. Mentre arrivano, per fortuna, spunti, salvagente, per evitarlo se li sappiamo cogliere.

Giuliano Guerra: “La crisi un’opportunità”, Paoline, Milano, 2016, euro 13,50.

 

Alessia Biasiolo

Giorgio Caproni e gli altri in un saggio Marsilio di Elisa Donzelli

Un lavoro accurato condotto in archivi pubblici e privati, alla ricerca di un approfondimento della letteratura del Novecento. I lettori comuni non sono più molto abituati a libri di questo peso, perché sembrano inutili in un mondo che tende a non approfondire più niente, ritenendo tutto facilmente fruibile in Rete, senza pensare che anche nella Rete finiscono gli studi senza i quali non saremmo altro che fotocopiatrici dell’esistente. Elisa Donzelli cura, in questo libro, il poeta Giorgio Caproni sia come autore di poesie, sia come traduttore di poeti tra i quali Lorca, sia come letterato in relazione con altri che hanno lasciato un’impronta nella cultura italiana ed europea. Il saggio è diviso in capitoli leggibili anche singolarmente e autonomamente, pur se ogni capitolo è parte di un percorso scelto e voluto. La ricerca dei testi annotati da Caproni, del suo volere scegliere parole particolari per premiare la liricità della traduzione di Lorca stesso; la sua ricerca di argomenti e di autori che lo accompagnino nella ricerca del perché della Bestia, il male demoniaco come delle bestie magiche e tragiche della corrida del “LLanto por Ignacio Sànchez Mejìas”; il suo essere bambino, sentimento che lo accomuna secondo lui a Garcia Lorca stesso, senza però sottolineare il lorchismo che aveva imperato anche in Italia già a partire dal 1939/40 e senza diventare fanciullinismo alla Pascoli. Argomenti che richiamano la necessità di ripercorrere autori e testi che tuttavia, anche se non si conoscono, diventano vividi nella ricerca di Donzelli, tesa com’è a seguire un filo logico-scientifico nella sua dissertazione. Rivediamo allora come la biblioteca di un poeta si articoli in sentimenti e sensazioni che diventano studio e spessore, per poi intrattenere incontri-scontri con Sciascia proprio sulla traduzione di Lorca, piuttosto che ricordare l’amore per la scomparsa Olga come momento prezioso per la crescita dell’uomo scrittore. Caproni ha tradotto anche “El maleficio de la mariposa”, sempre di Lorca, ma ha scelto il percorso dei bambini che aveva convinto anche Picasso, per poi citare Sereni, arrivare alla raccolta “Il conte di Kenenhuller”, ancora scandagliare letteratura e animo umano alla ricerca del male, del perché. Un percorso interessante, dal momento che fa affiorare come Caproni fosse affascinato dalla ricerca della Bestia in sé e negli altri da tempo, come un argomento che ritornava speso nei suoi interessi e nei suoi scritti, mettendo in risalto un aspetto del Novecento che richiamava la necessità di trattazione, di darsi un motivo, di dare un proprio personale contributo, nel confronto con gli altri. Questa ricerca diventa però non tanto fil rouge unitario o ossessione, quanto un arricchimento che, altalenando nel suo animo, portasse ai necessari oblii e ai necessari momenti di focalizzazione tanto da condurlo, verso la fine della sua vita e della sua produzione, alle personali considerazioni unitarie. Acquistano valore per la ricercatrice le recensioni, le prefazioni, che sintetizzano opere di autori contemporanei, mentre non mancano i confronti con i grandi della poesia italiana, tra i quali Luzi. Con questo autore si apre il cammino verso la madre che, in poesia, acquista per Caproni il senso di portatrice dell’idea del bene come quella del male. Donzelli porta il confronto tra questi due autori secondo un’ottica interessante, che approfondisce il tema della madre filiale e della madre religiosa, con comparse e scomparse dell’argomento personali in ciascuno dei due autori, in Caproni stemperandosi quanto in Luzi materializzandosi nelle proprie poesie mano a mano che la maturità avanza. Il ragionamento si sofferma poi sul tempo, sugli angeli, su dettagli della vita umana che acquisiscono peso in poesia soprattutto, e che diventano modo di regalare al lettore squarci di cielo nell’incedere del proprio cammino. Un lavoro interessante, che mancava sul panorama dell’italianistica soprattutto condotto in questa modalità.

 

Elisa Donzelli: “Giorgio Caproni e gli altri”, Marsilio, Venezia, 2016; euro 22,00

 

Alessia Biasiolo

 

L’eccidio nazista di Boves

In occasione del settantunesimo anniversario della liberazione dell’Italia dai nazifascisti, che verrà celebrato il prossimo 25 aprile, la proposta di una lettura sull’eccidio nazista di Boves, cittadina a una decina di chilometri da Cuneo, in Piemonte, teatro della prima rappresaglia nazista seguita alla comunicazione della sigla dell’armistizio con gli angloamericani avvenuta l’8 settembre del 1943 in Italia.

I militari, come si sa, sono per lo più sbandati e cercano di organizzare qualche azione di resistenza che, anni dopo, prenderà appunto il nome di Resistenza. In realtà, in quei giorni, sono disertori e si portano dietro un vago, qualche volta spesso, senso di colpa, pur se pensano di avere agito in nome di una patria che, in modo sconcertante, li ha lasciati soli. Dunque, ai piedi del monte Bisalta, al comando di Ignazio Vian, un gruppo di quei militari sbandati cerca di organizzare una forma resistenziale. La macchina organizzativa tedesca porta nel giro di pochi giorni le sue Waffen-SS anche nel cuneese e nella zona del racconto di Chiara Genisio nel suo libro “Martiri per amore”, arriva un comandante ventottenne, Joachim Peiper, berlinese. La sua è stata una carriera sfolgorante ed è aiutante nello Stato maggiore di Heinrich Himmler, così brillante da diventare uno dei più famosi annientatori di ribelli. Arriva a Boves la mattina del 16 settembre e proclama subito la resa dei ribelli e la loro consegna per essere inviati nei campi di concentramento come prigionieri. Ora, infatti, gli italiani che non dimostrano la collaborazione con gli ex alleati tedeschi sono, di fatto, dei nemici. Il proclama è chiaro: se manca la resa, Boves verrà bruciata. Si muovono i negoziatori, dal momento che nessuno si sottopone all’ordine, e tra questi un sacerdote, il parroco don Giuseppe Bernardi. Si adoperano anche don Mario Ghibaudo, don Francesco Brondello: bisogna lottare, combattere l’occupante, ma non si può lasciare che il paese bruci. Il racconto di quel pezzetto di storia terribile è un romanzo, grazie alla penna di Genisio. L’incedere del narrato è chiaro e non pende da nessuna parte: riesce a raccontare con la necessaria oggettività, pur con la tecnica narrativa del romanzo, una storia che si delinea in breve terrificante. Il narrato si arricchisce dei racconti dei testimoni che vengono resi trama da leggere a scuola, in casa, in modo da non perdere memoria di chi è morto per la libertà del nostro Paese, per la giustizia di qualcosa che va ben oltre la politica, le scelte personali, il tornaconto.

È domenica mattina, il 19 settembre. Un gruppetto di partigiani gira per Boves per rifornirsi di cibo. Ad un certo punto, si incontra con un’auto con a bordo due tedeschi delle SS, Butenhoff e Wietzorek. I partigiani li catturano e li conducono a Castellar. La reazione tedesca è immediata: c’è subito uno scontro armato tra i soldati nazisti e i partigiani, quindi Peiper ordina di chiudere Boves in un cerchio. Alle tredici il parroco è convocato come ambasciatore, anche perché il podestà era stato rimosso e non era ancora stato sostituito. L’ordine è riportare entro un’ora le due SS. I dettagli della trattativa, l’intervento di un altro mediatore, Antonio Vassallo, sono coinvolgenti e interessanti, tutti da leggere grazie alla penna semplice ed elegante di Genisio. I mediatori ottengono dal comandante partigiano Vian di consegnare gli ostaggi tedeschi per evitare alla cittadina l’eccidio e così viene deciso. In città circolano numerosi i soldati tedeschi, i più ubriachi. Appena dopo le quindici la trattativa è conclusa: i prigionieri sono resi. Il comandante tedesco, però, non è di parola: Peiper fa arrestare gli ambasciatori e mette in atto il piano già ben preparato nei giorni precedenti. Distruggere il paese per dare una lezione ai ribelli. Mezz’ora dopo inizia l’eccidio. A raffiche di mitra vengono uccise ventiquattro persone e il paese viene incendiato. Nell’incendio altri morti. Nel 1964 il presidente della Repubblica Antonio Segni conferirà il titolo di città a Boves e lì sorge la prima “Scuola di Pace”. Un insegnamento da imparare grazie alle pagine di Chiara Genisio, e che è quanto mai attuale, in Italia e in molte parti del mondo. Dalla lettura, oltre che a dati storici, si impara come dalle macerie dell’umanità e delle case si può costruire, anche se a fatica, il futuro di tutti noi.

Da leggere.

 

Chiara Genisio: “Martiri per amore. L’eccidio nazista di Boves”, Paoline, Milano, 2016; euro 12,00.

 

Alessia Biasiolo

 

 

 

L’insurrezione dell’umanità nascente

Molto interessante il nuovo libro di Marco Guzzi, poeta e filosofo autore di molti volumi profondi e articolati sul pensiero dell’Uomo. L’analisi dell’autore espressa in “L’insurrezione dell’umanità nascente”, verte sulla profonda crisi antropologica di questo periodo, dalle proporzioni planetarie, per tentare di capire quale figura complessiva di umanità si stia consumando e quale altra, eventualmente, stia tentando di emergere. Il mondo tecnico occidentale, comunque, pare incapace di esprimere un senso vitale e una direzione del proprio sviluppo adatta ai tempi attuali e immediatamente futuri. Il tentativo di Guzzi è quello di spingere a tirare fuori dal marasma che sembra dilagare, “un volto nuovo e inedito dell’uomo, e perciò a insorgere contro la figura morente che tuttora domina dentro le catastrofi che continua a produrre”. La crisi è esistenziale profonda e dura da molti anni, sia storicamente (vedasi le due guerre mondiali), sia dentro molti di noi. Afferma l’Autore che il “Novecento si è chiuso in un clima di grande smarrimento, che si è addirittura accentuato in questi ultimi quindici anni del nuovo millennio”. I linguaggi, che pur di diffondono così facilmente tramite la tecnologia, sono del tutto incapaci di dare un certo orientamento soprattutto al mondo occidentale, ormai però globalizzato. I linguaggi dominanti, che possiamo riassumere in economia, scienza e informazione, continuano a ribadire le proprie ragioni, ma non permettono di cogliere il senso comune, unitario di ciò che si è. Bisogna tornare alla Filosofia e alla Spiritualità, anche laica, che dia un certo percorso di vita da seguire per la propria crescita ed evitare di mantenersi su quella superficie che si sta sempre più sgretolando. Senza essere contrari alle innovazioni, esse non bastano più. Il ritorno all’approfondimento, che non sia soltanto di cronaca, è necessario e ormai doveroso. Il libro presenta una serie di testi sotto forma di seminari che mantengono un certo grado di “povertà”, di quella capacità di creare un vuoto che si possa riempire di nuovo. I saggi orientali lo dicono da millenni: senza il vuoto, lo svuotamento della mente, non si può pensare di fare stare dentro ancora qualcosa, o comunque qualcosa di nuovo, in noi. Perciò ecco che Guzzi suggerisce di ascoltare il Nascente, quel suono, anzi quel grido, “che risuona in noi e nella storia piagata di tutto il pianeta come un allarme e un richiamo”. Sono quelle grida che cercano di uscire da ciascuno di noi o di trovare udienza anche quando siamo distratti. E capita molto spesso. Si comincia a prepararsi all’ascolto e poi si prosegue con una serie di testi che suggeriscono cosa ascoltare e come, nel tentativo per ciascun lettore di tracciare un percorso personale alla ricerca di Altro da sentire oltre se stessi e la materia che si è appropriata di tutta la realtà, senza lasciare traccia di alcun altro aspetto esistenziale. Un percorso interessante, profondo, ma trattato con lievità, in modo da renderlo fruibile a tutti, senza limiti di appartenenza. Molto interessante. Da leggere.

 

Marco Guzzi: “L’insurrezione dell’umanità nascente”, Paoline, Milano, 2015; euro 17,00.

 

Alessia Biasiolo

 

Un ribelle a Scampia

Pensare a Scampia apre subito nella mente immagini di gruppi di bambini che non sono già bambini a pochi anni di vita. Il romanzo scritto per loro da Rosa Tiziana Bruno, apre un arcobaleno al termine del quale trovare spazi di legalità dove la legalità si vuole negare, ma, soprattutto, spazi di scelta per chi crede scelta non ce ne sia. Infatti, il crimine peggiore contro i piccoli è quello di negargli l’infanzia, catapultandoli in un mondo adulto per i comodi degli adulti che hanno perso l’onore di lasciare in pace i bambini. Comodi per spaccio e furti, dato che non sono perseguibili; comodi per altri crimini, non hanno futuro diverso da quello scampolo di cielo che hanno sopra la testa. Certo, non tutti sono uguali. Allora Bruno racconta la storia di un bambino che vuole cambiare e sconfina in una zona cittadina a lui negata. Nasce un’amicizia con un bambino “normale”, ma i genitori di questo intervengono subito per evitare che il loro figlio, appunto, conosca una realtà brutta, che deve restare lontana, emarginata, al fine di non fare marcire anche le mele sane. Il romanzo è bello, facilmente leggibile, adatto al pubblico più vasto, ma soprattutto ai bambini e ragazzi delle scuole, oppure alla lettura familiare, anche degli adulti, soprattutto genitori. Un libretto da regalare in questo periodo di Comunioni e Cresime, tanto per ricordare che il Giubileo della Misericordia si stempera nei giorni che si susseguono come rosari e durante i quali, molto spesso, ci si dimentica che le buone azioni sono quelle più piccole. O quelle che costano di più. Allora, per il piccolo protagonista sembra non esserci via di scampo: prova il senso di allontanamento e il senso di emarginazione quotidianamente sulla sua pelle, dopo avere capito che una zona franca, lontana dalla miseria e dai problemi di come sbarcare il lunario esiste. Il piccolo Nicola si dà da fare, lavoricchia, riesce a comperare alla sua sorellina una casa per le bambole. Partecipa ad una rapina, finisce in carcere, poi scopre i libri e lo studio. Un percorso affascinante e bellissimo, che tutti devono imparare, indipendentemente dalla propria condizione. In quanto ciascuno di noi può chiamarsi Nicola, arrivare dalle Vele, essere “uno di quelli”. E prima si impara che la vita la si deve capire vivendo, cercando di fare propri i nessi tra le persone e le cose, prima si può mettere in atto una modalità di compensazione delle problematiche che non sia chiudersi in se stessi, ma nemmeno relegare l’altro, gli altri, lontani da sé. Da leggere.

 Un ribelle a Scampia, Rosa Tiziana Bruno, Paoline, Milano, 2016; euro 12,00.

 

Alessia Biasiolo

 

Insegnare la Pasqua ai bambini

Bello il libretto “Gesù è risorto” con illustrazioni di Fabrizio Zubani e testi di Andrea Oldoni, giovane sacerdote della diocesi di Cremona. Appassionato di catechesi, Oldoni crea una nuova storia con protagonista un falegname in pensione che, invece di lavorare statuette per il presepe, crea un giardino di Pasqua. Attraverso la preparazione delle figure da mettere nel giardino, per celebrare la festa più importante della cristianità, l’anziano signore realizza un sogno dell’anima e coinvolge dei giovani amici. Nonno Eliseo, infatti, racconta la storia degli ultimi giorni della vita di Gesù a Erika, la minore di cinque fratelli che da poco è arrivata ad abitare a poca distanza dalla dimora di Eliseo. Essendo la famiglia di Erika modesta, il “nonno” falegname non aveva voluto nulla per la riparazione e così la piccola, avendolo conosciuto e avendo preso confidenza, spesso passava dalla sua bottega a vedere le realizzazioni in legno. Così nasce il pretesto per il racconto del vecchio alla bambina e di Oldoni a tutti gli altri bambini. Ripresi elementi pedagogici indiscussi, come la fiducia per il prossimo, il riconoscimento dell’importanza dell’incontro tra generazioni, l’importanza dei racconti dei nonni per i piccoli, e non solo per i piccoli. Un valido strumento a casa, in oratorio, al catechismo, per insegnare ai bambini dei valori, oltre che la storia della Pasqua in maniera semplice ed efficace. Ne esce un libretto che potrà interessare varie attività, ma che potrà soprattutto riportare il desiderio di ascoltare i nonni e i loro racconti. Vero, spesso sono sempre gli stessi, ma i bambini si affascinano molto prima di stancarsi. Se non siamo proprio noi adulti ad insegnare loro fastidio e noia.

Un libretto da leggere e da guardare, perché i disegni sono davvero molto belli, ma diventano attività didattica con paginette da colorare e ritagliare per preparare in casa un vero giardino pasquale. 

Andrea Oldoni, Fabrizio Zubani: “Gesù è risorto”, Paoline, Milano, 2016, euro 6,00.

 

Alessia Biasiolo

 

“La vergogna” in un interessante libro di Alessandro Meluzzi

Alessandro Meluzzi, nelle pagine di cronaca per i suoi recenti studi conclusi brillantemente e per la sua presenza televisiva, si conosce e riconosce per questa appunto, meno per chi è e cosa ha fatto e compie “dietro le quinte”. Laureato in medicina e chirurgia e specializzato in psichiatria, ha conseguito il baccalaureato in filosofia al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma, fondatore e direttore dell’International School of Investigative Criminology, docente di psichiatria forense al Master di Analisi Comportamentale e Scienze Applicate alle Investigazioni presso la Link Campus University, è autore di oltre duecento scritti scientifici e dell’opera “Cura dell’anima, anima della cura”. Dirige il giornale telematico testadangolo.it ed è il fondatore della Comunità Agape Madre dell’Accoglienza. Per i tipi Paoline ha recentemente pubblicato l’interessante lavoro “La vergogna, un’emozione antica” che presenta citata nell’Introduzione una frase di Nietzsche, il filosofo non-filosofo spesso demonizzato dai religiosi. Certo, un personaggio che si ama o si odia, Nietzsche, tuttavia interessante l’approfondimento di Meluzzi partendo proprio da considerazioni letterarie (citato precedentemente anche Dante) e filosofiche più profonde di quanto non sembrino alla prima occhiata. L’Autore nella sua introduzione parla di emozioni, di cosa sono, ma soprattutto denuncia che ci stiamo virtualizzando, con un’involuzione ed evoluzione allo stesso tempo del mondo delle emozioni. Riteniamo di scambiare informazioni con il mondo, riteniamo di avere immagini nella mente, ma è vero? L’approfondimento è quanto mai interessante e fonte di riflessioni profonde per ciascun lettore. Infine arrivando alla vergogna, l’annientamento del Sé e della propria immagine. Esiste ancora? Perché? Provano vergogna tante persone capaci di commettere i più biechi reati ai danni del prossimo come se fosse loro dovuto tutto? Meluzzi traccia una breve e significativa storia della vergogna come emozione, in una genesi che porta a capire cos’è l’autostima e se quella che viviamo è un’autostima vera o un’apparenza virtuale anch’essa. Giungendo agli esiti che la vergogna ha sull’autostima stessa, sul sociale; viene analizzato il modo in cui papa Francesco parla di vergogna e di chi la deve provare e perché. Viene spiegato, in modo semplice e leggibile da tutti, cos’è l’antropologia della vergogna, ma anche la vergogna e i social network. Scrive Meluzzi: “La rappresentazione che diamo a questo sentimento è sempre più evanescente per questioni che sembrano innocue, invece sono maledettamente serie e pericolose e riguardano la nuova generazione quanto quella più stagionata”. Interessante anche l’accenno al linguaggio che tende a diventare evanescente come i valori di riferimento. Secondo Meluzzi siamo dinanzi ad una cambiamento epocale, all’inversione del senso del ridicolo che forse capovolge uno dei pilastri della tradizione occidentale, cioè il buon senso. Infatti, sembra che la rappresentazione interiore che abbiamo della vergogna oggi abbia assunto caratteri così vaghi che è diventata qualcosa di indistinto, “liquido” potremmo dire, grigio, spento, insulso. Un libro sul quale meditare e da leggere anche in questo periodo dell’anno portato alle riflessioni sul Sé, ma anche sul Super Io così bistrattato, forma di giubileo durante il quale incontrare soprattutto se stessi.

Da leggere.

 

Alessandro Meluzzi, “La vergogna, un’emozione antica”, Paoline, Milano, 2015; euro 13,00

 

Alessia Biasiolo

 

 

Vivere con creatività. Il nuovo libro di Valerio Albisetti

In fondo, un bell’augurio natalizio “Vivere con creatività”. Così si intitola l’ultimo libro scritto, in ordine di tempo, da Valerio Albisetti, quasi un testamento spirituale lasciato ai seguaci e, soprattutto, agli amici dell’Associazione Valerio Albisetti scrittore, ma comunque a tutti i suoi affezionati lettori che sono tanti, in molti Paesi del mondo. Con la solita penna ferma e decisa, Albisetti lascia uno scritto sul quale riflettere per cercare di capire chi siamo e come arrivare al centro di noi stessi. Operazione di certo non facile e immediata, ma alla quale si pensa spesso in questi ultimi giorni dell’anno. Solitamente dicembre è il mese dei buoni propositi, del rinnovo delle scelte e della ricerca di un senso al nostro incedere, per il quale l’Autore traccia un profilo non tanto psicologico, come gli è congegnale dall’alto della sua esperienza nel campo, quanto umano e spirituale. Di spiritualità oggi ce n’è un bisogno estremo, spesso confuso con la necessità di comunicare, di scrivere, di parlare. Sembra, però, che tutti cerchino di scrivere senza conoscere l’ABC minimo dello scrittore, della persona alfabetizzata. Così è per la spiritualità che sembra una parvenza inutile, che si cerca di soddisfare con i corsi (yoga, pilates, thai chi,…) che insegnano tecniche tramutate spesso ben presto in ginnastica, perché la ricerca del suono, dell’esperienza dell’energia che è dentro di noi; dell’immensità che siamo è fastidiosa, sembra una drammatica perdita di tempo. Albisetti scrive delle trappole che l’essere incontra, “Soprattutto quando decidete di partire alla ricerca del tesoro”, ma non basta “anche lungo l’intero percorso”: le trappole sono le pressioni degli altri, di coloro che vogliono starci vicino, che decidono di amarci magari proprio perché siamo partiti alla ricerca di noi. L’Autore ammonisce che “Partire per il viaggio” interiore “significa anche smettere di cedere al volere degli altri, di farsi condizionare dall’opinione altrui, di compiacere chi vi sta vicino”. Aggiunge che se abbiamo sentito il bisogno di partire alla ricerca di noi stessi, dobbiamo farlo “senza dare spiegazioni”. E, ciò che è senz’altro più difficile e complicato: “Dovete abituarvi a non esser capiti”. Come al solito Valerio non usa mezze misure, non smette di essere schietto e diretto, non teme di diventare antipatico e controcorrente. Nell’era della massima socializzazione virtuale, propone vita vera e alla messaggeria facile e svelta, sostituisce i messaggi del nostro cuore a noi stessi e all’Io profondo che finiamo per non conoscere mai. Impopolare perché non parla di Facebook? Purtroppo sempre più persone misurano fatti, opinioni e persone dall’utilizzo dei social network anziché usare gli stessi come mezzo. Di nuovo, con la smania di non restare soli, si confonde il mezzo con il significato e allora tutto viene calpestato per osannare macchine e strumenti che devono essere solo al nostro servizio. È come lasciarsi fuorviare da “sacerdoti” di nuove ideologie, mentre Dio diventa un idolo con svariate facce, in varie parti del mondo e non soltanto per un’appartenenza o l’altra, ma per come facciamo diventare lo spirituale e il trascendente senza considerarlo al di là di noi. Tutto diventa umano, di una dimensione terrena bassa e sempre più materiale, insoddisfacente e inutile per raggiungere il senso di quel tesoro che custodiamo e che dobbiamo, se non far crescere, almeno non sprecare dietro false parvenze di vita. Albisetti pensa che uno dei motivi di questo inaridimento collettivo ormai ultradecennale, sia la paura di morire e la smania di cancellare la paura della morte, della fine di noi stessi, senza renderci conto che ci suicidiamo un po’ ogni giorno quando non ci dedichiamo neanche un momento per conoscere come siamo davvero dentro di noi. Di nuovo un bellissimo libro, facile da leggere, che parla direttamente al cuore, senza lasciare scontento il cervello, e che propone, nel dualismo mente-corpo, una sintesi creativa, innovativa e sempre eterna, dalla notte dei tempi, tale da fare essere Albisetti un nuovo saggio da seguire e da cui trarre insegnamento.

Da leggere.

 Valerio Albisetti: “Vivere con creatività”, Paoline, Milano, 2015; euro 17.00

 

Alessia Biasiolo