“I Romani nel Delta del Po”: la storia archeologica di Voghenza

Avrà per tema “Voghenza e il Polesine di San Giorgio: tra erudizione, curiosità e sotterfugi” la conferenza di Alberto Andreoli, per il ciclo “Archeologia in Biblioteca” (decima edizione) su “I romani nel Delta del Po”, in programma martedì 27 febbraio 2024 alle 17 nella sala Agnelli della biblioteca comunale Ariostea (via Scienze 17 Ferrara).
L’incontro, organizzato in collaborazione con la Società Dante Alighieri – Comitato di Ferrara APS, potrà essere seguito anche in diretta video sul canale youtube Archibiblio web.

La zona rivierasca del basso Po, interessata in età classica dalle esperienze urbane di Adria e Spina, dopo un certo ma insufficientemente documentato periodo gallico, tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C. entrò a far parte del dominio di Roma. Il processo di “romanizzazione” seguito alla conquista fu condizionato dall’instabilità del quadro ambientale. Nel territorio corrispondente all’attuale pianura ferrarese si attestò un popolamento sparso, costituito da realtà insediative di ridotte dimensioni (villae, vici, pagi), ancorate sulle emergenze naturali più stabili (dossi, gronde fluviali, cordoni dunosi litoranei).
Probabilmente il principale centro vicano dell’areale è stato individuato a una quindicina di chilometri a sud-est di Ferrara, presso Voghenza, frazione nel Comune di Voghiera. In tale località, ignorata dalle fonti antiche, agli sporadici e casuali rinvenimenti del passato, che sollecitarono l’interesse antiquario non solo locale, sono succedute a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso programmate e accurate esplorazioni archeologiche. Puntuali studi interdisciplinari hanno reso possibile la ricostruzione del quadro ambientale antico e comprensibile il carattere dell’insediamento, posto sulle rive del paleoalveo di un’antica divagazione padana, frequentato almeno dal IV-III secolo a.C. La ricca documentazione epigrafica disponibile ha consentito di valutare la composizione sociale, lo status economico e le ascendenze culturali della popolazione. A quello che forse è stato “l’unico centro amministrativo divenuto autonomo nella tarda età imperiale tra i rami dell’antico Po” (N. Alfieri) e in cui si sono riconosciute le “radici cristiane di Ferrara” è dedicato il ciclo di tre incontri mensili (16 gennaio, 27 febbraio, 25 marzo) della decima edizione di Archeologia in Biblioteca.

Il primo appuntamento ha avuto la funzione di fornire un primo orientamento e richiamare l’attenzione sulla documentazione e le fonti note sull’argomento, fino al XVII secolo. Questo secondo incontro si propone di delineare la “storia archeologica” di Voghenza e del suo territorio quale è andata delineandosi tra Sette e Ottocento, a seguito dei numerosi rinvenimenti archeologici allora avvenuti nel Polesine di San Giorgio.

Alessandro Zangara

DIVA. Una sinfonia per Weimar

A margine del Laboratorio teatrale Una risata allunga la vita?, il Goethe Institut di Roma ospiterà in anteprima, giovedì 29 febbraio alle ore 21:00, lo spettacolo DIVA Una Sinfonia per Weimar uno spettacolo di Bruno Maccallini su drammaturgia di Antonella Ottai, secondo appuntamento del ciclo Kabarett Weimar che verrà poi riproposto in forma integrale il 23, 24 e 25 aprile al Teatro Vascello. La trilogia infatti comprende anche gli spettacoli Stasera ho deciso di venirmi a trovare per fare due chiacchiere con me stesso e Grotesk! Ridere rende liberi.

DIVA Una Sinfonia per Weimar rende un contenuto omaggio alla complessità della Repubblica di Weimar, ricordandone alcuni dei punti salienti e dei personaggi più significativi. Nata esattamente cento anni fa e spentasi quindici anni dopo, questa realtà fu dotata di una costituzione avanzatissima in tema di democrazia e diritti sociali e conobbe una esistenza politica molto accidentata, spesa fra la tempesta delle origini e l’abisso in cui si trovò a sprofondare. La sua breve storia è una parabola da più parti ancora evocata per ammonire su come, nelle luci di una comunità socialmente avanzata, siano sempre in agguato le ombre della barbarie. Ma se questo è oggetto di una discussione ancora attuale, rimane fuor di ogni dubbio che, dal punto di vista culturale, l’epoca di Weimar sia stata fra le più brillanti mai conosciute e che il suo campo sperimentale abbia investito ogni settore dello scibile umano, dalle arti tutte alle scienze al costume politico e sociale.

Lo spettacolo si affida ad un personaggio immaginario, nel quale prende consistenza una figura determinante, DIVA, la Nuova Donna. In lei confluiscono le diverse performance di cantanti, attrici, poetesse e personalità varie che in tutti i campi stavano rivoluzionando l’immagine del femminile: si tratti di figure liriche come Else Laske-Schüler, interpreti come Claire Waldoff, attrici come Marlene Dietrich, danzatrici come Anita Berber e Valeska Gert, DIVA le riassume tutte.

La cornice scenica elettiva di queste disparate protagoniste – ma anche di altri celebri esponenti dello spirito di Weimar, drammaturghi, giornalisti, cabarettisti non meno che maghi – è uno dei caffè più celebri e celebrati della Berlino degli anni Venti, il Romanisches Café, che storicamente rappresentò un luogo di ritrovo intellettuale di carattere internazionale. Il suo capocameriere, Karl – confidente e amico personale di molti dei protagonisti del nostro racconto – accompagna e sostiene con i suoi racconti DIVA e, allo stesso tempo, offre al pubblico un “dietro le quinte” di quanto ogni giorno animava il palcoscenico della capitale.

Se DIVA è interpretata da Chiara Bonome, corpo performativo dello spettacolo, il personaggio Karl è incarnato da Bruno Maccallini, un maestro di cerimonie Mutatis mutandis, che ricorda una sorta di Ridolfo della goldoniana Bottega del caffè. Due personaggi che si assimilano ai molteplici reduci dal disastro comune della grande guerra, ai profughi dalle rivoluzioni che avevano dato lo scossone finale agli imperi, ai rifugiati politici, viaggiatori curiosi del nuovo o inviati speciali, e che vivono appieno Berlino quale luogo di passaggi e incontri fra i più significativi del Novecento. A interpretare musicalmente questo particolarissimo mood è Pino Cangialosi, autore di composizioni originali ed elaborazioni di brani d’epoca che spaziano dal popolare all’avanguardia, creando relazioni stimolanti con le parole della poesia come del divertissement.

Attraverso una selezione di autori – da Brecht a Klabund, da Laske-Schueler a Tucholsky, da Hollaender a Weill, da Eisner a Gruenbaum – e di opere – poesie, song, brani orchestrali e brani satirici di cabaret – lo spettacolo attraversa alcune delle tematiche centrali in quegli anni, il rifiuto del militarismo e delle guerra, l’immagine del femminile e la rivoluzione dei comportamenti sessuali, le sperimentazione artistiche d’avanguardia, la minaccia della disoccupazione, il razzismo crescente e la ricerca di un capro espiatorio che pagasse le colpe di una situazione economica che, dopo il ’29, era diventata insostenibile.

I biglietti sono prenotabili alla mail info@kabarettweimar.com  o telefonando al numero +39 348 1867075. Potranno poi essere acquistati e ritirati direttamente la sera dello spettacolo, a partire da un’ora prima.

Elisabetta Castiglioni

Sticky Bones al Museo del Saxofono

Un concerto a ritroso nel tempo in grado di restituire una dimensione musicale “low-fi” che riporta l’orecchio dell’ascoltatore alle origini, spesso ignorate e sconosciute, di alcuni ritmi e brani di antichi repertori. È questo il modello a cui si ispira il sound degli Sticky Bones, protagonisti il prossimo 2 marzo, alle ore 21:00, di un peculiare concerto al Museo del Saxofono di Fiumicino.

Race Music, Classic Blues, American Roots, Hokum Songs, Barrelhouse, Stomps, Stride, Boogie Woogie, Vaudeville, sono gli stili ai quali il gruppo intende conformarsi, perseguendo quelle sonorità ruvide che si ascoltavano a tarda notte fuori dalle Barrelhouse, nei bordelli, nei Juke Joint o negli spettacoli di Vaudeville durante gli anni Venti e Trenta. Una perfetta fotografia, rigorosamente in bianco e nero, di quanto si poteva vedere e sentire in quell’America di inizio secolo, scossa dal terremoto provocato da quello che negli anni a venire sarebbe stato chiamato “Jazz” e dove l’influenza anche delle tradizioni musicali degli emigrati italiani fu fondamentale per caratterizzare questo genere musicale. Ad incidere il primo brano “jass” (come veniva scritto a inizio secolo) fu proprio un figlio di emigrati italiani siciliani, Nick La Rocca, che con la sua Original Dixieland Jass Band incise, nel 1917, il primo disco della storia del jazz con i brani “Dixieland Jass Band One-Step” e “Livery Stable Blues”: da lì in poi la musica in America non fu più la stessa…

Del gruppo fanno parte Mama Ines alla voce, Emiliano Federici al pianoforte, Sergio Piccarozzi a chitarra e banjo,  Maurizio Capuano al contrabbasso e tuba, Francesco Marsigliese alla cornetta e Filippo Marino al clarinetto.

Il concerto, come d’abitudine, sarà anticipato da una gustosa apericena durante la quale si potrà anche visitare la straordinaria collezione di saxofoni esposti al Museo.

I biglietti sono in vendita in loco e in prevendita al sito Liveticket.it

Dal 2015 gli Sticky Bones fanno parte delle formazioni musicali “vintage” che si esibiscono  durante i raduni o le manifestazioni organizzate dalle varie comunità di ballerini swing o lindy hop di Roma.

Nel 2016 e nel 2023 la formazione è stata chiamata ad esibirsi su uno dei palchi più importanti a livello internazionale, Umbria Jazz, dove sono stati notati da Renzo Arbore il quale ha poi collaborato con la band per la registrazione di due brani del loro secondo album dedicato a Bessie Smith. Successivamente, sempre con Renzo Arbore, si sono esibiti nell’edizione del festival dedicata ai terremotati di Amatrice, nel Teatro Lyrick di Assisi.

Gli Sticky Bones sono stati anche gli organizzatori della manifestazione “New Orleans arriva ai Fori”, kermesse che si è svolta in via dei Fori Imperiali a Roma e che ha visto la partecipazione in strada di 200 ballerini venuti da tutta la regione.

Gli Sticky Bones hanno partecipato anche a due edizioni del prestigioso Festival Traditional di Ascona, in Svizzera, nel 2019 e nel 2022.

Sito ufficiale: http://stickybones.weebly.com

Elisabetta Castiglioni (anche per la fotografia)

Giuseppe Albanese riapre i concerti di Roma Sinfonietta

Il pianista Giuseppe Albanese eseguirà “Al chiaro di Luna” e “Appassionata”, due tra i capolavori più noti amati di Beethoven, e poi il Novecento storico di Schoenberg e Busoni, oggi, mercoledì 21 febbraio, alle 18.00 nel primo concerto per il 2024 della stagione di Roma Sinfonietta all’Auditorium “Ennio Morricone” dell’Università di Roma “Tor Vergata” (Macroarea di Lettere e Filosofia, via Columbia 1.

Giuseppe Albanese è uno dei pianisti della generazione dei quarantenni più apprezzati in campo nazionale e internazionale. Ha pubblicato vari cd con Deutsche Grammophon, ha inciso la musica per pianoforte e orchestra di Liszt per Universal e ha partecipato all’integrale della musica di Bartók per Decca. Ha suonato per le più importanti istituzioni musicali italiane e ha anche un’intensa attività internazionale (il giorno dopo il concerto di Roma eseguirà un programma quasi identico a Copenaghen), che l’ha portato nelle più prestigiose sale da concerto di New York, Berlino, Parigi, Londra, Varsavia, San Pietroburgo, Città del Messico, Buenos Aires e ancora in Corea, Thailandia, Austria, Portogallo, Spagna, Svizzera, ecc. Ai suoi esordi ha vinto premi in prestigiosi concorsi come il Vendôme di Parigi e il Busoni di Bolzano e ora viene a sua volta invitato come membro della giuria di concorsi internazionali. È anche laureato in Filosofia col massimo dei voti e la lode con una tesi sull’Estetica di Liszt.

Albanese dedicherà la prima parte di questo suo concerto a due dei massimi capolavori della musica pianistica di ogni tempo, ovvero due famosissime Sonate per pianoforte di Ludwig van Beethoven note con titoli inventati in epoca romantica, che forse Beethoven stesso non avrebbe approvato ma che tuttavia ben esprimono la loro temperie espressiva. Così la Sonata n. 14 in do diesis minore op. 27 n. 2,definita dal compositore stesso “Quasi una fantasia”, è oggi nota col titolo “Al chiaro di luna”, che deriva dal motivo iniziale, placidamente ondeggiante come le acque di un lago alla luce della luna. La Sonata n. 23 in fa minore op. 57 – che Beethoven stesso considerava la migliore delle sue Sonate – è stata definita “Appassionata”, inventando un inesistente collegamento tra questa musica e il tormentato amore di Beethoven per la misteriosa “immortale amata”.

Nella seconda parte sono in programma i Sechs kleine Klavierstucke op. 19 (Sei piccoli pezzi per pianoforte) scritti da Arnold Schoenberg nel periodo della sua totale libertà da ogni teoria, sistema o metodo, che si trattasse della tonalità tradizionale o della dodecafonia da lui stesso ideata alcuni anni dopo. I primi cinque di questi sei pezzi furono composti in un solo giorno, il 19 febbraio 1911, mentre il sesto fu aggiunto il 17 giugno (si ritiene che sia un omaggio a Mahler, scomparso poco prima). Durano in media un minuto l’uno: qui è eliminato tutto ciò che è superfluo e viene raggiunta la più assoluta concentrazione.

Si passa quindi a Ferruccio Busoni, uno dei più grandi virtuosi del pianoforte e uno dei più rappresentativi compositori degli anni a cavallo del 1900, la cui musica è una sintesi delle tradizioni italiana e tedesca. Ma i suoi interessi erano vastissimi: nel1915 s’interessò alla musica dei nativi americani e compose i quattro brani del Diario indiano, in cui rielaborò canti degli Cheyenne, dei Pueblo e di altri popoli indoamericani. Il concerto si conclude con due delle Elegie op. 7 del 1908, un’opera centrale nella produzione di Busoni, che disse: “Ho assunto finalmente il mio volto assolutamente personale soltanto con le Elegie”. Albanese eseguirà la n. 2, intitolata “All’Italia, in modo napolitano“ e la virtuosistica n. 4, che riprende un episodio delle musiche si scena da lui composte per Turandot, la “fiaba teatrale cinese” di Carlo Gozzi.

Biglietti: € 12,00 intero; € 8,00 ridotti personale universitario e over 65; € 5,00 studenti

Mauro Mariani (anche per la fotografia di Giuseppe Albanese di Francesco Bondi)

Kobe, il mito sportivo che ha fatto sognare il mondo

A quattro anni di distanza dalla scomparsa, torna in libreria, in una edizione aggiornata, il saggio che ripercorre la biografia personale e professionale di una delle leggende internazionali più amate del basket: Kobe Bryant.

KOBE Il mito sportivo che ha fatto sognare il mondo, scritto da Matteo Recanatesi e Marco Terrenato e pubblicato da L’Airone editrice, per questa nuova versione si avvale della prefazione di Gioacchino Fusacchia, il coach che l’ha visto muovere i primi passi in Italia dietro papà Joseph, cestista anche lui, e poi crescere e diventare la star intramontabile dell’NBA.

Una carriera che prese il via proprio nella nostra Penisola – tra Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia – e proseguì in Francia prima di esplodere negli Stati Uniti con l’NBA. In tutta la sua lunga attività, Kobe non è mai stato un giocatore facile da allenare  dimostrando, fin dalla prima adolescenza, di essere deciso a diventare il più forte di tutti i tempi.

I due autori, ripercorrendone l’esistenza – tra pubblico e privato – dalla nascita alla tragica e prematura morte, si addentrano passo per passo nella “Mamba Mentality” ripercorrendo, tramite le testimonianze raccolte, una professione strabiliante cominciata come giovanissimo prodigio della pallacanestro che incantava gli spettatori con i suoi palleggi negli intervalli dei match disputati dal padre e culminata nella gara d’addio da One Man Show con 50 tiri dal campo e 60 punti segnati.

Il volume è corredato da un inserto fotografico di sedici pagine a colori.

Elisabetta Castiglioni

Brassaï. L’occhio di Parigi

Dal 23 febbraio al 2 giugno Palazzo Reale (Piazza Duomo 12, Milano) presenta la mostra “Brassaï. L’occhio di Parigi”, promossa da Comune di Milano – Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Silvana Editoriale, realizzata in collaborazione con l’Estate Brassaï Succession.

La retrospettiva è curata da Philippe Ribeyrolles, studioso e nipote del fotografo che detiene un’inestimabile collezione di stampe di Brassaï e un’estesa documentazione relativa al suo lavoro di artista.

La mostra presenterà più di 200 stampe d’epoca, oltre a sculture, documenti e oggetti appartenuti al fotografo, per un approfondito e inedito sguardo sull’opera di Brassaï, con particolare attenzione alle celebri immagini dedicate alla capitale francese e alla sua vita.

Le sue fotografie dedicate alla vita della Ville Lumière – dai quartieri operai ai grandi monumenti simbolo, dalla moda ai ritratti degli amici artisti, fino ai graffiti e alla vita notturna – sono oggi immagini iconiche che nell’immaginario collettivo identificano immediatamente il volto di Parigi.

Ungherese di nascita – il suo vero nome è Gyula Halász, sostituito dallo pseudonimo Brassaï in onore di Brassó, la sua città natale -, ma parigino d’adozione, Brassaï è stato uno dei protagonisti della fotografia del XX secolo, definito dall’amico Henry Miller “l’occhio vivo” della fotografia.

In stretta relazione con artisti quali Picasso, Dalí e Matisse, e vicino al movimento surrealista, a partire dal 1924 fu partecipe del grande fermento culturale che investì Parigi in quegli anni.

Brassaï è stato tra i primi fotografi, in grado di catturare l’atmosfera notturna della Parigi dell’epoca e il suo popolo: lavoratori, prostitute, clochard, artisti, girovaghi solitari.

Nelle sue passeggiate, il fotografo non si limitava alla rappresentazione del paesaggio o alle vedute architettoniche, ma si avventurava anche in spazi interni più intimi e confinati, dove la società si incontrava e si divertiva.

È del 1933 il suo volume Paris de Nuit (Parigi di notte), un’opera fondamentale nella storia della fotografia francese.

Le sue fotografie furono anche pubblicate sulla rivista surrealista “Minotaure”, di cui Brassaï divenne collaboratore e attraverso la quale conobbe scrittori e poeti surrealisti come Breton, Éluard, Desnos, Benjamin Péret e Man Ray.

“Esporre oggi Brassaï significa – afferma Philippe Ribeyrolles, curatore della mostra – rivisitare quest’opera meravigliosa in ogni senso, fare il punto sulla diversità dei soggetti affrontati, mescolando approcci artistici e documentaristici; significa immergersi nell’atmosfera di Montparnasse, dove tra le due guerre si incontravano numerosi artisti e scrittori, molti dei quali provenienti dall’Europa dell’Est, come il suo connazionale André Kertész. Quest’ultimo esercitò una notevole influenza sui fotografi che lo circondavano, tra cui lo stesso Brassaï e Robert Doisneau.”

Brassaï appartiene a quella “scuola” francese di fotografia che fu definita “umanista”, per la grande attenzione che l’artista riservò ai protagonisti di gran parte dei suoi scatti.  In realtà, l’arte di Brassaï andò ben oltre la “fotografia di soggetto”: la sua esplorazione dei muri di Parigi e dei loro innumerevoli graffiti, ad esempio, testimonia il suo legame con le arti marginali e l’art brut di Jean Dubuffet.

Nel corso della sua carriera il suo originale lavoro viene notato da Edward Steichen, che lo invita a esporre al Museum of Modern Art (MoMA) di New York nel 1956: la mostra “Language of the Wall. Parisian Graffiti Photographed by Brassaï” riscuote un enorme successo.

I legami di Brassaï con l’America si concretizzano anche in una assidua collaborazione con la rivista “Harper’s Bazaar”, di cui Aleksej Brodovič fu il rivoluzionario direttore artistico dal 1934 al 1958. Per “Harper’s Bazaar” il fotografo ritrae molti protagonisti della vita artistica e letteraria francese, con i quali era solito socializzare. I soggetti ritratti in quest’occasione saranno pubblicati nel volume Les artistes de ma vie, del 1982, due anni prima della sua morte.

Brassaï scompare il 7 luglio 1984, subito dopo aver terminato la redazione di un libro su Proust al quale aveva dedicato diversi anni della sua vita.

È sepolto nel cimitero di Montparnasse, nel cuore della Parigi che ha celebrato per mezzo secolo.

La mostra sarà accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale e curato dallo stesso Philippe Ribeyrolles, con un testo introduttivo di Silvia Paoli.

Brassaï. L’occhio di Parigi, Milano, Palazzo Reale Piazza Duomo 12 dal 23 febbraio al 2 giugno 2024, da martedì a domenica 10:00 -19:30; giovedì chiusura alle 22:30, lunedì chiuso.

Biglietti. Open: € 17,00 Intero: € 15,00 Ridotto: € 13,00

Per informazioni: palazzorealemilano.it; mostrabrassaimilano.it

S.E.

Straordinarie arriva a Milano

Dopo il successo al MAXXI di Roma la mostra Straordinarie arriva a Milano, alla Fabbrica del Vapore.

Gli spazi della Cattedrale ospiteranno dal 14 febbraio al 17 marzo il progetto promosso da Terre des Hommes e curato da Renata Ferri con le fotografie di Ilaria Magliocchetti Lombi, che raccoglie 110 ritratti e voci di donne italiane provenienti da molteplici ambiti della società contemporanea. Professioniste che con il loro percorso testimoniano tanti modi diversi, tutti possibili, di affermarsi e realizzare le proprie ambizioni oltre pregiudizi e discriminazioni.

La mostra, realizzata grazie al sostegno di Deloitte con il patrocinio di Fondazione Deloitte, è parte della campagna #indifesa che Terre des Hommes porta avanti ormai dal 2012 per promuovere i diritti delle bambine e delle ragazze in Italia e nel mondo, attraverso progetti concreti sul campo, ma anche iniziative di sensibilizzazione come Straordinarie, e campagne di advocacy per costruire una cultura del rispetto e dell’inclusione contro ogni pregiudizio e discriminazione di genere.

Nei giorni di esposizione gli spazi della Cattedrale ospiteranno un ricco palinsesto di incontri dedicati alle scuole e alla cittadinanza, talk con le donne ritratte, proiezioni e performance artistiche, per approfondire i temi proposti dalla mostra.

Come afferma Renata Ferri, “Straordinarie è una sfida agli stereotipi di genere che trasforma il paradigma della donna- vittima in modello di riferimento culturale e politico. Protagoniste del nostro presente, hanno accolto l’invito alla messa in scena del ritratto fotografico per fare di questo progetto un corpo unico di volti e voci, una tessitura di memorie, confidenze e dediche.”

Tommaso Sacchi, Assessore alla Cultura Comune di Milano: “Quando parliamo di questioni di genere, la cultura può e deve avere un ruolo fondamentale per ispirare il cambiamento della nostra società. È con questa consapevolezza che il Comune di Milano ha promosso il palinsesto “Milano Città delle donne”, che durante tutto il 2024 proporrà appuntamenti, talk e mostre legate al tema, e che si apre oggi con la mostra Straordinarie. Un progetto rivolto soprattutto alle ragazze e ai ragazzi, per mostrare loro gli infiniti modi che le donne hanno di esprimere sé stesse e realizzarsi. Un invito a conoscere la storia di queste donne straordinarie e crescere libere e liberi di realizzare i propri sogni. “

“La campagna indifesa di Terre des Hommes Italia da oltre 12 anni denuncia la disparità di genere che intrappola bambine e ragazze in un ciclo di discriminazioni, stereotipi, povertà e violenza. Nella diversità e nella forza delle donne che compongono Straordinarie speriamo che ogni bambina o ragazza riesca a intravedere un riflesso delle proprie potenzialità, rincorrendo i propri sogni e lottando per superare queste disparità. Se visitando la mostra, anche una sola bambina potrà sentirsi più libera di scegliere del proprio futuro, avremo raggiunto il nostro obiettivo. E se saremo riusciti a coinvolgere in questo racconto, anche i maschi, forse potremo davvero dire di aver piantato i semi di un Paese più aperto, inclusivo e giusto”, afferma Paolo Ferrara, Direttore Generale Terre des Hommes Italia. “Siamo onorati di aver costruito con il Comune di Milano un grande palinsesto che parte con Straordinarie e continuerà nei prossimi mesi facendo della città meneghina un esempio unico per offerta culturale con una serie di progetti innovativi che racconteranno la questione di genere da molteplici punti di vista, anche attraverso altre mostre, come Appunti G, che chiuderà il palinsesto il prossimo autunno”.

“Straordinarie” è realizzata in collaborazione con Fabbrica del Vapore e fa parte, infatti, dell’iniziativa del Comune di Milano “Milano città delle Donne, delle ragazze e delle bambine” che propone alla cittadinanza un anno di eventi e appuntamenti culturali dedicati alle questioni di genere.

“La mostra Straordinarie, così come tutti gli eventi e le occasioni di dibattito ad essa collegati che si svolgeranno in Fabbrica del Vapore in tutto il 2024, dicono della volontà del Comune di Milano di costruire una città a misura di donne e uomini, inclusiva e rispettosa, collaborando con le tante associazioni e fondazioni che hanno a cuore la vita culturale, sociale, economica e politica della città. “Milano città delle donne” non è uno slogan ma la volontà quotidiana di costruire una città più sicura e accogliente per donne e uomini, rinnovando l’impegno affinché tutte e tutti abbiano pari opportunità nelle professioni così come nelle proprie aspirazioni di vita.” Elena Lattuada, Delegata del Sindaco alle Pari opportunità di genere.

La mostra è stata realizzata grazie al sostegno di Deloitte con il patrocinio di Fondazione Deloitte, che ha sposato i valori promossi dal progetto ed è main partner dell’iniziativa.

Deloitte e Fondazione Deloitte sostengono con convinzione “Straordinarie”, un’iniziativa culturale di altissimo livello capace di veicolare con forza l’importanza del contributo delle donne in tutti gli ambiti professionali e riconoscere il loro valore”, spiega Guido Borsani, Presidente di Fondazione Deloitte e Partner di Deloitte. Con questo progetto prosegue l’impegno di Fondazione Deloitte a sostegno di modelli di riferimento inclusivi, capaci di ispirare le nuove generazioni e di stimolare le ragazze e i ragazzi ad andare oltre gli stereotipi di genere”.

In questa edizione la mostra si accompagna con un libro ad essa dedicato che sarà disponibile durante la mostra e sul sito di Silvana Editoriale (www.silvanaeditoriale.it) e che è stato realizzato grazie a Fondazione Bracco.

“Come imprenditrice ho sempre creduto nelle competenze femminili e il women empowerment è da sempre al centro del mio impegno nel business, nella responsabilità sociale e nelle istituzioni”, afferma Diana Bracco, Presidente di Fondazione Bracco, che ha reso possibile la realizzazione del catalogo della Mostra. “Il tema della parità di genere è anche nella mission della nostra Fondazione. Sul fronte della formazione, abbiamo dato vita al Manifesto Mind the STEM Gap contro gli stereotipi di genere e all’iniziativa pluriennale #100esperte, per dar voce a personalità femminili in tanti settori. Per tutti questi motivi ci è sembrato naturale essere al fianco di Terres des Hommes in questo progetto espositivo. Le oltre cento donne ritratte in questa mostra, di cui sono molto felice di fare parte, sono artefici della loro libertà di pensiero e azione. Mi auguro che questa esposizione sia visitata da tante bambine e ragazze. E a loro rivolgo un appello: non smettete di coltivare i vostri sogni. Abbiatene cura, teneteli stretti, fateli fiorire. Il potere trasformativo dei desideri è inestimabile”.

L’appuntamento è stato inserito nel calendario delle Olimpiadi Culturali (Cultural Olympiad), il programma multidisciplinare, plurale e diffuso, realizzato dalla Fondazione Milano Cortina 2026, che mira a promuovere i Valori Olimpici e Paralimpici attraverso la cultura, il patrimonio e lo sport, nel percorso di avvicinamento ai prossimi Giochi Invernali.

Questa importante iniziativa dona un valore aggiunto all’Olimpiade Culturale di Milano Cortina 2026”. Ha dichiarato Diana Bianchedi Chief Strategy Planning and Legacy Officer di Milano Cortina 2026. “I prossimi Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali lasceranno al Paese e alle generazioni di domani un’eredità intangibile duratura: la Fondazione Milano Cortina 2026 ha infatti attivato una serie di programmi, tra cui quello culturale, che puntano a coinvolgere e avvicinare le persone a valori quali inclusione, uguaglianza e rispetto. Progetti come questo, nato a sostegno delle donne, permettono di rafforzare il lavoro intrapreso a favore della parità di genere nel mondo dello sport e di una corretta rappresentazione delle donne”

“Questa straordinaria raccolta fotografica, realizzata dalle donne per le donne e per la difesa dei loro diritti – afferma Arianna Ferrini, HR Director di Canon Italia – rappresenta un’importante occasione per tenere alta l’attenzione sui temi legati alle disparità e ai pregiudizi nei confronti dell’universo femminile. E’ per noi un onore collaborare come partner a un progetto al quale ci sentiamo particolarmente vicini, poiché l’equità e l’inclusione sono valori fondamentali. Il nostro impegno è infatti quello di creare un’organizzazione sempre più inclusiva, all’interno della quale ciascun talento possa esprimersi e migliorarsi, rispecchiando la diversità della società in cui viviamo”.

Inoltre, altri numerosi partner che sono a fianco di Terre des Hommes per i diritti delle bambine e delle ragazze supportano l’iniziativa, tra cui: Rai per la Sostenibilità ESG, Canon, Gramma, partner Culturale, Cotril, che ha curato lo styling hair delle protagoniste, Neutralia, partner tecnici, Corriere della sera, iO Donna, La27esimaOra, Urban Vision media partner.

Straordinarie sarà aperta al pubblico gratuitamente dal 14 febbraio dalle 10.00 alle 19.00, fino a domenica 17 marzo.

S.E.