Al via il 492esimo Carnevale di Verona

Apre domani il 492° Carnevale veronese. In forma ridotta, con tutte le misure anti-contagio e, soprattutto, con un calendario eventi work in progress, in attesa di indicazioni precise e dettagliate in materia di eventi e manifestazioni. La volontà del Comitato del Carnevale resta quella di portare avanti la tradizione veronese realizzando, nei limiti della situazione pandemica, il maggior  numero di eventi, in linea anche con le finalità sociali del Carnevale stesso, procedendo con la programmazione dei vari eventi, in attesa di avere precise indicazioni dalla Prefettura riguardo alla fattibilità o meno degli eventi.

Domani, giovedì 6 gennaio, sarà posta come da tradizione la statua del Papà del Gnoco in piazza a San Zeno, ma non ci sarà la consueta sfilata fino a Palazzo Barbieri. Tutti i comitati carnevaleschi stanno comunque organizzando i vari appuntamenti nei rioni, in attesa di capire come si evolverà la situazione. Attualmente sono confermati gli appuntamenti di gennaio, con le elezioni delle varie maschere, una tradizione carnevalesca che ormai vive solo a Verona. Il 16 gennaio è prevista l’elezione del 492° Papà del Gnoco, seguita poi dalla cerimonia di incoronazione che avverrà nel rispetto delle norme vigenti e senza i tradizionali eventi goliardici.

Il momento clou sarà il 25 febbraio, il Venerdì Gnocolar, a cui seguiranno gli eventi nei rioni, il Sabato Filippinato e il Luni Pignatar. La chiusura sarà l’1 marzo, Martedì Grasso, in piazza Dante come si faceva un tempo.

Tutti i comitati sono al lavoro per l’organizzazione dei propri eventi e per eleggere le proprie maschere, adeguandosi alle normative, con nuove modalità anche online, come per l’elezione del Principe Reboano, con votazione e tradizionale processo ai candidati in streaming.

Foto di gruppo dopo la presentazione in Sala Arazzi

Il programma è stato presentato in sala Arazzi dall’assessore al Carnevale e alle Tradizioni veronesi Francesca Toffali. Presenti il presidente del Comitato organizzatore del Carnevale del Gnoco Valerio Corradi, il presidente del Comitato Rione Filippini Pierantonio Turco, la vicepresidente del Ducato di S. Stefano Maddalena Garofalo, il Papà del Gnoco e il Principe Reboano.

“Anche per il 2022 apriamo il Carnevale rispettando la data canonica del 6 gennaio – ha affermato l’assessore Toffali -. Le attività sono ridotte, per questo facciamo solo l’annuncio dell’inizio senza la classica passeggiata dopo la posa della statua a San Zeno. Siamo in attesa di capire come e in che modo potremo procedere, ma speriamo di poter rispettare tutte le scadenze di gennaio e febbraio”.

“Stiamo organizzando gli eventi del Carnevale di gennaio e febbraio come se fosse tutto normale, ovviamente attenendoci al decreto del Governo del 23 dicembre 2021 – ha detto il presidente Corradi -. Lavoriamo a vista perché, dall’1 febbraio, non sappiamo come andranno le cose. I nostri volontari stanno incontrando molte difficoltà, ma vogliamo continuare a far vivere il Carnevale a Verona”.

Roberto Bolis (anche per la fotografia)

Il Verbo si fece carne

II DOMENICA DOPO NATALE – GIOVANNI 1,1-18
1. In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Meditiamo il prologo del Vangelo di Giovanni, pagina teologicamente e poeticamente molto profonda, in cui il quarto evangelista presenta Cristo fin dalla sua preesistenza presso il Padre. È necessario applicarsi con calma e concentrazione su questi versetti che sono da contemplare più con il cuore che con l’intelligenza. “In principio”: Giovanni fa un chiaro riferimento all’inizio della creazione “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Genesi 1,1). Nello stesso tempo dichiara che il Cristo esiste da sempre, non creato, vivente prima dell’inizio. “Il Verbo”: il termine è tradotto con “Parola”. Giovanni riunisce la cultura ebraica e greca e parla di Cristo come il Logos (in greco). Secondo i Greci antichi il Logos è la “ragione immanente del mondo” che compenetra l’universo. Per gli Ebrei invece il Verbo è la Sapienza personificata (Siracide 24 e Proverbi) che scende sulla terra. “Era presso Dio”: alcuni esegeti traducono VERSO anziché PRESSO intendendo così il dialogo che esiste in Dio tra il Padre e il Figlio. “Il Verbo era Dio”: il Verbo che preesiste fin dal principio è Dio. Dopo l’Incarnazione si potrà parlare di Dio come Padre e Figlio in relazione fra loro grazie all’Amore. Il Figlio è uguale al Padre, ma è distinto dal Padre. Il Verbo / La Parola / il Figlio c’era già prima che il mondo avesse inizio. Tutto ciò che esiste non viene dal caso, ma grazie al Verbo.
2. Egli era, in principio, presso Dio: Si veda il versetto precedente. Dal momento che la Parola è Dio, chi accoglie la Parola è inserito in Dio. Se accogliamo Cristo viviamo anche con Lui nel Padre e siamo in dialogo e in relazione di amore con la Trinità stessa: Padre, Figlio e Spirito, che è Amore.
3. tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. Ora Giovanni parla del Verbo / Parola che esce da sé. Il Padre crea l’universo attraverso la Parola. La Parola continua a creare e rinnova tutto l’esistente in modo dinamico e sempre nuovo. Ogni evento accade grazie alla Parola, che guida la storia verso la salvezza definitiva di gioia e di felicità. La creazione, come dice il termine, è CREATA, ha un’origine. Il Logos / la Parola, invece è senza inizio. “Senza di lui nulla è stato fatto”: secondo lo stile ebraico, per accentuare il significato lo si ripete in diversi modi. Questo versetto significa che fin dall’inizio vi è un solo Dio creatore che crea ogni cosa.
4. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; La Parola dona la vita e rende tutto ciò che esiste partecipe della vita di Dio. Il creato non può sussistere senza la vita che viene dal Padre ed è comunicata dal Figlio. Senza il soffio creativo di Dio noi non esistiamo e non possiamo continuare a vivere, che lo sappiamo o no. “Era la luce”: se vogliamo dare un significato alla nostra vita dobbiamo vivere in Dio e lasciarci guidare da Lui, Luce che illumina la nostra esistenza.
5. la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. La luce indica la VITA che scaturisce dall’atto creatore di Dio. Le tenebre sono originate dal rifiuto della Luce, non sono preesistenti alla Luce. Il frutto delle scelte sbagliate precipita l’uomo in una NON–LUCE che diventa NON– VITA, cioè morte. “Le tenebre non l’hanno vinta”: Gesù, che è la Luce, non è stato sconfitto dalle tenebre della morte. Chi rifiuta la Parola di Gesù, però, rimane nelle tenebre, resta cieco: “Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi” (Giovanni 9,39). È una libera scelta dell’uomo quella di seguire la Luce o precipitare nelle tenebre.
6. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. L’evangelista Giovanni prosegue il discorso sul Logos / Parola, quasi interrompendolo e presenta Giovanni Battista come il testimone della Luce, del Logos presente nel mondo. “Uomo mandato da Dio”: l’espressione rievoca la vocazione dei profeti: Mosè, Isaia, Geremia, scelti e mandati da Dio per annunciare la salvezza. È un richiamo anche al profeta annunciato da Malachia
3,1: “Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate; l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, ecco viene, dice il Signore degli eserciti”. “Il suo nome era Giovanni”: Giovanni significa “dono o grazia di Dio, ma anche Dio ha esaudito, il Signore è misericordioso”. Connota un carattere gentile, ma anche fermo e deciso.
7. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. La finalità della testimonianza di Giovanni è che tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi riconoscano la Luce della Vita, che è Cristo. Per mezzo di Lui, chi crede ha la possibilità di entrare in dialogo con Dio.
8. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Giovanni è solo colui che prepara la venuta del Messia, non è lui la Luce. L’evangelista ha grande stima di Giovanni, ma chiarisce che solo Gesù è l’atteso, così che non si confondano le due figure.
9. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. In contrapposizione con le false luci apparse nel mondo, con i falsi idoli adorati dai popoli antichi, Cristo è la luce vera, Colui che illumina il cammino di ogni uomo e di ogni donna nella sua singolarità. Ogni persona, infatti, ha insito nel cuore, il desiderio irresistibile di raggiungere la verità, il bene, il bello e il buono. Ogni uomo, infatti, è fatto a immagine e somiglianza di Dio e da Lui amato con predilezione.
10. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Il Verbo / Parola è rivolto al mondo e ha il compito di portare il mondo al Padre per avere la felicità senza fine. L’umanità, ognuno di noi, ha la grande responsabilità di scegliere se accogliere o meno l’amore gratuito di Dio, se aprirsi alla Luce, o nascondersi per non vederla, o voltare le spalle al Creatore. Purtroppo questo è avvenuto nel passato e anche al giorno d’oggi: chi nega Dio si vota alla morte; chi accoglie Dio ha la speranza di vederlo faccia a faccia nella vita senza fine.
11. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. Il Logos / Parola è venuto nel mondo in mezzo al suo popolo, scelto appositamente, non un popolo qualsiasi, ma quello con cui aveva una particolare relazione e predilezione. Nonostante questo è stato rifiutato e ha patito il dolore del rifiuto proprio da parte di coloro da cui si aspettava corrispondenza.
12. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome. Nell’umanità esiste una parte che accoglie la Luce, che crede nel nome di Gesù. A costoro è dato il potere di diventare figli di Dio. La fede trasforma la finitezza dell’uomo e lo inserisce nella divinità di Dio, grazie al Figlio. A chi crede viene data una dignità che non finisce, viene donata la figliolanza in Dio, a qualunque popolo e a qualunque epoca appartenga. “A quelli che credono nel suo nome”: credere nel nome di Gesù significa consegnargli la propria stessa vita.
13. i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. Chi crede nel Nome di Gesù diventa figlio di Dio e l’appartenenza a Lui supera l’origine storica in un popolo determinato (non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo) e in un tempo specifico.
14. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Da questo versetto si comprende il significato di tutti quelli precedenti: il Logos / Verbo, si incarna nella storia, non lascia sola l’umanità sofferente, senza senso, senza direzione, senza speranza. Cristo assume la condizione di fragilità, di miseria e di precarietà degli uomini e addita l’orizzonte di vita eterna che cambia l’esistenza, permette la conoscenza del Padre, perché è Lui a rivelarlo. “Si fece carne”: Cristo non appare nel mondo come una visione eterea, evanescente. Assume un corpo, con tutto ciò che comporta la debolezza della fisicità di un uomo: bisogno di nutrimento, di riposo, di apprendimento graduale delle leggi della vita… “Venne ad abitare in mezzo a noi”: Cristo si mette alla pari con noi e sperimenta cosa significhi per una persona la fatica del vivere. Gesù diventa uomo reale e concreto e nella sua debolezza rivela la Gloria. Non poteva diventare più grande di quanto è; ha scelto di diventare più piccolo, l’Infinito che si contrae nel finito, lo assume e lo porta in Dio. Tutto questo per Amore, per solo Amore.
15. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: “Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me”. L’evangelista ribadisce che Gesù è più importante di Giovanni. Probabilmente vuole dirimere dispute tra i cristiani del primo secolo. Nella sua umiltà Giovanni aveva affermato fin dall’inizio della sua predicazione che la superiorità di Gesù era tale, che lui si riteneva indegno addirittura di fare il servizio di schiavo: slegargli i calzari. “Era prima di me”: Gesù è prima di Giovanni perché come Dio è preesistente alla creazione; è la Parola stessa di Dio.
16. Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Dalla Vita di Gesù è scaturita la salvezza per tutti coloro che lo hanno accolto. Più allarghiamo il cuore ad accoglierLo, più Lui ci riempie e ci dona grazia su grazia. “Grazia su grazia”: secondo alcuni esegeti la prima grazia sarebbe la creazione, la seconda l’incarnazione. Secondo altri significa una grazia dopo l’altra. Per altri ancora si tratta prima della Legge di Mosè e poi dell’Incarnazione.
17. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Giovanni confronta Mosè (la Legge) e Gesù (la Verità). Nella storia prima c’è stato Mosè e poi Gesù, ma Gesù è molto più importante. Egli trascende l’esperienza del popolo di Israele e porta a compimento la storia. Non esiste opposizione, ma perfezionamento, completamento e superamento. Non viene rinnegato nulla del passato, ma portato a compimento, perché le esperienze precedenti aiutano l’uomo a crescere e a progredire. Non c’è contrapposizione tra l’Antico e il Nuovo Testamento.
18. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato. “Dio, nessuno lo ha mai visto”: per la Bibbia Dio è trascendente e nessuno può vederlo. Nell’ultimo versetto del prologo, Giovanni ribadisce che il Figlio rivela il Padre e ci permette di conoscerlo, anche se la visione completa e definitiva potremo averla solo dopo la morte, che è il velo che ci separa da Lui. Per vedere il volto di nostra madre, dobbiamo nascere. Per vedere il volto di Dio, dobbiamo morire. Ecco che per il cristiano la morte è un passaggio alla vita, alla festa dell’Incontro senza fine.
Nell’Eucaristia Cristo ha voluto venire ad abitare dentro di noi per cui possiamo accogliere l’Infinito, anche se non possiamo vederlo con i nostri occhi di carne. “Il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre”: questa espressione indica che il Figlio è in intimità assoluta con il Padre: “Io e il Padre siamo uno” (cfr. Giovanni 10,29). “Lo ha rivelato”: con l’Incarnazione, se ascoltiamo e obbediamo al Figlio, possiamo conoscerLo, grazie alla sua vita, ai suoi gesti, alle sue parole. Se Gesù non si fosse incarnato, sarebbe stato impossibile ogni comunicazione diretta con Dio e noi vivremo senza alcuna speranza. Nessuna scienza, infatti, riuscirà mai a fare in modo che il cuore dell’uomo sia appagato. Solo Dio può appagare la sete più profonda del cuore umano. Riflettendo sul Verbo = Parola, dobbiamo supporre che se qualcuno parla, ci deve essere chi ascolta. Se uno parla e l’altro ascolta, vuole dire che ci sono due persone in relazione fra loro. Nella comunicazione, una persona si esprime e l’altra accoglie dentro di sé il messaggio. L’accoglienza del messaggio nasce dall’amore, per cui chi parla sa di essere amato e accolto da chi ascolta. È un ascolto accogliente e corrisposto. Per mezzo della fede, se ascoltiamo Dio, noi suoi figli, entriamo in una relazione di amore e facciamo spazio dentro di noi per accogliere quanto Lui ci comunica e così viene in noi la Luce. Per semplificare: quando ascoltiamo Dio diventiamo come la terra che accoglie il seme, che in noi fruttifica e genera altra vita. Chiediamo al Padre, che ci ha creati a sua immagine e che ci ha redenti con la sua Grazia, di accogliere, ascoltare, obbedire al Figlio che ci manifesta la vita divina. In Lui, possiamo trovare compimento al nostro desiderio di vedere il Volto di Dio. Dio si è fatto carne: questa è la nostra gioia, che durerà per sempre.
Suor Emanuela Biasiolo

Monet al Palazzo Reale di Milano

Ancora alcuni giorni per poter ammirare la bella mostra dedicata a Claude Monet al Palazzo Reale milanese, per la curatela di Marianne Mathieu, storica dell’Arte e curatrice del Musée Marmottan Monet di Parigi, dal quale arrivano le 53 opere dell’artista esposte. La mostra è stata promossa dal Comune di Milano, settore Cultura, per fare conoscere i musei del mondo nella “capitale” lombarda.

L’esposizione si manifesta molto interessante perché permette di comprendere l’evoluzione di Monet e degli impressionisti francesi, a partire dalla loro più nota caratteristica di dipingere all’aria aperta una volta acquisita la novità delle tinte vendute in tubetti, permettendo di focalizzarsi sulla luce, sui colori, sui cambiamenti di questi aspetti naturali durante la giornata, oppure con i cambiamenti climatici, come la nebbia o la presenza di sole o di vento. Le opere scelte sono quelle che Monet stesso riteneva fondamentali per il suo lavoro e la sua espressione ed evoluzione artistica, tanto da averli nella sua casa di Giverny e di non averli mai voluti vendere. Rimarranno al figlio Michael che li donerà al Museo Marmottan Monet, che oggi custodisce il più alto numero di opere dell’artista per questo motivo. Sarà a seguito di quel lauto lascito che il Museo prenderà il secondo nome di Monet, dal 1966. Quell’anno Michel morirà senza eredi, essendo lui l’unico erede di Monet, dopo la morte del fratello maggiore Jean avvenuta nel 1914. Quindi il suo fondo di opere e di studi del padre andranno al Museo fondato dal grande collezionista Marmottan.

Ritratto di Marmottan

La mostra di Milano è quindi divisa in sette sezioni, con tele di piccola misura prevalentemente dedicate ai paesaggi urbani di Londra, Parigi, Vétheuil, Pourville, le varie case dell’artista, alcuni suoi momenti familiari: il ritratto del figlio, la passeggiata con Camille ad Argenteuil (luogo ameno a pochi chilometri da Parigi dove i cittadini arrivavano in treno, specialmente la domenica), piuttosto che la spiaggia di Trouville-sur-Mer dove Monet si recherà pochi giorni dopo il suo matrimonio con Camille avvenuto nel 1870, o Charing Cross, o Belle-ile-en Mer dove era andato per dipingere il carattere selvaggio del luogo e la luce insulare. Lavori degli ultimi decenni dell’Ottocento, fino agli inizi del nuovo secolo. Il visitatore viene coinvolto nella mostra attraversando stanze in cui viene letteralmente immerso nell’ambiente di Monet, con video cangianti che fanno camminare sui pesci rossi o essere immersi nelle ninfee, entrando nel vero senso della parola nell’opera dell’artista. Non sono questi gli aspetti interessanti della mostra, ma di certo sono un mezzo per consentire a chi la visita di lasciarsi per un’oretta tutto alle spalle, tutto all’esterno, per entrare nel senso dell’opera d’arte prodotta, cercando di capirne il valore e perché viene ritenuta così di valore.

Lo stagno delle ninfee, 1917-1919 ca

Durante la prima guerra mondiale, Monet si getta a capofitto nel lavoro: crea un grande atelier dove può produrre opere monumentali, scegliendo come soggetto preferito le ninfee dello stagno. Produrrà anche 19 tele più piccole, con lo stesso soggetto. Le pennellate veloci, i colori accesi e stemperati, fanno delle Ninfee uno dei soggetti più noti e più amati dell’artista. Il giardino era carico di fiori, tra i quali gli iris, le rose, ma anche il ponte giapponese o il salice piangente, soggetti frequenti dei lavori del celebre artista.

Viene anche sottolineato il problema agli occhi che lo affliggerà e sono esposti, accanto alla sua tavolozza, gli occhiali che, grazie ad una ingegnosa trovata ottica del suo oculista, avevano lenti diverse che permettevano a Monet di vedere al meglio.

Una mostra da non perdere, per la preziosa possibilità di vedere a Milano lavori che difficilmente viaggiano.

Alessia Biasiolo