Città di Verona prima in pesca alla trota Trofeo ASPMI

Pesca alla trotaLa città di Verona si è classificata prima in due della quattro specialità previste nel trofeo Aspmi di pesca alla trota, che si è tenuto sabato presso il laghetto Stella di Buttapietra. Organizzata dall’Associazione Sportiva delle Polizie municipali italiane, che raggruppa tutte le varie discipline, la gara ha visto 60 pescatori provenienti da 12 diversi Comandi di Polizia municipale sfidarsi nella pesca alla trota in laghetto. Complessivamente sono stati oltre 1.800 i pesci pescati durante la gara per complessivi 170 chili, tutti poi donati alla mensa dei poveri dei frati di San Bernardino. Il Comando di Verona si è aggiudicato due primi premi per l’individuale assoluto, vinto dall’ufficiale del Reparto Motorizzato Giuliano Manega con 54 pesci pescati e per la categoria Squadre aggiudicato assieme al collega Antonio Bonfà del Nucleo Infortunistica Stradale. Entrambi gli altri primo posti, per le categorie Comandi e Over 60, sono andati alla Polizia municipale di Milano. Catturato anche uno storione di circa due chili, che è però stato rimesso in acqua e liberato dal gestore del laghetto.

Roberto Bolis

La famiglia Karnowski

Pubblicato per la prima volta nel 1943, “La famiglia Karnowski” è stato recentemente ridato alle stampe permettendo al più vasto pubblico di assaporare alcune delle pagine più interessanti e significative del Novecento. Maestro indiscusso del romanzo, Israel Joshua Singer, nato a Bilgoraj nel 1893, cresciuto a Leoncin e a Varsavia, fu a lungo viaggiatore per la Polonia, la Galizia e l’Unione Sovietica, fino a quando, nel 1934, lasciò l’Europa per emigrare negli Stati Uniti, dove morì nel 1944. Prolifico autore di romanzi e racconti, oltre che di articoli giornalistici, visse tuttavia nell’ombra del fratello minore Isaac B., premio Nobel per la Letteratura. Per questo motivo, Isaac Joshua Singer non venne approfondito, perdendo la possibilità di farsi conoscere ed apprezzare come avrebbe potuto. Quindi, l’operazione di riedizione ci consegna tra le mani la saga dei Karnowski, famiglia ebrea polacca, non soltanto per raccontarci chi erano e di cosa si sono occupati, fatto questo di fondamentale importanza per persone che facevano del successo personale la loro ragione di vita, quanto per immergerci in un affresco di sensazioni assopite, in colori stinti che, tuttavia, hanno il fascino del nascosto, del passato, delle tradizioni di cui siamo ghiotti quando sono lontane da noi. Quindi leggiamo di David che, a seguito di una lite all’interno della sua comunità, lascia il suo shtetl polacco e si reca a Berlino. Solo lì, infatti, è certo che potrà trovare la propria strada, lontano dall’oscurantismo di chi voleva interpretare le scritture a modo suo, impedendogli di dare il proprio colto contributo, frutto di una severa preparazione personale. A Berlino, mette in piedi un’attività che cerca di fare prosperare, allo stesso tempo imponendosi di lasciarsi alle spalle accenti e modi di fare, scegliendo di frequentare la società che conta per poter trovare lo spazio che è convinto di meritare nella società tedesca. Gli fa da contraltare la moglie Lea che, pur seguendo fedelmente il marito, non vuole saperne di cancellare il proprio passato e di dimenticare le proprie origini, pertanto fugge, appena può, in casa di un ebreo normale, fracassone e dalla famiglia allegra, per poter vivere ancora di frasi gergali, del proprio dialetto, delle proprie chiassose riunioni, lontane dall’apparenza nella quale sembrava volerla imprigionare il marito. Ha un figlio, maschio, che David vuole allevare secondo i propri dettami, ma che, come lui, è un ribelle e vuole vivere la propria vita a modo suo. Scialacqua soldi, si diletta tra prostitute e serate dissolute, fino a quando conosce la figlia di un medico dedito alla beneficienza. Così lontano da suo padre che pensa solo ai soldi, il medico padre della sua amata si arrabatta tra l’ambulatorio dove la gente paga quel che può, lasciando i soldi su un piatto da dove chiunque ne abbia bisogno si può servire, e le passeggiate salutistiche in compagnia della figlia. Una coppia davvero stravagante, tanto che la ragazza si preoccupa più di dissezionare cadaveri che di godersi la vita, seguendo il padre vedovo nel suo lavoro, e imparando bene quanto lui a curare la gente. Elsa è invaghita del bel giovane ricco Karnowski, che la corteggia tanto da mettersi a studiare Medicina per poter diventare interessante ai suoi occhi, ma non ha alcuna intenzione di lasciare il proprio lavoro e la propria carriera per diventare moglie e madre. Una società che sta cambiando e che si avverte mutare attraverso le scelte di vita dei vari protagonisti, ma che si avverte anche protesa a cercare altre vie di esistenza, tra rigore e ordine da un lato e tra appartenenze comuniste dall’altro. Un mondo che si avvicina sempre più ai nostri tempi, attraversando come in una bella fiaba attimi intensi di sconvolgimento interiore: lotte tra padri e figli, discussioni tra marito e moglie, e via discorrendo. Singer indugia molto, in modo lieve, sui rapporti tra le persone: quelli tra madre e figlio, ad esempio, e tra le donne e loro stesse, mettendo davanti al lettore la figura di una donna libera a fianco di un marito molto appariscente, e una donna succube che potrebbe diventare suocera di una donna libera. Allo stesso tempo, la moglie di David si ritrova incinta di una figlia sulla quale, finalmente, può rivolgere tutte le sue attenzioni sapendo di poterla sottrarre al controllo del marito, più intento a seguire il figlio maschio, pur rendendosi conto di avere allevato un ribelle a tratti inetto e di avere fallito la linea di condotta paterna quasi del tutto. Insomma, procedendo nell’affascinante e coinvolgente lettura, ci si ritrova ad essere nei salotti delle persone di cui Singer sta narrando e di voler conoscere tutti i loro segreti, per contare su un’amicizia sincera come quella di un buon libro. Pagine di un Novecento che talvolta rimpiangiamo e di cui vogliamo conoscere sempre di più. È così, quindi, che la saga famigliare procede fino a quando David e Lea Karnowski si trovano davanti l’amato della figlia, e a breve suo sposo, in un momento in cui la ragazza si ammette disillusa dall’amore e dall’ammirazione per alti ragazzi tedeschi, biondi e dagli stivali alti e lucidi, che portano a pensare ad un’altra Germania, quella dell’odio razziale. Ecco che all’improvviso, gli stessi Karnowski non sono più le importanti persone che David desiderava fossero, ma soltanto degli ebrei, come il nuovo genero, per fortuna come affermò lo stesso David. La storia procede per continui rivolgimenti personali, famigliari e storici e accompagna in un interno senza commenti, senza retorica, senza partecipazione da parte dello scrittore. Abbiamo ogni sorta di emozione descritta, ma con la compostezza di un saggio che guarda alla vita senza scomporsi quando questa si dimostra per quello che è. Un interessante mosaico che un maestro sapiente insegna a decifrare, mentre si snoda apparentemente senza fine davanti ai suoi occhi.

Da leggere.

Isaac Joshua: “La famiglia Karnowski”, Adelphi edizioni, Milano, 2013, pagg. 504.

Alessia Biasiolo

Quando il cielo è pieno di nodi. Ricordi della Resistenza

Dei libri mi piace leggere e assaporare a volte il titolo, a volte il risvolto di copertina, a volte qualche pagina sparsa qui e là, prima di cominciare a leggerli sul serio, lasciandoli raccontarmi loro stessi, senza fermarmi a pareri diversi da quello che, scrivendo una recensione, è il mio. Stavolta prendo tra le mani un nuovissimo libro, davvero fresco di stampa, e leggo una bella dedica. A chi costruirà un avvenire partendo dal passato raccontato in un grosso pugno di oltre duecento pagine. E comincio una lettura appassionante, pur su una trama inusuale, un tracciato di vita che segue la vita, più che l’impaginazione. E io che ho sconvolto più di una persona perché i miei libri a volte non hanno indice, a volte non hanno suddivisione in capitoli, a volte non sembrano avere neanche un titolo, non mi stupisco affatto della scelta. Mi osserva dal risvolto di copertina una composta signora che dimostra molti anni meno di quelli che ha. Ha lo sguardo solare di chi può dedicare il proprio libro come ho scritto; ha la capacità di guardare nel profondo propria di chi sa quello che scrive e ha saputo volere quello che doveva volere nella vita. Mi appare una donna che non sta a chiedersi il perché, ma che agisce. Il suo libro è azione. Ed è scritto come Steve Job ha detto di avere vissuto: alla fine di un percorso che non sai perché hai percorso, unisci i puntini. L’autrice che sembra sorridere dalla foto di copertina, Teresa Vergalli, invece di unire i puntini ha unito di nodi, ma la questione non cambia. Persone come Steve e Teresa ci mostrano il tracciato della loro avventura di vita e sta poi a noi capire se qualcosa di quello che hanno fatto, e di quello che hanno raccontato, ci serve o ci può servire perché la nostra strada abbia un senso. Teresa Vergalli, classe 1927, originaria della provincia emiliana, è stata una staffetta partigiana e proprio di quella storia, “La storia che si fa romanzo”, scrive nel suo ultimo lavoro, “Un cielo pieno di nodi”. Già nota per “Storie di una staffetta partigiana”, impegnata per anni nel movimento di innovazione didattica, Teresa Vergalli è maestra nell’impostare un ragionamento partendo dai singoli fatti. E dando proprio a quelli, quegli insignificanti attimi di vita di persone anonime, l’onore di diventare racconto storico, tassello che va a completare quella Storia che molti pensano di poter scrivere, o riscrivere, solo interpretando, o reinterpretando, documenti polverosi. Ecco che, invece, Ave, Alvaro, don Pietrino ritornano vivi e vegeti davanti a noi lettori, e li immaginiamo nella fretta di dover prendere decisioni, nell’affanno di doverlo fare di nascosto, prima che qualcuno se ne accorga e dia l’allarme. Facendoli arrestare, denunciandoli, o peggio uccidendoli. Si tratta di nascondere e poi fare sparire due russi che la zia Irma ospita dopo che sono riusciti a sfuggire ai tedeschi che li avevano arrestati. Si tratta di correre a fare scappare, tra il 9 e l’11 settembre, gli uomini che erano in prigione, prima che si sappia l’accaduto, prima che si capisca bene cosa sta accadendo, lungo una Via Emilia confusa come lo è stata per alcuni lunghi attimi tutta l’Italia. Attonita tra la felicità della fine di un conflitto e lo sconcerto nel non vederlo affatto finire. Tra tutto, una ragazzina, che non ha neanche il seno abbastanza grande per nasconderci in mezzo i messaggi dei banditi che, nascosti prevalentemente sui monti, cercavano di combattere quell’odioso miscuglio di occupanti nazisti e di italiani fascisti. Ospitare Pasquale costa il rogo della baracca ai Filippi; salvano la casa, ma perdono tutto quello che hanno a causa di una spia. Perché essere tanto cattivi contro altri italiani?

Ascoltare Radio Londra per avere notizie di un mondo libero senza sentirsi eroi e senza quell’aureola di misticismo di cui sembravano essersi cinti tanti che Radio Londra la “nascondevano” nei fienili, nel fondo della propria coscienza, sperando fosse tutto vero, sperando fosse la scelta giusta. Ecco. Dai racconti di Teresa traspare questa sensazione: non che tutto fosse accaduto nella certezza di avere la soluzione in tasca, ma nella speranza che fosse davvero così, che tutto finisse in meglio. Si legge della coscienza e dell’istinto di operare per rispondere a se stessi, senza essere eroi, né allora né dopo, né oggi. È la Storia a decretare l’eroismo, a dare risposte per le quali a volte bastano istanti, a volte bisogna pregare e sperare per anni. Ritorni dal fronte, famiglie falsamente unite, lacerazioni profonde. Una girandola di ricordi e di colori, di vita o di morte, a seconda del momento, dell’attimo immortalato nella memoria come se fosse la lastra fotografica di un esperto. E il desiderio di farne partecipe le persone che devono utilizzare questi ricordi per costruire un presente. E quale? Non quello sociale, quello delle parole, dei proclami. No. Il presente di loro stessi. Il presente di noi stessi. Quello di allora era un presente nel quale Teresa, come altri che ha nel cuore, ha lasciato le basi per questo futuro. Ora abbiamo noi stessi da costruire per essere davvero il terreno sul quale potere avere un futuro domani e settant’anni dopo. Settanta anni dopo quel 25 aprile che viene celebrato spesso male, spesso con le parole stonate, senza contare che è stato il momento dell’Italia libera. Dall’occupazione, dal governo fascista, da se stessa. Da quella parte di sé che doveva imparare ad essere diversa, a crescere per essere migliore. Bene, Teresa, ce l’hai fatta. Siamo qui a dirti, leggendo il tuo bel libro che, nel nostro meglio, siamo il futuro, magari imperfetto, che il tuo essere partigiana ha creato. Grazie.

 

Teresa Vergalli: “Un cielo pieno di nodi”, Editori Riuniti, Roma, 2015, pagg. 232; euro 21,50.

 

Alessia Biasiolo

Al Museo del Violino di Cremona, Pasqua con il suono di uno Stradivari

Domani 4 aprile alle ore 12.00; il giorno di Pasqua, domenica 5 aprile, alle ore 16.00 e lunedì 6 aprile sempre alle ore 16.00, nell’ambito di “Audizioni speciali”, presso il Museo del Violino di Cremona (Auditorium Giovanni Arvedi, ingresso euro 7,00), Teofil Milenkovic suonerà il violino Antonio Stradivari “Vesuvio 1727” . Nato nel 2000 da madre italiana e padre serbo, entrambi violinisti, fratello di Stefan Milenković – docente di violino presso la State University of Illinois – Teofil Milenković ha iniziato a suonare a 4 anni, sotto la guida dei genitori, dimostrando subito uno straordinario talento, confermato da 39 primi premi in vari concorsi nazionali ed internazionali. Recentemente si è aggiudicato la Borsa di Studio Unicredit – “Maura Giorgetti” conferita dalla Filarmonica della Scala. A soli nove anni si è esibito da solista con orchestra all’apertura delle stagioni concertistiche del Teatro Olimpico di Roma e del Teatro Greco di Lecce. Ha partecipato a vari festival nazionali ed internazionali (Festival des Portes du Mercantour in Francia, Mozart Festival di Sassonia in Germania, Festival Krka in Slovenia). Come solista si è esibito con J. Futura Orchestra, I Cameristi Triestini, Orchestra Sinfonica di Lecce, Orchestra RTV Serbia, Orchester des Musischen Gymnasiums Salzburg, Orchestra Filarmonica “Mihail Jora” di Bacau (Romania). È allievo del Triennio Accademico di violino al Conservatorio di Bolzano, nella classe del professor Marco Bronzi. Nel giugno 2009 è stato nominato Ambasciatore della Prima Ambasciata dei bambini del Mondo (in Bosnia ed Erzegovina).

La pena di morte nel 2014 secondo Amnesty International

Nel 2014 gli Stati hanno fatto ricorso alla pena di morte nel futile tentativo di contrastare criminalità, terrorismo e instabilità interna.
Si è registrato un profondo aumento delle condanne a morte, almeno 2466 (il 28 per cento in più rispetto al 2013), soprattutto a causa di Egitto e Nigeria.
Le esecuzioni registrate sono state 607, il 22 per cento in meno del 2013 (con l’esclusione della Cina, che da sola esegue più condanne a morte che il resto del mondo).
Esecuzioni hanno avuto luogo in 22 paesi, lo stesso numero del 2013.
Nel suo rapporto annuale sulla pena di morte nel mondo, Amnesty International ha riscontrato nel 2014 un allarmante aumento del numero dei paesi che hanno usato la pena di morte per contrastare reali o presunte minacce alla sicurezza collegate al terrorismo, alla criminalità o all’instabilità interna.
Il numero delle condanne a morte registrate nel 2014 supera di quasi 500 quello del 2013, soprattutto a causa di Egitto e Nigeria, che hanno emesso condanne di massa nel contesto del conflitto interno e dell’instabilità politica che hanno caratterizzato i due paesi.
“I governi che usano la pena di morte per contrastare la criminalità ingannano sé stessi. Non c’è prova che la minaccia di un’esecuzione costituisca un deterrente più efficace rispetto a qualsiasi altra sanzione” – ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International.
“Nel 2014 la lugubre tendenza dei governi a usare la pena di morte nel futile tentativo di contrastare minacce reali o immaginarie alla sicurezza dello stato e alla salute pubblica è stata evidente. È davvero vergognoso che così tanti stati del mondo giochino con la vita delle persone, eseguendo condanne a morte per ‘terrorismo’ o per venire a capo dell’instabilità interna, sulla base della falsa teoria della deterrenza” – ha aggiunto Shetty.
Nell’analisi sull’uso della pena di morte nel 2014, si trovano però anche buone notizie: il numero delle esecuzioni registrate è stato inferiore a quello del 2013 e diversi paesi hanno intrapreso passi avanti verso l’abolizione della pena capitale.
I principali esecutori di condanne a morte
Ancora una volta, la Cina ha messo a morte più persone che il resto del mondo complessivamente considerato. Amnesty International ritiene che in quel paese ogni anno siano emesse ed eseguite migliaia di condanne a morte, il cui numero è però impossibile da determinare a causa del segreto di stato.
Della lista dei cinque paesi principali esecutori di condanne a morte, fanno poi parte l’Iran (289 esecuzioni rese note dalle autorità e almeno 454 non riconosciute), l’Arabia Saudita (almeno 90 esecuzioni), l’Iraq (almeno 61) e gli Stati Uniti d’America (35).
Escludendo la Cina, nel 2014 sono state registrate almeno 607 esecuzioni. Rispetto alle 778 del 2013, il calo è risultato di oltre il 20 per cento.
Come nel 2013, le esecuzioni hanno avuto luogo in 22 paesi. Nel 1995, 20 anni fa, i paesi che avevano eseguito condanne a morte erano stati 41, a conferma della chiara tendenza globale abolizionista.
“I numeri parlano da soli: la pena di morte sta diventando un ricordo del passato. I pochi paesi che ancora la usano devono guardarsi seriamente allo specchio e chiedersi se vogliono continuare a violare il diritto alla vita oppure aggiungersi all’ampia maggioranza dei paesi che hanno abbandonato questa sanzione estrema, crudele e disumana” – ha commentato Shetty.
In nome della sicurezza dello stato
La preoccupante tendenza a combattere le minacce alla sicurezza interna ricorrendo alla pena di morte è stata visibile in ogni parte del mondo: Cina, Pakistan, Iran e Iraq hanno eseguito condanne a morte per reati di “terrorismo”.
Il Pakistan ha ripreso le esecuzioni dopo l’orribile attacco dei talebani contro una scuola di Peshawar. A dicembre sono state messe a morte sette persone e il governo ha annunciato centinaia di esecuzioni per reati di “terrorismo”. Nei primi mesi del 2015 è stato registrato un alto livello di esecuzioni.
In Cina, il governo ha usato la pena di morte come strumento punitivo nella campagna denominata “Colpire duro”, lanciata contro la rivolta della Regione autonoma uigura dello Xinjiang. Durante l’anno, sono state messe a morte almeno 21 persone per tre distinti attentati, mentre tre persone sono state condannate a morte in un processo pubblico di massa tenutosi in uno stadio, di fronte a migliaia di spettatori.
In altri paesi, come Arabia Saudita, Corea del Nord e Iran, i governi hanno continuato a usare la pena di morte come strumento per sopprimere il dissenso politico.
Altri paesi hanno fatto ricorso alla pena di morte nel futile tentativo di abbattere i livelli di criminalità. A dicembre la Giordania ha posto fine a una moratoria che durava da otto anni mettendo a morte 11 condannati per omicidio nel dichiarato intento di porre fine a un’ondata di criminalità. Il governo dell’Indonesia ha annunciato l’intenzione di procedere alle esecuzioni, soprattutto nei confronti di trafficanti di droga, per porre fine a una “emergenza nazionale” relativa alla salute pubblica: intenzione portata a termine nel 2015.
Un profondo aumento delle condanne a morte
Rispetto al 2013 il numero delle condanne a morte registrate nel 2014 è aumentato drasticamente: almeno 2466 rispetto a 1925. L’aumento di oltre un quarto delle condanne a morte è stato causato essenzialmente dagli sviluppi in Egitto e Nigeria, dove centinaia di persone sono state condannate alla pena capitale.
In Nigeria, nel 2014 sono state emesse 659 condanne a morte, con un aumento di oltre 500 rispetto alle 141 del 2013. In una serie di processi, i tribunali militari hanno condannato a morte una settantina di soldati per ammutinamento, nel contesto del confitto interno contro Boko haram.
In Egitto, le condanne a morte inflitte nel 2014 sono state almeno 509, 400 in più rispetto al 2013. In due processi di massa, celebrati attraverso procedure inique, sono state emesse 37 condanne a morte ad aprile e 183 a giugno.
Metodi e reati
Decapitazione, impiccagione, iniezione letale e fucilazione sono stati i metodi d’esecuzione impiegati nel 2014. Esecuzioni pubbliche hanno avuto luogo in Arabia Saudita e Iran.
Prigionieri sono stati messi a morte per tutta una serie di reati non di sangue, come quelli economici o quelli legati alla droga e le rapine, ma anche per atti che non dovrebbero essere neanche considerati reati, come “adulterio”, “blasfemia” e “stregoneria”. In molti paesi sono state usate vaghe definizioni di “reati” politici per mettere a morte reali o presunti dissidenti.
Panoramiche regionali
Americhe
Gli Stati Uniti d’America hanno continuato a essere l’unico paese della regione a eseguire condanne a morte, anche se il numero è diminuito: da 39 esecuzioni nel 2013 a 35 nel 2014, a conferma del recente declino della pena di morte a livello nazionale. Le esecuzioni hanno avuto luogo in sette stati (erano stati nove nel 2013) e quattro di questi (Texas, Missouri, Florida e Oklahoma) sono stati responsabili dell’89 per cento delle esecuzioni. A febbraio lo stato di Washington ha introdotto una moratoria.
Il numero complessivo delle condanne a morte nella regione è sceso da 95 nel 2013 a 77 nel 2014.

Asia e Pacifico
Nel 2014 vi sono stati sviluppi contrastanti in tema di pena capitale. Esecuzioni sono state registrate in nove paesi, uno in meno rispetto al 2013, ma il Pakistan ha annullato la moratoria sulle esecuzioni di prigionieri civili. In tutta la regione, se si escludono Cina e Corea del Nord i cui dati è impossibile confermare, sono state eseguite 32 condanne a morte. L’Indonesia ha annunciato per il 2015 la ripresa delle esecuzioni, soprattutto nei confronti di trafficanti di droga.
L’area del Pacifico ha proseguito a essere l’unica zona del mondo virtualmente libera dalla pena di morte, sebbene i governi di Papua Nuova Guinea e di Kiribati abbiano preso provvedimenti per, rispettivamente, riprendere le esecuzioni o introdurre la pena di morte.

Africa Subsahariana
In questa regione si è assistito nel 2014 a significativi progressi, con 46 esecuzioni registrate in tre paesi (Guinea Equatoriale, Somalia e Sudan) rispetto alle 64 esecuzioni registrate in cinque paesi nel 2013, una diminuzione del 28 per cento.
Il Madagascar ha fatto un passo avanti quando, il 10 dicembre, l’Assemblea nazionale ha approvato una legge per l’abolizione della pena di morte. Perché diventi legge dello stato, il testo dev’essere ora firmato dal presidente.

Europa e Asia Centrale
In Bielorussia, unico paese della regione a eseguire condanne a morte, almeno tre esecuzioni hanno posto fine a un periodo di assenza di esecuzioni durato 24 mesi. Le esecuzioni sono avvenute in segreto e familiari e avvocati sono stati informati solo dopo.

Medio Oriente e Africa del Nord
Il massiccio uso della pena di morte ha continuato a essere estremamente preoccupante. Iran, Iraq e Arabia Saudita sono stati responsabili del 90 per cento delle esecuzioni registrate nella regione e del 72 per cento delle esecuzioni a livello globale (Cina esclusa).
Esecuzioni sono state registrate in otto paesi, due in più rispetto al 2013. Condanne a morte sono state inflitte in 16 paesi, l’ampia maggioranza della regione.
Il numero complessivo delle esecuzioni registrate nella regione è calato da 638 nel 2013 a 491 nel 2014. Questo numero non comprende le centinaia di esecuzioni avvenute in Iran e che non sono state ufficialmente riconosciute. Nel 2014, le autorità iraniane hanno riconosciuto 289 esecuzioni ma fonti credibili ne hanno segnalate altre 454, portando il totale a 743.

Amnesty International Italia

ParmaDanza 2015

Due prime assolute, dieci compagnie, dodici titoli: dal 9 aprile al 9 maggio 2015 torna ParmaDanza, con un programma che coniuga tradizione classica e coreografie contemporanee, con protagonisti étoiles, coreografi e compagnie nazionali e internazionali.

Alessandra Ferri con Trio ConcertDance inaugura il festival giovedì 9 aprile in prima assoluta. L’amata étoile italiana ha concepito il suo nuovo spettacolo insieme al virtuoso argentino Herman Cornejo, Principal dancer dell’American Ballet Theatre. Con loro il pianista americano Bruce Levingston, tra i più avventurosi interpreti del repertorio contemporaneo, accompagnato dai Solisti dell’Opera Italiana. Suggerito dalle corrispondenze tra danza e musica, il programma presenta brani dei coreografi del momento: i maestri Russell Maliphant e Angelin Preljocaj e gli emergenti Demis Volpi e Fang-Yi Sheu.

La Fondazione Nazionale della Danza/Aterballetto torna al festival con due programmi. Sabato 11 aprile la compagnia presenta una serata a tre titoli. Philippe Kratz, elemento di spicco della compagnia, firma SENTieri, brano d’insieme intriso di ricordi di un’infanzia cosmopolita. Vertigo è una miniatura coreografica creata da Mauro Bigonzetti per una coppia di danzatori, in bilico tra seducente intimismo e potenza espressiva. Rain Dogs, del coreografo svedese Johan Inger, traduce in una danza dai toni dolcemente scanzonati i celebri songs di Tom Waits.

Martedì 28 Aprile la compagnia presenta il titolo a serata intera Don Q. (Don Quixote de la Mancha) di Eugenio Scigliano, giovane e già affermato coreografo italiano, che ha ideato un balletto dai toni vivacemente attuali e dall’estroso stile coreografico, scandito da musiche spagnole di ieri e di oggi, nutrito dello spirito idealista dell’hidalgo di Cervantes.

Con la sua compagnia Artemis Danza, Monica Casadei debutta al festival con due spettacoli che rivelano la sua passione per le eroine del melodramma, indagate con sguardo contemporaneo e sensibilità femminile. Mercoledì 15 Aprile, in prima assoluta, Tosca X, che inaugura una nuova trilogia pucciniana, pone al centro dell’azione il conflitto drammatico tra Scarpia e la cantante, simbolicamente contrapposti nella scrittura coreografica. In Traviata, giovedì 23 Aprile, Titolo centrale della personale trilogia verdiana di Monica Casadei, danza e opera duettano e nel conflitto tra società e individuo emerge il grido di dolore di un’odierna Violetta.

Vestale di un teatro di danza che lei stessa preferisce definire “poesia visiva”, Carolyn Carlson torna a ParmaDanza con Short Stories venerdì 17 e sabato 18 Aprile: un programma di assoli femminili, suadente e rarefatto come nel suo inconfondibile stile. In Immersion è la stessa Carlson, eterna “water lady”, a personificare il movimento acquatico nella sua infinita metamorfosi, al suono delle onde. In Wind Woman il senso effimero del vento, ora dolce ora violento, è incarnato dalla giovane danzatrice Céline Maufroid. In Mandala, la storica interprete Sara Orselli volteggia ondeggiando, dando corpo ai simboli dei misteri dell’universo.

Con la compagnia francese L’Eolienne il circo coreografico debutta al Teatro Regio martedì 21 aprile. Esempio dell’originale incontro tra gesto danzato e movimento acrobatico, Marie-Louise è il viaggio nella storia della pittura di danzatori classici e contemporanei, acrobati e giocolieri, che danno vita ai quadri di Hieronymus Bosch, Egon Schiele, Mirò, Edward Hopper, reinterpretati tra temi, segni e immagini contemporanee. “Un dipinto del mondo, abitato da gente bizzarra”, secondo l’autrice Florence Caillon.

Autore tra i più celebrati e internazionali della scena italiana, Virgilio Sieni debutta al festival giovedì 30 aprile con la sua creazione, Dolce Vita. Archeologia della Passione. Per gli otto interpreti della compagnia che porta il suo nome, il direttore della Biennale Danza di Venezia ha concepito un viaggio fisico e spirituale in cinque tappe e due direzioni: la storia di Cristo e il cammino dell’uomo, attraverso i modi e i riti del presente. Annuncio, Crocifissione, Deposizione, Sepoltura, Resurrezione: sono le stazioni del racconto evangelico che diventano quadri coreografici, attraversati dalla comunità dei danzatori in movimento come un unico corpo, sulla musica di Daniele Roccato eseguita dal vivo al contrabbasso.

Compagnia tra le più vivaci della scena italiana, il Balletto di Roma debutta a ParmaDanza con Il lago dei cigni, ovvero Il canto martedì 5 maggio. È l’ultima creazione di uno dei più originali coreografi italiani, Fabrizio Monteverde, che ispirandosi liberamente al classico del balletto su musica di Čajkovskij, ha voluto trovarvi eco dello struggente lirismo dello scrittore russo Anton Čechov, autore del dramma in atto unico Il canto del cigno. In palcoscenico per il coreografo è dunque un gruppo di anziani danzatori impegnati nelle prove del loro ultimo Lago dei cigni, che diventa inevitabilmente un percorso memoriale di arte e di vita.

La versione originale de Il lago dei cigni è in cartellone al festival venerdì 8, sabato 9 maggio nell’interpretazione del Balletto dell’Opera di Kiev. La compagnia ucraina presenta il classico dei classici su partitura di Pëtr Il’ič Čajkovskij nell’edizione più vicina all’originale imperiale, con le firme dei maîtres de ballet Marius Petipa per gli atti cortigiani e Lev Ivanov per gli atti bianchi e la revisione di inizio secolo di Aleksandr Gorskij.

Completa il cartellone di ParmaDanza 2015 il programma di incontri, classi aperte e masterclass de La danza dietro le quinte, con le compagnie e gli artisti protagonisti del Festival. Dal 7 aprile al 9 maggio 2015 occasioni preziose per il pubblico di appassionati e curiosi per scoprire e conoscere da vicino ensemble internazionali e ballerini al lavoro quotidiano nelle classi con l’accompagnamento della musica dal vivo e per gli allievi delle scuole di danza che potranno studiare con i maîtres di balletto classico e danza contemporanea. La partecipazione alle masterclass è gratuita e riservata agli allievi delle scuole di danza di livello avanzato, la prenotazione è obbligatoria. Per informazioni e prenotazioni tel. 0521 203903.

Il Teatro Regio di Parma è sostenuto da Comune di Parma, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo; è sostenuto anche da Camera di Commercio di Parma e Fondazione Monte di Parma. Major partner Fondazione Cariparma. ParmaDanza è realizzata in collaborazione con Ater.

Per informazioni: Biglietteria del Teatro Regio di Parma tel. 0521 203999.

Paolo Maier