Riscatto

Un argomento prettamente natalizio quello proposto dall’ultimo romanzo di Melo Freni. Intitolato “Riscatto”, il libro rimanda a idee di investigazioni di polizia, in realtà il riscatto in questione è quello dell’individuo che, dopo un lungo percorso alla ricerca di se stesso, si ritrova e tramuta la sua vita in un esempio di bontà da seguire. Il protagonista del romanzo, a tratti un po’ ampolloso ed eccessivamente paternalistico, ma dalla sicura impronta narrativa quando veleggia alla ricerca della descrizione di persone e paesaggi, diventando convincente soprattutto nella parte poetica scevra di volontà di insegnamento, si trova invischiato in losche vicende suo malgrado. E diventa un assassino. Gennaro Fleris, dopo un’esperienza lavorativa a Roma, con intrecci di raccomandazioni da parte di persone perbene per garantirgli un buon posto, torna al paese, si innamora e sposa la figlia di un medico molto stimato. Sempre tramite amicizie del suocero, finisce per lavorare in banca, scoprendo senza troppa convinzione che forse dietro tutto il benessere c’è qualcosa che non va, quando va in viaggio di nozze a New York. Là le famiglie italiane hanno profondi legami con la terra d’origine, la Sicilia di Gennaro, e fors’anche con il suocero. In tutta la vicenda non c’è altra presa di coscienza dei legami mafiosi se non, forse, l’affermazione del medico di essersi lasciato coinvolgere in giri poco puliti in nome del rispetto e della parola. Sta di fatto che Gennaro, senza rendersene conto, e qui il fatto che tutti sappiano tutto ma che siano passati come vittime innocenti è un po’ forzato, si trova con la moglie e il suocero morti ammazzati. Sapendo chi è l’autore del delitto lo affronta e, da bravo figlio di una terra dipinta come abituata a risolvere le questioni aperte così, gli spara. Condannato all’ergastolo, è un detenuto modello e finirà dopo oltre vent’anni di pena in un carcere per “buoni”, in un’isola. Lì può vivere senza troppi legacci, con un superiore che lo apprezza per la sua mitezza e per il tentativo di percorso all’insegna del pagamento del suo errore. Tra cappellani e letture, Gennaro finirà per chiedere ed ottenere la grazia e andare in missione a portare del bene a chi ne ha bisogno. Emergono figure a tutto tondo, come l’ex direttore del carcere che mantiene con il detenuto un rapporto civile e di amicizia anche una volta andato in pensione e che esprimerà veri sentimenti fraterni andando sulla tomba di Gennaro alla fine del racconto. Questo si sviluppa con molti spunti di bontà che fanno riflettere, soprattutto appunto se scorporati da una vena pedagogica che stona in alcune righe. I personaggi raffigurano episodi verosimili di cammino di vita, di incontro che può avvenire ovunque, anche dietro le sbarre di una cella sovraffollata, se le persone che animano la scena sono veramente tali. E allora i buoni propositi si mantengono vivi e tangibili anche dopo il Natale per il quale il volume è senz’altro regalabile. Da leggere.

Articolo di Alessia Biasiolo

Altro caso per il commissario Wallander

Questa volta il commissario di Ystad Kurt Wallander, divenuto famoso anche grazie ad una serie di telefilm, è arrivato molto vicino all’acquisto della casa che ha sempre desiderato. Ed è proprio uno dei suoi collaboratori a proporgli l’affare: la casa in questione è dello zio della moglie del poliziotto. Wallander la va a vedere ed ecco un nuovo caso: in giardino spunta una mano, scheletrica. Iniziano allora i pensieri del poliziotto che alterna il suo lavoro a quello di padre di Linda, poliziotta a sua volta, mentre non sembra poter avere pace, tra un colpo di scena e l’altro. L’andamento del romanzo non è spasmodico e il noir che si dipana sotto i nostri occhi è tranquillo, accessibile a tutti. Non fosse che per quel particolare macabro: che ci fa una mano scheletrica in un giardino? Appartiene a chi? E lo scheletro al quale manca dov’è? Perché? Quesiti che sono normali per i casi polizieschi, ma da Wallander tutti noi ci aspettiamo di più. Quel punto di umanità e di paciosità che fanno parte del volto apatico e un po’ sornione dei grandi del genere, da Maigret al mitico Colombo, mentre il clima svedese ci incuriosisce di certo più che se l’ambientazione dei romanzi di Henning Mankell fosse la solita America del Nord, oppure la Francia maestra del genere nero. Quindi Wallander si trova in un caso alquanto complicato: la perizia del medico legale data la morte del soggetto ora scheletrito a qualche decina di anni prima e andare sulle tracce del colpevole non è semplice. Dinanzi ad una frotta di poliziotti impegnati al lavoro dietro alle scrivanie, come vuole la tendenza dell’oggi, ecco che si rivela necessaria, e unica soluzione, un’indagine alla vecchia, con tanto di indizi da verificare in loco. I soldi per questo genere di inchieste non ci sono, ma una fortunata serie di eventi, non ultimo un secondo scheletro rinvenuto, farà sì che Wallander possa procedere con la ricerca della verità. Si dovrà tornare ai tempi della seconda guerra mondiale, a persone in fuga e a segreti che si pensavano sepolti per sempre, se la beffa del destino non avesse fatto sì che proprio una mano emergesse dalle nebbie della memoria e proprio davanti al commissario più famoso di Svezia. Vincerà la tenacia, un pizzico di astuzia e anche un po’ di fortuna e Wallander potrà chiudere il caso, rinunciando alla casa e al giardino, ma di certo non alla sua fama. Premio Raymond Chandler al Courmayeur Noir Festival 2013, “La mano” di Mankell si rivela ancora una volta come un romanzo riuscito, dall’intreccio semplice ed efficace ad appassionare gli affezionati lettori o per farsi conoscere da chi ancora non avesse letto nulla di un autore tradotto in quaranta lingue. Henning Mankell: “La mano, Marsilio, Venezia 2013, euro 12,00. Articolo di Alessia Biasiolo Altro caso per il commissario Wallander Questa volta il commissario di Ystad Kurt Wallander, divenuto famoso anche grazie ad una serie di telefilm, è arrivato molto vicino all’acquisto della casa che ha sempre desiderato. Ed è proprio uno dei suoi collaboratori a proporgli l’affare: la casa in questione è dello zio della moglie del poliziotto. Wallander la va a vedere ed ecco un nuovo caso: in giardino spunta una mano, scheletrica. Iniziano allora i pensieri del poliziotto che alterna il suo lavoro a quello di padre di Linda, poliziotta a sua volta, mentre non sembra poter avere pace, tra un colpo di scena e l’altro. L’andamento del romanzo non è spasmodico e il noir che si dipana sotto i nostri occhi è tranquillo, accessibile a tutti. Non fosse che per quel particolare macabro: che ci fa una mano scheletrica in un giardino? Appartiene a chi? E lo scheletro al quale manca dov’è? Perché? Quesiti che sono normali per i casi polizieschi, ma da Wallander tutti noi ci aspettiamo di più. Quel punto di umanità e di paciosità che fanno parte del volto apatico e un po’ sornione dei grandi del genere, da Maigret al mitico Colombo, mentre il clima svedese ci incuriosisce di certo più che se l’ambientazione dei romanzi di Henning Mankell fosse la solita America del Nord, oppure la Francia maestra del genere nero. Quindi Wallander si trova in un caso alquanto complicato: la perizia del medico legale data la morte del soggetto ora scheletrito a qualche decina di anni prima e andare sulle tracce del colpevole non è semplice. Dinanzi ad una frotta di poliziotti impegnati al lavoro dietro alle scrivanie, come vuole la tendenza dell’oggi, ecco che si rivela necessaria, e unica soluzione, un’indagine alla vecchia, con tanto di indizi da verificare in loco. I soldi per questo genere di inchieste non ci sono, ma una fortunata serie di eventi, non ultimo un secondo scheletro rinvenuto, farà sì che Wallander possa procedere con la ricerca della verità. Si dovrà tornare ai tempi della seconda guerra mondiale, a persone in fuga e a segreti che si pensavano sepolti per sempre, se la beffa del destino non avesse fatto sì che proprio una mano emergesse dalle nebbie della memoria e proprio davanti al commissario più famoso di Svezia. Vincerà la tenacia, un pizzico di astuzia e anche un po’ di fortuna e Wallander potrà chiudere il caso, rinunciando alla casa e al giardino, ma di certo non alla sua fama. Premio Raymond Chandler al Courmayeur Noir Festival 2013, “La mano” di Mankell si rivela ancora una volta come un romanzo riuscito, dall’intreccio semplice ed efficace ad appassionare gli affezionati lettori o per farsi conoscere da chi ancora non avesse letto nulla di un autore tradotto in quaranta lingue. Henning Mankell: “La mano, Marsilio, Venezia 2013, euro 12,00.

Articolo di Alessia Biasiolo

Volersi bene

Relazionarsi. Un aspetto della vita umana che sembra normale e scontato, nella società attuale carica di comunicazioni materiali e immateriali, ricca di mezzi di comunicazione semplici e spicci da utilizzare. Tuttavia, la comunicazione e la relazione con e tra le persone non sono proprio al stessa cosa.

Servono dei ripassi, come a scuola, proprio per la scuola sociale, sempre più lisa nella trama dei rapporti interpersonali. Parlare non vuol dire entrare in relazione e in contatto con gli altri o se stessi. Ecco allora un altro contributo semplice e immediato, un libretto illustrato da R. W. Alley e scritto da Kass Perry Dotterweich che sollecita il volersi bene nel rapporto di coppia. È proprio tra le mura domestiche, infatti, che si cerca rifugio, comprensione, sicurezza, ed è proprio in casa che si curano di meno le relazioni. Si danno per contati troppi aspetti del rapporto di coppia: l’altro mi capisce, l’altra mia scolta, mentre non è sempre così. Talvolta quasi mai. E l’affetto, l’amore, sono destinati a scomparire. In 29 capitoletti illustrati da folletti felici, ci si ricorda allora di essere romantici, non smettere mai di corteggiarsi; di chiedere ciò di cui si ha bisogno, non si può pensare che l’altro/l’altra ci legga nella mente; oppure si suggerisce di correre il rischio di essere offeso: “l’amore non può divenire profondo se non si rischia”.

E il rischio passa dal perdono, non sempre per torti gravi, anche per le piccolezze quotidiane; dal litigio, pur se senza urla e offese gravi, con la discrezione tipica del rispetto reciproco, malgrado la diversità di opinioni.

Insomma, un’esortazione a crescere, con pazienza e discrezione, soprattutto nel quotidiano e quotidianamente, perché partire dal presupposto che tutto sia dato è sbagliato e non permettere al compagno/a di seguirci, capirci, stare al passo della nostra vita, porta a enormi diversità di vedute, perdita della ricchezza di crescere insieme e incomprensioni poi difficili da risanare.

Tutto questo al di là e al di sopra delle proprie responsabilità, perché è alla coppia che il libretto si rivolge, alla capacità di stare insieme anche senza l’alibi o la necessità di essere responsabili per i figli.

Kass Perry Dotterweich: “Volersi bene”, Paoline, Milano, pagg. 64, euro 4,00.

Recensione di Alessia Biasiolo

“Come una rondine, come una quercia”, il nuovo libro di Giampaolo Rol

Particolarmente adatto ai tempi correnti, il nuovo lavoro dell’avvocato Giampaolo Rol nelle vesti di scrittore che gli calzano a pennello. Lontano dal legal thriller d’esordio “Il mercante di destini”, ma dall’inconfondibile stile che scava nel personaggio che crea e lo rende a tutto tondo al lettore, parte in causa di una storia nella quale viene inserito e non della quale è puro spettatore.

Stavolta, sempre nella New York così lontana e così familiare, troviamo uno scontro tra due anime che sono gemelle, anche se una ne è del tutto ignara. Da un lato un bellissimo, affascinante e stravagante violinista che ricorda da vicino Niccolò Paganini; dall’altro una bellissima procuratrice legale in carriera, figlia di perfetta famiglia che perfettamente l’ha fidanzata al miglior rampollo della piazza.

I due si incontrano al parco e, all’improvviso, la donna si rende conto che la sua vita non è più così semplice, lineare, scontata, ma che quel tale l’ha stregata, l’ha trascinata in un duello per il quale pensava di avere armi affilate, invece si è ritrovata spoglia di significati.

Vivian impara da quello strano individuo che aveva girato il mondo soltanto portandosi appresso il suo violino, che il suo orizzonte non era papà Jack e il tribunale, Martin da sposare e le amiche con cui spettegolare ogni tanto, ma era un’altra cosa e lei non lo conosceva affatto. Il mondo era a sua portata di mano, ma non voleva prenderlo: preferiva restare ingabbiata nel ruolo imposto da altri, nella storia già scritta di una donna che piano piano non riconosceva più. Le certezze svanite fino a lasciare la strada tracciata per restare alla deriva di se stessa, secondo i canoni sociali, ma libera di decidere di guardare crescere una quercia, invece che vivere in prigione.

La società bolla queste persone come strane, vittime della depressione più cupa e incapaci di uscirne, eppure Rol ci accompagna a rivedere noi stessi nel più profondo della nostra anima, per porci domande che forse nessuno ci avrebbe posto mai.

Saremmo capaci di vivere senza i nostri scudi? Saremmo capaci di resistere alla tormenta come una quercia e di scegliere dove vivere come una rondine, oppure diventeremmo matti all’idea di perdere quello che abbiamo? Ci preoccupiamo più di perdere quello che abbiamo che quello che siamo, ma i compromessi rischiano di ritorcesi a noi contro.

E adesso, che il mondo della finanza e delle banche non ci incanta più; che il sentiero tracciato è tracciato per poco tempo (mesi, anni) e non è più da posto fisso di lavoro e quindi in società, dobbiamo allenarci ad essere sempre più capaci di guardare al mondo e alla realtà con occhi liberi e non con gli occhi del sistema, che all’occorrenza ci fagocita e ci distrugge.

Il messaggio implicito di Rol è pregnante e incita a far presto. Tutti noi dobbiamo trovare o ritrovare noi stessi, oppure dobbiamo rassicurarci, leggendo “Come una rondine, come una quercia”, che è possibile creare la vita a nostra misura e non a tessera di un puzzle voluto da altri, perché soltanto così non solo non tradiremmo noi stessi, ma saremmo capaci di innovare il mondo del quale siamo protagonisti, non pedine.

Soltanto essendo sicuri di questo si può comprendere il vero valore di uno scrittore destinato a darci ancora molti spunti e molte soddisfazioni.

Da leggere.

Giampaolo Rol: “Come una rondine, come una quercia”, E-pubblica.com

Articolo di Alessia Biasiolo

 

Il mercante di destini

Il mercante di destini

Un’ottima opera prima quella proposta da Giampaolo Rol, di professione avvocato con la passione per la letteratura. Ne esce un legal thriller con tutte le carte in regola. Un uomo molto ricco senza eredi, un’eredità da spartire con i classici parenti avvoltoi, vecchie storie di famiglia sopite, ma non troppo, negli animi; verità non conosciute e falsità sbandierate, tocchi di noir al punto giusto, morti e malavita, pagine di lirismo. Una buona penna, che speriamo ci riservi soddisfazioni anche in futuro.
Andando con ordine, l’autore persegue il filo logico degli eventi, ma non mancano i flashback che chiariscono la trama al lettore quel tanto che basta per affascinarlo alla ricerca di una storia che mantiene sempre alto il suo tono poetico, malgrado la crudezza dei destini in gioco. Andrew, cacciato dalla famiglia che si ergeva a sacrosanto giudice, è un uomo che si è fatto da sé, quel self made man che gli americani amano molto e il nostro Rol dimostra di conoscere bene non soltanto il mondo forense, ma anche il clima transoceanico di cui il romanzo respira in modo organico e ben impostato. Non ci sono sbavature di sorta, dal cimitero dove il protagonista uscente andrà sepolto, alla caratterizzazione dei personaggi: l’amico notaio fidatissimo e intoccabile, l’addetto del cimitero, ovviamente nero e ovviamente più sveglio del previsto, la cognata malmenata dal marito che ritrova la sua dignità, i malavitosi dipinti nella giustezza del loro essere boss del mondo sommerso.
I colpi di scena sono intrinseci alla storia, non leggiamo clima da suspance gialla, ma manteniamo un tono uniforme, in cui gli accadimenti si dipanano con una ovvietà e semplicità assolutamente naturali, proprio come se si raccontasse una storia di quotidiana follia dietro centottantadue milioni di dollari. Un po’ la febbre da jackpot che abbiamo respirato tutti poco tempo fa, grazie ad un famoso gioco.
La farcitura non manca di pinze, dalla storia di sesso alla proposta di vendersi per soldi, ma come vuole il genere tutto sta nella misura della trama e il nostro thriller prosegue sui canoni giusti. Il morto ha pensato bene di lasciare i suoi soldi ai parenti ma non in modo che se li godano: l’eredità è stata monetizzata con parsimonia e precisione, tramutando tutti i beni immobili in soldi (certificati al portatore) esigibili da chiunque fosse in grado di trovarli.
I parenti del defunto, poco compianto ma odiato per la sua fortuna, si agitano in una sorta di palcoscenico spettrale che ricalca quello sul quale hanno costretto a vivere Andrew per tutta la vita. Cacciato dalla famiglia perché accusato di avere sperperato i soldi paterni in speculazioni poco fortunate, il povero fu costretto ad una vita miserrima con quel se stesso coperto da accuse infamanti e un sacco di botte. Sappiamo, però, che la fortuna aiuta gli audaci e il famigerato Andrew diventa, bontà sua, un falco di Wall Street, mago delle compravendite, ricchissimo temuto e invidiato. Capace di farsi una profonda cultura letteraria, umana e geografica, Andrew non dimenticherà mai di non avere la sua famiglia d’origine e nemmeno una propria, riconoscendo nell’amato cane Till il vero fedele compagno.
Così, morendo, riesce a dimostrare che nessuno lo conosceva per chi veramente era e il merito del romanzo è quello di sapere tratteggiare tra le righe proprio una caratura inedita e sognata. Chi sa leggere Aristotele e la Bibbia, l’animo della gente e le carte topografiche con la stessa destrezza e riesce a intrecciare una trama spaventosa nella quale, dopo morto, fare giocare come marionette proprio coloro che l’avevano condannato al suo inferno terreno.
Come tutti i grandi, Andrew era capace di metterci del suo, pur riconoscendo la piccolezza delle cose che danno il senso del grande essere, e così ecco che il lettore si trova ad aprire il sarcofago di una famiglia già morta, ben prima di scoprire la perfidia testamentaria del caro estinto.
I fratelli si rivelano mezzi mafiosi, o patiti del tavolo verde capaci solo di realizzarsi pestando la moglie docente di sociologia all’università, con figli che vivono di sponda una vita insulsa, senza cultura e senza finezza che non sia pensare di dovere ereditare un sacco di soldi.
E la fortuna è lì, dice Andrew, a portata di mano, basta sapersela prendere, come ha fatto lui. Eppure, per trovare tutti quei soldi, c’è chi si fa prestare denaro da uno strozzino per comperare una bara e fare a pezzi un cadavere, pensando si fosse portato il segreto nella tomba, lontana reminiscenza di usanze egizie. Oppure chi si mette a scavare un terreno e sotto una casa, chi si impicca e chi fugge, chi si inoltra nella foresta amazzonica e finisce ucciso dai petroleros e chi trova la pace e il destino in uno scampolo di oceano. C’è chi capisce cos’è il tesoro, infine e chi lo trova veramente, con una logicità che non toglie il fiato al lettore, ma gli regala l’estro fantastico di una storia che piace avere letto e un po’ vissuto. Come le favole, cariche di personaggi e di valori, anche quando fluttuano attorno all’ovvietà del vivere.
Un romanzo da leggere tutto d’un fiato, assaporandolo pagina per pagina, perché permette di evadere il mondo ritrovandolo e di conoscere un nuovo astro della scrittura che è tale, anche se si dovesse fermare all’opera prima.
Da leggere.

Giampaolo Rol: “Il mercante di destini”, Albatros Il Filo, Roma, 2009, pagg. 386; euro 16,00

Articolo di Alessia Biasiolo
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