Amaro d’amare, al “Piatto Verde” le erbe amare nella gastronomia tra tradizione e innovazione

Sono ben 29 le edizioni della rassegna gastronomica “Il Piatto Verde”, fra le più longeve d’Italia, che quest’anno sarà dedicata all’“Amaro d’amare: erbe, radici e fiori amari nella gastronomia fra tradizione e innovazione”. Dal 20 marzo al 30 aprile, più di venti appuntamenti fra Casola Valsenio (RA) Faenza (RA), Imola (BO) e soprattutto Riolo Terme (RA), dove l’evento ha avuto origine grazie all’intraprendenza dell’allora società di area, da diversi anni territorialmente allargata e divenuta IF – Imola Faenza Tourism Company, con la preziosa collaborazione dell’Istituto Alberghiero “Artusi”, la cui sede è proprio nella cittadina termale.

Fra i tanti eventi da non perdere: la cena “stellata” di Alessandro Gilmozzi del Ristorante El Molin di Cavalese (TN), stella Michelin e stella Verde per la gastronomia sostenibile e presidente dell’Associazione Ambasciatori del Gusto, proprio in apertura di rassegna il 20 marzo all’IPSSAR Artusi; Gilmozzi che il giorno successivo parteciperà a Faenza al convegno sul tema delle erbe amare in cucina, con la partecipazione di importanti relatori, tra i quali Massimo Montanari, professore emerito dell’Università di Bologna e fondatore del Master “Storia e cultura dell’alimentazione”, Beppe Sangiorgi, giornalista e profondo conoscitore di gastronomia e tradizioni locali, Sauro Biffi, direttore del Giardino delle Erbe “Rinaldi Ceroni” di Casola Valsenio. E ancora: le visite narrate alla Rocca di Riolo Terme per scoprire i segreti delle ricette con le erbe officinali di Caterina Sforza; le visite guidate, i laboratori e le iniziative del Giardino delle Erbe di Casola Valsenio; la masterclass a 4 mani a Faenza di Gilmozzi e Alessandro Giraldi del Ristorante Il Fenicottero Rosa e quelle a Imola e a Riolo di Gianpaolo Raschi del Ristorante Guido 1946 di Rimini, 1 stella Michelin; il Concorso internazionale riservato a dodici Istituti Alberghieri italiani e stranieri che si “sfideranno” con pietanze che avranno come protagoniste le erbe amare: tarassaco, carciofo, balsamita, pratolina, radicchiella, aspraggine, cicerbita, estragone, assenzio, abrotano, bardana, cicoria, coclearia, calendula, rucola, rafano o cren, lepidio o crescione terrestre, marrobio, crescione acquatico, rabarbaro, ortica, cardo mariano, erba stella, tanaceto, achillea, acetosa, acetosella, vitalba, luppolo.

Il comprensorio turistico di Imola-Faenza (www.imolafaenza.it) ha nelle eccellenze gastronomiche uno dei suoi punti di maggior valore. In questo spicchio di territorio, “a cavallo” fra Emilia e Romagna, ci sono tanti prodotti che “arrivano” dalla terra unici, come lo Scalogno di Romagna IGP, l’Olio di Brisighella DOP, il Carciofo Moretto, il Marrone di Castel del Rio IGP, l’Albicocca di Casalfiumanese, la Cipolla di Medicina, solo per citarne alcuni. Inoltre, a Casola Valsenio c’è l’importante Giardino delle Erbe “Augusto Rinaldi Ceroni” nel quale vengono coltivate a rotazione quasi 500 specie di piante officinali utilizzate in cucina, nella medicina e nella cosmesi fin dal basso Medioevo. In questo contesto, non poteva non radicarsi anche una forte tradizione legata alla cucina di qualità con le erbe, spontanee e coltivate. Tradizione e innovazione che trovano sintesi proprio nella rassegna gastronomica del Piatto Verde.

Il Piatto Verde gode del Patrocinio della Regione Emilia-Romagna, della Provincia di Ravenna, del Comune di Riolo Terme e del Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola e si avvale della sponsorizzazione di importanti aziende del settore: Bragard, Cast Alimenti, Consorzio di Tutela del Parmigiano Reggiano, Surgital, Natura Nuova, Molino Naldoni, Cantina Tre Monti, Polo Ristorazione, Villa Abbondanzi Resort, Villani Salumi e Oleificio Zucchi.

Pierluigi Papi (anche per le fotografie)

Mangiare come Dio comanda

Martedì 5 marzo alle ore 11, al teatro Bolognini di Pistoia, si terrà il secondo incontro sul tema della XV edizione dei Dialoghi di Pistoia con l’antropologa Elisabetta Moro. L’appuntamento, dal titolo Mangiare come Dio comanda sarà visibile anche in diretta streaming, sui canali Facebook e YouTube del festival.
Autrice di Mangiare come Dio comanda, saggio scritto a quattro mani con l’antropologo della contemporaneità Marino Niola (Einaudi, 2023), Elisabetta Moro, docente di Antropologia Culturale all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, ha come oggetto principale dei suoi studi il cibo e l’alimentazione.
Nella conferenza preparatoria alla prossima edizione del festival analizza il modo in cui in Occidente, negli ultimi anni, si è diffusa una vera e propria “religione del cibo” cercando di indagarne le ragioni. Se in passato, infatti, la religione costituiva il codice di tutti i comportamenti alimentari, oggi dilaga un culto della tavola che va ben al di là della semplice nutrizione. È un fenomeno di dimensioni epocali che vede da una parte la cibomania e dall’altra la cibofobia.

La cibomania consiste nella sovraesposizione del piacere, della conoscenza e dell’esperienza gastronomica: gli chef sono elevati al rango di sacerdoti di una liturgia della gola sempre più suntuaria ed esclusiva; la ricerca maniacale dell’eccellenza riflette forme di narcisismo e di egolatria tipiche della società della connessione permanente; schiere di addicted consumano compulsivamente foto, video, esperienze, guinness dei primati, fino ad arrivare a performance estreme come il Mukbang Watching (la condivisione/spettacolarizzazione sui social dell’ingordigia iperbolica). È il trionfo del food porn, una miscela inedita di pornografia alimentare e voyerismo.

All’opposto, la cibofobia è la negazione più totale del piacere della tavola: assume le forme del salutismo estremo, della santificazione dei presunti cibi salvavita e della scomunica dei presunti cibi killer. È una tendenza che sfocia nella demonizzazione di un cibo dopo l’altro, trasformando la nutrizione in un gancio a cui appendere il fascio delle proprie insicurezze e paure, fino a perdere un rapporto equilibrato e felice con l’alimentazione e con il nostro corpo.

Elisabetta Moro è Docente ordinaria di Antropologia Culturale presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, dove è anche co-direttrice del Museo Virtuale della Dieta Mediterranea e del MedEatResearch. È membro dell’Assemblea della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO, e presiede il Comitato Scientifico della Cattedra UNESCO in Intangible Cultural Heritage and Comparative Law dell’Università di Roma Unitelma Sapienza. Collabora con il Corriere della Sera, il Mattino, e con diversi programmi televisivi. Con Marino Niola ha scritto: Andare per i luoghi della dieta mediterranea (il Mulino, 2017); I segreti della dieta mediterranea (il Mulino, 2020); Baciarsi (Einaudi, 2021); Il presepe (il Mulino, 2022); Mangiare come Dio comanda (Einaudi, 2023). Ha curato l’antologia Sirene. Il mistero del canto (Marsilio, 2023).

Delos

Dock in Absolute a Visioninmusica a Terni

Dock In Absolute tornano a Visioninmusica con il live del loro nuovo album [Re]flekt, terzo lavoro discografico, registrato in soli tre giorni in uno studio della nostra penisola. Giovedì 7 marzo, la formazione lussemburghese composta da Jean-Philippe Koch al pianoforte, Victor Kraus alla batteria e David Kintziger al basso sarà all’Auditorium Gazzoli di Terni, alle ore 21, per regalare momenti di assoluta magia, con sonorità che possono essere paragonate ad un quadro impressionista: il disco mette infatti in luce in maniera specifica ogni colore, timbro strumentale, melodia e singola nota attraverso composizioni evocative e potenti volte a catturare e accendere l’emotività di chi guarda e ascolta.

I ritmi cangianti e imprevedibili che caratterizzano il trio lussemburghese, filtrati da melodici leitmotiv che si riflettono nel passaggio da una traccia all’altra guidano il percorso di un progetto che spicca per la progressione di andature lievi e decise al tocco del piano, ritmi e silenzi alla batteria e indimenticabili linee di basso. Un esempio di questo gioco in equilibro tra i suoni è rappresentato da Kintsugi, la traccia che chiude l’album e dà nuova vita ai frammenti emotivi dispersi dai brani precedenti, come nell’antica arte giapponese di restaurare con l’oro i frantumi delle tazze da tè: esattamente ciò che successe al panorama jazz internazionale con la comparsa del trio nel 2012. 

I Dock In Absolute sono la dimostrazione che il jazz ha una miriade di storie da raccontare. Il loro approccio fresco al genere gli permette di superarne i confini stilistici esplorando il potenziale di nuove dimensioni sonore e ampliando, di conseguenza, anche il pubblico di riferimento.

Nel corso del tempo, attraverso l’album omonimo nel 2017, Unlikely (2019) e [Re]flekt (2023), la formazione è riuscita a delineare un suo personalissimo stile e un suono caratteristico che può essere definito energico, incalzante, ricco di colpi di scena e cambi di tono, da selvaggio ad aggraziato, da semplice e sommesso ad arioso e barocco. Un’infinita varietà di cellule melodiche che si alternano su uno sfondo sonoro brillante e mai banale, caratterizzate da un’entropia costante che non lascia mai una variazione melodica a metà.

I biglietti del concerto sono acquistabili sul sito www.vivaticket.com. Sito ufficiale del gruppo: dockinabsolute.com

Elisabetta Castiglioni

8 marzo. Omaggio a Madame Elise Hall, prima mecenate del saxofono

Venerdì 8 marzo, in occasione della Giornata Internazionale della Donna e del centenario della scomparsa di Madame Elise Hall, la prima grande mecenate del saxofono, il Museo del Saxofono di Fiumicino presenta Women in Sax, un volume fotografico realizzato con il contributo del Ministero della Cultura e dedicato alle donne saxofoniste.

Un volume prestigioso che si configura come un’opera di rilievo nel campo della storia della musica, frutto del grande lavoro di acquisizione, studio e ricerca svolto sull’archivio fotografico del Museo da parte degli autori Attilio Berni ed Ermira Shurdha. Un volume fotografico ricco di schede tecniche e di approfondimenti legati alle metamorfosi del saxofono e intrecciati con le storie personali delle esecutrici che, dalla fine dell’Ottocento, hanno imbracciato lo strumento.

Un libro di analisi che si pregia della prefazione della saxofonista Ada Rovatti, destinato a emozionare tutti, dai musicisti professionisti ai semplici appassionati dello strumento, e a suscitare lo sviluppo di nuovi studi, oltre a un più vivo e significativo interesse per la cultura degli strumenti musicali a fiato. Il programma della serata prevede alle ore 18:00 l’apertura musicale con il Duo Mono, Mara di Cosimo (sax alto) e Susanna Pagano (pianoforte), che suoneranno Rhapsodie Mauresque di C. Debussy e Premier Concerto for Alto Saxophone di P. Gilson, brani entrambi dedicati a Madame Elise Hall. Alle ore 18:30 ci sarà la presentazione del volume, con la partecipazione degli autori, Attilio Berni ed Ermira Shurdha, con Andrea Polinelli, musicista nonché moderatore della presentazione.

Alle ore 20:30, come di consuetudine, è in programma un apericena facoltativa al costo di €15,00 e, a conclusione della manifestazione alle ore 21:30, confermando la filosofia divulgativa in stile edutainment perseguita dal museo allo scopo di coinvolgere emotivamente il pubblico, è previsto il concerto Donne tra le Note con Claudia Di Pietro (saxofoni) e Lucia Bonfiglio (pianoforte). Il duo proporrà un repertorio che spazierà da brani classici al jazz, dalla musica pop a quella sudamericana, da Ennio Morricone ad Astor Piazzolla e vedrà, come ospite d’onore, la giovane cantante Giulia Ragusa.

WOMEN IN SAX: Un volume dedicato al lato femminile del saxofono.

Fino alla metà dell’800, le donne che si avvicinavano alla musica solitamente studiavano il pianoforte, l’arpa, la chitarra e soprattutto il canto. Il loro coinvolgimento con la musica, seppur secolare, quasi mai approdava a un livello professionale e, solo nella seconda metà del XIX secolo, il loro approccio cominciò lentamente a cambiare. Nei primi anni del ‘900 il pianoforte era ancora lo strumento considerato più “appropriato”, sia per le donne bianche che per quelle di colore, e solo alcune trombettiste, tromboniste e clarinettiste iniziarono a trovare lavoro in gruppi musicali familiari, nei circuiti dei vaudeville o dei Chautauqua, dei circhi e degli spettacoli in tenda. Poi arrivarono il saxofono, Madame Elise Hall e le prime incisioni di Miss Bessie Meeklens e tutto cominciò a prendere un’altra strada…

La pubblicazione di questo ricco catalogo di fotografie non vuole rappresentare una ricostruzione storico-cronologica delle figure femminili di maggior spicco che hanno imbracciato il saxofono per lottando per l’affermazione del ruolo della donna nella società. Women in Sax vuole essere una testimonianza di quel patrimonio culturale e storico costituito dall’archivio fotografico custodito dal museo e permettere una lettura diversa, più diretta ed emotiva, di quello che è stata l’identità della donna saxofonista, coinvolgendo i lettori e portandolo oltre la semplice conoscenza dei fatti. Un omaggio al “femminile sconosciuto” del saxofono, non solo jazzistico, un lungo lavoro di studio e ricerca che ha portato a ricostruire le storie delle protagoniste di un’epoca; storie riassunte in aneddoti e curiosità, di cui si sono volute tracciare anche le vicende umane.

Il “sax femminile” ha popolato il mondo artistico americano ed europeo ma non sempre è riuscito a segnare la storia con trionfi, e spesso se ne è persa la memoria. Una ragione in più per fissare sulle pagine di un libro il valore di queste protagoniste – considerate figure di secondo piano – il loro intuito, l’abilità di inserirsi in un contesto difficile, soprattutto per il predominio maschile che ha sempre prevalso la scena artistica.

ore 18.00 Apertura musicale, DUO MONO, Mara di Cosimo – sax alto, Susanna Pagano – pianoforte

Ore 18:30 Presentazione del volume WOMEN IN SAX con gli autori Attilio Berni ed Ermira Shurdha. Modera Andrea Polinelli

Ingresso libero

Ore 20:30 Apericena, ingresso: € 15,00

Ore 21:30 Concerto DONNE TRA LE NOTE, Claudia Di Pietro – saxofoni, Lucia Bonfiglio – pianoforte, Special guest: Giulia Ragusa – voce, ingresso: € 17,00. Biglietti in vendita al Museo o sul sito Liveticket.it

Museo del Saxofono, via dei Molini snc (angolo via Reggiani), 00054 – Maccarese, Fiumicino (RM)

Elisabetta Castiglioni

Sara Montani. Vestali

Vestali, la nuova mostra di Sara Montani in programma dall’8 al 13 marzo alla Sala Esposizioni Spazio Cultura del Comune di San Giuliano Milanese (Piazza della Vittoria) e curata da Mattia Bertolotti e Vincenza Spatola, rappresenta un’incursione profonda nel tessuto socio-culturale che definisce e, talvolta, circoscrive il ruolo della donna nella società.

Inserita tra le iniziative proposte dal Comune per la Giornata internazionale della donna 2024 dal Comune di San Giuliano, realizzata con il patrocinio del Museo della Permanente di Milano, la mostra è stata allestita con il contributo degli studenti del Liceo Primo Levi di San Giuliano Milanese, impegnati in un Percorso per le competenze trasversali e per l’orientamento (PCTO): un progetto che ha permesso di tessere un dialogo costruttivo tra docenti, alunni e professionisti del settore, in una cornice educativa di rilievo che ha travalicato i confini della semplice esposizione artistica, per abbracciare un’esperienza formativa complessiva.

Nell’antica Roma la figura della vestale simboleggiava dedizione, purezza e un ruolo centrale nel mantenimento del culto della Dea Vesta.

Eredi di questa eredità simbolica, le opere di Sara Montani esplorano il concetto di femminilità attraverso l’uso metaforico dell’abito come espressione di identità, memoria e trasformazione. L’abito diventa, quindi, veicolo di storie personali e collettive, un mezzo attraverso cui l’artista indaga la condizione femminile, interrogandosi sui ruoli tradizionalmente assegnati alla donna dalla società, “strumento ideale – come sottolinea l’artista- per dare forma e corpo all’invisibile, per trasferire in un’opera d’arte una traccia, un’impronta, una memoria della vita di chi li ha indossati, spesso con quel senso di vulnerabilità dato dalla fragilità dei tessuti”.

L’esposizione, che presenta 16 opere disposte su tre sale (la prima per le sculture in tessuto e resina, la seconda per le stampe e la terza per le installazioni tridimensionali), si distingue per la sua varietà tecnica e materica, dalla calcografia alla collografia, dalla cianotipia ai tessuti trattati con resina, fino all’utilizzo del plexiglas. Questa diversificazione di metodi e materiali non è casuale ma riflette la molteplicità delle esperienze femminili, così come la complessità del dialogo tra passato e presente che l’artista intende instaurare. L’“abito/vissuto”, trasformato attraverso processi come la cianotipia o la calcografia, diviene un testimone unico e plurimo della vita delle donne, raccontando storie di vulnerabilità, forza, cambiamento e persistenza.

Ogni opera, con la sua specificità tecnica, narra una diversa faccia dell’essere donna, offrendo allo spettatore una gamma di interpretazioni e connessioni emotive. Questa pluralità di voci e immagini si fonde in un coro armonico che parla di resistenza, adattamento e, soprattutto, di rinascita.

In Vestali l’arte di Sara Montani si configura come un invito a riconsiderare il ruolo della donna nella società, spingendo oltre i confini di una riflessione puramente estetica per interrogare le dinamiche di potere, le aspettative e le possibilità di trasformazione.

L’intensa collaborazione con gli studenti del Liceo Primo Levi aggiunge un ulteriore significato alla mostra, sottolineando il valore dell’educazione artistica come strumento di sensibilizzazione e cambiamento: un punto cruciale del percorso creativo di Sara Montani che da sempre, senza mai scindere il molteplice ruolo di artista, curatrice ed educatrice di diversi progetti didattici ed espositivi, si rivolge alle nuove generazioni, per aiutarle a crescere, sia come individui sia come membri di una collettività.

Vestali si rivela dunque un’esperienza artistica di grande impatto, capace di stimolare un dialogo critico sulle tematiche di genere, sul valore della memoria e sulla potenza trasformativa dell’arte, dove Sara Montani, attraverso il suo lavoro, ci invita a riflettere sulla condizione femminile con occhi nuovi, svelando le sfumature complesse che caratterizzano l’esperienza di essere donna ieri, oggi e domani.

Orari di apertura al pubblico: 9-12-13 marzo: 14.30-17.30; sabato 9 marzo: visite guidate a cura degli studenti del liceo ore 15 e ore 16.30

De Angelis

“I Romani nel Delta del Po”: la storia archeologica di Voghenza

Avrà per tema “Voghenza e il Polesine di San Giorgio: tra erudizione, curiosità e sotterfugi” la conferenza di Alberto Andreoli, per il ciclo “Archeologia in Biblioteca” (decima edizione) su “I romani nel Delta del Po”, in programma martedì 27 febbraio 2024 alle 17 nella sala Agnelli della biblioteca comunale Ariostea (via Scienze 17 Ferrara).
L’incontro, organizzato in collaborazione con la Società Dante Alighieri – Comitato di Ferrara APS, potrà essere seguito anche in diretta video sul canale youtube Archibiblio web.

La zona rivierasca del basso Po, interessata in età classica dalle esperienze urbane di Adria e Spina, dopo un certo ma insufficientemente documentato periodo gallico, tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C. entrò a far parte del dominio di Roma. Il processo di “romanizzazione” seguito alla conquista fu condizionato dall’instabilità del quadro ambientale. Nel territorio corrispondente all’attuale pianura ferrarese si attestò un popolamento sparso, costituito da realtà insediative di ridotte dimensioni (villae, vici, pagi), ancorate sulle emergenze naturali più stabili (dossi, gronde fluviali, cordoni dunosi litoranei).
Probabilmente il principale centro vicano dell’areale è stato individuato a una quindicina di chilometri a sud-est di Ferrara, presso Voghenza, frazione nel Comune di Voghiera. In tale località, ignorata dalle fonti antiche, agli sporadici e casuali rinvenimenti del passato, che sollecitarono l’interesse antiquario non solo locale, sono succedute a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso programmate e accurate esplorazioni archeologiche. Puntuali studi interdisciplinari hanno reso possibile la ricostruzione del quadro ambientale antico e comprensibile il carattere dell’insediamento, posto sulle rive del paleoalveo di un’antica divagazione padana, frequentato almeno dal IV-III secolo a.C. La ricca documentazione epigrafica disponibile ha consentito di valutare la composizione sociale, lo status economico e le ascendenze culturali della popolazione. A quello che forse è stato “l’unico centro amministrativo divenuto autonomo nella tarda età imperiale tra i rami dell’antico Po” (N. Alfieri) e in cui si sono riconosciute le “radici cristiane di Ferrara” è dedicato il ciclo di tre incontri mensili (16 gennaio, 27 febbraio, 25 marzo) della decima edizione di Archeologia in Biblioteca.

Il primo appuntamento ha avuto la funzione di fornire un primo orientamento e richiamare l’attenzione sulla documentazione e le fonti note sull’argomento, fino al XVII secolo. Questo secondo incontro si propone di delineare la “storia archeologica” di Voghenza e del suo territorio quale è andata delineandosi tra Sette e Ottocento, a seguito dei numerosi rinvenimenti archeologici allora avvenuti nel Polesine di San Giorgio.

Alessandro Zangara

DIVA. Una sinfonia per Weimar

A margine del Laboratorio teatrale Una risata allunga la vita?, il Goethe Institut di Roma ospiterà in anteprima, giovedì 29 febbraio alle ore 21:00, lo spettacolo DIVA Una Sinfonia per Weimar uno spettacolo di Bruno Maccallini su drammaturgia di Antonella Ottai, secondo appuntamento del ciclo Kabarett Weimar che verrà poi riproposto in forma integrale il 23, 24 e 25 aprile al Teatro Vascello. La trilogia infatti comprende anche gli spettacoli Stasera ho deciso di venirmi a trovare per fare due chiacchiere con me stesso e Grotesk! Ridere rende liberi.

DIVA Una Sinfonia per Weimar rende un contenuto omaggio alla complessità della Repubblica di Weimar, ricordandone alcuni dei punti salienti e dei personaggi più significativi. Nata esattamente cento anni fa e spentasi quindici anni dopo, questa realtà fu dotata di una costituzione avanzatissima in tema di democrazia e diritti sociali e conobbe una esistenza politica molto accidentata, spesa fra la tempesta delle origini e l’abisso in cui si trovò a sprofondare. La sua breve storia è una parabola da più parti ancora evocata per ammonire su come, nelle luci di una comunità socialmente avanzata, siano sempre in agguato le ombre della barbarie. Ma se questo è oggetto di una discussione ancora attuale, rimane fuor di ogni dubbio che, dal punto di vista culturale, l’epoca di Weimar sia stata fra le più brillanti mai conosciute e che il suo campo sperimentale abbia investito ogni settore dello scibile umano, dalle arti tutte alle scienze al costume politico e sociale.

Lo spettacolo si affida ad un personaggio immaginario, nel quale prende consistenza una figura determinante, DIVA, la Nuova Donna. In lei confluiscono le diverse performance di cantanti, attrici, poetesse e personalità varie che in tutti i campi stavano rivoluzionando l’immagine del femminile: si tratti di figure liriche come Else Laske-Schüler, interpreti come Claire Waldoff, attrici come Marlene Dietrich, danzatrici come Anita Berber e Valeska Gert, DIVA le riassume tutte.

La cornice scenica elettiva di queste disparate protagoniste – ma anche di altri celebri esponenti dello spirito di Weimar, drammaturghi, giornalisti, cabarettisti non meno che maghi – è uno dei caffè più celebri e celebrati della Berlino degli anni Venti, il Romanisches Café, che storicamente rappresentò un luogo di ritrovo intellettuale di carattere internazionale. Il suo capocameriere, Karl – confidente e amico personale di molti dei protagonisti del nostro racconto – accompagna e sostiene con i suoi racconti DIVA e, allo stesso tempo, offre al pubblico un “dietro le quinte” di quanto ogni giorno animava il palcoscenico della capitale.

Se DIVA è interpretata da Chiara Bonome, corpo performativo dello spettacolo, il personaggio Karl è incarnato da Bruno Maccallini, un maestro di cerimonie Mutatis mutandis, che ricorda una sorta di Ridolfo della goldoniana Bottega del caffè. Due personaggi che si assimilano ai molteplici reduci dal disastro comune della grande guerra, ai profughi dalle rivoluzioni che avevano dato lo scossone finale agli imperi, ai rifugiati politici, viaggiatori curiosi del nuovo o inviati speciali, e che vivono appieno Berlino quale luogo di passaggi e incontri fra i più significativi del Novecento. A interpretare musicalmente questo particolarissimo mood è Pino Cangialosi, autore di composizioni originali ed elaborazioni di brani d’epoca che spaziano dal popolare all’avanguardia, creando relazioni stimolanti con le parole della poesia come del divertissement.

Attraverso una selezione di autori – da Brecht a Klabund, da Laske-Schueler a Tucholsky, da Hollaender a Weill, da Eisner a Gruenbaum – e di opere – poesie, song, brani orchestrali e brani satirici di cabaret – lo spettacolo attraversa alcune delle tematiche centrali in quegli anni, il rifiuto del militarismo e delle guerra, l’immagine del femminile e la rivoluzione dei comportamenti sessuali, le sperimentazione artistiche d’avanguardia, la minaccia della disoccupazione, il razzismo crescente e la ricerca di un capro espiatorio che pagasse le colpe di una situazione economica che, dopo il ’29, era diventata insostenibile.

I biglietti sono prenotabili alla mail info@kabarettweimar.com  o telefonando al numero +39 348 1867075. Potranno poi essere acquistati e ritirati direttamente la sera dello spettacolo, a partire da un’ora prima.

Elisabetta Castiglioni

Sticky Bones al Museo del Saxofono

Un concerto a ritroso nel tempo in grado di restituire una dimensione musicale “low-fi” che riporta l’orecchio dell’ascoltatore alle origini, spesso ignorate e sconosciute, di alcuni ritmi e brani di antichi repertori. È questo il modello a cui si ispira il sound degli Sticky Bones, protagonisti il prossimo 2 marzo, alle ore 21:00, di un peculiare concerto al Museo del Saxofono di Fiumicino.

Race Music, Classic Blues, American Roots, Hokum Songs, Barrelhouse, Stomps, Stride, Boogie Woogie, Vaudeville, sono gli stili ai quali il gruppo intende conformarsi, perseguendo quelle sonorità ruvide che si ascoltavano a tarda notte fuori dalle Barrelhouse, nei bordelli, nei Juke Joint o negli spettacoli di Vaudeville durante gli anni Venti e Trenta. Una perfetta fotografia, rigorosamente in bianco e nero, di quanto si poteva vedere e sentire in quell’America di inizio secolo, scossa dal terremoto provocato da quello che negli anni a venire sarebbe stato chiamato “Jazz” e dove l’influenza anche delle tradizioni musicali degli emigrati italiani fu fondamentale per caratterizzare questo genere musicale. Ad incidere il primo brano “jass” (come veniva scritto a inizio secolo) fu proprio un figlio di emigrati italiani siciliani, Nick La Rocca, che con la sua Original Dixieland Jass Band incise, nel 1917, il primo disco della storia del jazz con i brani “Dixieland Jass Band One-Step” e “Livery Stable Blues”: da lì in poi la musica in America non fu più la stessa…

Del gruppo fanno parte Mama Ines alla voce, Emiliano Federici al pianoforte, Sergio Piccarozzi a chitarra e banjo,  Maurizio Capuano al contrabbasso e tuba, Francesco Marsigliese alla cornetta e Filippo Marino al clarinetto.

Il concerto, come d’abitudine, sarà anticipato da una gustosa apericena durante la quale si potrà anche visitare la straordinaria collezione di saxofoni esposti al Museo.

I biglietti sono in vendita in loco e in prevendita al sito Liveticket.it

Dal 2015 gli Sticky Bones fanno parte delle formazioni musicali “vintage” che si esibiscono  durante i raduni o le manifestazioni organizzate dalle varie comunità di ballerini swing o lindy hop di Roma.

Nel 2016 e nel 2023 la formazione è stata chiamata ad esibirsi su uno dei palchi più importanti a livello internazionale, Umbria Jazz, dove sono stati notati da Renzo Arbore il quale ha poi collaborato con la band per la registrazione di due brani del loro secondo album dedicato a Bessie Smith. Successivamente, sempre con Renzo Arbore, si sono esibiti nell’edizione del festival dedicata ai terremotati di Amatrice, nel Teatro Lyrick di Assisi.

Gli Sticky Bones sono stati anche gli organizzatori della manifestazione “New Orleans arriva ai Fori”, kermesse che si è svolta in via dei Fori Imperiali a Roma e che ha visto la partecipazione in strada di 200 ballerini venuti da tutta la regione.

Gli Sticky Bones hanno partecipato anche a due edizioni del prestigioso Festival Traditional di Ascona, in Svizzera, nel 2019 e nel 2022.

Sito ufficiale: http://stickybones.weebly.com

Elisabetta Castiglioni (anche per la fotografia)

Giuseppe Albanese riapre i concerti di Roma Sinfonietta

Il pianista Giuseppe Albanese eseguirà “Al chiaro di Luna” e “Appassionata”, due tra i capolavori più noti amati di Beethoven, e poi il Novecento storico di Schoenberg e Busoni, oggi, mercoledì 21 febbraio, alle 18.00 nel primo concerto per il 2024 della stagione di Roma Sinfonietta all’Auditorium “Ennio Morricone” dell’Università di Roma “Tor Vergata” (Macroarea di Lettere e Filosofia, via Columbia 1.

Giuseppe Albanese è uno dei pianisti della generazione dei quarantenni più apprezzati in campo nazionale e internazionale. Ha pubblicato vari cd con Deutsche Grammophon, ha inciso la musica per pianoforte e orchestra di Liszt per Universal e ha partecipato all’integrale della musica di Bartók per Decca. Ha suonato per le più importanti istituzioni musicali italiane e ha anche un’intensa attività internazionale (il giorno dopo il concerto di Roma eseguirà un programma quasi identico a Copenaghen), che l’ha portato nelle più prestigiose sale da concerto di New York, Berlino, Parigi, Londra, Varsavia, San Pietroburgo, Città del Messico, Buenos Aires e ancora in Corea, Thailandia, Austria, Portogallo, Spagna, Svizzera, ecc. Ai suoi esordi ha vinto premi in prestigiosi concorsi come il Vendôme di Parigi e il Busoni di Bolzano e ora viene a sua volta invitato come membro della giuria di concorsi internazionali. È anche laureato in Filosofia col massimo dei voti e la lode con una tesi sull’Estetica di Liszt.

Albanese dedicherà la prima parte di questo suo concerto a due dei massimi capolavori della musica pianistica di ogni tempo, ovvero due famosissime Sonate per pianoforte di Ludwig van Beethoven note con titoli inventati in epoca romantica, che forse Beethoven stesso non avrebbe approvato ma che tuttavia ben esprimono la loro temperie espressiva. Così la Sonata n. 14 in do diesis minore op. 27 n. 2,definita dal compositore stesso “Quasi una fantasia”, è oggi nota col titolo “Al chiaro di luna”, che deriva dal motivo iniziale, placidamente ondeggiante come le acque di un lago alla luce della luna. La Sonata n. 23 in fa minore op. 57 – che Beethoven stesso considerava la migliore delle sue Sonate – è stata definita “Appassionata”, inventando un inesistente collegamento tra questa musica e il tormentato amore di Beethoven per la misteriosa “immortale amata”.

Nella seconda parte sono in programma i Sechs kleine Klavierstucke op. 19 (Sei piccoli pezzi per pianoforte) scritti da Arnold Schoenberg nel periodo della sua totale libertà da ogni teoria, sistema o metodo, che si trattasse della tonalità tradizionale o della dodecafonia da lui stesso ideata alcuni anni dopo. I primi cinque di questi sei pezzi furono composti in un solo giorno, il 19 febbraio 1911, mentre il sesto fu aggiunto il 17 giugno (si ritiene che sia un omaggio a Mahler, scomparso poco prima). Durano in media un minuto l’uno: qui è eliminato tutto ciò che è superfluo e viene raggiunta la più assoluta concentrazione.

Si passa quindi a Ferruccio Busoni, uno dei più grandi virtuosi del pianoforte e uno dei più rappresentativi compositori degli anni a cavallo del 1900, la cui musica è una sintesi delle tradizioni italiana e tedesca. Ma i suoi interessi erano vastissimi: nel1915 s’interessò alla musica dei nativi americani e compose i quattro brani del Diario indiano, in cui rielaborò canti degli Cheyenne, dei Pueblo e di altri popoli indoamericani. Il concerto si conclude con due delle Elegie op. 7 del 1908, un’opera centrale nella produzione di Busoni, che disse: “Ho assunto finalmente il mio volto assolutamente personale soltanto con le Elegie”. Albanese eseguirà la n. 2, intitolata “All’Italia, in modo napolitano“ e la virtuosistica n. 4, che riprende un episodio delle musiche si scena da lui composte per Turandot, la “fiaba teatrale cinese” di Carlo Gozzi.

Biglietti: € 12,00 intero; € 8,00 ridotti personale universitario e over 65; € 5,00 studenti

Mauro Mariani (anche per la fotografia di Giuseppe Albanese di Francesco Bondi)

Kobe, il mito sportivo che ha fatto sognare il mondo

A quattro anni di distanza dalla scomparsa, torna in libreria, in una edizione aggiornata, il saggio che ripercorre la biografia personale e professionale di una delle leggende internazionali più amate del basket: Kobe Bryant.

KOBE Il mito sportivo che ha fatto sognare il mondo, scritto da Matteo Recanatesi e Marco Terrenato e pubblicato da L’Airone editrice, per questa nuova versione si avvale della prefazione di Gioacchino Fusacchia, il coach che l’ha visto muovere i primi passi in Italia dietro papà Joseph, cestista anche lui, e poi crescere e diventare la star intramontabile dell’NBA.

Una carriera che prese il via proprio nella nostra Penisola – tra Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia – e proseguì in Francia prima di esplodere negli Stati Uniti con l’NBA. In tutta la sua lunga attività, Kobe non è mai stato un giocatore facile da allenare  dimostrando, fin dalla prima adolescenza, di essere deciso a diventare il più forte di tutti i tempi.

I due autori, ripercorrendone l’esistenza – tra pubblico e privato – dalla nascita alla tragica e prematura morte, si addentrano passo per passo nella “Mamba Mentality” ripercorrendo, tramite le testimonianze raccolte, una professione strabiliante cominciata come giovanissimo prodigio della pallacanestro che incantava gli spettatori con i suoi palleggi negli intervalli dei match disputati dal padre e culminata nella gara d’addio da One Man Show con 50 tiri dal campo e 60 punti segnati.

Il volume è corredato da un inserto fotografico di sedici pagine a colori.

Elisabetta Castiglioni