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“Io e te dobbiamo parlare” è un film da vedere. Divertente, leggero, adatto a prendersi una boccata d’ossigeno nel caos quotidiano, vede una coppia comica azzeccata, in cui il noto Leonardo Pieraccioni è perfettamente nel ruolo dell’attore: spontaneo, realistico, quasi perfetto. Accanto a regista e attore Alessandro Siani altrettanto nel ruolo, con una capacità recitativa convincente, pur nell’impossibilità di scene da effetti speciali, per due poliziotti imbranati. Pieraccioni e Siani, infatti, impersonano due agenti di Polizia che il loro capo non sa più dove mettere: dovunque siano assegnati, generano problemi e non tanto perché ne siano loro la vera causa, quanto perché, anche quando intorno a loro sparano e si ammazzano, i due nemmeno se ne accorgono. Un po’ il verso a quella Polizia che sembra sempre non esistere quando se ne avverte il bisogno, insomma. A fronte del solito duo spettacolare di agenti, sempre in ordine, lucidi, lindi e pinti che risolvono sempre i casi, sia loro che degli altri. Siani (che impersona Antonio) e Pieraccioni (nei panni di Pieraldo) sono insomma i due Paperino che tanto piacciano alla gente, perché è facile identificarsi in loro e, anche se sono diventati famosi per avere arrestato un boss pluri-ricercato, l’hanno fatto per puro sbaglio. E non siamo un po’ tutti noi quelli a cui, se proprio va bene qualcosa, ci sembra quasi impossibile? Bene. La coppia nel lavoro è un’anticoppia, perché Antonio aveva lasciato la moglie Matilde (Brenda Lodigiani) che adesso è la compagna di Pieraldo, divenuto così il terzo genitore della figlia del collega. Pieraldo non nasconde l’amicizia, che forse vorrebbe tramutare in qualcosa di più, con la collega della stradale Sara (Francesca Chillemi) che si rivelerà degna di arresto, rompendo l’idillio prima che si potesse realizzare. Ma non nasconde nemmeno che avrebbe voluto restare dietro alla sua scrivania di esperto informatico, con la sua amata stufetta a rendergli la vita comoda e tiepida, lontano dall’azione che invece è fondamentale per Antonio, anche se la vive non da poliziotto nostrano, ma all’americana, come se fosse Tom Cruise in uno dei suoi famosi film d’azione. Antonio è il classico figlio degenere di un truffatore, Peppe Lanzetta, che gli ha insegnato a fare “il mariuolo” ed è convinto che il figlio abbia sbagliato mestiere; ma è anche amico di un rapinatore smemorato, tale Fittipaldi (Giovanni Esposito), che diventa una vera iconica macchietta.
Le scene sono ben congegnate e spassose, sia che si tratti di inseguimenti impossibili in tram e motorino, sia che si tratti di dover sparare al poligono senza sapere bene come si impugna una pistola, rendendo i due poliziotti davvero simpatici perché talmente inadatti al loro ruolo che lo spettatore si mette quasi nei panni del loro aiutante. Facile del resto tifare per questa nuova coppia comica davvero indovinata, convincente e capace di fare ridere senza scadere nel banale o nel volgare.
Figlio d’arte, possiamo dire di Giacomo Puccini, essendo rampollo di una famiglia da quattro generazioni maestri di cappella del Duomo di Lucca, dove Giacomo è nato il 22 dicembre 1858. Suo padre era un professore di composizione, ma la sua morte prematura pose la famiglia in ristrettezze economiche quando Giacomo, sesto di nove figli, aveva solo cinque anni. Per quel motivo il bambino venne mandato dallo zio materno che lo doveva fare studiare, ritenendolo però poco portato, fannullone e indisciplinato. Comunque lo zio riuscì a fargli apprendere la musica, studio che proseguì frequentando il seminario della Cattedrale di Milano, dove imparò a suonare l’organo, strumento che per molti musicisti fu determinante. Sempre ritenuto inadatto alla scuola, frequentò l’Istituto Musicale di Lucca, allievo di Carlo Angeloni con ottimi risultati, e cominciò, pur giovanissimo, a portare qualche soldo in casa suonando proprio l’organo, oltre che il pianoforte presso il Caffè Caselli della città. Quando poté assistere alla messa in scena di Aida di Verdi, capì che l’opera lirica sarebbe stata la sua strada. Quindi si dedicò alla stesura di alcuni componimenti, tra cui una cantata e un mottetto, mentre un valzer risulta perduto. La chiusura dei suoi studi con la composizione di una Messa di gloria a quattro voci con orchestra, eseguita al Teatro Goldoni di Lucca, suscitò l’entusiasmo della critica. La mamma, dopo avere bussato invano molte porte, riuscì ad ottenergli una borsa di studio dalla regina Margherita, grazie all’intercessione della sua dama di compagnia, la marchesa Pallavicini, arrotondata dall’amico di famiglia Cerù. E così Giacomo fu allievo del Conservatorio di Milano, avendo come maestro Antonio Bazzini per due anni, e poi Amilcare Ponchielli, grazie al quale Giacomo conobbe Pietro Mascagni. I lavori musicali di Puccini cominciarono ad accumularsi, mentre Ponchielli lo ricorderà come uno dei suoi allievi migliori, malgrado la scarsa costanza: si diplomerà infatti con medaglia di bronzo, quindi al terzo posto tra i candidati. Il primo successo di Puccini, suonato davanti ad Arrigo Boito tra gli altri, gli permise di firmare un contratto con la Casa Ricordi che commissionò Edgar, andato in scena al Teatro alla Scala di Milano nell’aprile 1889 con poco apprezzamento del pubblico. Un vero successo fu Manon Lescaut, con i proventi della quale poté tornare a vivere in Toscana; dal 1891 si trasferì a Torre del Lago, frazione di Viareggio, che divenne la sua vera dimora. I suoi lavori continuarono ad essere successi anche grazie alla collaborazione con i librettisti Illica e Giacosa.
Abbiamo quindi La Bohème, Tosca, Madama Butterfly, che alla prima alla Scala di Milano fu un vero fiasco. Quindi il lavoro venne rimaneggiato e portato in scena al Teatro Grande di Brescia, dove ottenne il successo che continua ancora oggi.
Nel 1906 la morte di Giacosa pose fine ad un lavoro a tre mani che aveva avuto tanto apprezzamento: collaborare soltanto con Illica era poco proficuo, mentre alcuni problemi familiari che si portarono dietro anche uno scandalo, provarono molto il musicista, tanto da rendergli quasi impossibile lavorare. Anche il progetto di collaborazione con D’Annunzio non portò a nulla. Successivamente Puccini scrisse La fanciulla del West che, debuttando a New York nel 1910 con Emmy Destinn ed Enrico Caruso nel cast, fu un vero trionfo di pubblico, meno di critica. A seguito di un viaggio tra Germania ed Austria, il compositore conobbe impresari che gli proposero di musicare un testo di Willne che, in un secondo momento, gli propose di cambiarlo con La rondine, ma lo scoppio della prima guerra mondiale e il successivo cambio di alleanza dell’Italia, fece rallentare i progetti con gli austriaci. Comunque, l’opera venne messa in scena a Monte Carlo nel 1917 con buon successo. A questo punto della carriera, Puccini lavorò ad un Trittico che si troverà composto da Il tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi. Il lavoro debuttò a New York e poi a Roma, nel 1919, anno in cui ricevette la nomina a Grande Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia. Sempre nel 1919 il sindaco di Roma lo incaricò di scrivere un inno della città che venne accolto entusiasticamente dal pubblico. Cominciò quindi a lavorare alla Turandot, di ambientazione fantastica ed esotica, ma dalla gestazione difficile, tanto che venne quasi ultimata soltanto nel 1923. Scoperto di essere malato di cancro alla gola, dopo essersi sottoposto ad un intervento chirurgico che sembrava riuscito, il compositore, da poco nominato senatore a vita dal Re, morì il 29 novembre 1924 a Bruxelles, dove era andato a curarsi. Quindi venne portato a Milano, dove la cerimonia funebre ufficiale si tenne in Duomo con Arturo Toscanini che diresse l’orchestra del Teatro alla Scala nel requiem tratto da Edgar. La salma verrà poi traslata a Torre del Lago, oggi Torre del Lago Puccini. Toscanini supervisionò anche la conclusione di Turandot. Le opere pucciniane, messe continuamente in scena ancora oggi, riscuotono sempre un successo mondiale.
Mercoledì 31 dicembre 2024 Frascati si prepara a vivere una giornata all’insegna della musica e dell’energia giovanile con il tradizionale festival musicale di fine anno. L’evento, una tradizione molto attesa e amata, vedrà come protagoniste marching bands composte da giovanissimi musicisti provenienti da prestigiose high school americane.
“È sempre un onore per Frascati – dichiara la sindaca Francesca Sbardella – ospitare questi talentuosi ragazzi che, con le loro esibizioni, portano in città il calore delle loro comunità e l’eccellenza delle tradizioni musicali statunitensi. Questo festival non è solo un’occasione per apprezzare performance straordinarie, ma anche per promuovere l’incontro e lo scambio culturale tra giovani di paesi diversi. Un momento di gioia condivisa che rappresenta l’essenza stessa delle festività.”
Lospettacolo inizierà alle 14:30 a Piazza San Pietro con l’esibizione della Parkview Marching Band di Lilburn, dalla Georgia. Con una tradizione di eccellenza, questa banda non solo si distingue per le sue capacità musicali, ma anche per l’educazione e i valori che trasmette ai suoi giovani musicisti. Diretta da Carlos Franco, originario del Venezuela e con un brillante percorso musicale, la Parkview Band promette un inizio di spettacolo carico di emozioni.
Seguirà la Hamilton High School Charger Marching Band di Sussex, nel Wisconsin. Sotto la guida del veterano Jon Waite, questa formazione ha conquistato numerosi riconoscimenti grazie al suo programma musicale completo, che include jazz, ensemble da camera e molto altro. La Hamilton Band porterà il meglio del Midwest a Frascati con una performance dinamica e coinvolgente.
Alle 15:30 la Detroit Catholic Central High School Marching Band di Novi, Michigan, sarà la protagonista di una performance musicale diretta da Logan Bonathan, ex studente della stessa scuola. Questa storica istituzione maschile, con una solida tradizione cattolica, si distingue per la qualità delle sue bande e orchestre, mosse da un senso di professionalità e profonda passione.
A chiudere il programma, alle ore 16:00 sarà il ritmo travolgente della Heritage High School “Incomparable Marching Storm” di Newport News, in Virginia. Con uno stile unico che mescola Soul, Hip Hop e R&B, questa banda ha calcato palcoscenici prestigiosi, da eventi NBA a collaborazioni con artisti come Missy Elliot. La loro energia e originalità sapranno concludere con talento e divertimento questa particolare iniziativa all’insegna della condivisione.
Il festival è ideato, prodotto e organizzato da Destination Events Ltd., un’azienda che da oltre 30 anni crea e promuove eventi musicali internazionali in città come Londra, Parigi, Edimburgo, Roma e molte altre. Guidata da due realtà specializzate – Youth Music of the World e Performance Travel Ltd. – Destination Events offre esperienze uniche a giovani musicisti e al pubblico di tutto il mondo, favorendo lo scambio culturale attraverso la musica.
Mercoledì 31 dicembre 2024, Piazza San Pietro – Frascati (RM), dalle 14:30 alle 16:30
Torna per la quarta edizione ViviCinema&Teatro Roma, progetto che intende valorizzare e rendere più accessibile l’offerta cinematografica e teatrale cittadina e nel contempo sostenere il rilancio economico del settore e che è realizzato dall’Assessorato alla Cultura di RomaCapitale e dalla Camera di Commercio di Roma, in collaborazione con l’Associazione Esercenti Cinema del Lazio (Anec Lazio), l’Associazione Teatri Privati Italiani (Atip) e l’Unione Teatri di Roma (Utr).
Un’iniziativa che riscuote un successo crescente. Quest’annosono 13.559 i carnetmessi a disposizione per godere di un’ampia offerta di spettacoli grazie all’adesione di 22cinema, per un totale di 112 schermi, e29 teatri.
Il carnet potrà essere acquistato fino ad esaurimento dei carnet disponibili sulla piattaforma www.vivicinemaeteatro.it (e presso le biglietterie di alcune strutture aderenti il cui elenco è disponibile sul sito) e sarà utilizzabile a partire dal 30 dicembre 2024 fino al 31 maggio 2025.
Per i cinema potranno essere utilizzati un massimo di 2 ingressi al giorno e senza limitazione di utilizzo dei carnet nella stessa struttura; sono esclusi gli eventi speciali, le anteprime e le proiezioni in 3d.
Per i teatri, i carnet potranno essere utilizzati per un massimo di due ingressi al giorno nella stessa sala, mentre per avvalersi del terzo ingresso si dovrà scegliere una struttura diversa; le pagine dei singoli teatri aderenti sono consultabili, sempre sul sito www.vivicinemaeteatro.it, con le indicazioni sulle modalità di fruizione previste dalle varie strutture.
L’acquisto dei carnet è riservato ai soli maggiorenni, ma potrà essere utilizzato anche da altri possessori. Ogni persona potrà acquistarne un massimo di 5.
Tutte le informazioni, costantemente aggiornate, sulle sale aderenti, sull’offerta di spettacoli e su modalità e condizioni di utilizzo del Carnet sono disponibili sempre sulla piattaforma web www.vivicinemaeteatro.it che mette in rete i cinema e i teatri coinvolte nell’iniziativa.
Andrà in scena ancora stasera, alle ore 20.00, al Teatro Carlo Felice di Genova il balletto dell’Armenian National Ballet, con la direzione di Karen Durgaryan, la coreografia di Georgy Kovtun da Marius Petipa, le scene e i costumi di Vjačeslav Okunev, orchestra, Coro di voci bianche e Tecnici dell’Opera Carlo Felice Genova, Maestro del coro di voci bianche Gino Tanasini con il classico “Lo schiaccianoci”.
Lo schiaccianoci è un balletto in due atti risalente ai primi anni ’90 dell’Ottocento, Čajkovskij lo compose ispirandosi al racconto Schiaccianoci e il re dei topi di E.T.A. Hoffmann, nonché alla Storia di uno schiaccianoci di Dumas, a propria volta tratta da Hoffman. A fianco del compositore lavorarono i coreografi Marius Petipa e Lev Ivanov. Čajkovskij aveva già sperimentato la composizione di balletti con Il lago dei cigni, del 1875-6 e La bella addormentata, del 1889; titoli oggi ben noti ma non del tutto compresi durante la vita del compositore.
La storia, ormai celebre, ripercorre le avventure della piccola Marie (Clara in altre varianti), che alla festa di Natale riceve in dono uno schiaccianoci a forma di soldatino. Durante la notte, la bambina sogna incredibili avventure: a fianco del soldatino, animato e trasformato in un principe, sconfiggerà il temibile Re dei topi, insieme si avvicenderanno poi in un viaggio magico e colorato nel Regno dei dolciumi. Tra gli aspetti più affascinanti del balletto si ritrovano le musiche di Čajkovskij – la cui sensibilità musicale era particolarmente affine alla dimensione fiabesca che caratterizza Lo schiaccianoci – e la grande sintonia tra musica, espressività coreografica e narrazione.
Commenta Sergey Safaryan, Direttore del balletto: «Il balletto Lo schiaccianoci è stato messo in scena all’Armenian National Opera and Ballet Theatre nel 2021, la premiere ha avuto luogo il 23 dicembre ed è stata accolta da standing ovation da parte del pubblico. Ad oggi, lo spettacolo occupa un posto speciale nel repertorio del Teatro. Sebbene non vi siano cambiamenti nella drammaturgia, il coreografo Georgy Kovtun ha interpretato le danze dei personaggi con mezzi espressivi unici, presentando soluzioni innovative e originali per ogni ruolo.
Lo schiaccianoci armeno si caratterizza per il suo dinamismo, soprattutto grazie all’apporto del cast artistico, che proprio come il popolo armeno si distingue per il suo carisma e le vivaci emozioni che porta in scena. Grazie all’uso di colori vibranti, animazioni 3D, scenografie accessibili e tecnologie moderne, è stata creata una produzione frizzante, particolarmente comprensibile e accattivante per un pubblico giovane. Le transizioni di scena nello spettacolo sono fluide e logiche, la teatralità e le profonde espressioni psicologiche si intrecciano senza soluzione di continuità».
Il Comune di San Donato Milanese presenta dal 14 dicembre 2024 al 14 gennaio 2025 negli spazi espositivi di Cascina Roma la mostra fotografica di Roberto Rognoni “Ancora mi sorprendo”: circa 70 fotografie a colori e in bianco e nero rendono omaggio a un racconto fotografico che dura da oltre sessant’anni e che l’autore ha voluto ripercorrere e condividere declinandolo anche in un libro dall’omonimo titolo, che verrà presentato in occasione dell’inaugurazione sabato 14 dicembre alle ore 17 dalla professoressa Antonia Broglia e dal photo editor Leonello Bertolucci.
Nato in provincia di Varese nel 1943, Roberto Rognoni è un fotografo che da più di mezzo secolo racconta, attraverso il suo obiettivo, trasformazioni, tradizioni e memorie collettive. La sua opera si distingue per una visione lucida e profonda della realtà, dove lo sguardo si posa con delicatezza sulle storie umane e sulle tracce di un passato che rischia di dissolversi.
Il titolo, Ancora mi sorprendo, più che mai significativo e che delinea libro e mostra, rappresenta un’importante raccolta antologica del suo lavoro e un viaggio nell’evoluzione artistica e poetica di Roberto Rognoni, suggerendo lo spirito di continua scoperta e meraviglia che da sempre caratterizza il suo lavoro fotografico.
“Ho scelto di raccogliere le fotografie dei progetti cui ho dedicato maggior impegno e che hanno trovato riscontro in mostre, pubblicazioni e concorsi – precisa Roberto Rognoni – I portfolio selezionati sono legati a periodi, luoghi e preferenze personali, ma tutti condividono un’unità stilistica, anche se esplorano diverse tematiche ed espressioni artistiche. Questo libro e questa mostra sono dedicati innanzitutto a tutti i soggetti delle mie fotografie, che mi hanno sorpreso ed emozionato con la loro bellezza e autenticità”.
Tuttavia, non sono solo una raccolta di immagini, ma una riflessione sull’evoluzione del suo sguardo e sulla ricerca di significati che emergono dai dettagli più semplici e quotidiani. Rognoni, infatti, ha sempre mantenuto un interesse per la dimensione sociale della fotografia, utilizzandola come strumento per documentare le persone e i luoghi che mutano sotto il passare del tempo e le trasformazioni economiche e culturali.
Uno degli aspetti più significativi della sua arte fotografica è la capacità dell’autore di catturare i cambiamenti del contesto urbano milanese e della zona di San Donato Milanese, documentando come l’industrializzazione abbia trasformato il paesaggio e la vita dei suoi abitanti tra il dopoguerra e gli anni Settanta. Rognoni osserva il vecchio mondo rurale che va scomparendo e, con esso, i gesti e i volti dei suoi abitanti. Le sue fotografie offrono quindi non solo una documentazione storica, ma anche una testimonianza emotiva, in cui l’essere umano e il suo ambiente si fondono in un racconto visivo intenso e intimo.
Nel volume, così come nella mostra, si nota anche l’interesse dell’autore per la rappresentazione delle dinamiche sociali, che trovano espressione in momenti di aggregazione, di impegno civile e nelle manifestazioni popolari. La sua vena documentativa ed etnografica riappare ad esempio nelle immagini dei gitani durante la festa di Saintes-Maries-de-la-Mer in Provenza, dove l’autore riesce, ancora una volta, a trasmettere la forza e la vitalità di un evento partecipato.
Altro tema che delinea profondamente l’architettura fotografica di Roberto Rognoni e che emerge con forza è il suo legame con il teatro, soprattutto con quello di ricerca degli anni Settanta a Milano che accoglieva le più importanti compagnie teatrali internazionali. Rognoni, che dal 1994 fino al 2017 è stato fotografo ufficiale di diverse compagnie teatrali italiane, a partire da “Quelli di Grock” di Milano, e attraverso le foto di scena cattura la potenza visiva ed espressiva delle diverse rappresentazioni, valorizzando l’espressività dei corpi e la forza delle atmosfere, senza trascurare mai l’emozione del momento.
L’ultima parte del libro rivela una dimensione più concettuale della sua fotografia, in cui esplora temi quali la memoria, il tempo e la condizione umana, rappresentati attraverso metafore visive e composizioni minimaliste. In queste pagine, Rognoni svela una vena creativa che va oltre il mero realismo documentaristico, avvicinandosi a un linguaggio simbolico e riflessivo. L’uso del manichino, della statua e delle figure frammentate è una modalità per rappresentare la vita e la morte, i sogni e le incertezze, il passaggio del tempo che emerge nell’ultimo capitolo, dove l’autore si avvale della storia raccontata in un audiovisivo per esprimere lo scorrere della vita in immagini stratificate e intime.
Ancora mi sorprendo diventa quindi un’opera coesa e ricca di significati, divisa in dieci capitoli o tappe, che non solo celebrano la storia di un fotografo, ma invitano il lettore a riflettere sulla fotografia come memoria, scoperta, testimonianza e sperimentazione. Il libro e la mostra offrono al pubblico un’occasione rara per poter entrare nell’universo visivo di Roberto Rognoni, fatto di gesti, sguardi, architetture e storie umane, restituendo la complessità di un percorso creativo che si interroga costantemente sui rapporti tra il reale e la sua rappresentazione visiva.
Nato nel 1943 a Cittiglio, in provincia di Varese, Roberto Rognoni vive e lavora a San Donato Milanese.
Inizia a fotografare nel 1965 dedicandosi a temi ben precisi e circoscritti: teatro, viaggi, paesaggi e reportage documentaristico-sociali, oltre a fotografie di architettura e gli audiovisivi fotografici.
Nel 1999 promuove la costituzione dell’Archivio Storico Fotografico della Città di San Donato Milanese e ne è curatore fino al 2023. Nel 2021 il Comune di San Donato Milanese gli conferisce la Civica Benemerenza per la sua attività fotografica.
Attualmente collabora con la rivista FOTOIT, è redattore della rivista TIMELINE del Dipartimento Audiovisivi della FIAF e della rivista online www.ilmilanese.org. È inoltre docente della FIAF e DiAF.
Dal 1992 al 1999 è direttore editoriale del mensile “L’Incontro” dell’ENI Polo Sociale di San Donato.
Dal 1994 al 2015 fotografo di scena ufficiale della Compagnia Teatrale “Quelli di Grock” di Milano, dal 2015 al 2017 di “Manifatture Teatrali Milanesi” e del “Teatro i” di Milano, mentre dal 2001 al 2006 fotografo di scena ufficiale del Festival “Danae” di Milano, organizzato dal Teatro delle Moire.
Sue opere fotografiche sono inserite permanentemente in raccolte pubbliche e private.
Si è concluso l’8 dicembre 2024 sull’isola di La Maddalena il secondo atto della XXI edizione de “La Valigia dell’Attore”, la manifestazione dedicata alla memoria di Gian Maria Volonté, chequest’anno ha celebrato il trentennale della sua scomparsa. L’evento, che dal 6 all’8 dicembre ha riunito registi, esperti e autori che hanno dedicato parte del loro lavoro alla figura dell’attore che riposa proprio sull’isola a lui cara, si è svolto tra emozione, ricordi e riflessioni sul valore del cinema come strumento culturale e politico.
La prima serata, tenutasi presso la Sala Primo Longobardo, ha visto la proiezione del documentario Volonté – L’uomo dai mille volti, diretto da Francesco Zippel e distribuito da Lucky Red. L’evento è stato introdotto da Boris Sollazzo e Fabio Ferzetti, che hanno offerto al pubblico uno sguardo appassionato e personale sul significato dell’opera. Sul palco è salito il regista, che ha condiviso la sua profonda connessione artistica con Volonté, sottolineando la necessità di raccontarne la grandezza umana e politica. La serata ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Mauro Berardi, produttore de Il Caso Moro, che ha proferito parole toccanti prima della proiezione.
La seconda serata del festival ha ospitato la proiezione del film La mort de Mario Ricci, girato nel 1983 e diretto da Claude Goretta che è valso a Volonté il Premio per la Migliore Interpretazione Maschile al festival di Cannes. Durante la serata, sono intervenuti Jacopo Onnis, ex giornalista Rai e collaboratore del festival, insieme a Gianfranco Cabiddu, ideatore del circuito “Le isole del cinema”, Antonio Medici, direttore della Scuola Volonté, Felice Laudadio, curatore e direttore artistico di molti festival e ideatore del “Premio Volonté, e Ferruccio Marotti, primario fautore del “La Valigia dell’attore” e dell’esperienza didattica del ValigiaLab nel 2010.
L’ultima giornata, presso il Mercato Civico di Piazza Garibaldi, ha aperto con un omaggio musicale a cura di Jacqueline Demuro, Veronica Satta e Piergiulio Manzi, seguito dalla presentazione delle più recenti iniziative editoriali: la riedizione ampliata di Gian Maria Volonté. L’immagine e la memoria, che valorizza il fondo archivistico dell’attore presso il Museo Nazionale del Cinema per il quale sono intervenuti Mauro Genovese e Paola Bortolaso; L’Ultimo Sguardo di Stefano Loparco, presentato da Ilaria Floreano; il numero monografico di Bianco & Nero a cura di Alberto Crespi, presente ad illustrarlo; Gian Maria Volonté. L’attore scultore di Giovanni Savastano, introdotto dallo stesso autore; il pamphlet Liberté, Egalité, Volonté che raccoglie saggi su aspetti meno noti della sua figura, di cui ha parlato uno degli autori, Marco Grassi; il calendario 2025 con illustrazioni di Maurizio Di Bona che celebra visivamente le interpretazioni più iconiche di Volonté. Gli incontri letterari sono stati moderati da Fabrizio Deriu, autore del primo storico saggio su Gian Maria Volonté. Dall’incontro è emerso uno spaccato articolato di Volontè, diviso tra il lavoro d’attore e il lato umano; una dissertazione che ne ha restituito una dimensione complessa, racchiusa in una prima fase espressionista e in un lavoro di sottrazione successivo. Sono anche emersi numerosi aneddoti, come l’aver rifiutato offerte di grandi produzioni, da Fellini a De Laurentis e film hollywoodiani – tra i quali anche Il padrino – a dimostrazione del fatto che Volonté era coerente ad una scelta di stile per ogni opera che andava a interpretare, senza sottomettersi a logiche di mercato.
Finale commovente e con una nota dolente che ha visto Giovanna Gravina Volonté e Fabio Canu dell’associazione culturale Quasar annunciare la chiusura di un ciclo, nella speranza che se ne possa aprire un altro. “Lavorare con gli istituti e gli enti pubblici con tempistiche assurde che non permettono di programmare con tranquillità una manifestazione così articolata non è semplice, motivo per il quale abbiamo deciso di prendere una pausa di riflessione e per il momento sospendere l’intera iniziativa”.
La notizia ha destato commozione nei tanti presenti che hanno collaborato a costruire nel corso degli anni un’iniziativa che in Italia può essere considerata unica nel suo genere. Tra gli altri, Fabio Ferzetti, Felice Laudadio e Antonio Medici, tutti concordi nell’asserire fermamente che quest’esperienza non può andare perduta. Nel corso di questo ventennio sono in molti che hanno sostenuto moralmente e con il proprio impegno volontario e professionale un’avventura che rappresentava una combinazione originale di proiezioni, incontri e momenti formativi. Il festival, il Premio Volonté e il ValigiaLab hanno infatti consolidato la crescita culturale nel dialogo continuo tra professionisti, tutor, studenti di recitazione e pubblico.
“Se è finito un ciclo bisogna subito pensare alla rigenerazione di un altro” – ha ribadito Ferruccio Marotti, mentre Fabio Ferzetti ha dichiarato: “A 30 anni dalla morte di Volonté la quantità e la qualità dei libri e degli studi che continuano a uscire su questo immenso attore confermano che la Valigia non può e non deve fermarsi, anche perché in Italia non esiste nulla di simile dedicato all’arte, al mestiere e alla dimensione politica di chi ha scelto la professione di recitare”. Infine Boris Sollazzo ha affermato: “Una manifestazione come ‘La Valigia dell’attore’ devi meritartela come isola, come regione, come settore, come paese intero. E invece si è lasciato tutto sulle spalle di donne e uomini di buona volontà. Così non si può andare avanti”.
La lunga storia de “La valigia dell’attore” è ripercorribile sul sito ufficiale: www.lavaligiadellattore.com
Martedì 17 dicembre, dalle 18.00 alle 20.00, inaugurerà MO’DINNA MO’DINNA (I wanna go back home), mostra personale dell’artista Antonio Rovaldi, a cura di Marcella Manni.
La pratica di Rovaldi indaga la percezione del paesaggio attraverso l’utilizzo della fotografia. Dopo aver scoperto l’esistenza di una Modena nel deserto dello Utah, al confine con il Nevada, Rovaldi decide di attraversare questi luoghi con la sua macchina fotografica, scrivendo un diario per immagini che verrà completato una volta tornato in Italia, percorrendo la via Emilia da Parma verso Modena. La mostra è composta da 60 immagini, suddivise in tre blocchi. Completano il percorso espositivo una lettera scritta dall’artista a Vincent, abitante di Modena nello Utah, e una traccia audio.
La mostra sarà aperta fino al 21 febbraio 2025 presso la sede di Metronom in via Carteria 10, Modena (Italia), durante gli orari di apertura della galleria (martedì, mercoledì e venerdì dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 18.00), o su appuntamento. L’ingresso è gratuito.
La Direzione regionale Musei nazionali Lombardia, istituita nel 2015 con il compito di coordinare e gestire tredici musei statali sul territorio lombardo, lavora da tempo nella direzione di un ampliamento della fruizione museale. “Consapevoli che il nostro impegno per la piena accessibilità non si esaurisce quest’oggi ma necessita di una programmazione continua e costante” – commenta il direttore regionale Rosario Maria Anzalone – “vogliamo con questo progetto proseguire il cammino intrapreso dalla Direzione generale Musei, muovendo dalla convinzione che la fruizione del patrimonio culturale sia un diritto universale, e che nostro dovere sia dunque garantirlo promuovendo conseguentemente l’eliminazione di qualunque barriera, sia essa fisica, sensoriale o cognitiva. Ringrazio – prosegue Anzalone – Emanuela Daffra, che mi ha preceduto a capo della Direzione regionale, per aver ideato e avviato questo progetto, di cui oggi sono fiero di poter presentare i risultati finali”.
Il progetto Musei Polisensoriali si è articolato in tre azioni principali: formazione, realizzazione di sussidi mirati e organizzazione di percorsi nelle sedi museali. Ciascuna di queste fasi, in accordo con le indicazioni della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ha previsto il fattivo coinvolgimento di enti e associazioni impegnate da anni nel settore, con il supporto di istituti di formazione e la collaborazione del personale in servizio nei musei, quotidianamente a contatto con il pubblico. Co-ideatori e co-realizzatori, sin dai primi passi, sono state realtà come la Fondazione Istituto dei Ciechi di Milano, Fondazione Paideia Ente Filantropico di Torino, Associazione Nazionale Subvedenti ANS di Milano, Lega del Filo d’Oro, Associazione L’abilità Onlus, Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza-Museo Anteros, Ente Nazionale Sordi Consiglio Regionale Lombardia, Archimedia181 s.r.l.
La formazione, intesa soprattutto come sensibilizzazione sulle tematiche legate alle varie disabilità sensoriali, è stata rivolta sia al personale di accoglienza attivo all’interno dei musei, sia a chi si occupa della direzione dei luoghi della cultura così come della progettazione educativa. I corsi di formazione hanno permesso non soltanto di sensibilizzare sulle caratteristiche e le specificità delle forme di disabilità, ma anche di conoscere metodologie e buone pratiche in grado di facilitare il superamento delle diverse barriere sensoriali (uditive, visive, uditivo-visive, cognitive).
Il secondo step progettuale ha riguardato la realizzazione di un set di sussidi che agevolino l’accesso e la comprensione del patrimonio culturale nell’ottica dell’Universal Design o Design for All, ma senza perdere di vista le specifiche disabilità: visiva, uditiva, uditivo-visiva e cognitiva. I sussidi, pur nascendo da un approccio metodologico comune, sono stati progettati e declinati sulle specificità di ciascuna sede museale. Questi tre aspetti, la co-progettazione con i soggetti interessati, l’approccio del Design for All e la declinazione sartoriale degli strumenti sulla base delle esigenze e delle specificità delle singole sedi museali, costituiscono i pilastri portanti del progetto: l’obiettivo principe di Musei Polisensoriali è proprio la proposta di strumenti e percorsi che siano adatti a tutti i visitatori, al di là delle specifiche esigenze legate alla disabilità, e allo stesso tempo accuratamente calibrati sulle peculiarità dei singoli musei e dei loro pubblici.
Tra gli strumenti realizzati si contano video in LIS per le persone con disabilità uditiva, percorsi tattili, disegni a rilievo e audio descrizioni secondo il metodo Descrivedendo per la disabilità visiva e “guide facilitate” realizzate in easy to read e in Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA) rivolte alle persone con disabilità cognitiva.
L’ultima fase di progetto ha riguardato infine la co-ideazione e co-realizzazione, insieme con gli enti coinvolti, di una serie di percorsi di visita all’interno dei nostri musei: guidati dagli operatori delle Associazioni coinvolte in affiancamento al personale del museo e rivolti ad un pubblico ampio, gli incontri hanno permesso di sperimentare gli strumenti messi a punto e di completare la formazione del personale. Nei prossimi mesi saranno proposte visite aperte a tutti che prevedano l’utilizzo degli strumenti anche per le persone senza disabilità, consentendo un accesso al patrimonio davvero completo attraverso un utilizzo insolito dei sensi.
Con il concerto di mercoledì 11 dicembre 2024 alle 18.00 presso l’Auditorium “Ennio Morricone” dell’Università di Roma “Tor Vergata (Macroarea di Lettere e Filosofia, via Columbia 1) la stagione di Roma Sinfonietta saluta il suo pubblico, augurandogli buone feste e dandogli appuntamento al 2025. Protagonisti di questo ultimo concerto dell’anno sono due eccezionali musicisti italiani, il violinista Domenico Nordio e il violoncellista Francesco Dillon.
Domenico Nordio è uno dei più acclamati violinisti italiani del nostro tempo. Si è esibito nelle sale più prestigiose (Carnegie Hall di New York, Salle Pleyel di Parigi, Teatro alla Scala di Milano, Barbican Center di Londra, Suntory Hall di Tokyo) e con orchestre quali London Symphony, National de France, Orchestre de la Suisse Romande, Orchestra Borusan di Istanbul, Enescu Philharmonic di Bucarest, Simon Bolivar di Caracas, Filarmonica di San Pietroburgo, Sinfonica Nazionale della RAI. Ha vinto a sedici anni il Concorso Internazionale “Viotti” di Vercelli con il leggendario Yehudy Menuhin come Presidente della giuria. Dopo le affermazioni ai Concorsi Thibaud di Parigi, Sigall di Viña del Mar e Francescatti di Marsiglia, il Gran Premio dell’Eurovisione ottenuto nel 1988 lo ha lanciato alla carriera internazionale: Nordio è l’unico vincitore italiano nella storia del Concorso.
Francesco Dillon (nella foto), nato a Torino nel 1973, ha al suo attivo una brillante carriera internazionale caratterizzata dall’originalità e varietà del repertorio esplorato. L’intensa attività solistica lo vede esibirsi su prestigiosi palcoscenici quali il Teatro alla Scala di Milano, la Konzerthaus di Vienna, il Muziekgebouw di Amsterdam, la Philharmonie di Berlino, la Jordan Hall di Boston, il Teatro Colon di Buenos Aires, la Hakuju Hall di Tokyo. Incide per etichette di primo piano, come SONY, ECM, Kairos, Ricordi e Stradivarius.
Nel programma figurano due capolavori per violino e violoncello di grandi compositori del primo Novecento, cioè la Sonata op. 7 del 1914 di Zoltan Kodaly, che innesta la musica popolare ungherese nelle forme classiche, e la Sonata del 1922 di Maurice Ravel, dedicata “alla memoria di Claude Debussy”. Completa il programma la famosa Passacaglia (una danza in tempo lento di origine spagnola) scritta da Georg Friedrich Haendel per clavicembalo nel 1720 e trascritta da Johan Halvorsen nel 1893.
Biglietti € 12,00 intero, € 8,00 ridotti personale universitario, over 65 e titolari CartaEffe Feltrinelli, € 5,00 studenti
I biglietti si possono prenotare telefonicamente(06 3236104) e ritirare il giorno del concerto oppure acquistare direttamente prima del concerto.