Giacometti e l’arcaico

Il Museo MAN di Nuoro annuncia la mostra “Giacometti e l’arcaico”. Curata da Pietro Bellasi e Chiara Gatti, la mostra, ricca di una settantina di pezzi, svelerà al pubblico il grande fascino che la statuaria d’epoca antica, egizia ed etrusca, greca, sumera o africana, esercitò agli occhi del maestro del Novecento celebre per le sue figure in cammino, le donne immote e silenziose come idoli del passato.

“Tutta l’arte del passato, di tutte le epoche, di tutte le civiltà, apparve davanti a me. Tutto era simultaneo, come se lo spazio avesse preso il posto del tempo”. Da questa confessione straordinaria nasce l’idea di restituire ai capolavori di Alberto Giacometti (1901-1966) la loro dimensione d’eternità, avvicinando alle sue sculture sottili e longilinee, scavate nella materia come reperti archeologici, una selezione preziosa di reperti reali, usciti dai migliori musei italiani d’arte antica.

I prestiti importanti delle opere di Giacometti, concessi dalle maggiori collezioni svizzere oltre che dalla Peggy Guggenheim Collection di Venezia, saranno accostati per la prima volta alle opere arcaiche del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, del Museo Civico Archeologico di Bologna, del Museo Civico di Palazzo Farnese a Piacenza e del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.

Il maestro e i suoi antenati animeranno un percorso sviluppato per temi e iconografie, basato su un gioco di rimandi, di sguardi incrociati fra i capolavori dell’artista e i suoi modelli arcaici sottratti al tempo e ricollocati nello spazio assoluto, della contemporaneità.

Dagli studi condotti negli anni sui punti di contatto fra l’opera di Giacometti e la statuaria d’epoca antica – dall’arte egizia a quella sumera, dai manufatti dell’età del bronzo all’arte greca fino alla scultura africana – è emersa infatti la possibilità di costruire una mappa delle iconografie del passato e delle culture più amate dall’artista, prese a modello per la sua riflessione contemporanea, tesa alla ricerca di forme espressive ancestrali, capaci di rappresentare l’uomo moderno in una visione eterna, in un recupero delle origini e della nostra storia.

Un viaggio affascinante nel tempo (e nello spazio), dimostrerà allora come la sua Femme qui marche, eseguita fra il 1932 e il 1936, riproponga gli stessi canoni di stilizzazione del corpo, la frontalità, la ieraticità, il passo breve avanzato della gamba sinistra, concetto puro di movimento, ispirato all’iconografia egizia.

Nell’ambito dell’art nègre, le Insegne Dogon o le Figure Mumuye della Nigeria con il ventre piatto e allungato, sono testimonianze di immagini dello spirito, forma visibile di un invisibile che l’uomo porta dentro di sé, e che Giacometti studiò a fondo per sue sculture dalle teste minute e il busto fortemente allungato. Le celebri figure di origine etrusca, come gli Aruspici dai corpi “a lama” del Museo di Villa Giulia a Roma, scoperti dall’artista durante il primo viaggio in Italia fra 1920 e 1921, sembrano tornare idealmente nelle forme immote dello scultore con le quali condividono linearismo, compostezza e armonia. Allo stesso modo il dialogo con i bronzetti nuragici – che segnano un legame con il territorio sardo può essere spiegato attraverso le parole dello storico dell’arte Giuseppe Marchiori dedicate proprio al sapore antropologico della ricerca di Giacometti e alle forme dei suoi corpi “esili come guerrieri nuragici, senza lance e scudi, oppure simili all’idolo volterrano, agli uomini della notte”. Procedendo per confronti, ecco infine certe piccole Kore di bronzo, con le loro fogge compatte, le braccia stese lungo i fianchi, ricordare la delicatezza delle opere più esili di Giacometti, quelle figure alte pochi centimetri, come l’immagine di Silvio debout; mentre taluni ritratti di Diego o di Annette seduta sono accostabili agli oranti di cultura egizia, alle statue templari o alle prefiche inginocchiate, con la classica posa delle mani aperte, poggiate sulle ginocchia piegate.

Giacometti e l’arcaico

dal 24 ottobre al 25 gennaio, MAN, Nuoro

S.E.

Festival Verdi a Parma

L’edizione 2014 del Festival Verdi si è aperta lo scorso 10 ottobre e durerà fino al 4 novembre. Nel giorno del compleanno del Maestro, l’inaugurazione è stata affidata a La forza del destino, in scena al Teatro Regio di Parma nell’allestimento firmato da Stefano Poda. Jader Bignamini, sul podio della Filarmonica Arturo Toscanini e del Coro del Teatro Regio di Parma, preparato da Martino Faggiani, guiderà un cast con protagonisti Virginia Tola, Luca Salsi, Roberto Aronica, Chiara Amarù, Michele Pertusi, Roberto De Candia (con repliche i prossimi 16, 19, 23, 28 ottobre).

Arie d’opera e da camera verdiane sono state l’omaggio a Verdi di Mariella Devia accompagnata al pianoforte da Giulio Zappa l’11 ottobre.

Verdi e Boito nel concerto di oggi 12 ottobre: sinfonie, divertissement e preludi da I Vespri siciliani, Attila e Macbeth e il prologo di Mefistofele interpretato da Michele Pertusi, con Francesco Lanzillotta alla testa della Filarmonica Arturo Toscanini, del Coro del Teatro Regio di Parma e del Coro di voci bianche della Corale Giuseppe Verdi di Parma, preparato da Beniamina Carretta.

Fuoco di gioia, il concerto lirico realizzato dal “Gruppo Appassionati Verdiani – Club dei 27”, riunirà il 17 ottobre sul palcoscenico del Teatro Regio, alcuni tra i maggiori interpreti del repertorio verdiano guidati da Antonello Allemandi sul podio della Filarmonica Arturo Toscanini.

Un concerto di musiche verdiane affidato alle giovani voci degli Artisti del 52° Concorso Internazionale Voci Verdiane “Città di Busseto” vedrà sul palcoscenico del Teatro Regio, il 18 ottobre, l’Orchestra del Conservatorio di Musica “A. Boito” di Parma diretta da Francesco Cilluffo.

Nell’allestimento di Henning Brockhaus, con le scene di Josef Svoboda e i costumi di Giancarlo Colis, La traviata sarà in scena al Teatro Verdi di Busseto il 24, 26, 29, 31 ottobre, 1, 2 novembre. Il direttore parmigiano Stefano Rabaglia dirigerà il Coro e l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna e gli Artisti del 52° Concorso Internazionale Voci Verdiane “Città di Busseto” nella produzione realizzata in coproduzione con Fondazione Teatro Comunale di Bologna, Fondazione Teatro Regio di Parma, Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi, in collaborazione con Comune di Busseto, Teatro Giuseppe Verdi di Busseto, Concorso Internazionale
Voci Verdiane “Città di Busseto”, Scuola dell’Opera Italiana – Fondazione ATER Formazione.

Acclamata sulle scene di tutto il mondo, Raina Kabaivanska festeggia al Festival Verdi il suo 80° compleanno. Con lei, il 25 ottobre, gli Artisti della sua Scuola di Canto: Maria Agresta, Virginia Tola, Cinzia Chiarini, Matteo Desole, Simon Lim, diretti in arie e brani d’assieme del repertorio verdiano da Nayden Todorov alla testa della Filarmonica Arturo Toscanini.

Appuntamento con la musica da camera e il Quartetto di Cremona che, il 26 ottobre, interpreterà Langsamer Satz di Anton Webern, il Quartetto in do diesis minore n.14, op. 131 di Ludwig van Beethoven e il Quartetto di mi minore di Giuseppe Verdi.

La danza torna in scena al Festival Verdi: sulle note di Pëtr Il’ič Čajkovskij, Erik Satie e Giuseppe Verdi, la Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala sarà protagonista, il 30 e 31 ottobre, di Sempreverdi, gala di danza con coreografie di George Balanchine, Roland Petit e Frédéric Olivieri.

Un recital interamente dedicato a Fryderyk Chopin vedrà sul palcoscenico del Teatro Regio, il 3 novembre, Grigory Sokolov, tra i maggiori pianisti viventi, in occasione del 120° anniversario di attività della Società dei Concerti di Parma e in collaborazione con Solares Fondazione delle Arti.

Infine il Coro e l’Orchestra del Teatro Regio di Torino, diretti da Gianandrea Noseda, chiuderanno il Festival con i Quattro pezzi sacri di Giuseppe Verdi e pagine tratte da Macbeth, Nabucco, Otello.

Il programma del Festival Verdi sarà arricchito da una rassegna cinematografica dedicata a La traviata a cura di Vittorio Giacci, concerti, incontri e manifestazioni che animeranno le sale del Ridotto e il Gran Caffè del Teatro e da due appuntamenti dedicati al pubblico delle scuole dell’infanzia e ai loro insegnanti: Il Corsaro e il Sultano, nuova produzione del Teatro Regio di Parma, il 12 e 13 novembre e Celeste Aida, produzione As.Li.co, il 26 e 27 novembre.

L’immagine esclusiva del Festival è il ritratto di Verdi realizzato a matita da Renato Guttuso negli anni ‘60, donato al Teatro Regio di Parma dall’Archivio storico Bocchi e concesso da Fabio Carapezza Guttuso.

Il Festival Verdi è realizzato grazie al contributo di Comune di Parma, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con il sostegno di Comune di Busseto, Reggio Parma Festival, Ascom Confcommercio Parma, Camera di Commercio di Parma, Fondazione Monte di Parma,. Major partner Fondazione Cariparma. Main partner Cariparma Crédit Agricole. Partner per gli eventi speciali Iren Emilia, Chiesi Farmaceutici. Partner Barilla, Unione Parmense degli Industriali. Media partner Mediaset. Tour operator partner Parma incoming. Sponsor Morris, Mutti, Overmach, Sicim, Buongiorno!, Conad, Illa, Poliambulatorio Dalla Rosa Prati, Nestlé, Antica Gelateria del Corso, Fidenza Village, S. Polo Lamiere. Sponsor tecnici Carebo Auto Hub, IGP Decaux, Milosped, Macrocoop, Blank design for living, Living divani.

Il Teatro Regio di Parma ringrazia inoltre Luca Barilla e tutti gli imprenditori che hanno voluto personalmente sostenere il Festival Verdi 2014.

 

Paolo Maier

 

Aldo Moro

Un saggio che apre alla “Politica, filosofia, pensiero” dello statista, scritto da Danilo Campanella, con una prefazione di Giulio Alfano per i tipi Paoline di Milano. Un uomo, Aldo Moro, noto per il sequestro di Via Fani che portò alla sua prigionia e al suo omicidio da parte delle Brigate Rosse, ma meno approfondito dal punto di vista dello statista, della persona mite e capace di cercare quella via di dialogo con tutti che, probabilmente, l’ha portato all’odio politico che gli costò la vita. Una vicenda umana interessante, che attraversa il secondo dopoguerra italiano fatto di persone di varia appartenenza, ma di grande levatura, ancora oggi portata ad esempio. Moro, Spadolini, Almirante, Berlinguer, per citarne solo alcuni. Persone che tanti non hanno conosciuto se non dai documentari storici e che pure vengono segnate come spartiacque tra un mondo politico colto, riflessivo, pieno di idee ed uno diverso. Al di là delle appartenenze, delle fedi politiche, questi nomi sono indice di chi aveva un’opinione certa, maturata anche (se non soprattutto) dall’incontro politico con l’altro, con chi aveva ideali differenti, idee diverse e che era disposto a mettersi in gioco parlando, scrivendo, urlando, se necessario, ma sempre nel rispetto dell’interlocutore. Oggi siamo di fronte troppe volte a persone che sembrano agire da sole in uno scenario visto a misura propria, senza un vero “scontro” ideologico che non significa di quelle ideologie che hanno portato, riferendoci a quegli anni, allo scontro armato di stampo terroristico, ma che significava voler imparare, sapere, scoprire se le proprie idee erano veramente tali stando in mezzo a quelle di tutti gli altri uomini e donne del proprio tempo. Abbiamo quindi ora un libro che propone le scelte di un uomo che credeva di agire nel modo giusto, non il solo, non il più giusto, ma quello che riteneva il meglio in quel momento, in quello scenario. Un uomo credente, che metteva in campo una novità: la partecipazione dei corpi intermedi dello Stato, la famiglia, le associazioni, i sindacati, che pensava fondamentali “affinché si mantenesse vivo il dialogo fra le parti, favorendo il dinamismo e limitando il rischio di statolatria. I corpi intermedi avrebbero permesso ai partiti di costituirsi in partiti programmatici, senza il rischio di divenire centri di potere”. Pertanto, i cittadini, secondo Moro, non andavano semplicemente accontentati, ma guidati senza, e questa era la sua vera novità, la vera rivoluzione, ingerenze ideologico-politiche o confessionali. La sua innovazione era la laicità e la politica, ritenute un tutt’uno all’interno del limite istituzionale. Questi erano i suoi discorsi all’interno del suo partito, la Democrazia Cristiana, nel 1978. In quegli anni, negli Stati Uniti era al potere Kissinger. I due uomini furono “interpreti di due modi diversi di intendere la politica, il potere e, in definitiva, il postmodernismo”. Moro vedeva il potere come un mezzo, Kissinger come un fine. Mentre Kissinger usava l’instabilità per affinare il proprio potere e quello degli Stati Uniti, Moro riteneva che l’ordine sociale fosse il collante primario per la coesione di una comunità di nazioni. L’analisi proposta è ampia, completa e interessante e permette di conoscere e di capire il personaggio Moro, l’uomo che stava dietro al politico, colui che cercava di mettere in atto i valori nei quali credeva. Egli aveva individuato nella legittimizzazione del più radicale individualismo, un grave pericolo: la teoria di una volontà generalizzata che, emanando dal Parlamento, giustificava il rifiuto dell’autonomia delle strutture intermedie dello Stato, considerate tutte nate dalla suprema volontà dello stesso. “È in questa estremizzazione assai pericolosa che Moro individuava le radici complessive di quel terrorismo estremo di carattere politico, ma anche di un certo fanatismo religioso, che prescindeva dalla centralità creaturale dell’uomo. Il carattere ‘liberale’ di Aldo Moro si può considerare il profilo della più avanzata cultural postmoderna”. Argomentazioni quanto mai di moda, per motivi diversi da allora, ma che ruotano intorno alle stesse piccolezza umane.

L’analisi del compromesso storico, il ricordo di nomi ed episodi, la contrarietà di Ford con le idee di Moro, l’approfondimento dei suoi rapporti con Mosca, fino al 16 marzo 1978. Il testo è incalzante, profondo e di facile lettura. Quella mattina, prima di rapire lo statista democristiano, vennero uccisi i suoi uomini di scorta Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Raffaele Iozzino e Francesco Zizzi. In Parlamento Giulio Andreotti si accingeva a presentare il suo nuovo governo. I giorni della prigionia di Moro, di cui sono riportate le sue lettere, furono sconvolgenti per tutta l’opinione pubblica e i passi riportati nel testo lo fanno capire molto bene, divisi tra aspetti umani e scelte politiche. Poi la comunicazione del luogo in cui sarebbe stato trovato il cadavere.

“Non si assisterà ad alcuna manifestazione pubblica, ad alcuna cerimonia, ad alcun discorso, alcun lutto nazionale. La famiglia si isolò nel dolore e nel silenzio. Il corpo dello statista verrà tumulato a Torrita Tiberina, in provincia di Roma. Il governo terrà ugualmente un funerale simbolico, celebrato dal Papa, ma senz ala bara. La famiglia non partecipò a quelle esequie, forse per non accettare la vicinanza “morale” di quegli uomini politici che, nel momento del bisogno, avevano lasciato solo il Presidente. Probabilmente, erano ancora ancorati alle logiche non sempre comprensibili del potere, come anche ai “giochi” di partito, pregni di quel machiavellismo politico che lascia molto spazio alla strategia e poco spazio alla carità”.

Adatto ai giovani, agli studenti, a chi c’era in quegli anni, a chi ha vissuto l’ansia dell’attesa, a chi vuole capire. Un libro da non perdere.

 

Alessia Biasiolo

Di là del faro. Paesaggi e pittori siciliani dell’Ottocento

Oltre 100 opere di artisti siciliani o stabilmente attivi in Sicilia sul tema del paesaggio che rappresenta, nel corso dell’Ottocento, uno dei motivi fondamentali attraverso cui viene elaborata una rappresentazione specificamente identitaria dell’isola.

La mostra dal titolo «Di là del faro. Paesaggi e pittori siciliani dell’Ottocento», promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo, ospitata dalla Fondazione Sicilia e organizzata da Civita Sicilia, è aperta al pubblico a Palermo negli spazi espositivi di Villa Zito.

L’importante rassegna, curata da Sergio Troisi e Paolo Nifosì, sottolinea l’impegno della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo per la valorizzazione della cultura siciliana e delle sue espressioni artistiche più alte.

Sebbene nella tradizione artistica isolana il genere paesaggistico sia assente o del tutto minoritario sino a buona parte del XVIII secolo, la letteratura di viaggio del Grand Tour e la ricca produzione di stampe a corredo avevano già individuato un repertorio di luoghi e fissato una iconografia ampiamente diffusi presso il pubblico colto europeo. Questa visione, nel corso dell’Ottocento, verrà assimilata dai pittori isolani, che la immetteranno in una nuova sensibilità moderna, tra Romanticismo e Positivismo, in accordo con le tendenze del gusto nazionale e internazionale del tempo.

La mostra copre un arco temporale ampio, che va dalla costituzione del Regno delle Due Sicilie sino all’epilogo della Prima Guerra Mondiale, riconoscendo in questa vicenda artistica dei caratteri relativamente omogenei. Un secolo quindi, durante il quale gli artisti siciliani, partendo inizialmente dai topoi figurativi della cultura neoclassica e del primo Romanticismo, mettono progressivamente a fuoco una modalità immaginativa del paesaggio che, pur nel legame profondo con i modi della pittura europea, ė tuttavia satura della percezione consapevole della natura e della storia siciliane, cosi come avveniva contemporaneamente in altri ambiti, primo tra tutti quello storiografico. Alla costruzione ideologica e valoriale del paesaggio siciliano concorrono infatti diverse voci, anche contraddittorie: l’esaltazione di una coscienza nazionale di stampo romantico; il fitto scambio linguistico con la geografia artistica nazionale e internazionale, anche grazie al moderno sistema di mostre che mette in rete, soprattutto dopo l’Unità, Roma, Firenze, Napoli, Torino, Milano ma anche Parigi, Vienna e Monaco; l’attività degli ateliers fotografici; la grande stagione della letteratura siciliana di Verga, Capuana, De Roberto e, infine, Pirandello.

“La mostra «Di là del faro. Paesaggi e pittori siciliani dell’Ottocento” è un progetto imponente su cui stiamo lavorando da molto tempo, ed è unica nel suo genere, in quanto per la prima volta vengono riuniti in una sola mostra pittori esclusivamente siciliani o stabilmente attivi in Sicilia, che raffigurano la loro terra affrancandosi progressivamente dalle influenze romantiche del Grand Tour, per abbracciare una rappresentazione più verista e attenta sia alla natura che alla storia di quest’isola – sottolinea il Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo – Si tratta di un excursus artistico di alto valore che, privilegiando la pittura vedutista e la sua evoluzione tra i primi dell’Ottocento e la Grande Guerra, offre al visitatore l’essenza della Sicilia del XIX secolo, attraverso i suoi paesaggi a volte aspri, a volte struggenti, attraverso i profili della maggiori città (tra cui la mia Palermo) e dei loro dintorni, attraverso la raffigurazione delle principali attività dell’uomo, dalla pesca all’agricoltura, fino al lavoro nelle miniere. Essa completa il percorso dedicato quest’anno dalla Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo, già Fondazione Roma-Mediterraneo, all’arte in Sicilia, iniziato a luglio scorso con l’importante rassegna sui pittori siciliani del Novecento presso l’ex Stabilimento Florio delle Tonnare a Favignana”.

L’esposizione si articola in sei aree tematiche che presentano i luoghi che la pittura ottocentesca siciliana predilige, con particolare attenzione al paesaggio costiero e a quello interno. Ad esse, si affiancano una sezione dedicata ai disegni con un corpus proveniente dalla Galleria Regionale di Palazzo Abatellis e una dedicata alla fotografia con opere della Fondazione Alinari e di collezioni private.

Tra le opere in mostra, la grande tela di Francesco Lojacono Dall’Ospizio marino, in prestito dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, e Conca d’oro di Ettore De Maria Bergler, proveniente dalla veneziana Galleria d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro. Rappresentati inoltre quasi tutti gli autori importanti della pittura ottocentesca siciliana, con opere provenienti sia da collezioni pubbliche che private: Giuseppe Patania, Tommaso Riolo, Francesco Zerilli, Giuseppe Sciuti, Antonino Leto, Michele Catti. Il catalogo della mostra è edito da Silvana Editoriale.

“Di là del faro. Paesaggi e pittori siciliani dell’Ottocento”, fino al 9 gennaio 2015

Palermo, Villa Zito via Libertà 52 – Palermo

Orari di apertura: martedì – domenica ore 10 – 13, 16-20. Lunedì chiuso. Ingresso gratuito.

 

Barbara Izzo, Arianna Diana

 

 

Novembre gustoso sotto i colli di Brisighella

La cittadina di Brisighella, splendido borgo medioevale sulle colline delle Terre di Faenza in provincia di Ravenna, si trova nel cuore della verde vallata del Lamone e del Parco Regionale della Vena dei Gessi Romagnola ed è “dominata” da 3 colli di gesso. Su ognuno di essi si trovano: l’imponente Rocca Veneziana, la Torre dell’Orologio e il Santuario della Madonna del Monticino. Ma Brisighella non è nota solo per le sue bellezze architettoniche e naturali. È conosciuta e apprezzata da tutti i buongustai d’Italia per le prelibatezze gastronomiche che la caratterizzano. Ad alcune di esse, nel corso di un intensissimo mese di novembre, sono dedicati eventi ad hoc che compongono una gustosa rassegna dal titolo “4 sagre x 3 colli”: Sagra del porcello il 9 novembre, Sagra della pera volpina e del formaggio “stagionato” il 16, Sagra del tartufo il 23 e Sagra dell’Ulivo e dell’Olio il 30 novembre.

 SAGRA DEL PORCELLO

La festa ripropone l’antico rito che si svolgeva nell’aia di ogni casa colonica con l’uccisione del maiale e la lavorazione della carne da parte di abilissimi norcini. L’appuntamento offre la possibilità di assaggiare gustose specialità: saporiti ciccioli, profumata coppa di testa, rosei prosciutti, salsicce e salami di Mora Romagnola, pregiatissima razza suina autoctona, e dolce al migliaccio (realizzato in origine utilizzando il sangue cotto del maiale). Sarà inoltre possibile acquistare e degustare tutti gli altri prodotti tipici dell’Appennino romagnolo.

SAGRA DELLA PERA VOLPINA E DEL FORMAGGIO STAGIONATO

È un originale mercato dei frutti autunnali e dei prodotti tipici della collina, dove la regina e il re della giornata saranno la pera volpina e il formaggio “stagionato”.

Le pere volpine, piccole, tonde e dure erano un prodotto tipico della valle del Lamone. La sagra ha contribuito nel corso degli anni alla riscoperta delle proprietà di questo frutto dimenticato, offrendo la possibilità di riassaporarlo. Le pere volpine vengono consumate bollite, cotte in acqua o vino, oppure al forno. Ottimo è l’abbinamento con il formaggio stagionato di Brisighella, un pecorino invecchiato in grotte di gesso con procedimento di antica tradizione locale.

SAGRA DEL TARTUFO

Il tartufo è uno dei prodotti più ricercati della collina faentina. I tartufai della zona sono abili nel ricercare questo prezioso prodotto del sottosuolo. Durante la sagra sono in vendita i caratteristici tuberi nella varietà del bianco autunnale e del tartufo nero. Nei ristoranti locali si potranno poi assaggiare ricette raffinate a base di questo prodotto.

SAGRA DELL’ULIVO E DELL’OLIO (55^ edizione)

La coltivazione dell’Ulivo, in terra brisighellese, risale a tempi antichissimi: già in epoca romana l’ulivo e i suoi prodotti erano conosciuti e apprezzati. Nell’ultima domenica del mese di novembre si celebra il preziosissimo olio extra vergine “Brisighello” DOP, al quale è stato assegnato l’ambito riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta nel 1996. Al suo fianco anche la selezione varietale “Nobil Drupa”, il “Brisighella” DOP, il tipico “Pieve di Tho”. Durante la festa l’olio può essere degustato e acquistato allo stand allestito dalla Coop. Agricola Brisighellese. A completare l’evento anche un mercato dei prodotti tipici locali.

Per informazioni: Tel 0546 81166 www.terredifaenza.it

Pierluigi Papi

Boldini. Lo spettacolo della modernità dai Macchiaioli a Parigi

Boldini

“C’est un classique!”. È questo il riconoscimento dato a Giovanni Boldini (Ferrara 1842-Parigi 1931), fin dalla prima esposizione postuma che si tenne a Parigi a pochi mesi dalla morte. “Il classico di un genere di pittura”, ribadì in quella occasione Filippo de Pisis.

Dopo la rassegna dedicata nel 2012 a Wildt (che sarà protagonista nel 2015 di una mostra realizzata dal Musée d’Orsay all’Orangerie di Parigi in collaborazione con la Città di Forlì e la Fondazione della Cassa dei Risparmi di Forlì), e le due successive sul Novecento ed il Liberty, la Fondazione e i Musei di San Domenico di Forlì proseguono nella esplorazione, attraverso nuovi studi e la riscoperta di opere poco note, della cultura figurativa tra Otto e Novecento, proponendo per la stagione espositiva del 2015 una approfondita rivisitazione della vicenda di Giovanni Boldini certamente il più grande e prolifico tra gli artisti italiani residenti a Parigi. È in questo ideale spazio di rapporto tra Forlì e Parigi che si colloca la nuova iniziativa.

Nella sua lunghissima carriera, caratterizzata da periodi tra loro diversi a testimonianza di un indiscutibile genio creativo e di un continuo slancio sperimentale che si andrà esaurendo alla vigilia della prima Guerra Mondiale, il pittore ferrarese ha goduto di una straordinaria fortuna, pur suscitando spesso accese polemiche, tra la critica ed il pubblico. Amato e discusso dai suoi primi veri interlocutori, come Telemaco Signorini e Diego Martelli, fu poi compreso e adottato negli anni del maggiore successo dalla Parigi più sofisticata, quella dei fratelli Goncourt e di Proust, di Degas e di Helleu, dell’esteta Montesquiou e della eccentrica Colette. Rispetto alle recenti mostre sull’artista, questa rassegna si differenzia per una visione più articolata e approfondita della sua multiforme attività creativa, intendendo valorizzare non solo i dipinti, ma anche la straordinaria produzione grafica, tra disegni, acquerelli e incisioni. Le ricerche più recenti di Francesca Dini (curatrice della mostra insieme a Fernando Mazzocca), consentono di arricchire il percorso con la presentazione di nuove opere, sia sul versante pittorico che, in particolare, su quello della grafica.

Uno dei punti di maggior forza, se non quello decisivo, della mostra sarà la riconsiderazione della prima stagione di Boldini negli anni che vanno dal 1864 al 1870, trascorsi prevalentemente a Firenze a stretto contatto con i Macchiaioli. Questa fase é caratterizzata da una produzione di piccoli dipinti, soprattutto ritratti, davvero straordinari per qualità e originalità.

Le prime sezioni, nelle sequenza delle sale al piano terra, saranno dedicate alla immagine dell’artista rievocata attraverso autoritratti e ritratti; alla biografia per immagini (persone e luoghi frequentati); all’atelier; alla grafica così rivelatrice della sua incessante creatività.

Le sezioni successive, al primo piano, ripercorreranno attraverso i ritratti di amici e collezionisti la grande stagione macchiaiola.

Seguirà la prima fase successiva al definitivo trasferimento a Parigi, caratterizzata dalla produzione degli splendidi paesaggi e di dipinti di piccolo formato con scene di genere, legata al rapporto privilegiato con il celebre e potente mercante Goupil.

Avranno subito dopo un grande rilievo, anche per la possibilità di proporre confronti con gli altri italiani attivi a Parigi, come De Nittis, Corcos, De Tivoli e Zandomenenghi, le scene di vita moderna, esterni ed interni, dove Boldini si afferma come uno dei maggiori interpreti della metropoli francese negli anni della sua inarrestabile ascesa come capitale mondiale dell’ arte, della cultura e della mondanità. Seguiranno infine le sezioni dedicate alla grande ritrattistica che lo vedono diventare il protagonista in un genere, quello del ritratto mondano, destinato ad una straordinaria fortuna internazionale. A questo proposito costituirà una novità la possibilità di accostare per la prima volta ai suoi dipinti le sculture di Paolo Troubetzkoy che si confrontano con quelli di Boldini sia sul piano iconografico che formale.

BOLDINI. Lo spettacolo della modernità dai Macchiaioli a Parigi

Forlì, Musei San Domenico, piazza Guido da Montefeltro 12, dall’1 febbraio al 14 giugno 2015.

S.E.

 

Rapporto di Amnesty International sul Venezuela

Il Venezuela rischiera’ una delle peggiori minacce allo stato di diritto degli ultimi decenni se le contrapposte forze politiche non s’impegneranno a rispettare appieno i diritti umani. E’ quanto ha dichiarato Amnesty International, presentando il rapporto “Venezuela: diritti umani a rischio nelle proteste”, in cui sono documentate violazioni dei diritti umani commesse nel contesto delle manifestazioni di massa in corso dall’inizio di febbraio. “Il paese correra’ il rischio di precipitare in una spirale di violenza se non verranno fatti sforzi per portare le parti in conflitto intorno a un tavolo. Questo potra’ accadere solo se esse rispetteranno integralmente i diritti umani e lo stato di diritto. In caso contrario, il numero delle vittime continuera’ a crescere e il tributo maggiore verra’ pagato dalla gente comune” – ha dichiarato Erika Guevara Rosas, direttrice per le Americhe di Amnesty International. Finora, 37 persone hanno perso la vita e oltre 550 sono rimaste ferite, 120 delle quali a causa dell’uso delle armi da fuoco. Secondo i dati diffusi il 27 marzo dall’Ufficio del procuratore generale, gli arresti durante le proteste sono stati 2157. Nella maggior parte dei casi, le persone arrestate sono state rilasciate ma rimangono le accuse a loro carico. Secondo le denunce ricevute da Amnesty International, le forze di sicurezza venezuelane hanno affrontato i manifestanti ricorrendo alla forza eccessiva, compreso l’impiego di proiettili veri e persino della tortura. Il rapporto di Amnesty International documenta anche violazioni dei diritti umani commessi da gruppi filogovernativi, da manifestanti e da altre persone non identificate. “Le denunce di violazioni dei diritti umani devono essere indagate immediatamente e in modo approfondito, con l’obiettivo di portare i responsabili di fronte alla giustizia” – ha aggiunto Guevara Rosas. “La crisi politica rischia di pregiudicare i progressi compiuti negli ultimi anni per il rispetto dei diritti umani delle persone piu’ emarginate del paese” – ha precisato Guevara Rosas. Amnesty International chiede al governo venezuelano di impegnarsi in favore di un Piano nazionale per i diritti umani, risultato di un necessario dialogo nazionale e del contributo di tutte le parti interessate e della societa’ civile. “Il governo e l’opposizione devono impegnarsi a risolvere la crisi politica con metodi pacifici, facendo capire ai loro sostenitori che la violenza e la retorica conflittuale che rischia di incitare alla violenza non saranno tollerate. La comunita’ internazionale, compresi i paesi vicini, devono favorire l’avvio di un dialogo costruttivo” – ha concluso Guevara Rosas. Il rapporto Venezuela: diritti umani a rischio nelle proteste e’ disponibile in lingua spagnola all’indirizzo: http://www.amnesty.it/Venezuela-spirale-violenza-politica-minaccia-stato-di-diritto.

Amnesty International Italia

 

Pintoricchio. La Pala dell’Assunta di San Gimignano e gli anni senesi

PintoricchioÈ aperta al pubblico nella Pinacoteca civica di San Gimignano, una mostra dedicata al pittore umbro Bernardino di Betto, detto il Pintoricchio, promossa dal Comune, dalla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le province di Siena e Grosseto in collaborazione con l’Arcidiocesi di Siena, Colle di val d’Elsa e Montalcino, la Fondazione Musei senesi e Siena Capitale Europea della Cultura 2019 – città candidata. Il comitato scientifico, che ha curato l’esposizione dal titolo Pintoricchio. La Pala dell’Assunta di San Gimignano e gli anni senesi, è costituito da Cristina Acidini, Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, Mario Scalini, Soprintendente i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le province di Siena e Grosseto e Claudia La Malfa, docente dell’Università telematica internazionale Uninettuno. La mostra è organizzata da Opera, società del Gruppo Civita, che dal 1° gennaio 2014 gestisce per l’Amministrazione Comunale i servizi di accoglienza e valorizzazione dei Musei civici di San Gimignano. Con questa iniziativa prende avvio un più ampio progetto che, con cadenza annuale, intende proporre un approfondimento critico e storico intorno ai capolavori e ai maestri presenti nelle collezioni civiche. Come questa che ora si apre su Pintoricchio e quella che è in preparazione per il 2015 su Filippino Lippi e i suoi meravigliosi tondi, ogni mostra sarà costruita con prestiti importanti, anche se numericamente limitati per le esigenze dello spazio espositivo, scelti per raccontare una vicenda artistica che ha lasciato una testimonianza di grande rilievo nel patrimonio storico e artistico di San Gimignano. La mostra su Pintoricchio inaugura quindi una serie di esposizioni, fortemente volute dal sindaco Giacomo Bassi e dall’assessore alla cultura Carolina Taddei, il cui coordinamento è affidato a Valerio Bartoloni, dirigente del settore servizi alla cultura del Comune. Tutta l’Amministrazione intende in tal modo valorizzare e promuovere i Musei civici della città che ambisce ad affermarsi sempre più come polo di riferimento culturale, non solo nel panorama locale, ma anche internazionale, in vista della candidatura di Siena a Capitale Europea della Cultura 2019. Come rileva Cristina Acidini nel catalogo della mostra, edito da Giunti Arte Mostre e Musei, «se fra le altre insigni opere d’arte rinascimentale il Museo Civico di San Gimignano può esporre l’ultima grande pala di Bernardino Betti detto il Pintoricchio, con la Madonna in gloria tra i santi Gregorio Magno e Benedetto (1510-1512), ciò dipende strettamente dalla convergenza per certi aspetti eccezionale dei percorsi di storie diverse – nella storia civile e nello sviluppo economico, così come nella religione e nella cultura secolare –, una convergenza che fece fiorire la stagione artistica rinascimentale in Firenze e in Siena, includendo in essa San Gimignano, che dalle due città era ed è geograficamente equidistante». Don Andrea Bechi, responsabile dei Beni culturali per l’Arcidiocesi di Siena, Colle di val d’Elsa e Montalcino, ci offre una lettura del significato più profondo della pala dell’Assunta: «L’immagine dipinta da Pintoricchio trasmette un convinto invito al carisma monastico, quale possibilità di anticipare la condizione celeste già durante l’esistenza terrena. In effetti la Madonna, vera e propria Regina degli angeli, irrompe nel paesaggio e si staglia maestosa all’interno di una mandorla, assisa sulle nubi del cielo e circondata da creature angeliche, due delle quali addirittura si abbassano al ruolo di sgabello per i piedi della Vergine. La città, invece, con i suoi traffici, rimane lontana, sparisce sullo sfondo, oscurata dalla grande sagoma della Vergine in mandorla, e perde di qualsiasi interesse al cospetto della sua imponente e dolce persona». La pala che raffigura ai lati della Madonna in gloria i santi Gregorio Magno e Benedetto, fu dipinta tra l’ottobre 1510 e il febbraio 1512 per il monastero olivetano di Santa Maria Assunta a Barbiano, a pochi chilometri da San Gimignano e rappresenta l’ultima opera documentata dell’artista che morì l’11 dicembre 1513 in Siena, ove è sepolto, nella chiesa di San Vincenzo in Camollia. L’ultima stagione di attività del pittore è documentata in mostra anche da altre opere provenienti dalla Pinacoteca Nazionale di Siena quali la Madonna col Bambino e san Giovannino, la Sacra Famiglia e san Giovannino e la Natività, quest’ultima attribuita alla sua bottega. Sarà inoltre in mostra la Madonna col Bambino e san Giovannino proveniente dal Museo Diocesano di Città di Castello, a rappresentare l’ambiente umbro nel quale Pintoricchio si era formato prima di recarsi a Roma e dove aveva continuato a operare prima di essere chiamato a Siena. “Pintoricchio. La Pala dell’Assunta di San Gimignano e gli anni senesi”, fino al 6 gennaio 2015 San Gimignano – Piazza Duomo. Pinacoteca di Palazzo Comunale Orari Fino al 31 ottobre: tutti i giorni 9:30 – 19:30 1 novembre – 6 gennaio: tutti i giorni 11:00 – 17:30 (25 dicembre chiuso; 1 gennaio: 12.30 -17.30) Ultimo ingresso mezz’ora prima l’orario di chiusura della mostra Ingresso alla Pinacoteca Civica, valido anche per la visita della mostra, del Palazzo Comunale, della Torre Grossa, del Museo Archeologico, della Spezieria di santa Fina e della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada”: € 7,50 Intero; € 6,50 ridotto: minori dai 6 ai 17 anni, maggiori di 65 anni, gruppi di almeno 20 persone (fino a due accompagnatori con ingresso gratuito), gruppi di alunni di scuole pubbliche in visita didattica (fino a due accompagnatori con ingresso gratuito) Ingresso gratuito: minori di 6 anni, residenti a San Gimignano, soggetti diversamente abili che necessitino di accompagnamento e relativi accompagnatori, guide turistiche, titolari tessere I.C.O.M. Agevolazione Gruppi: Sconto del 50% sul check in autobus per i gruppi che avranno prenotato il biglietto d’ingresso alla mostra ed ai Musei Civici di San Gimignano.

Salvatore La Spina