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Nei giorni scorsi si è svolta a Riolo Terme (RA), nella sede dell’IPSSAR – Istituto Alberghiero Statale “Pellegrino Artusi”, la sesta edizione della gara gastronomica “La Cucina del BenEssere”, organizzata dall’azienda romagnola Natura Nuova, in collaborazione con l’Istituto riolese. La competizione, riservata alle classi terze e quarte indirizzo enogastronomico degli Istituti Alberghieri italiani, ha registrato una nutrita partecipazione. Come da regolamento, quattro gli istituti finalisti: “Pellegrino Artusi” di Forlimpopoli (FC), “S. P. Malatesta” di Rimini, “Tonino Guerra” di Novafeltria (RN), “Pietro Piazza“ di Palermo.
Tra questi, ad aggiudicarsi la gara è stato il “Tonino Guerra” di Novafeltria, grazie a “Il Dolce che non c’è”, semifreddo di patate e Seitan su pandispagna al Tofu, crumble di Tempeh e Frullá al mango.
A decretarne la vittoria, la qualificata giuria tecnica formata da: Maria Fiorenza Caboni, Professoressa Ordinaria nel settore delle Scienze e Tecnologie Alimentari dell’Università di Bologna e autrice di oltre 200 pubblicazioni anche su riviste scientifiche internazionali; lo chef Devis Sforzini, da 25 anni nel mondo della ristorazione, consulente aziendale e docente per corsi di formazione per il settore Ho.Re.Ca.; Chiara Setti, digital marketing strategist per lavoro e foodblogger per passione con “La cucina dello stivale”; Luca La Fauci, biologo nutrizionista e tecnologo alimentare, ha preso parte, in veste di esperto, a centinaia di trasmissioni televisive sui canali RAI, è autore di testi scolastici per Rizzoli Libri sulla Scienza dell’Alimentazione ed è insegnante di ruolo all’IPSSAR “P. Artusi” di Riolo Terme.
Inoltre, il “Pietro Piazza” di Palermo ha ricevuto una menzione speciale dalla giuria popolare per il “Cous cous di mais con brasato di Tempeh al Nero d’Avola”.
Il tema della gara di quest’anno è stato “Acqua, bene prezioso”; pertanto, i partecipanti, oltre a dover fare un uso corretto delle proteine vegetali, dovevano avvalersi di tecniche di cottura che riducessero il consumo di acqua, come la cottura a vapore o il sottovuoto. Alla base delle singole preparazioni doveva essere presente almeno uno tra seitan, tofu e tempeh, ingredienti 100% vegetali. Per la realizzazione di ciascun piatto, ogni Istituto ha potuto scegliere le materie prime ritenute più opportune, a eccezione di carne e pesce, ponendo attenzione anche alla valorizzazione degli scarti in un’ottica di contrasto dello spreco alimentare.
«Questo evento rappresenta un’importante occasione di crescita per gli chef del futuro, offrendo loro la possibilità di sperimentare e approfondire l’utilizzo di ingredienti vegetali come tofu, seitan e tempeh, veri protagonisti della cucina moderna e sostenibile – sottolineano da Natura Nuova –Attraverso questa gara vogliamo stimolare la creatività e indirizzare gli studenti in un percorso di innovazione e responsabilità, in cui il benessere alimentare e quello ambientale vanno di pari passo».
Oltre al riconoscimento, per il 1° classificato anche un assegno del valore di 500 euro per l’acquisto di attrezzature scolastiche. Inoltre, tutti gli istituti finalisti hanno ricevuto un attestato di partecipazione e una fornitura di prodotti Natura Nuova (tofu, seitan e tempeh a marchio Compagnia Italiana e puree di frutta a marchio Frullà) per l’anno scolastico 2025-2026. Nel corso della loro permanenza in Romagna, studenti e accompagnatori hanno avuto l’opportunità di visitare uno degli stabilimenti produttivi di Natura Nuova. È stato un momento formativo particolarmente significativo, che ha permesso ai ragazzi di scoprire e approfondire in maniera concreta i processi produttivi dei prodotti impiegati nel concorso, comprendendone così meglio la qualità, l’origine e l’attenzione dell’azienda alla sostenibilità.
Lo Stabat Mater, cantato durante il rito della Via Crucis e le processioni del Venerdì Santo,è un momento emblematico della Settimana Santa e uno dei brani musicali più importanti della liturgia cattolica. È stato messo in musica da innumerevoli compositori, tra cui Palestrina, Vivaldi, Haydn, Rossini e Verdi. Ma lo Stabat Mater più celebrato e più popolare è quello composto da Giovan Battista Pergolesi nel 1736, pochi giorni prima della sua scomparsa ad appena ventisei anni d’età. Verrà ora eseguito nella settimana di Pasqua, precisamente il 16 aprile alle 18.00 nell’ambito dei concerti di Roma Sinfonietta presso l’Auditorium “Ennio Morricone” dell’Università di Roma “Tor Vergata” (Macroarea di Lettere e Filosofia, via Columbia 1).
Lo Stabat Mater ha ispirato anche molti musicisti dei nostri giorni, tra cui Matteo D’Amico, uno dei compositori italiani più noti e ammirati in campo nazionale e internazionale, eseguito nelle più prestigiose sale da concerto di Londra, Parigi, Amsterdam, Atene, Francoforte, Tokyo e altre grandi città. Nel 1999 ha composto un suo Stabat Mater su testo di Vincenzo Consolo, che ha tradotto dal latino all’italiano il testo medioevale attribuito tradizionalmente a Jacopone da Todi e vi ha aggiunto alcuni Salmi latini di carattere penitenziale per il tempo di Quaresima, inserendoli all’interno di un testo in italiano derivato dal suo romanzo Lo Spasimo di Palermo. Con una sottile venatura autobiografica, Consolo narra di un intellettuale siciliano costretto, all’indomani della fine della guerra, a lasciare una Palermo stritolata dall’aggressività della mafia rampante. Quarant’anni dopo, al ritorno nella sua città, si accorge che il suo degrado è ancor più evidente e si trova ad essere testimone dell’omicidio di Paolo Borsellino: il giudice assassinato e la sua vecchia madre, sotto la cui finestra si compie l’eccidio, rinnovano l’immagine secolare del compianto di Maria ai piedi del Cristo crocefisso.
Musica, poesia, prosa, voci si alternano in questo moderno Stabat Mater per amplificare una tragedia antica, eppure moderna e contemporanea. In quest’esecuzione le voci sono quelle del soprano Giulia Peri, del mezzosoprano Lucia Napoli e dell’attore Francesco Trifilio, a cui si aggiunge un’orchestra austera formata solo da strumenti ad arco e dalle percussioni. Sul podio un direttore particolarmente versatile, Gabriele Bonolis, che ha diretto un ampio repertorio di musica operistica e sinfonica dei secoli scorsi e contemporanea in Italia, Germania, Repubblica Ceca, Bulgaria, Norvegia, Oman, ecc. Molteplici le sue esperienze anche nella musica per il teatro e per il cinema: in quest’ultimo campo si segnala la sua lunga collaborazione con Ennio Morricone.
Biglietti:€ 12,00 intero, € 8,00 ridotto per personale universitario, over 65 e titolari CartaEffe Feltrinelli, € 5,00 studenti
I biglietti si possono prenotare telefonicamente(06 3236104) e ritirare il giorno del concerto oppure acquistare direttamente all’auditorium a partire da un’ora prima del concerto.
Una voce che incanta, un sassofono che danza: Antonio Lizana arriva a Terni per il prossimo appuntamento di Visioninmusica con il suo progetto più maturo e magnetico, in una serata che si preannuncia come un’esperienza musicale e visiva dal forte impatto emotivo. Venerdì 11 aprile 2025, alle ore 21, l’Auditorium Gazzoli ospita uno degli artisti più vitali della scena internazionale, capace di riunire mondi sonori apparentemente distanti in una forma espressiva unica, in continuo divenire.
Cresciuto a San Fernando, nel cuore dell’Andalusia, Antonio Lizana incarna la nuova generazione del flamenco, portando con sé il fuoco del cante jondo e la libertà armonica del jazz. Musicista completo – sassofonista, cantante, autore – ha attraversato i continenti con la sua musica, suonando in oltre trenta Paesi e calcando i palcoscenici di festival internazionali a New York, Londra, Barcellona, Austin, Shanghai e Casablanca. Il pubblico italiano avrà l’occasione rara di ascoltarlo in formazione completa: cinque artisti sul palco, per un dialogo continuo tra strumento, voce e corpo.
Al pianoforte e alle tastiere il talento cristallino di Daniel García, tra i più raffinati musicisti della nuova scena madrilena. Il basso di Arin Keshishi, la batteria e le percussioni di Shayan Fathi, costruiscono un tappeto ritmico dinamico, cangiante, pronto a cedere il passo alla fisicità magnetica di El Mawi de Cádiz, ballerino flamenco la cui presenza scenica, insieme alla voce e al sax di Lizana, evoca un tempo antico e insieme sorprendentemente attuale.
Una voce che incanta, un sassofono che danza: Antonio Lizana arriva a Terni per il prossimo appuntamento di Visioninmusica con il suo progetto più maturo e magnetico, in una serata che si preannuncia come un’esperienza musicale e visiva dal forte impatto emotivo. Venerdì 11 aprile 2025, alle ore 21, l’Auditorium Gazzoli ospita uno degli artisti più vitali della scena internazionale, capace di riunire mondi sonori apparentemente distanti in una forma espressiva unica, in continuo divenire.
Elisabetta Castiglioni (anche per l’immagine di Ana Solinis)
Sabato 12 e domenica 13 aprile, il Museo del Saxofono di Maccarese ospita due appuntamenti musicali di grande fascino, che promettono di coinvolgere pubblici diversi attraverso linguaggi artistici ricercati e profondi. Due serate consecutive che vedranno alternarsi le atmosfere solari del jazz mediterraneo e le suggestioni intense della musica elettroacustica contemporanea, confermando ancora una volta il ruolo del museo come luogo dinamico e vivo, dove la cultura musicale si intreccia con la bellezza e il valore di uno spazio unico nel panorama internazionale.
Il primo concerto, sabato 12 aprile alle ore 21:00, è affidato al Mediterranean Jazz Quartet, formazione capitanata da Nicola Buffa alla chitarra, affiancato da Francesco Bignami al pianoforte, Bruno Zoia al contrabbasso e Cesare Botta alla batteria e percussioni. Il gruppo propone una musica originale, che nasce dal contributo creativo di tutti i suoi componenti, e si nutre delle influenze artistiche del bacino del Mediterraneo, con sonorità che richiamano la tradizione latina, le scale orientali e le forme del jazz contemporaneo. Il concerto prende il titolo dal nuovo progetto discografico Una Favola Mediterranea, un percorso che si sviluppa anche attraverso i brani tratti dai precedenti album del quartetto: Immagini di Roma, Sangue Latino e La Musica Dentro. Le composizioni, melodiche, evocative e ritmicamente ricche, si articolano su strutture solide e al tempo stesso aperte all’improvvisazione, in un equilibrio riuscito tra radici e contemporaneità. Un sound fresco e autentico, che parla una lingua musicale universale ma profondamente italiana. Il concerto sarà preceduto, alle ore 20, da un apericena a cura del Museo, per una serata completa tra gusto e musica: il costo del biglietto di ingresso è di € 18,00 + € 1,00 di prevendita (acquistabile su Liveticket.it e presso la biglietteria del Museo) mentre l’apericena facoltativa ha un costo opzionale di € 17,00.
Domenica 13 aprile, alle ore 18:30, il Museo ospiterà invece il concerto Echoes of the Time, una riflessione sonora sulla contemporaneità che si traduce in cinque opere tra voce, strumenti ed elettronica. Le composizioni, firmate da Francesco Telli, Christian Banasik, Giorgio Nottoli e Giovanni Costantini, affrontano temi profondi e attualissimi: dal femminicidio al trauma del presente, dalle migrazioni alla dimensione interiore del respiro. Le due prime assolute, Eco dopo Narciso di Telli e Echoes of Time di Banasik (commissionata dalla Kunststiftung NRW), dialogano con lavori come Trama sospesa di Nottoli e Anchors in Waves di Costantini, in un susseguirsi di atmosfere immersive. Interpreti d’eccezione come la voce intensa e sperimentale di Virginia Guidi, la viola raffinata di Luca Sanzò e il sassofono di Enzo Filippetti, da anni protagonista della scena elettroacustica internazionale, daranno corpo a una serata di grande densità emotiva. La regia del suono sarà affidata agli stessi compositori Banasik e Nottoli, punti di riferimento nella ricerca musicale elettronica. Il concerto, ad ingresso gratuito, è un invito all’ascolto profondo, dove ogni suono si fa linguaggio e ogni pausa racconta una storia.
Nella mattinata, alle ore 11:00, è in programma anche una originale visita guidata alle collezioni del museo che prevede delle performances musicali dal vivo. La visita è a cura del direttore del museo Attilio Berni con tema: “Il saxofono e le sue metamorfosi”.
Gli eventi di domenica 13 sono gratuiti previo pagamento del biglietto di ingresso al museo.
Il Museo del Saxofono, nato dalla passione e dalla visione di Attilio Berni – musicista, collezionista e direttore artistico – è oggi considerato un vero gioiello nel panorama museale italiano. Inaugurato nel 2019 a Maccarese, a pochi chilometri da Roma, rappresenta il più grande centro espositivo al mondo dedicato al sassofono. La collezione permanente conta oltre seicento strumenti, alcuni dei quali rari o addirittura unici, tra cui il sassofono più piccolo e quello più grande mai costruiti, oltre a pezzi storici appartenuti a giganti del jazz e della musica classica. Accanto agli strumenti, il museo ospita spartiti, accessori, grammofoni, documenti e memorabilia che raccontano la storia affascinante di questo strumento simbolo del Novecento. Ma il Museo del Saxofono è anche un centro culturale attivo, dove la musica si suona, si ascolta e si vive: concerti, mostre, eventi, attività didattiche si susseguono in un programma ricco e coinvolgente che ha come missione quella di far conoscere, valorizzare e far amare la cultura musicale in tutte le sue forme.
Prosegue fino al 21 aprile alla Bipielle Arte di Lodi (Via Polenghi Lombardo, Spazio Tiziano Zalli, Lodi) con ottimo riscontro di pubblico la mostra di Roberto Rampinelli Sguardi.
Organizzata dalla Fondazione Banca Popolare di Lodi e curata da Simona Bartolena, con il patrocinio della Provincia e del Comune di Lodi, la mostra include oltre ottanta opere che coprono un arco di quarant’anni di ricerca, dal 1985 al 2025, che evidenzia il ruolo centrale della grafica nell’opera di Rampinelli. L’artista ha trovato nella carta un potente strumento espressivo, utilizzando una combinazione di disegno, tecniche di stampa e pittura per creare opere che si pongono come spazi metafisici, in cui il segno, la luce e il colore non riflettono semplicemente la realtà, ma la trasformano, coinvolgendo lo spettatore a un livello emotivo profondo.
Le opere di Rampinelli non sono solo rappresentazioni visive, ma anche espressioni di un’intensa ricerca psicologica e emotiva. La tecnica incisoria, a lui particolarmente cara, gli consente di fissare l’impronta del gesto, dando vita a immagini che sembrano emergere da una tensione interiore. Ogni segno e incavo nella matrice è studiato per costruire una trama visiva che parli direttamente alla sensibilità del pubblico.
La mostra, che si apre con alcune opere giovanili realizzate negli anni Ottanta e si conclude con un lavoro del 2025, evidenzia come la ricerca di Rampinelli si ispiri a grandi maestri come Piero della Francesca, De Chirico, Carrà e Morandi, e ha due temi preponderanti, la natura morta e i paesaggi.
Le composizioni di natura morta, che includono oggetti, fiori e frutti, raccontano le motivazioni più profonde della sua ricerca artistica, con opere che, pur immersi nella realtà quotidiana, sfuggono alla banalità e acquisiscono una dimensione, metafisica, magica. La rigorosità stilistica delle opere riflette la sua formazione a Urbino con i maestri Renato Bruscaglia e Carlo Ceci, e un esempio di questa influenza è la serie delle Urne (2020), in cui il rigore delle prospettive e l’armonia geometrica delle forme si uniscono a un calore tattile nelle superfici.
Accanto alle nature morte, i paesaggi rivestono un’importanza fondamentale nel lavoro di Rampinelli. Per l’artista, il paesaggio è una visione interiore, un sogno, una poesia che richiama la tradizione romantica, ma che trova anche un parallelo con il pensiero del filosofo americano Henry David Thoreau. Il paesaggio, per Rampinelli, non è solo una rappresentazione della natura, ma una riflessione sul rapporto tra l’uomo e il mondo naturale, una meditazione sul silenzio e sull’osservazione.
Le opere di Rampinelli non si limitano a raccontare una storia, ma evocano un’emozione profonda che coinvolge chi le osserva. La sua ricerca è fortemente identitaria, con l’artista che cerca di portare lo spettatore dentro un percorso riflessivo e creativo che sfida le convenzioni. Come scrive Patrizia Foglia nel catalogo della mostra, le opere di Rampinelli hanno l’obiettivo di “dare senso alle cose”, di liberarle dal loro significato strumentale, e di farci guardare oltre, nel profondo, verso ciò che si cela oltre l’apparenza.
Gli Sguardi di Roberto Rampinelli offrono uno spunto per riflettere sul valore dell’arte come mezzo per comprendere la vita, per fermarsi a osservare e per trasformare gli oggetti e le situazioni quotidiane in simboli di una realtà più profonda e misteriosa. Rampinelli, con la sua straordinaria capacità di mescolare tecnica e poesia, invita lo spettatore a guardare oltre la superficie, a cercare il significato nascosto dietro le cose e a scoprire una visione del mondo che trascende il quotidiano.
Sguardi si presenta come un’antologica con oltre ottanta opere che coprono quarant’anni di ricerca, dal 1985 al 2025. La grafica riveste un ruolo centrale nell’opera di questo artista raffinato, complesso e coerente, che ha trovato nella carta un alleato prezioso, utilizzandola come strumento di espressione creativa. Su di essa, ha saputo mescolare con grande libertà e maestria disegno, tecniche di stampa e pittura, mettendole in dialogo tra loro.
Le opere di Rampinelli non si limitano a rappresentare il mondo visibile, ma si trasformano in spazi metafisici, dove nulla è lasciato al caso e dove si manifesta un’intensa indagine psicologica ed emotiva. Luce, colore e segno sono i protagonisti di un dialogo che non riflette semplicemente la realtà, ma la trasforma, offrendo una visione che coinvolge lo spettatore a un livello più profondo.
La tecnica incisoria, campo privilegiato di esplorazione per l’artista, con la sua capacità di fissare l’impronta del gesto, gli consente di dar vita a immagini che sembrano emergere da una tensione interiore. Qui il segno si fa più deciso, pur mantenendo una ricerca di equilibrio: ogni incavo nella matrice è pensato per costruire una trama visiva che parli direttamente alla sensibilità di chi osserva.
Simona Bartolena, nel suo testo in catalogo, sottolinea: “C’è una continuità esemplare nella ricerca di Rampinelli, un filo rosso che unisce tutti i lavori, rendendoli, pur essendo figli di stagioni diverse, frammenti di un unico grande paesaggio: il paesaggio dell’anima di un artista poetico e profondo, che sfiora le piccole cose quotidiane e le trasforma in icone silenziose, avvolte da un’aura di magia. Roberto entra ed esce dalle diverse tecniche, le mescola, le sovrappone, le confonde. Non importa se si tratta di tempera, olio, matita o inchiostro da stampa: la scelta della tecnica (o delle tecniche) è finalizzata esclusivamente all’esito che egli desidera ottenere, con la massima libertà e una totale confidenza con gli strumenti”.
L’esposizione si apre con due opere giovanili, realizzate nella seconda metà degli anni Ottanta, e si chiude con un lavoro del 2025. In tutti e tre i casi compare la figura umana, un elemento raro nelle opere di Rampinelli: Impronta (1985) e Angeli (1990), entrambe a tecnica mista su base litografica, e L’uomo e la montagna (2025), in tecnica mista su carta antica.
Nel mezzo, venticinque anni di lavori che evidenziano come la ricerca di Rampinelli, tanto nelle incisioni quanto nei dipinti, sia esteticamente ispirata a Piero della Francesca e alla pittura quattrocentesca italiana, ma anche alla lirica metafisica di De Chirico, Carrà e Morandi.
La natura morta è uno dei temi predominanti nell’opera di Rampinelli. Le sue composizioni con oggetti, frutti e fiori raccontano le ragioni più profonde della sua ricerca artistica, che scorre sempre attraverso la vita. Opere che mantengono atmosfere silenziose e sospese, pur immergendosi nella realtà quotidiana, ma che riescono a sfuggire alla banalità del quotidiano, arricchendosi di una dimensione magica e, talvolta, metafisica. Gli spazi che ospitano questi oggetti e il rigore con cui sono realizzate le opere riflettono la formazione dell’artista a Urbino, sotto la guida dei maestri Renato Bruscaglia e Carlo Ceci.
Un esempio di questa influenza è la serie delle Urne (2020), in cui il rigore matematico delle prospettive e l’armonia geometrica delle forme sono accompagnati dal calore tattile delle superfici. Altre opere, come Ciotola nera e vasi (2023) e Conchiglie remote (2016), mostrano lo stesso approccio formale e di sintesi, mentre la serie Classico (2024), con la testa marmorea, suggerisce una continuità con la figurazione classica e una dimensione senza tempo.
Accanto alle nature morte, i paesaggi sono altrettanto significativi nella produzione di Rampinelli. Per lui, il paesaggio è una visione interiore, un sogno, una poesia che attinge alla tradizione romantica, trovando il suo alter ego nel filosofo americano Henry David Thoreau, la cui riflessione sulla natura, pur romantica, conserva una straordinaria attualità, sospesa nel tempo, dove l’uomo è solo sottinteso, osservatore silenzioso.
Di fronte alle nature morte e ai paesaggi di Roberto Rampinelli, si percepisce che la leggibilità della sua opera risiede in una pittura d’emozione, non di soggetto, e che la dimensione straniante di solitudine nella quale l’artista si muove liberamente rappresenta lo spazio privilegiato della sua pittura e della sua poesia.
La ricerca di Roberto Rampinelli, tanto semantica quanto tecnica, è fortemente identitaria. Egli cerca di coinvolgere lo spettatore in un percorso riflessivo e creativo non convenzionale, cercando di suscitare stupore e, al contempo, disagio. Come scrive Patrizia Foglia nel suo testo in catalogo dal titolo L’ermeneutica della visione, le opere proposte da Rampinelli rispondono a un principio preciso: “Dare senso alle cose è dare senso alla nostra vita, non permettere che tutto passi in un istante fugace, ma consentire a esse di vivere a lungo, di partecipare della nostra contemporaneità. Non siamo abituati a ‘guardare’, non siamo abituati a fermarci incantati davanti alla natura e alla vita. Liberare gli oggetti, ma anche gli esseri umani, dal loro mero significato strumentale è un’operazione impegnativa. Ci viene allora in aiuto l’arte, ci soccorrono le opere di Rampinelli e la sua capacità ermeneutica di farci comprendere cosa si cela oltre le cose, al di là dell’orizzonte, oltre lo sguardo, dentro la visione”.
Finalmente un’ampia, documentata mostra incentrata su un artista, Giacomo Francesco Cipper (Feldkirch, 1664 – Milano, 1736) comunemente noto come il Todeschini (ma firmava i suoi quadri semplicemente come “Tedesco”) le cui opere sono patrimonio dei maggiori musei europei e delle più importanti collezioni d’arte antica, ma sul quale si continuano ad avere più interpretazioni – talvolta suggestive – che reali certezze. Con il titolo “Il teatro del quotidiano”, la mostra sarà al Castello del Buonconsiglio, a Trento, dal 12 aprile al 14 settembre, a cura di Maria Silvia Proni e Denis Ton. Riunisce opere provenienti da una grande raccolta privata milanese e da diversi musei italiani e stranieri e altri collezionisti.
“Non è una monografica pura – sottolineano i curatori – ma propone, accanto ad un vasto corpus di opere del maestro, attivo per lo più a Milano nei primi decenni del Settecento, diverse tele di artisti del contesto, in particolar modo lombardo, che hanno influenzato Cipper o da questi ne hanno tratto ispirazione: Antonio Cifrondi, Felice Boselli, Monsù Bernardo, il Maestro della Tela Jeans, Giacomo Ceruti. Con primizie assolute, come un inedito “Ritratto di pellegrino” di Ceruti e una versione poco nota della “Filatrice” di Pietro Bellotti. Accanto ai dipinti vengono esposti talvolta oggetti che aiutano a capire la concretezza e il legame del pittore con la cronaca e la materia: strumenti musicali, bussolotti da elemosina…”.
Di certo Giacomo Francesco Cipper o, alla tedesca, Zipper, fu un artista vulcanico. Dipingeva, con anticonformismo e libertà di tratto, scene di vita quotidiana, di cronaca vera. Popolani al mercato, contadini, ambulanti, vagabondi, mendicanti, zuffe o lezioni di musica, arti e mestieri, giocatori di carte e morra. Tutti protagonisti su un palcoscenico, quello della vita, dove ad essere rappresentata non è la desolazione ma la vitalità e il divertimento. C’è indubbiamente una vitalità quasi provocante nelle sue raffigurazioni che manca in altri: una tavolozza vivace, una spregiudicatezza nei soggetti e una simpatia nei confronti di alcuni personaggi, in particolar modo dell’infanzia. In queste sue “istantanee” Cipper riesce a cogliere ovunque un movimento e un sorriso, vita non tristezza. In ciò distinguendosi dagli altri pittori di “Pitocchi” e dallo stesso grande Giacomo Ceruti, che pur conosceva vivendo entrambi nello stesso quartiere di Milano. “Le scene di vita quotidiana e le nature morte di Cipper incontrano il gusto della committenza italiana ma non solo. Entrano così a far parte delle raccolte di molte grandi famiglie e casate, in area lombarda e italiana innanzitutto. Nonostante le scene umili, spesso i suoi committenti e collezionisti erano di rango elevato: attraverso le ricerche condotte per la mostra abbiamo scoperto che i suoi dipinti erano nelle gallerie della famiglia Colloredo (Governatore di Milano) e dei Clerici a Milano, di Pietro Mellarede a Torino, e nel Settecento quattro suoi quadri erano già nelle collezioni reali inglesi”, sottolineano i curatori. Una “Lezione di musica”, già nel Settecento nella residenza inglese di Richard Temple a Stowe sarà presente in mostra. Le sue invenzioni sono apprezzate anche in Austria e Germania, Cecoslovacchia, Polonia e persino in Russia. Sono dipinti che colpiscono per il loro realismo, per la capacità di racconto, quasi ad anticipare il moderno fotogiornalismo, ma anche per l’ironia, la benevolenza, la positività dello sguardo con cui l’artista coglie le situazioni. Cipper racconta la miseria ma non indulge sull’abbrutimento. Il successo porta l’artista a “riscrivere” i suoi dipinti e stimola altri artisti, meno fantasiosi e dotati, ad ispirarsi ad essi o copiarli. Per questo ancora oggi il mercato è invaso da opere attribuite al maestro, inquinandone la grandezza e la figura che questa importante mostra intende mettere correttamente a fuoco.
Ci sono artisti e canzoni di vario genere ed età nella rosa dei dieci finalisti della sezione Big del Premio Amnesty International Italia di Voci per la libertà, lo storico riconoscimento che va a brani sui diritti umani pubblicati da nomi affermati della musica italiana nell’anno precedente.
In lizza quest’anno ci sono:
Arisa con “Canta ancora” (Pippa / Barbera)
Assalti Frontali feat. Luca D’Aversa con “Il mio nome è Lala” (D’Aversa / Mascini)
Martina Attili con “Eva e Adamo” (Attili)
BigMama con “La rabbia non ti basta” (Mammone / Lazzerini / Botta / Brun)
Vasco Brondi con “Un segno di vita” (Brondi / Dragogna / Brondi)
Dargen D’Amico con “Onda alta” (Cheope / D’Amico / Roberts / Marletta / Fazio)
Ghali con “Casa mia” (Ghali / Petrella / Michelangelo)
Paolo Jannacci e Stefano Massini con “L’uomo nel lampo” (Bassi / Jannacci / Massimi)
Fiorella Mannoia con “Disobbedire” (Mannoia / Cheope / Simonelli / Colavecchio / Di Francesco / Simonelli)
Piero Pelù con “Scacciamali” (Pelù)
Le dieci canzoni sono state scelte da Amnesty e Voci per la libertà a partire dalle segnalazioni giunte dal pubblico e dagli addetti ai lavori.
Una selezione decisamente varia anche per le tematiche affrontate: bullismo, cittadinanza, discriminazioni, aborto, body shaming, conflitti, cambiamento climatico, migrazioni, sicurezza sul lavoro, diritto di protesta.
Nel frattempo sono ancora aperte le iscrizioni per la sezione Emergenti del Premio Amnesty International, con scadenza fissata per lunedì 7 aprile. Bando e scheda di iscrizione si possono trovare a questo link: https://www.vociperlaliberta.it/premio-amnesty-emergenti/
Le semifinali e finali si terranno live a Rovigo durante ‘Voci per la libertà – Una canzone per Amnesty’, lo storico festival che unisce musica e diritti umani, in programma quest’anno dal 18 al 20 luglio.
Nella giornata finale verrà anche consegnato il premio al vincitore della sezione Big. Ad assegnarlo sarà nelle prossime settimane una giuria composta da giornalisti, conduttori radiofonici e televisivi, intellettuali, addetti ai lavori del settore musicale, referenti di Amnesty International Italia e di Voci per la Libertà.
Nelle precedenti edizioni hanno vinto il Premio Amnesty, sezione Big: “Il mio nemico” di Daniele Silvestri (2003);“Pane e coraggio” di Ivano Fossati (2004); “Ebano” dei Modena City Ramblers (2005); “Rwanda” di Paola Turci (2006); “Occhiali Rotti” di Samuele Bersani (2007); “Canenero” dei Subsonica (2008); “Lettere di soldati” di Vinicio Capossela (2009); “Mio zio” di Carmen Consoli (2010); “Genova Brucia” di Simone Cristicchi (2011); “Non è un film” di Frankie Hi-Nrg MC e Fiorella Mannoia (2012); “Gerardo nuvola ‘e Povere” di Enzo Avitabile e Francesco Guccini (2013); “Atto di forza” di Francesco e Max Gazzè (2014); “Scendi giù” di Alessandro Mannarino (2015); “Pronti a salpare” di Edoardo Bennato (2016); “Ballata triste” di Nada (2017); “L’uomo nero” di Brunori Sas (2018); “Salvagente” di Roy Paci & Aretuska feat. Willie Peyote (2019); “Io sono l’altro” di Niccolò Fabi (2020); “Dalle mie parti” dei Negramaro (2021); nuovamente Carmen Consoli con “L’uomo nero” (2022); “Severodonetsk” di Manuel Agnelli (2023), “La mia terra” di Diodato (2024).
Dopo il clamore suscitato in tutto il mondo con “Io Sono” e “Davanti a te”, le prime due sculture immateriali vendute all’asta nel 2021 rispettivamente a 15mila e 28mila euro, Salvatore Garau torna a Milano dall’8 aprile all’11 maggio (dal lunedì alla domenica dalle 10.00 alle 19.00) allo Spazio Roseto di Corso Garibaldi 95 con la mostra “CORPO non CORPO”, curata da Milo Goj con testo critico in catalogo di Lóránd Hegyi.
Organizzata da Art Relation e promossa da Roseto e Jarvés in occasione della Milano Design Week 2025, a sottolineare una volta di più il legame fra impresa, arte e tessuto cittadino, l’esposizione presenta quindici tele di grande formato e due video, uno dei quali inedito, che raccontano nell’unione fra il corpo della pittura e il non corpo dell’immateriale l’interesse che l’artista ha sempre avuto per la materia e, allo stesso tempo, per lo spirito.
“Questo itinerario artistico” – precisa Rocco Roggia Amministratore Delegato di Roseto Srl – “si configura come una nuova opportunità di stimolare la creatività e arricchire l’anima collettiva. Passione e dedizione sono i principi alla base della nostra attività quotidiana e allo stesso tempo punti cardinali che orientano il nostro impegno nel mondo dell’arte”.
Una narrazione sulla presenza e l’assenza, sul visibile e sull’indefinito, tema già anticipato da Garau nella sua prima personale da Cannaviello nel 1984, con grandi tele nere allestite su pareti nere.
“Da una parte, dunque, una pura forma astratta, atemporale, trasparente” – come sottolinea nel suo testo in catalogo Lóránd Hegyi – “dall’altra una materialità sensuale, tangibile, imperscrutabile, soggetta a un permanente e intenso processo di trasformazione.”
Oggi, a oltre quarant’anni di distanza, quella stessa riflessione torna in una nuova forma poetica e plastica dove la separazione fra ciò che è fisico e ciò che è mentale si dissolve, suggerendo la realtà come una coesistenza dinamica fra materia e immateriale.
In un’epoca in cui la tecnologia e l’intelligenza artificiale dominano ogni aspetto della nostra vita, Garau ritiene che sia più che mai necessario riconoscere le peculiarità invisibili che ci rendono unici, speciali, e che neanche l’IA potrà mai replicare.
Un esempio significativo di questo contrasto è il videoAutoritrattodel 2022, presentato per la prima volta in questa mostra. Un ossimoro per eccellenza, un’opera immateriale che si rivela iperrealista, dove non è più l’artista a imitare il modello, ma è il modello a imitare l’artista. Un pensiero che, con estrema semplicità, coglie il senso profondo dell’esistenza.
Le quindici opere su tela e su teloni PVC riciclati provenienti dalle pubblicità dismesse, dominate soprattutto dal verde e dal viola sacrale, rappresentano invece la parte tangibile della mostra. Titoli come Università Immateriale di estrema Sapienza invitano a riprendere possesso della nostra immaginazione, senza la quale, sempre più, l’uomo si allinea al pensiero comune perdendo la propria indipendenza e umanità.
Con “CORPO non CORPO” Salvatore Garau espande il concetto di realtà, facendo sì che l’immateriale acquisisca una rilevanza pari a quella della materia stessa, un concetto che ci spinge a riflettere su come percepiamo il mondo e sulle infinite possibilità che si celano dietro l’apparire.
Salvatore Garau, nato a Santa Giusta (Oristano) nel 1953, si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1974. Dal 1976 al 1983 entra a far parte del gruppo di rock d’avanguardia degli Stormy Six. La prima personale è del 1984 nello Studio Cannaviello di Milano, seguiranno personali a Lugano, Losanna, Barcellona, San Francisco, Washington, Strasburgo, Londra. Due le presenze di Garau alla Biennale d’Arte di Venezia, nel 2003 e 2011. Negli ultimi anni ha esposto nei musei di Saint-Étienne, Cordoba, Brasilia, San Paolo, Montevideo. Nel 2017 ha scritto e diretto “La tela” docufilm girato in un carcere di Massima Sicurezza in Sardegna con la fotografia di Fabio Olmi. Nel 2019 ha girato un docu-thriller prendendo spunto dalle ultime opere “Futuri affreschi italiani” (Pale d’Altare per altri pianeti). I due film sono invitati e premiati in decine di festival in tutto il mondo. Nel 2021 la vendita all’asta delle opere immateriali “io sono” e cinque mesi dopo “Davanti a te” hanno creato accesi dibattiti in tutto il mondo.