“Giuliano” nella foto di scena del 21 febbraio 2017, reporter Favretto
Ignota la storia di Giuliano fino al lavoro messo in scena dal CTB, Teatro Stabile di Brescia. Ignota almeno a chi non avesse letto Gustave Flaubert nel suo “La leggenda di San Giuliano Ospitaliere” del 1877, narrata a partire dall’analisi delle vetrate della sua chiesa, la cattedrale di Rouen. Lì sono raccontate le gesta di un giovane medievale, assassino involontario e, come già altre storie raccontano, destinato ad un percorso di espiazione che lo porterà all’onore degli altari. La leggenda è narrata su due fasi temporali da Alessandro Mor e Alessandro Quattro, entrambi impegnati anche nella drammaturgia. Mor e Quattro hanno disposto la storia, infatti, sia nel presente della voce narrante, l’Ottocento non scevro di ricerche in documenti e archivi di tutto ciò che poteva diventare romanzo o trama teatrale, soprattutto se raccontava di uccisioni, di spettri, di quell’altro da sé che era il sé stesso, e il Medioevo del protagonista. E allora ecco, un novello Flaubert, che ci accompagna per le pieghe di una storia al limite del malato: Giuliano, addestrato alla caccia, scopre ben presto il piacere di uccidere e comprende, ragazzo disciplinato e originale, sveglio e riflessivo, che potrebbe uccidere anche chi ama. Fugge allora dalle sue pulsioni e scappa di casa, per diventare soldato. Dopo un lungo sonno sui suoi progetti di vita, eccolo a capo di schiere di militi ed eccolo capace di difendere chi ha bisogno del suo cuore e della sua spada. Riceve elogi e terre, potere e favori per la sua capacità di fare del nemico polvere. Poi sposerà la figlia di un sultano e capirà che potrà vivere, forse, una vita serena. Ma ecco, il destino è di nuovo dietro l’angolo.
Gli appaiono i vecchi genitori in un contesto ai limiti tra l’onirico e il reale e, per un equivoco, li uccide. Sarà questo compimento di un timore o forse la sublimazione del complesso edipico, che porteranno Giuliano a scegliere di camminare ancora, verso altre strade. Bravissimi gli attori in una performance che porta lo spettatore a riflettere su uccisioni odierne e, soprattutto, su quella strana voglia di sangue che ci troviamo appiccicata addosso grazie a serie di film, a giochi elettronici, a fatti sempre più efferati di cronaca. Lo spettacolo, che ha debuttato in prima nazionale lo scorso 25 febbraio a Brescia, al Teatro Santa Chiara-Mina Mezzadri, fa parte della rassegna teatrale “La palestra del teatro – Drammaturgie del presente”, promossa dal CTB allo scopo di lasciare il palcoscenico a giovani artisti talentuosi e di coinvolgere nuovo pubblico, creando occasioni di crescita civile. Scene e costumi, particolarmente adatti e interessanti, sono di Katya Santoro; il video, utile per la chiusa in modo particolare, di Enzo Ranzanici (luci di Sergio Martinelli e suoni di Edoardo Chiaf).
Lo spettacolo si è rivelato interessante, molto ben recitato, e capace di catalizzare l’attenzione del pubblico su un argomento storico e un percorso introverso ed esistenziale di spessore.
Da vedere.
(“Giuliano” nella foto di scena del 21 febbraio 2017, reporter Favretto)
Alessia Biasiolo