Grande Teatro a Verona

Prenderà il via martedì 25 novembre la stagione 2014-2015 del Grande Teatro, organizzata dal Comune in collaborazione con il Teatro Stabile di Verona. Il cartellone è stato presentato dal consigliere comunale incaricato alla Cultura Antonia Pavesi e dal direttore artistico della rassegna Gianpaolo Savorelli. Presenti il vicepresidente e assessore alla Cultura della Provincia Marco Ambrosini, il direttore del Teatro Stabile di Verona Paolo Valerio e il responsabile delle Sponsorizzazioni Unicredit Remo Ballini. Il cartellone prevede 8 spettacoli per un totale di 48 serate al Teatro Nuovo, dal martedì alla domenica, fino al 29 marzo 2015. “Anche quest’anno – ha detto Pavesi – torna uno degli appuntamenti più attesi dalla città, una rassegna di altissimo livello che, giunta alla ventinovesima edizione fa parte della storia della cultura di Verona”. “Otto titoli di grande qualità – ha spiegato Savorelli – che sapranno coniugare autori classici ad autori contemporanei, con interpreti di richiamo nazionale. Dopo il successo dello scorso anno, e il grande seguito del pubblico, manterremo anche quest’anno inalterati i prezzi e le offerte per i giovani”. La rassegna si aprirà con lo spettacolo “Enrico IV” di Luigi Pirandello in scena da martedì 25 novembre a domenica 30 con Franco Branciaroli nel duplice ruolo di protagonista e regista dell’allestimento proposto dal CTB Teatro Stabile di Brescia in collaborazione con il Teatro degli Incamminati. Seguirà dal 16 al 21 dicembre “Il giardino dei ciliegi” di Anton Cechov proposto dal Teatro Stabile di Napoli e dal Teatro Stabile di Verona, per la regia di Luigi Fusco. Il 2015 si aprirà all’insegna di Eduardo De Filippo con “Sogno di una notte di mezza sbornia”, in programma dal 13 al 18 gennaio, con Luca De Filippo protagonista, la regia di Armando Pugliese e la produzione di Elledieffe. Dal 27 gennaio al 1° febbraio sarà il Teatro Stabile di Verona a proporre il testo di Daniel Glattauer “Le ho mai raccontato del vento del Nord” con Chiara Caselli e Paolo Valerio, interprete e regista. Seguirà dal 10 al 15 febbraio “Il Visitatore”, di Eric-Emmanuel Schmitt, per la Golden Art Production, con Alessandro Haber e Alessio Boni; regia di Valerio Binasco. Dal 24 febbraio al 1° marzo sarà il turno de “La scuola” di Domenico Starnone, portato in scena dal Teatro Nuovo in collaborazione con La Pergola; Silvio Orlando e Daniele Luchetti rispettivamente protagonista e regista della pièce. Il penultimo appuntamento, in cartellone dal 10 al 15 marzo, sarà “Don Giovanni” di Molière interpretato da Alessandro Preziosi, anche regista dello spettacolo, con Khora Teatro e Teatro Stabile d’Abruzzo. Ultima rappresentazione sarà “La gatta sul tetto che scotta” di Tennessee Williams, in scena dal 24 al 29 marzo, nell’allestimento della compagnia Gli Ipocriti; protagonisti Vittoria Puccini e Vinicio Marchioni, diretti da Arturo Cirillo. Come nelle passate edizioni, nei giovedì di spettacolo i protagonisti del Grande Teatro incontreranno il pubblico nel foyer del Nuovo alle ore 17. Gli otto incontri saranno preceduti da altrettanti “inviti alla visione”, otto “aperitivi teatrali” a cura di Simone Azzoni. Tutte le informazioni sono disponibili sul sito del Comune di Verona e al numero 045/8077201.

Roberto Bolis

 

Buon Natale bambini

Il testo e il cd per la drammatizzazione del Natale. Si tratta di sei canzoni per vivere il Natale con i piccoli, in modo da insegnare loro a capire il senso profondo della festa più amata dell’anno. Le canzoncine sono di facile approfondimento e possono tramutarsi in un’occasione di crescita per tutti, adulti e bambini insieme. La canzone “Natale in famiglia” riscopre la tradizione di preparare l’albero con il papà, o il presepe con la mamma. Occasione non solo per trovare un passatempo per i piccini, ma perché la famiglia dedichi il tempo a se stessa e all’unione da ricreare giorno dopo giorno nel modo più semplice e partendo dai gesti più normali e spontanei. L’educazione dei bambini al Natale è un compito importante per chi crede, non deve semplicemente essere il ricordo divertente di gesti d’infanzia o la reminiscenza sterile di episodi trascorsi. Con il momento di sofferenza che il cristianesimo sta attraversando, deve essere un compito principale per tutti i cristiani credenti trasmettere la gioia dell’arrivo del Redentore come occasione di riscatto da tutte le cosiddette miserie accumulate durante un anno. Anche la “confusione” generata dal Natale, momento di arrivo di parenti e di incontri con gli amici, è un modo di insegnare ad assaporare anche lo scompiglio che qualcosa di nuovo provoca, la nascita non solo di un bambino, ma di qualcosa di nuovo nel nostro animo, da lasciare crescere fino a quando riusciremo a capire di cosa si tratta. Non manca “Il calendario dell’Avvento” o “Grazie Babbo Natale”, perché non si stanca mai e che dentro il suo sacco ha felicità, bontà, palloni e bamboline che sono l’ipotesi di ciò che i bambini diventeranno in futuro. Un Babbo Natale che scende ancora dal camino, anche se in molte case non c’è più, perché anche il tono fiabesco delle canzoni aiuta a ritrovare in sé quella magia che altrimenti non si ricreerebbe, magicamente, ogni anno, in quel solitamente magico mese di dicembre.

Il libretto con i testi delle canzoni e delle drammatizzazioni e gli spartiti musicali, viene venduto con il cd delle canzoni e le basi musicali.

Dolores Olioso: “Buon Natale bambini”, Paoline, Roma, 2013, pagg. 28; euro 17,50 con cd.

Alessia Biasiolo

Fiera nazionale del Panettone e del Pandoro

Il 22 e il 23 novembre 2014 a Roma, presso la Camera di Commercio – Sala Tempio di Adriano (Piazza di Pietra 147), nel cuore della Capitale,  la I.S. Idea Service S.C. e la G. E. O., agenzie specializzate nel marketing e nell’organizzazione di eventi, organizzano l’Edizione 2014 (Sesta Edizione) della Fiera Nazionale del Panettone e del Pandoro.

Dopo l’indiscusso successo dell’Edizione 2013 con più di 8.000 visitatori, l’organizzazione ha deciso di ripetere la Fiera nella Capitale.

Come di consueto durante la kermesse sarà prevista la degustazione dei prodotti delle aziende partecipanti che avranno la possibilità di presentare anche le novità di propria produzione.

Ma l’esperienza del visitatore, nell’Edizione 2014, non si esaurirà solo nella degustazione: ci sarà anche spazio per i consueti workshop aperti a tutti con argomentazioni interessanti.

Quest’anno l’organizzazione si avvale dell’importante collaborazione e del Patrocinio dell’Osservatorio Nazionale Permanente sulla Sicurezza che organizzerà, durante le due giornate, degli interventi dedicati alla sicurezza alimentare, anticontraffazione e sostegno al Made in Italy.

Inoltre l’organizzazione si accinge a ripetere la mostra fotografica sulla STORIA DEL PANETTONE E DEL PANDORO PER IMMAGINI  con immagini e pubblicità antiche che hanno fatto la storia dei due prodotti e del Natale Made in Italy.

La Fiera sarà l’occasione ideale di incontro tra domanda ed offerta con degustazione dei prodotti da forno soffici da ricorrenza e di altri prodotti della tradizione italiana natalizia.

Anche quest’anno l’Organizzazione si avvale dei due testimonial che seguono ormai da anni la manifestazione: F.lli Fiasconaro e Sal De Riso Costa D’Amalfi.

Il tempio di Adriano. Costruito nel 145 d.C. da Antonino Pio e dedicato all’imperatore Adriano, si tratta di una magnifica struttura di grande prestigio, indicata per eventi e manifestazioni di grande impatto scenico. L’ingresso principale e’ su Piazza di Pietra, deliziosa piazza pedonalizzata, anticamente il luogo in cui si trovavano le mura di cinta del Tempio. Lo spazio interno presenta le testimonianze delle sua storia: sia nelle colonne che ne segnano le pareti, che nei fori di fissaggio delle lastre di marmo che lo decoravano.

Quirino Martellini

 

 

Il sentiero dell’Illuminazione

In questo periodo dell’anno, normalmente, ci si dedica ad attività di approfondimento: corsi di lingue, lezioni d’arte, corsi di aggiornamento, lezioni di ballo, lezioni di ginnastica. Il pessimo tempo atmosferico e le di certo generali situazioni economiche, favoriscono la concentrazione su argomenti di arricchimento interiore e il lato positivo di una lunghissima crisi è che si ripiega spesso sui libri, passatempo poco costoso che apre un mondo denso di opzioni e di suggerimenti. D’evasione oppure di crescita personale. È il caso di un interessante testo sulla saggezza del Buddhismo, curato da Vincenzo Noja. Un libro che propone il distacco dalle situazioni contingenti, dai beni materiali, dalle preoccupazioni solite dalle quelli ci lasciamo solitamente invischiare, per guardare molto più in profondità di noi stessi, dei nostri veri desideri, delle nostre vere aspirazioni delle quali sole dovremmo preoccuparci. La nostra realizzazione viene spesso interpretata come la realizzazione di livelli economici, gradi sociali, eppure non è questo il nostro vero ruolo nella realtà. Pertanto, potere approfondire la conoscenza di una filosofia profonda e saggia come quella professata dall’Illuminato, può soltanto aiutarci a diventare migliori per noi stessi, e quindi con gli altri. Soprattutto in questo momento storico, la necessità di rivedere le proprie posizioni, i propri modi di agire e di sentire è indispensabile per uscire dall’invischiamento generale nel quale sembriamo finiti avendo perduto il punto di inizio di tutto. Il mondo ci chiama a cambiare e a farlo velocemente. L’asse terrestre si è spostato di molto in pochissimo tempo, le vibrazioni sono aumentate, dobbiamo lavorare su noi stessi per migliorare la situazione complessiva, perché soltanto cambiando noi in meglio possiamo sperare di cambiare ciò che ci circonda. Guardare al distacco non come momento di perdita e al momento fatidico nel quale lasciare tutto, ma come minore fragilità di fronte alle problematiche della vita. La pratica religiosa indicata da Buddha è il prendersi cura di sé e degli altri andando oltre il senso di separazione e riconoscendo l’origine dipendente di tutti i fenomeni. Dopo la sintesi sulla vita del Buddha, vengono proposti nel volume alcuni passaggi chiave della sua filosofia di vita con la proposta di alcuni suoi scritti, spiegandoli in maniera semplice, affinché siano efficacemente intuibili dal lettore. La bellezza della saggezza dell’Illuminato, sta nella semplicità del messaggio e nella possibilità che ciascuno lo possa tramutare in proprio, senza che gli sia fornito un dogma finito da accettare soltanto così com’è.

Interessante la purificazione della mente, sede di tutti i nostri mali come di tutto il nostro bene. “Il grande maestro Atisha”, si legge nel testo, “così insegnò: “Qualsiasi cosa percepite, qualsiasi cosa dichiariate, non c’è nulla che non provenga dalla vostra mente. … La meditazione è la continua concentrazione su tale saggezza senza distrazione alcuna”. E leggiamo ancora: “Non una madre, non un padre faranno tanto, né alcun altro parente; una mente indirizzata al bene ci renderà un servizio migliore”. Gli spunti interessanti sui quali riflettere sono molti, senza il peso della scrittura dogmatica. Il breve volume si legge senza fatica, eppure con la possibilità di meditarvi a lungo, senza sentirsene gravati.

A cura di Vincenzo di Noja: “La saggezza del Buddhismo”, Paoline, Milano, pagg. 160; euro 10,00.

Alessia Biasiolo

San Sebastiano. Bellezza e integrità nell’arte tra ‘400 e ‘600

 
È aperta presso il Castello di Miradolo, la grande mostra dedicata a San Sebastiano curata da Vittorio Sgarbi. A proporre la mostra-evento è la Fondazione Cosso, presieduta da Maria Luisa Cosso, nell’affascinante cornice del Castello di Miradolo, a pochi chilometri da Torino. Il Castello è un maniero neo gotico, da poco restaurato, immerso in uno dei più lussureggianti parchi romantici del Piemonte, ai piedi delle colline di Pinerolo, all’imbocco della Val Chisone e della Val Pellice. Per l’occasione della mostra al Castello di Miradolo, Vittorio Sgarbi e Antonio D’Amico hanno selezionato circa quaranta capolavori, dal Rinascimento al Seicento inoltrato, secoli in cui la storia dell’arte ci ha offerto grandi e straordinari capolavori. Il percorso prende avvio con Andrea della Robbia che modella l’anatomia del giovane Sebastiano con grande raffinatezza, levigando le membra con la terracotta invetriata. Si prosegue con uno sguardo nella Venezia del Quattrocento, dove Carlo Crivelli interpreta con grande suggestione, tra la laguna e le Marche, la figura di un giovanetto nudo e invaso dalle frecce. Sul suo viso compare la smorfia: è l’uomo del Rinascimento con le sue passioni e le sue aspettative sul mondo e nel futuro. Ludovico Carracci interpreta il secolo della grande Riforma Cattolica mostrandoci un atleta gentile che cita passi di danza e si muove leggiadro nei meandri della fede. Lo splendido paesaggio è la scena suggestiva che ospita la Vergine col Bambino e uno statuario Sebastiano, dipinto da Paris Bordon, che ci guarda e assiste silenzioso al mistico dialogo. Compagno ideale è il solitario e meditabondo San Sebastiano di Tiziano che proviene da una importante collezione privata americana e che giunge in Italia per la seconda volta. Il Seicento si apre con l’accesa armonia dei colori e le audaci forme che in Rubens, che da Anversa giunge in Italia, tra Mantova e Roma, trovano un risvolto leggiadro, suadente e delicato: il Rubens della Galleria Corsini di Roma esce dalla stanza dell’Alcova di Palazzo Corsini alla Lungara per la prima volta dopo tanti anni. Pittura tattile è quella del Seicento che mette in campo gli affetti con un inedito Guercino, di recente scoperto e custodito in una collezione privata americana e con l’altro, compagno ardito, della Galleria Nazionale delle Marche. L’aspetto della devozione è sublimata con Guido Reni che lega il bel Sebastiano a un albero in un’atmosfera calda, serale, intima, pregna di una Bologna in cui i dettami del Concilio di Trento, applicati dal Cardinale Gabriele Paleotti, sono ancora nevralgici e di forte attrazione e rispetto per gli artisti. L’ondata caravaggesca, poi, tocca un inedito culmine con un dipinto eccezionalmente dato in prestito dal Cardinale di Milano, che, appositamente studiato per la mostra, rivela accenti nordici con una straordinaria verità nel volto e nella posa dell’uomo “santo”. Gli echi caravaggeschi, poi, mostrano la passione con Ribera e l’ardita partecipazione al martirio con Nicolas Regnier e con l’affascinante Mattias Stomer dei Gerolamini di Napoli; accezioni preziose del caravaggismo internazionale. La narrazione ideale, di coinvolgimento emotivo, trova due capisaldi nel Mattia Preti di Capodimonte e nei Luca Giordano che cavalcano il Seicento e aprono il secolo successivo lasciandosi alla spalle la pittura di verità e la ritualità del vero. La mostra offre un excursus dentro quasi tre secoli, operando affascinanti confronti sul soggetto: il medesimo artista che adotta differenti soluzioni formali, pose e ambientazioni in anni ravvicinati letti da artisti diversi, materiali differenti e modellati per capirne cambiamenti e intenti devozionali e di fama della figura del santo da nord a sud. Un percorso che dalla seconda metà del Quattrocento giunge agli albori del Settecento, contemplando assoluti capolavori.

S.E.

 

 

The Jugde

Un interessante argomento sta alla base della sceneggiatura del film drammatico “The Judge”, nelle sale cinematografiche da ottobre. Su soggetto di David Dobkin e Nick Schenk e sceneggiatura di Nick Schenk e Bill Dubuque, per la regia di David Dobkin, scelto come film d’apertura del Toronto International Film Festival, vede nel cast Robert Duvall e Robert Downey Junior. Protagonista Henry Hank Palmer, avvocato di successo originario dell’Indiana che, figlio di un rigido giudice, ha lasciato il suo paesino per la metropoli dove è famoso per non avere mai perso una causa, anche se soprattutto in favore di criminali sicuramente colpevoli. Costretto a tornare a casa per il funerale dell’amata madre, ritrova le sue origini drammaticamente lasciate e si trova, suo malgrado, a dovere affrontare e cercare di superare i conflitti interiori e con il genitore. La malinconia e la nostalgia che accompagnano il viaggio di ritorno di Hank sono dovute al desiderio di ottenere, finalmente, la considerazione paterna, di quel giudice Joseph che l’ha allontanato da sé, rinchiudendolo in un riformatorio, perché temeva stesse prendendo una brutta piega. Quel giudice così severo con i figli e così comprensivo con i colpevoli, che cercava di aiutare, fino a quando aveva salvato da una pena severa un ragazzo poi colpevole dell’omicidio di una donna. I sensi di colpa attanagliano entrambi, padre e figlio. Il padre per non avere compreso il reo, vedendo in lui il figlio che non incontrava da anni; Hank perché aveva evitato di tornare a casa così a lungo da non avere più rivisto la madre fino al giorno del funerale, nella bara. Tornano alla memoria gesti, frasi, piccole complicità ormai perdute, proprio nel momento in cui Hank deve fare i conti con la sua coscienza e con un matrimonio fallito, immolato sull’altare del successo.

Torna il senso di colpa per avere rovinato la carriera di giocatore di baseball del fratello Glen (Vincent d’Onofrio), per avere guidato ubriaco ed avere causato un incidente nel quale erano rimasti coinvolti con definitive conseguenze per il congiunto. Ci troviamo davanti ad una commovente storia maschile, di rapporti padre/figlio raramente visitati e non tanto con il confronto con un padre capace, integerrimo, giudice della cittadina da quarantadue anni, quanto con il padre malato terminale, che perde la memoria, fragile nelle manifestazioni della malattia. Il figlio, ancora legato all’idea del padre forte che lo portava a pescare, si trova a dovergli essere padre a sua volta, scoprendo nel genitore atteggiamenti inattesi: la tenerezza verso la nipotina, impensabile in un uomo così severo (con alcune reminiscenze del piccolo Lord in versione femminile), la capacità di voler bene oltre ogni aspettativa. La comprensione messa in atto da parte del fratello maggiore, incapace di provare rancore, malgrado ne avesse ogni ragione, avvalora ancor più il senso di appartenenza. La dolcezza dell’atteggiamento di Glen che non solo ha perdonato il fratello minore Hank per avergli stroncato una promettente carriera, ma che si dimostra depositario di valori profondi, legati al concetto di famiglia, di bontà, di tolleranza, rendo il film unico. Aspetti diversi del maschile, interpretati da tre personaggi completamente diversi, eppure accomunati dal legame familiare, capace di non spezzarsi anche se deve affrontare una bufera o l’uragano che costringe nello scantinato. Il collante è il fratello minore Dale, ritardato, che continua a sorridere cercando l’affetto degli altri e per gli altri, anche quando tutto il male si scatena contro una famiglia provata dal dolore e dal lutto. La mancanza di memoria del padre anziano e malato è l’archetipo della mancanza di memoria per il passato, senza il quale, tuttavia, il presente non ha significato. Le figure femminili aleggiano sullo sfondo, ma mantengono un ruolo di sostegno e di conforto, senza entrare nella trama se non come pinza complessiva. La capacità della sceneggiatura di indagare sul rapporto tra uomini è forte, delicata. Il carattere virile impersonato dal giudice, dal braccio forte del giocatore di baseball, si stempera nello sguardo perso di Glen, costretto dalla vita a vendere pneumatici, oppure nelle pellicole di Dale, che grazie alla sua passione diventa fondamento dei ricordi familiari. Un atteggiamento già visto nel cinema americano quello della persona affetta da handicap che riesce a costituire una parte importante del vissuto presente e passato, dimensionando in modo fondante il carattere di chi, altrimenti, verrebbe soltanto visto con la necessaria, sterile, compassione sociale. Dale è l’occhio dello spettatore, la pazienza del suo tempo rallentato, eppure forse l’unico in grado di avere davvero un senso. Chi si occuperà di lui, una volta che il padre non ci sarà più? Ma in realtà, non è lui che si occupa degli altri, appoggiando la sua mano sulla spalla dei fratelli disperati? Il suo ruolo apparentemente defilato nella società in effetti costituisce la velocità esatta del tempo che scorre inesorabilmente. È lui il vero protagonista della storia familiare, lui che ricorda la mamma, i fratelli che scartavano i pacchi di Natale, che ricorda ai nipoti il lato bello della famiglia, che pensa alla morte con i santini in mano da distribuire ai partecipanti al funerale. Non è Hank il vero artefice della storia Palmer, con il suo irruente temperamento e la volontà di assomigliare al padre almeno un po’ e di ottenerne la considerazione e l’affetto, ma è Dale, realizzatosi senza strafare, anche davanti al gigante giudice. Hank ritrova la sua ragione di esistere nell’aula di tribunale che fu per anni del padre, scopre che Joseph in realtà gli voleva più bene di quanto volesse ammettere a se stesso. Tuttavia, la drammatica sdolcinatezza di questa trama sarebbe tale senza il vero motivo che costringe Hank ad affrontare la realtà, dandole in suo giusto contributo. Lasciata la casa paterna dopo il funerale della madre, Hank è costretto e tornarvi per prendersi carico della difesa del giudice dall’accusa di omicidio. Il giudice probabilmente ha investito con l’auto un uomo e l’ha ucciso. Ora è il giudice a trovarsi dall’altra parte della sbarra, è lui a dover provare quanto provato per anni ed anni da tanta gente che lui stesso ha giudicato. È lui a dovere fare i conti con una pubblica accusa spietata. Il suo potere si sbriciola perché, se tanti in paese lo ammirano, sono anche tanti a provare rancore nei suoi confronti. Finisce un’era, un potere, sotto i colpi del fato e della giustizia umana che non vuole guardare oltre l’apparenza. Che forse è anche la verità. E il figlio diventato bravo a difendere i colpevoli ora è il solo a poter salvare il padre dal carcere, pur nello scontro titanico tra il difensore a tutti i costi e l’integrità morale del giudice che ammette la colpa. Insomma, l’indagine magistralmente condotta sui rapporti interni al maschile familiare si arricchisce di temi fondanti della carriera, della costituzione della personalità di ciascuno in relazione e indipendentemente dagli altri. Un bellissimo film, molto ben strutturato, molto significativo. Da vedere.

Alessia Biasiolo

Luci sul ‘900

A cento anni dalla sua fondazione la Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti espone e racconta le sue collezioni del ‘900: “secolo di fervore innovativo, di strappi culturali (e non solo), di tragedie e di ricostruzioni, un secolo che nelle arti ha indirizzato una contemporaneità, la nostra del XXI secolo, profondamente modellata da quelle esperienze ereditate”(Cristina Acidini).

Per celebrare il centenario della sua fondazione la Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti ha voluto dedicare una mostra alle collezioni novecentesche possedute dal museo.

Infatti, nonostante la Galleria d’arte moderna sia nota soprattutto per essere il museo che vanta la più vasta e importante, storicamente e qualitativamente, collezione di dipinti macchiaioli al mondo, è probabile che non tutti conoscano l’interessante raccolta di opere novecentesche fino ad oggi relegata nei depositi.

L’esposizione tende quindi ad attrarre l’attenzione su questo museo nel museo, fino ad ora sommerso per insufficienza di spazi espositivi: “sono come le luci di un faro quelle che (…) si accendono e spengono sulle collezioni di questo museo: una sorta di percorso a corrente alternata che consente di poter far vedere le più significative selezioni di tutto il patrimonio (….)” (Simonella Condemi).

Racconteremo proprio attraverso questa mostra, grazie al suo taglio storicistico, i tempi e i modi che caratterizzarono le acquisizioni delle opere in Galleria così da evidenziare, attraverso le scelte operate nel corso dei decenni del secolo scorso, i fermenti culturali della Firenze di quel tempo.

Ma è più di una mostra, è la prova per un percorso museale di capolavori per lo più inediti del secolo scorso, che speriamo possano finalmente trovare, a conclusione dell’esposizione, una collocazione stabile nelle ultime sale di facciata della Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Come del resto è accaduto per le collezioni novecentesche del Comune di Firenze che con il nuovo Museo Novecento hanno trovato recentemente i loro spazi espositivi nel complesso delle Leopoldine.

Fu l’importante Legato al museo voluto nel 1896 dal critico Diego Martelli, sodale del movimento macchiaiolo, ad evidenziare la necessità che anche a Firenze, come già a Roma e Venezia, vi fosse una Galleria che presentasse al pubblico le proposte dell’arte moderna. La raccolta di opere di importanti esponenti dell’arte ottocentesca toscana, soprattutto macchiaiola, doveva quindi trovare degna collocazione in un percorso che comprendesse anche le novità delle correnti contemporanee.

Nel marzo del 1913 nelle sette sale della Galleria dell’Accademia di Firenze, il Direttore generale del Ministero, Arduino Colasanti inaugurava una prima modesta sezione degli spazi museali dedicati all’arte moderna che undici anni dopo, nel giugno 1924, sarebbe approdata a Palazzo Pitti nell’attuale sede. Le diverse provenienze delle opere che allora la componevano, consistenti soprattutto nei premi Accademici e nelle raccolte lorenesi e sabaude, erano già in grado di illustrare criticamente la lunga e complessa storia verso la fondazione museale; si trattò di fasi storiche che precedettero e prepararono la successiva stagione culminata con la Convenzione tra Stato e Comune di Firenze stipulata nel giugno 1914; rimaneva però ancora da individuare uno spazio espositivo adeguato ad una collezione in continua crescita.

Le donazioni di opere accolte, oltre agli acquisti allora effettuati finalizzati fin dall’inizio a comporre il percorso del futuro museo ci permettono di comprendere i criteri di scelta che vennero adottati da quella Commissione, tuttora vigente, che era stata istituita e giuridicamente prevista dalla Convenzione con l’incarico di accrescere, secondo precise indicazioni critiche, il patrimonio del museo.

Gli allestimenti e le scelte

Nella selezione delle opere esposte sono state scelte quelle dei principali interpreti della cultura figurativa italiana del ‘900: Felice Carena, Felice Casorati, Giorgio De Chirico, Filippo De Pisis, Gino Severini, Giuseppe Capogrossi, Guido Peyron, Ottone Rosai, che si alternano a quelle, prevalenti per quantità, degli esponenti del gruppo del “Novecento toscano” di Baccio Maria Bacci, Giovanni Colacicchi e degli altri sodali, vicini al clima della rivista Solaria ed al ritrovo canonico della cultura fiorentina, il caffè delle “Giubbe Rosse”, che resero la città negli anni Venti un fertile centro di incontro dei migliori artisti ed intellettuali italiani.

In mostra le opere acquistate alle varie edizioni delle Biennali veneziane tra il 1925 ed il 1945, alla Quadriennale Romana del 1935, e quelle, molto più numerose, comprate in sede locale presso la Società di Belle Arti di Firenze, ma soprattutto alle Sindacali Toscane, dedicate alla cultura figurativa regionale. Fra queste ricordiamo opere di Giovanni Colacicchi, Ottone Rosai, Alberto Magnelli, Oscar Ghiglia, Achille Lega, Ardengo Soffici, Lorenzo Viani, Libero Andreotti, Italo Griselli etc.

Oltre a questi ingressi non meno rilevanti erano quelli che giungevano grazie ai doni, testimonianza, con la loro crescente frequenza, di un rapporto sempre più stretto tra la Galleria d’arte moderna e la città.

Gli anni del dopoguerra furono caratterizzati da una stasi nell’attività di acquisizioni di opere da parte della Commissione; tuttavia a partire dal 1950, per i successivi venti anni, la Galleria aggiornò comunque le proprie collezioni del Novecento grazie all’ingresso delle opere premiate alle varie edizioni del “Premio del Fiorino”, che lo statuto della stessa manifestazione destinava al museo.

Queste opere, del resto, sono l’unica testimonianza efficace della cultura figurativa italiana di quegli anni e rappresentano un significativo incremento di dipinti dovuti alla mano di Felice Casorati, Filippo De Pisis, Primo Conti, Fausto Pirandello, Vinicio Berti, Fernando Farulli, Sergio Scatizzi, Corrado Cagli.

Rilevanti, poiché documentano un deliberato interesse della Commissione verso la contemporaneità, appaiono invece quegli acquisti conclusi, in via del tutto straordinaria, alla II° Esposizione Internazionale della Grafica del “Fiorino” del 1970: Burri e Jasper Jones.

Il percorso della mostra termina con la presentazione delle ultime acquisizioni volute dalla Commissione operate negli ultimi trenta anni della sua attività, dal 1985 ad oggi: tra queste Confidenze di Armando Spadini, la Mascherata di Mario Cavaglieri, già in collezione Longhi, e una bellissima Veduta di Grizzana di Giorgio Morandi, dedicata all’amico Ragghianti.

In occasione della mostra gran parte dei dipinti sono stati oggetto di restauro conservativo, ben 88 sul totale dei 120 esposti; campagna di restauro impegnativa sia sotto il profilo economico che di coordinamento, diretta dalla vicedirettrice della Galleria d’arte moderna Rosanna Morozzi.

Per completare il panorama delineato della mostra si è voluto riproporre nell’Andito degli Angiolini un’ampia selezione delle opere di grafica che vennero presentate nella celebre Esposizione Internazionale del Bianco e Nero tenutasi a Firenze nel maggio 1914 presso la Società di Belle Arti. D’altro canto, alla grafica si concedeva un confronto più ardito ed immediato con le novità internazionali. Questa sezione, che aprirà al pubblico in una fase successiva il 25 novembre, è curata da Rossella Campana con la collaborazione di Rosanna Morozzi e Giorgio Marini sotto la direzione di Simonella Condemi e documenta l’eccellente livello qualitativo e il respiro internazionale delle opere che furono presentate in quell’occasione.

L’articolata iniziativa espositiva, a cura di Simonella Condemi e Ettore Spalletti, come il catalogo che la correda, edito da Sillabe, è promossa dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana, la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, la Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, Firenze Musei, dal Comune di Firenze e dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze.

Luci sul ‘900. Il centenario della Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti 1914 – 2014

Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, Firenze

Fino all’8 marzo 2015

Barbara Izzo

Rivisitazioni/1. Burri incontra Piero della Francesca

Il centenario lungo della nascita di Alberto Burri entra nel vivo con due mostre di grande suggestione che pongono vis-à-vis il grande maestro del Novecento con due colossi del passato: Piero della Francesca e Luca Signorelli. Gli incontri avverranno attraverso due successivi appuntamenti, per dar conto di taluni fattori che, pur in personalità così diverse e lontane, non fosse altro che per le temporalità, si possono comunemente individuare. Lontane per tempi ed esiti iconografici le loro opere dunque, ma vicine geograficamente e per umori di tradizione culturale, poiché i tre artisti hanno vissuto e compiuto le loro esperienze nella stessa area dell’Alta Valle del Tevere. Inoltre, se la geografia da sola non è sufficiente a garantire assonanze e un comune sentire, in questo caso però è oggettivo che l’interesse di Burri nei confronti dei suoi conterranei, conosciuti sin dalla giovane età per la “prossimità” delle loro opere con Città di Castello, luogo natale e di prima formazione del maestro contemporaneo, non è risultata ininfluente sul suo percorso artistico. Il primo dei due appuntamenti è quello tra le opere di Burri e quelle di Piero della Francesca e lo si attua con una mostra di ‘masterpieces’ di Burri allestita nella Pinacoteca Civica di Sansepolcro, città di Piero. Per la circostanza saranno esposte le opere Sacco e Verde, 1956, Rosso plastica, 1962, Grande Bianco Cretto, 1974, Cellotex, 1975, in una sala appositamente allestita vicino alla Resurrezione, il San Ludovico, il San Giuliano e il Polittico della Misericordia di Piero della Francesca. Concepita come “visitazione laica” (dunque “RiVisitazione”) tra i due artisti, la mostra evidenzia idealmente il rapporto tra la pittura di Burri e quella di Piero della Francesca. “Un rapporto” chiarisce Bruno Corà, curatore della mostra insieme allo staff scientifico della Fondazione Burri, “che deve essere inteso idealmente per condivisione di registri, quali l’equilibrio delle forme e dello spazio, la tensione geometrica, il respiro classico e un forte amore per i luoghi natali”. L’evento, primo tra quelli dedicati al Centenario, a cura della Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri è promosso dall’Associazione Sbandieratori di San Sepolcro e dalla Pinacoteca Civica, con il patrocinio dei Comuni di San Sepolcro e di Città di Castello. In occasione dell’esposizione è prevista la preparazione di una pubblicazione che, oltre a raccogliere le immagini delle opere in mostra, reca alcuni significativi saggi storico-critici di Carlo Bertelli, Bruno Corà e Chiara Sarteanesi relativi all’importante scadenza. Il secondo incontro, avverrà a Morra (Perugia) nell’Oratorio di S. Crescentino, dove sono presenti alcuni affreschi di Luca Signorelli per la cui tutela e conservazione Burri si adoperò concretamente. Questa nuova iniziativa, in collaborazione con l’Associazione per la Tutela dei Monumenti dell’Alta Valle del Tevere, prevista per il maggio 2015 avverrà nella cornice di un convegno scientifico dedicato a “Burri e Signorelli”, ricco di contributi di studio e di documenti a testimonianza della significativa relazione tra i due artisti. Sansepolcro, Pinacoteca civica, fino al 15 marzo 2015.

Moncalieri Jazz

Diciassette anni di proposte musicali, e non solo, che hanno collocato la manifestazione tra le più originali, innovative e variegate del panorama nazionale e internazionale: questo è Moncalieri Jazz che torna puntualmente con un ricco calendario di avvenimenti e tematiche per soddisfare le esigenze degli amanti della musica di altissima qualità. Dopo le oltre 30.000 presenze nell’arco dei quindici giorni registrate lo scorso anno, l’edizione 2014 del festival punta ad incrementare ulteriormente l’affluenza, a giudicare dalla programmazione che anche quest’anno si svilupperà su un doppio binario: il primo, Aspettando il festival (fino al 15 novembre), rappresenta un ricco e variegato percorso di appuntamenti musicali e non, in collaborazione con enti, associazioni e locali cittadini; il secondo, il clou del Moncalieri Jazz Festival (fino al 15 novembre) prevede serate di grandi ospiti con concerti che si svolgeranno tra le Fonderie Teatrali Limone, il Castello Reale di Moncalieri il Teatro Matteotti alla presenza di musicisti jazz italiani ed internazionali. Gli appuntamenti ancora previsti sono stasera, nella sede della Famija Moncalereisa, alle ore 21 – sul tema “Un Moncalierese per Moncalieri” – il concerto Claudio Chiara with String Quartet and Rhythm, con Claudio Chiara (sax), Gianluca Tagliazucchi (pianoforte), Aldo Zunino (contrabbasso), Alfred Kramer (batteria) e il Quartetto d’Archi formato da Umberto Fantini (violino), Massimiliano Gilli (violino), Maurizio Redegoso kharitian (viola) e Manuel Zigante (violoncello).

Si continua il 9 novembre alle 21 al Teatro Matteotti con The Golden Circle che vedrà suonare insieme, con sonorità timbriche innovative ed ispirati dal disco live leggendario di Ornette Coleman realizzato a Stoccolma, Rosario Giuliani (sax), Fabrizio Bosso (tromba), Enzo Pietropaoli (contrabbasso) e Marcello Dileonardo (batteria).

Giovedì 13 novembre, alle Fonderie Teatrali Limone dalle 20:30, ci saranno una serie di concerti e di musicisti che, sul filo conduttore del festival, daranno vita a una serata davvero unica. In collaborazione con Piemonte Jazz, la serata inzierà con l’Italian Sax Ensemble – Fulvio Albano, Claudio Chiara, Valerio Signetto, Andrea Tonso, Helga Plankensteiner (saxofoni), Fabio Gorlier (pianoforte), Alessandro Maiorino (contrabbasso), Adam Pache (batteria) – a cui seguiranno i Messenger Piemonte Jazz – Fulvio Albano, Diego Borotti (saxofoni), Massimo Faraò (pianoforte), Davide Liberti (contrabbasso), Gianni Diaferia (batteria) – e, a conclusione, il Paolo Porta trio – con Paolo Porta (saxofono), Alessandro Maiorino (contrabbasso), Alessandro Minetto (batteria) e i saxofonisti Fulvio Albano, Luca Biggio, Diego Borotti, Claudio Chiara, Gigi Di Gregorio, Alfredo Ponissi, Paolo Porta, Valerio Signetto e Gianni Virone.

Venerdì 14 novembre altra grande serata di musica con il doppio concerto alle Fonderie Teatrali Limone dell’Emanuele Cisi quartet formato da Emanuele Cisi (Sax Tenore), Bjørn Vidar Solli (chitarra), Marco Micheli (contrabbasso) e Adam Pache (batteria), featuring Bjørn Vidar Solli. Nella seconda parte della serata, continuando il consueto spazio dedicato a I GIGANTI DEL JAZZ ci sarà l’unico concerto italiano del Kenny Garrett quintet  (Poll Winners 2014), con Kenny Garrett (Sax alto e soprano), Vernell Brown (pianoforte), Corcoran Holt (basso acustico), McClenty Hunter (batteria)e Rudy Bird (percussioni).

Ultima serata alle Fonderie Teatrali Limone vedrà due grandi concerti di due tra i massimi sassofonisti italiani: nel primo si esibirà il Piero Odorici & George Cables trio featuring Victor Lewis con Piero Odorici (sax tenore), George Cables (pianoforte), Darryl Hall (basso), Victor Lewis (batteria); la seconda parte vedrà un musicista affezionato e molto legato al festival di Moncalieri, Francesco Cafiso (ambasciatore del jazz italiano nel mondo) col suo sestetto formato da Francesco Cafiso (alto sax), Giovanni Amato (tromba), Humberto Amesquita (trombone), Mauro Schiavone (piano), Giuseppe Bassi (bass) e Roberto Pistolesi (drums).

Moncalieri Jazz Festival consolida così la leadership di festival più innovativo ed importante a livello regionale e si pone, a livello nazionale ed internazionale, come uno delle manifestazioni jazz in cui esibirsi diviene sinonimo di crescita artistica.

 

Elisabetta Castiglioni

Libia, la legge delle armi

Secondo un rapporto diffuso da Amnesty International, le milizie e i gruppi armati che si stanno scontrando nella Libia occidentale stanno commettendo gravi abusi, compresi crimini di guerra. Il rapporto, intitolato “La legge delle armi: rapimenti, torture e altri abusi da parte delle milizie nella Libia occidentale”, fornisce prove di esecuzioni sommarie, torture e maltrattamenti dei detenuti e attacchi dei gruppi armati contro la popolazione civile sulla base dell’origine e della presunta affiliazione politica. Le immagini satellitari che accompagnano l’uscita del rapporto di Amnesty International mettono inoltre in evidenza il profondo disprezzo per le vite dei civili da parte di tutte le fazioni coinvolte negli scontri, con razzi indiscriminati e colpi di artiglieria diretti contro aree abitate che hanno danneggiato case, edifici civili e strutture mediche. “Nella Libia di oggi sono le armi a dettare legge. I gruppi armati e le milizie, ormai fuori controllo, lanciano attacchi indiscriminati contro i centri abitati e si rendono responsabili di gravi abusi, compresi crimini di guerra, nella completa impunità” – ha dichiarato Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. I capi delle milizie e dei gruppi armati hanno il dovere di porre fine alle violazioni del diritto internazionale umanitario e di dire chiaramente ai loro subordinati che crimini del genere non verranno tollerati. Se non lo faranno, potrebbero essere chiamati a risponderne alla Corte penale internazionale. Tra i gruppi armati e le milizie ritenute responsabili di gravi abusi dei diritti umani figurano la coalizione Alba libica, composta da gruppi di Misurata, Tripoli e altre città della Libia occidentale e la Zintan-Warshafana di cui fanno parte gruppi provenienti dalle due regioni. Le immagini satellitari ottenute da Amnesty International mostrano danni ingenti a proprietà civili nella regione di Warshafana, compreso l’ospedale di Al-Zahra. L’unità di terapia intensiva dell’ospedale di Zawiya è stata centrata da un razzo che ha causato il ferimento di 10 persone tra medici, infermieri, pazienti e visitatori. “Compiere attacchi indiscriminati e prendere di mira strutture mediche sono atti proibiti dal diritto internazionale e possono costituire crimini di guerra. Ciò nonostante, tutte le parti in conflitto hanno lanciato razzi grad e hanno usato l’artiglieria per colpire centri densamente popolati” – ha sottolineato Sahraoui. Rapimenti, torture e altri maltrattamenti   Decine e decine di civili sono stati rapiti dai gruppi armati a Tripoli, Zawiya, Warshafana e nei centri dei monti Nafusa e tenuti in ostaggio anche per due mesi in un’ondata di azioni di rappresaglia basate sulla residenza o sulla presunta affiliazione politica delle vittime e, in alcuni casi, per effettuare scambi di prigionieri, una prassi diffusa sin dall’inizio del conflitto, che risale al 13 luglio. Abitanti di Tripoli originari della zona di Zintan hanno riferito ad Amnesty International che i miliziani di Alba libica hanno effettuato vere e proprie cacce all’uomo, porta a porta, sequestrando persone sulla base della loro appartenenza tribale o presunta affiliazione politica. La stessa milizia ha compiuto raid, distruzioni, saccheggi e incendi di case e altre proprietà civili come le fattorie nella zona di Warshafana. Quando vengono perpetrati nel corso di un conflitto armato, la tortura e i trattamenti crudeli costituiscono crimini di guerra, così come la cattura di ostaggi o la distruzione e l’impossessamento di proprietà di un avversario, a meno che queste ultime azioni non siano imperativamente richieste da una necessità militare. “Tre anni di impunità garantita alle milizie hanno rafforzato il potere di queste ultime e la convinzione di essere al di sopra della legge” – ha commentato Sahraoui. “Se i responsabili dei crimini non saranno chiamati a risponderne, la situazione è destinata a precipitare ulteriormente”. La comunità internazionale ha ampiamente chiuso gli occhi di fronte agli anni di caos seguiti alla rivolta del febbraio 2011, nonostante la Corte penale internazionale potesse esercitare sin da allora la sua giurisdizione per indagare su crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Sulla base di una risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza ad agosto, nei confronti dei responsabili di violazioni dei diritti umani in Libia possono essere adottate sanzioni come il divieto di viaggio e il congelamento dei beni finanziari. Molte persone sequestrate hanno detto ad Amnesty International di essere state sottoposte a maltrattamenti e torture con tubi di plastica, bastoni, sbarre o cavi di metallo, scariche elettriche, così come di essere state forzate a stare per ore in posizioni dolorose, bendate e incatenate per giorni, private di cibo e acqua e costrette a sopportare misere condizioni sanitarie. Un autista di camion rapito da un gruppo armato di Warshafana perché proveniente dalla città di Zawiya ha raccontato di essere stato picchiato con una sbarra di metallo e sottoposto a scariche elettriche. Poi i rapitori hanno versato benzina sul suo corpo minacciando di appiccare il fuoco. Ahmad Juweida, un miliziano di Warshafana, è stato rapito da una milizia di Nalut mentre si stava recando in Tunisia per ricevere cure mediche. È stato ucciso in modo sommario, a quanto pare con un colpo alla nuca. Amnesty International ha sollecitato tutti i gruppi armati e le milizie a rilasciare immediatamente e senza condizioni chiunque sia stato rapito unicamente sulla base dell’origine o dell’affiliazione politica. Tutti i detenuti, soprattutto i combattenti che sono particolarmente a rischio di tortura e di uccisione sommaria, devono essere trattati con umanità nel rispetto del diritto internazionale umanitario. I capi delle milizie e dei gruppi armati devono comunicare ai loro sottoposti che la tortura e i maltrattamenti non saranno tollerati ed espellere dalle loro file chiunque sia sospettato di tali azioni. Secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, da luglio almeno 287.000 persone hanno lasciato le loro case a seguito degli attacchi indiscriminati o per il timore di essere presi di mira a causa della loro origine etnica o presunta affiliazione politica. Altre 100.000 persone hanno lasciato la Libia temendo per la loro vita. Decine di giornalisti, attivisti della società civile e difensori dei diritti umani sono a loro volta fuggiti dal paese o sono entrati in clandestinità a seguito dell’aumento degli attacchi e delle minacce da parte delle milizie. I componenti del Consiglio nazionale per le libertà civili e i diritti umani, l’istituzione nazionale libica per i diritti umani, sono stati minacciati e intimiditi da miliziani affiliati alla coalizione Alba libica. Amnesty International ha intervistato 10 operatori dell’informazione che hanno lasciato la capitale Tripoli o, in alcuni casi, il paese temendo di essere uccisi. Sono stati presi di mira anche gli uffici e i giornalisti di Al-Assema Tv e Libya International Tv. Secondo Reporter senza frontiere, nei primi nove mesi del 2014 sono stati presi di mira almeno 93 giornalisti. Stessa sorte per gli sfollati tawargha, a lungo sospettati da molti libici di aver sostenuto l’ex leader Gheddafi, vittime di rapimenti a partire da agosto e di attacchi per rappresaglia contro uno dei loro campi profughi.

Amnesty International Italia