Nell’ambito della Rassegna Altri Percorsi, TIB Teatro, I Teatri del Sacro, Fondazione Teatro delle Dolomiti, ha presentato a Brescia, al Teatro Sociale, “Passione”, tratto dal romanzo “Passio Laetitiae et Filicitatis” di Giovanni Testori; un progetto di Daniela Nicosia che ha curato anche l’ottima regia. Protagonisti Maddalena Crippa per la prima volta in scena con il fratello Giovanni. Un’ora e mezza di attenzione per un testo interessante, spesso, carico di pathos e mai pesante, scadente, volgare. I due attori in scena, trovandosi anche a rappresentare fratello e sorella, ma poi uomo e donna, uomo che impone il volere ad una donna e la condanna, ma anche la esalta provandone pena ed un insospettabile rispetto, proprio quando sembrava destinata solo alla condanna eterna, sono stati di rara bravura.
La scena è piena di vita, di amore, di pena, di voglia di vivere e tutto questo grazie ad una superba interpretazione dei due Crippa, mentre una serie di corde permette un cambio scena inusuale, che poi diventerà la croce, da portare da parte dei protagonisti, della protagonista o dell’umanità, tutta in uno.
Affermava Testori: “In qualunque rapporto d’amore c’è una tristezza sconfinata, tuttavia, se questa tristezza viene accettata e accolta con carità, in primis come parte della coscienza di sé, allora diventa dramma, e può offrire qualcosa agli altri”. E questo per una ragazzina che si invaghisce del fratello, fantasticando sulle loro differenze sessuali e sulla sua modalità di scoprirsi adulto, mentre piano piano si rende conto della Duità che la contrappone al maschile, lei Felicita senza l’accento sulla a, ma che vuole mettercelo, trovando la sua strada di persona, l’amore, la realizzazione, la comprensione per quello che è dentro.
La disaccentuata è, infatti, alla disperata ricerca di un amore che non sa cosa sia davvero, ma lo sente dentro, nascere a poco a poco, crescere, mutare. Prima è l’infatuazione per il fratello, l’unico maschio che avesse come esempio e specchio, la persona che amava e le voleva bene, o almeno così credeva. Poi l’amore per un altro da lui e da lei, disilluso da una violenza; poi l’amore per l’Altro, il Cristo, e la decisione di farsi suora. Prendere i voti voleva dire sublimare il ricordo del fratello tanto amato e morto in un incidente di moto, schiantato a soli diciotto anni, come i suoi sogni di ragazzina. E quel fratello tanto assomigliava all’uomo in croce, mentre le tensioni sessuali si mescolano ad atteggiamenti devoti e a vera, spontanea per quanto inconscia ricerca di se stessa, anche attraverso l’amore per Dio. E proprio tra le mura dedite a Dio, ecco l’amore vero, carnale. Per un’altra monaca. E allora la perdizione, la condanna, e la schiacciante verità: malgrado le botte, le condanne, il senso di disprezzo, le due si amavano davvero. E davanti a quell’amore, non si poté fare altro, in un freddo mattino di caccia, che piegare le ginocchia e riflettere.
Un testo interessante, difficile e così carico di emotività che il pubblico si è fermato sospeso ad osservare, in un silenzio irreale, in un vortice nel quale è stato condotto per mano dai Crippa, così come condividevano le corde a guidare i pezzi di una croce che si è andata formando in noi e davanti ai nostri occhi di astanti, per portare a compimento un disegno che esula dalla normale capacità di comprensione razionale. Il dramma della solitudine interiore si materializza nella a accentata quando Felicita incontra Letizia e la gioia e la pienezza dello spirito diventano una tragedia. Pochi istanti di felicità per un lungo inferno, forse eterno. La vita è una Via Crucis che si staglia tra l’orizzonte e la croce che impera sempre, sul tavolino come nelle coscienze, mentre il gergo si fa mistico e blasfemo, dissacratorio e delicato, in una costante preghiera che rende Felicita e Letizia tanto più vicine a Dio quanto meno gli altri lo credono possibile.
I cacciatori che saranno testimoni del dramma delle due povere donne, quindi, saranno come i pastori davanti alla Grotta di Betlemme che, umili davanti all’Insondabile, si fermano e tacciono, non lasciando alle loro misere menti umane di commentare o rovinare il segreto immane dell’Amore racchiuso in un sonno ormai eterno.
Gli interrogativi posti da Testori sono tanti, mentre è evidente che l’abisso tra la grandezza divina e dell’Amore e gli esseri umani è così grande, da essere tangibile solo con il sentimento, non con la ragione. Il dialetto misto al latino rende il dialogato interessante, intrigante e tanto più vero di quanto il solo italiano avrebbe potuto essere. Maddalena Crippa ancora una volta impersona una, più voci; una, più donne, tanto da sintetizzarle tutte e non rappresentarne nessuna, perché ognuna può essere Felicita e il suo opposto. Comune a tutte il destino che le porta a dover sempre lottare per se stesse ed il proprio posto nel mondo, in una riflessione che diventa un lungo applauso a fine spettacolo.
La miseria della Brianza del tempo viene elevata a spirito così come si eleva la croce, e anche il concetto stesso di povertà diventa un’icona sulla quale pensare, senza moralismi e senza sentenze, aspetto più bello ed interessante dell’opera.
Da vedere.
Alessia Biasiolo
Ho avuto la fortuna di assistere a questo spettacolo, dei fratelli Crippa nella vita reale, e come dice la cronaca anche sul palcoscenico, uno spettacolo con la ESSE maiuscola, poichè l’interpretazione di entrambi è stata superbamente eccezzionale, non posso far altro che gli interpreti ci hanno dato tantissima PASSIONE. WILLEM