Resterà aperta fino al prossimo 20 dicembre, presso il bel Civico Museo Archeologico di Milano (Corso Magenta 15), la mostra dedicata al mondo dell’Antico Egitto dal titolo “Sotto il cielo di Nut. Egitto divino”. Si tratta di un interessante spaccato su una serie di reperti archeologici egizi in possesso dei fondi italiani, tra cui lo stesso Museo Archeologico milanese, e di cui spesso non si sa molto, con alcuni prestiti anche dal ben più noto Museo Egizio di Torino.
La mostra indaga la spiritualità degli antichi e le caratteristiche principali sotto questo punto di vista degli antichi abitanti delle rive del Nilo, colti, evoluti e capaci di trasmettere fino a noi oggetti di incommensurabile raffinatezza.
Stele dedicata a Ra-Horakhty, calcare, XVIII-XIX dinastia (c. 1550-1186 a.C.) da Deir el-Medina. Torino, Museo Egizio
Tanto che gli antichi egizi sono sempre stati ammirati per la loro intensa conoscenza del divino e il rapporto con il sacro, come veniva rappresentato e immaginato al tempo. Gli studi portano a pensare che la capacità di sintetizzare l’immagine del sacro, tramutando in tale anche il faraone divinizzato oppure le persone che ruotavano a lui intorno, immortalando gesta e volti nelle pitture murali, nelle pitture dei sarcofagi e nelle preziose piramidi, derivasse dai predecessori. Pertanto in Egitto si poteva rinvenire il crogiolo di una civiltà che deposita i suoi pensieri nella notte dei tempi. È lì che indaga la mostra, nella notte in cui Nut, la dea del cielo, andava a riposare per rigenerarsi e tornare sulla terra dopo il buio. Gli oggetti che ci meravigliano ancora dell’Antico Egitto, soprattutto quelli nelle tombe, non sono soltanto oggetti di bellezza, suppellettili voluttuari, ma sono segno di un percorso altamente spirituale del quale si cercano le tracce. Nell’Egitto antico non esisteva un unico mito della creazione, ma varie tradizioni che si sono sviluppate in varie località: come accaduto in altre parti del mondo, questo testimonia una ricerca che è innata nell’essere umano, cioè chiedersi chi è, perché è e che senso ha la sua presenza sulla terra. In ogni caso, tutto riporta ad un’origine divina da un Caos. Il divino come generatore, quindi. L’entità primordiale egizia era Nun, un magma che però non è scomparso con la nascita del cosmo, ma rimane ad esso intorno per minacciarne la sopravvivenza. La creazione pertanto non è un evento fatto e finito, ma si ripete, si rigenera costantemente. È appunto per questo che ogni giorno il sole va a dormire e muore, per essere generato nuovamente dalla dea Nut, dopo avere percorso il mondo sotterraneo occupato dalle forze distruttrici. Per questo motivo, spesso la dea Nut veniva dipinta all’interno dei coperchi dei sarcofagi che contenevano le mummie dei defunti. Dei e uomini devono lavorare insieme per cercare di mantenere l’equilibrio tra le forze del bene e del male, che per gli Egizi erano le forze della generazione e quelle della distruzione personificate nella dea Maat, colei che manteneva l’ordine cosmico. Il faraone, a sua volta, aveva il compito di garantire la giustizia e di essere un intermediario tra il divino e l’umano. La divinizzazione completa del faraone sarebbe avvenuta soltanto alla sua morte, quando nell’aldilà si sarebbe unito agli dei.
Coperchio del sarcofago di Peftjauauiaset, legno di tamerice stuccato e dipinto, XXV-XXVI dinastia (712-525 a.C.), provenienza ignota. Coll. Biblioteca Braidense
Le opere esposte sono più di 150, provenienti, oltre che dai Musei citati, dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze, da quello Civico Archeologico di Bologna, dal Museo di Archeologia dell’Università di Pavia e dal Civico Museo di Antichità “Winckelmann” di Trieste.
Pertanto troviamo molti oggetti assolutamente interessanti che, nella seconda sezione della mostra, dimostrano la complessità degli dei egizi, rappresentata dalle forme antropomorfe e da quelle teriomorfe (di animali), con anche forme ibride (umani con testi di animali o animali con teste umane). Le forme degli dei, così varie, denotano come fosse chiaro agli egizi che non sarebbe stato possibile per l’uomo conoscere appieno l’universo degli dei. Interessanti in questa sezione le mummie di animali come il falco, il gatto, il pesce siluride, o piccoli coccodrilli. Il dio coccodrillo Sobek, signore delle acque, era uno degli dei maggiori nel pantheon egizio. I reperti provengono dall’Egitto faraonico tardo, intorno al I millennio a.C., fino alla successiva era tolemaico-romana (IV sec. a.C.-II sec. d.C.).
Mummia di falco, provenienza ignota, VII sec. a.C. – III sec. d.C., Museo Archeologico Milano
Interessante notare quanto gli egizi credessero nella possibilità di avere un rapporto personale con la divinità, non affidandosi soltanto quindi a sacerdoti e al faraone come intermediari. Pertanto, per ricevere il favore divino, la protezione, invocare aiuto, si potevano avere numerosi oggetti che servivano anche per le arti magiche. La magia al tempo era vista come positiva, azione scaturita dalla creazione e pertanto necessaria ancora agli uomini per agire. I riti magici divennero quindi parte della pratica religiosa.
Pyramidion del sacerdote Nes-Nebu-Hotep, calcare inciso e dipinto, XXVI-XXX dinastia (664-304 a.C.), provenienza ignota
Infine, la speranza di morire in condizioni tali da essere assurti alla vita eterna tra gli dei. Al tempo sia uomini che animali, tanto quanto i faraoni, potevano pensare di essere ammessi all’oltretomba e alcuni particolarmente meritevoli sarebbero diventati divinità a loro volta. Osiride, ad esempio, è morto per rinascere nell’aldilà sotto nuova forma. Per giungere degni nel regno dei morti, erano necessarie buone pratiche di imbalsamazione e il culto funebre era di massima importanza. Così il defunto poteva pensare di trasformarsi in un essere luminoso, detto akh, per essere ammesso tra gli dei. Il viaggio del defunto verso l’oltretomba è sottolineato nella mostra con numerosi reperti ricchi d’interesse, come le steli funerarie, gli ushabti, il sarcofago e la mummia di Peftjauauiaset, il papiro forse proveniente da Tebe del Libro dei Morti del sacerdote e scriba reale Hornefer, di cui si conserva solo una parte lunga 6,5 metri, per fare solo alcuni esempi. Per conoscere meglio il rituale funerario dell’Antico Egitto, l’applicazione interattiva 3D Pervival all’interno del percorso di visita.
La mostra è assolutamente da visitare, cogliendo l’occasione così di conoscere, visitando le altre sale, anche il bel Museo che la ospita.
La mostra è aperta dal martedì alla domenica dalle 9 alle 17.30 (ultimo ingresso alle 16.30), ed è compresa nel biglietto di ingresso al museo (intero 5 euro e ridotto 3 euro per le categorie previste).
Info (anche per verificare le aperture in emergenza Covid) www.museoarcheologicomilano.it
Alessia Biasiolo