L’epidemia di colera che ricorda Pellegrino Artusi in un suo aneddoto, colpì l’Italia a ondate successive nel 1854 e nel 1855.
Nel 1854 aveva colpito gli Stati sardi, parte della Lombardia e il Sud, mentre l’anno seguente colpirà tutta la penisola causando migliaia di morti.
Appena ci si rese conto di avere anche in Sardegna un caso di malattia, si formò una commissione medica che aveva lo scopo di coordinare le operazioni di soccorso e di studiare quel nuovo fenomeno patologico. L’eccessiva disponibilità ad ospitare in zone libere dall’infezione dei sassaresi immigrati, fece diffondere l’epidemia, almeno così pensò la popolazione alla morte per colera di uno dei sassaresi ospiti.
Il morbo si diffuse con una rapidità impressionante. A Ozieri ci furono casi di caccia all’untore, come da manzoniana memoria. Subito il paese sardo colpito dall’epidemia venne cordonato per impedirne l’accesso e l’uscita, in modo da circoscrivere il danno. I negozi vennero chiusi, tranne le spezierie e un caffè, e venne vietato il consumo di cocomeri, cetrioli e meloni, oltre che di ortaggi in genere, perché erano stati individuati come i principali responsabili del veicolo del morbo; le case degli ammalati vennero trattate a calce, per disinfettarle. Vietati i salassi a chi era nella prima fase della malattia, come pure l’esposizione dei cadaveri in piazza prima del funerale; ogni settimana si doveva sezionare un cadavere, evidentemente per studiarne gli effetti della malattia stessa.
I più colpiti erano i poveri, come spesso accadde, e in fretta si diffuse di nuovo, come già nella ricorrenti epidemie precedenti, il sospetto di veleni diffusi a scopo politico.
La stessa medicina ufficiale era divisa tra contagionisti e anticontagionisti, in aperta e aspra polemica tra loro, con tanto di battaglie tra le colonne di vari opuscoli medici e dando contraddittori consigli al governo in tema di misure da prendere per cercare di arginare il contagio.
Dalle colonne della “Gazzetta medica italiana”, ad esempio, Gaetano Strambio diffondeva le sue idee contagiste, contestate da Cavour che sollecitò il deputato e medico Angelo Bo, a controbattere l’assurda credenza della propagazione della malattia con un contagio ad arte.
In particolar modo, era credenza comune nella povera gente che fosse proprio il governo a volerla ammazzare tutta, attraverso i medici che avrebbero dovuto curarla.
(continua)
prof. ssa Alessia Biasiolo