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È trascorso un anno dalla scomparsa di suor Emanuela Biasiolo. La ricordano con affetto le Piccole Suore della Sacra Famiglia, gli amici, i parenti, tutti coloro che l’hanno conosciuta, anche solo di sfuggita. Indimenticabile il suo sorriso, la sua dedizione, il suo desiderio di essere una “piccola suora”. Proprio ciò che l’ha resa grande.
In questo triste momento, non si può che guardare in alto e vederla nell’azzurro del cielo che si specchia sul lago di Garda che lambisce Castelletto di Brenzone, il luogo in cui riposa e dove è iniziato il suo percorso di vita religiosa.
Con immenso, immutato e immutabile affetto. La mamma Ottorina, la sorella Alessia e Renato
La tragedia accaduta il 9 ottobre 1963 a Longarone, nel bellunese, costata la vita a circa duemila anime, ha tante storie di persone da ricordare e raccontare, perché di loro rimanga il senso di una vita, il ricordo costruito sulle loro vite spezzate in un attimo, nella sciagura annunciata ma mai abbastanza perché il monte Toc si facesse sentire prima, nell’animo, se non negli incartamenti e negli studi.
Tra le tante vite scomparse in quel “paesaggio lunare” come titolava il “Corriere del mattino” l’11 ottobre 1963, “portate non si sa dove, nascoste non si sa come, sepolte forse sotto una coltre di fango: o conficcate dalla violenza dell’acqua nei fianchi della montagna; o ancora affondate nel letto del Piave sotto quei sassi che l’acqua ora ricopre, appena increspata dalla leggera brezza d’autunno”, per le quali il cordoglio arrivava da tutto il mondo, da papa Paolo VI accanto al presidente della Repubblica Segni,ne sottolineiamo alcune in modo particolare.
Si tratta delle suore della scuola materna, inviate a Longarone dal padre fondatore delle Piccole Suore della Sacra Famiglia di Castelletto di Brenzone, il beato Giuseppe Nascimbeni, dal 9 marzo 1903. La richiesta era giunta da tale Protti che intendeva affidare alle suore le ragazze che lavoravano nella cartiera. In breve tempo aprì anche l’asilo, dapprima ospitato in alcune aule della scuola elementare, poi in una bella costruzione ampia, con mansioni dedite ai bimbi più piccoli che si aggiungevano a quelle di curare le tele di arredo della chiesa, di seguire le ragazze e i ragazzi dell’Azione Cattolica, le lezioni di canto, di catechismo, di taglio e cucito per le giovani. Le Piccole Suore erano amate e rispettate dalla popolazione, talvolta non facile, rude come a volte erano i monti e il vento che li sferzava, nel lavoro difficile che occupava le vite anche quando la Storia si abbatteva su di loro. Così era stato durante la prima guerra mondiale, quando la gente e le suore dovettero sfollare fino al 1919 e così si era ripetuto durante l’altra guerra mondiale, quando la mancanza di cibo e di libertà, fino alla crudele occupazione, aveva reso l’idea dell’inferno molto chiara già in vita.
Le consorelle che si prendevano cura delle anime e del reale del popolo di Longarone lo seguirono anche in quel frangente, quella sera del 9 ottobre. Tutte le suore sono state uccise dallo tsunami di quella tarda serata.
Erano la superiora e maestra d’asilo suor Gianluigia (al secolo Maria) Caldonazzi, nativa di Romagnano, in provincia di Trento, quarantasettenne e suora da 26 anni, riconosciuta con doti materne sia per i grandi che per i piccoli; suor Liantonia (al secolo Palmira) Valle di Fontaniva, in provincia di Padova, di 34 anni, di cui 18 nell’Istituto, assistente d’asilo vivace ed esuberante, entusiasta e sorridente, a Longarone soltanto dal maggio di quell’anno. Suor Lucina (al secolo Carla) Vincenzi, di San Zenone di Minerbe, in provincia di Verona, ventinovenne e suora da dieci anni, cuoca e addetta all’apostolato parrocchiale; infine suor Arcangela Soster di Creazzo, in provincia di Vicenza, di ventotto anni, di cui otto suora, anch’ella maestra d’asilo. Ciascuna di loro un mondo di speranze, di progetti, di familiari. Suor Arcangela Soster (al secolo Maria Luisa) aveva confermato i voti con la professione perpetua soltanto due mesi prima, il 6 agosto 1963 a Castelletto di Brenzone, dove aveva visto la mamma (poi presente ai funerali celebrati per tre delle quattro suore sempre a Castelletto il 14 ottobre seguente, con tumulazione presso il cimitero dell’Istituto), alla quale aveva confidato che sarebbe morta giovane, forse non pensando che la sua premonizione si sarebbe avverata soltanto due mesi più tardi. Di Longarone, dov’era stata assegnata, scriveva che era un posto molto bello, circondato da alte montagne che, se fossero cadute, lo avrebbero schiacciato. Uno scritto che riletto dopo la sua scomparsa sembrava molto più di una semplice descrizione.
Il suo corpo venne rinvenuto nel fiume Piave solo due giorni dopo il disastro, l’11 ottobre, con quello di suor Lucina Vincenzi: entrambe le salme vennero trasportate nel cimitero di Cadola di Ponte nelle Alpi, in provincia di Belluno, per il riconoscimento. La salma di suor Gianluigia venne rinvenuta, sembra, a Longarone lo stesso 11 ottobre e portata al cimitero di Pieve di Cadore. Le superiore erano accorse subito per cercare le martoriate consorelle e portarle in Casa Madre, sul lago di Garda, per dare loro degno luogo di riposo. Ne trovarono appunto tre, mentre soltanto il 19 ottobre, a San Zeno, riuscirono a trovare la salma di suor Liantonia rinvenuta anch’ella nel fiume Piave a Lentiai di Feltre soltanto il giorno prima; il funerale venne celebrato a Fontaniva, suo paese natale, per poi essere trasportata a Castelletto con le sorelle.
Altre Piccole Suore perdettero qualcosa e soprattutto qualcuno in quel triste momento.
Suor Giovanna Teresa de Bona era di Rivalta di Longarone e ha perduto i due fratelli, maestri elementari, e una sorella con le rispettive famiglie per un totale di sedici persone; suor Pieralma Sommariva era di Villanova di Longarone e con la mamma e i sei fratelli ha perso anche la sorella con le rispettive famiglie per un totale di ventisette persone. Suor Piergiuseppina Vazza era di Longarone e nella tragedia ha perduto il papà, la mamma, quattro fratelli, i nonni, gli zii per un totale di tredici persone; suor Nomedia Moro, che era originaria di Fortogna di Longarone, ha perduto uno zio e otto cugini.
La fotografia che testimonia la potenza della distruzione subita dalle cose e dalle persone è spettrale: ammassi di rocce e sassi, che forse erano case, sbriciolate, come le menti, le persone, gli affetti. Su quelle macerie venne eretta una chiesa per celebrare il santo Natale e la protesta dei superstiti ha riportato Longarone, definito “fu” come tante frazioni, a rinascere per essere ancora lì, con i propri ricordi e i propri insegnamenti da apprendere e da offrire. Non ci si accontentò della ricostruzione dapprima in casette prefabbricate, oppure delle ricerche dei motivi e delle responsabilità: si volle ancora esistere, perché solo così si poteva dare giustizia ai propri morti. Morti che sono stati cercati e composti dai soccorritori arrivati già all’alba del 10 ottobre: erano soldati, con il generale Ciglieri, che a fatica avevano raggiunto la località e con orrore e lacrime si erano accinti a cercare di dare risposte a chi cercava le persone di un paese scomparso. Il giorno 11 ottobre, accanto ai soccorritori, cominciarono ad arrivare da ogni parte del mondo gli emigrati che, altrettanto increduli, cercavano le loro case, i loro cari, e non c’era più niente in un’assurda quanto tangibile realtà che dava testimonianza di come la vita umana sia fugace e riducibile in briciole, tenute insieme dall’amore, dal ricordo, dal rispetto. Si cerca una normalità e un’organizzazione che non esiste più: il sindaco è tra i morti e soltanto dieci consiglieri comunali si riuniscono per cercare di parlare del presente e del futuro. Difficile proferire parola: spesso soltanto il silenzio era possibile nel frastuono dei pensieri, dei sentimenti roboanti più della montagna a rotoli e, appunto, silenti, come solo può essere il dolore. Intanto i corpi rinvenuti cominciano ad essere portati a Fortogna soprattutto, dove si comincia a preparare un cimitero, ma anche a Pieve di Cadore, Limana, Belluno, Cadola. Il pellegrinaggio dei parenti e dei pochi superstiti è incessante come il lavoro delle ruspe e delle mani dei volontari, in cerca di persone divenute cadaveri da riconoscere, da identificare, da piangere nella certezza di averle perdute, quando la speranza che si fossero salvate in qualche modo era svanita. Il 16 ottobre, in due aule approntate in municipio, i bambini riprendono la scuola. Ne erano restati una trentina, con 150 bambini morti. Il Vescovo si era recato più volte a Longarone, nominando poi un suo delegato. E si arrivò poi al giorno dei Morti e alla festa delle Forze Armate: due giorni mesti, con i soldati ancora impegnati nei lavori di sistemazione.
Il vescovo di Feltre e Belluno monsignor Gioacchino Muccin, dirà a ricordo delle quattro suore che: “… hanno lasciato nei superstiti di Longarone il più soave ricordo e la memoria edificante di una vita religiosa esemplare. Hanno fatto tanto e tanto bene in questa vita e la mercede loro in cielo è sicuramente grande…”.
Nel ricordare loro e tutti i morti, i superstiti, i soccorritori, rinnoviamo l’impegno per il presente e per il futuro. Per vivere noi e fare ancora vivere loro.
Domenica 30 aprile alle ore 16, presso il Teatro parrocchiale di Mozzecane, in provincia di Verona, verrà presentato il volume “Pura Pagani. Piccola, grande Suora”, Velar Edizioni. Presenzieranno alla presentazione pubblica, ad ingresso libero fino ad esaurimento dei posti, la superiora generale delle Piccole Suore della Sacra Famiglia suor Simona Pigozzi, il presidente dell’Associazione “Amici di Suor Pura Pagani” Maurizio Tosoni e l’autrice, Alessia Biasiolo.
Pura Pagani, appartenente all’Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia con Casa generalizia a Castelletto di Brenzone, sulla sponda veronese del lago di Garda, è stata una suora esemplare, molto amata dalle persone che la stampa ben presto ha definito “il suo popolo” e che oggi, a distanza di poco più di vent’anni dalla sua salita al cielo, la vede Serva di Dio. La conclusione del processo diocesano per la canonizzazione/beatificazione avverrà a Castelletto il prossimo 27 aprile, alla presenza del Vescovo di Verona, con una cerimonia ufficiale; gli incartamenti al vaglio delle autorità ecclesiastiche prenderanno quindi la strada di Roma, mentre tra le mani delle persone giungerà il volume che esplora con estrema precisione storica gli eventi umani che hanno portato Carmela Cesira Pagani ad essere degna di avviarsi verso gli altari.
Prezioso sarà l’intervento durante la presentazione nel territorio che ha visto lunghi anni di dedizione e di ascolto di Suor Pura, di don Claudio Zanardini, rettore dello splendido santuario di Santa Maria delle Grazie di Brescia, città dove vive ed opera l’Autrice del volume, che espliciterà proprio il senso della preghiera d’invocazione a Dio e l’importanza di coloro che si pongono come tramite tra Dio e i fedeli che si rivolgono a lui.
Al termine della presentazione del libro, lo stesso sarà disponibile in acquisto presso l’Associazione “Amici di Suor Pura Pagani”.
XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C – LUCA 18,9-14
9. In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: In questa trentesima Domenica del Tempo Ordinario, anno C, meditiamo sulla parabola del fariseo e del pubblicano. L’evangelista Luca rivolge alla sua comunità cristiana di allora e di oggi l’esortazione a pregare con profonda umiltà, cioè con la consapevolezza di essere poveri, deboli e peccatori davanti a Dio, evitando ogni ostentazione e, soprattutto, ogni giudizio negativo nei confronti degli altri.
10. “Due uomini salivano al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Gesù racconta una parabola incentrata su due personaggi contrapposti: il fariseo raffigura colui che ha eccessiva fiducia nella propria osservanza, che si appoggia alle Leggi minuziosamente osservate; il pubblicano è il modello di chi si affida alla sola misericordia di Dio, supplicato con confidenza. Da una parte c’è il “giusto” che ha un comportamento di vita conforme alla Scrittura, “pio israelita” per eccellenza; dall’altra un uomo disprezzato per la sua condotta riprovevole, amico dei Romani, disonesto e sfruttatore. “Salivano al tempio a pregare”: al mattino alle nove e il pomeriggio alle quindici si svolgeva la preghiera ufficiale all’interno del Tempio, che rimaneva aperto, però, tutto il giorno per la preghiera privata.
11. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Il fariseo giustamente e con verità manifesta il proprio comportamento corretto e onesto. Il suo errore consiste nell’atteggiamento di giudizio verso gli altri uomini, di cui elenca la miseria morale. Il suo sentirsi superiore a tutti lo rende ingiusto davanti a Dio.
12. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. “Digiuno due volte la settimana”: il fariseo faceva volontariamente due digiuni previsti per il lunedì e il giovedì, ma non obbligatori, allo scopo di supplire a omissioni o trasgressioni non consapevoli o per espiare i peccati del popolo. Il fariseo si ritiene “bravo” perché non si attiene soltanto alla Legge, ma eccede anche nel compiere azioni meritevoli di plauso. “Pago le decime”: il contadino aveva l’obbligo di pagare la decima parte del suo raccolto di frumento, olio e vino, e la tassa sul primogenito del bestiame. Il fariseo era esente dal pagamento delle tasse sulle decime, ma le pagava ugualmente in più per il timore che l’agricoltore, da cui comperava gli alimenti, non avesse ottemperato ai propri obblighi. Questo era l’uso invalso presso i farisei per ritenersi veramente ligi alla Legge. Purtroppo la scrupolosa e zelante osservanza del fariseo è inquinata dal giudizio negativo e dal disprezzo verso gli altri. Se non stiamo attenti, l’eccessiva fiducia nelle nostre buone opere finisce per emarginarci dai fratelli e dalle sorelle e alimentare il nostro orgoglio spirituale. Non c’è nulla che abbiamo che non ci sia stato dato. Davanti a Dio, è l’umiltà che conta, non l’orgoglioso accumulo di meriti. Impariamo a non condannare gli altri prendendo come criterio di misura la nostra presunta perfezione. Evitiamo di basare la nostra santità sull’osservanza impeccabile dei comandamenti: il legalismo ci impedisce di entrare in comunione e ci fa disprezzare il prossimo.
13. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. L’uomo che si ferma in fondo al tempio non osa nemmeno alzare lo sguardo. Davanti a Dio riconosce tutta la sua povertà, ammette il suo stato di peccato (non elenca nemmeno le sue mancanze da quante sono numerose), riconosce il male commesso, si batte il petto in segno di confusione, vergogna, penitenza, confessione. L’atteggiamento esterno corrisponde a quello interiore. Supplica Dio perché abbia pietà di lui. Non si scusa, non adduce attenuanti, si rimette completamente alla Misericordia divina.
14.a. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, Il peccatore viene “reso giusto”, “giustificato”, non per i suoi meriti, ma per la misericordia di Dio. Il “fariseo che si riteneva giusto” viene escluso dalla salvezza perché si è sforzato di salvarsi grazie alle sue opere, alle sue penitenze, alle sue osservanze. Si capovolgono le posizioni: il “perfetto” viene deplorato, il “peccatore” viene “reso giusto”. Il peccatore avrebbe dovuto fare una lunga penitenza pubblica e restituire molto di più di ciò che aveva sottratto. Praticamente era impossibile salvarsi, secondo la Legge. Dio, invece, accoglie il suo pentimento sincero e lo “rende giusto”, lo “giustifica”. “Io vi dico”: con queste parole solenni Gesù introduce la sentenza che proclama il giudizio di Dio.
14.b perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”. “Chiunque si esalta sarà umiliato”: chi enumera le sue opere meritorie e non si accorge del proprio egoistico narcisismo, chi si compiace della sua ligia osservanza, dichiara di non aver bisogno di Dio, perché fa di se stesso un idolo, un dio, un modello da imitare. Il pubblicano confessa di dipendere dalla misericordia di Dio, che gliela riversa in sovrabbondanza. Scegliamo anche noi di porci nell’atteggiamento di umiltà del povero peccatore che torna a casa sua perdonato. Liberiamoci dall’autosufficienza e dalla ricerca del perfezionismo senza amore, evitiamo di pensare negativamente degli altri, asteniamoci dal condannare i fratelli e le sorelle, soprattutto non riteniamoci mai più santi di loro… Con umile confidenza, davanti a Dio Padre riconosciamo la nostra fragilità e chiediamo umilmente la Sua Misericordia.
Una Notte bianca all’insegna della spiritualità e della storia, quella che avrà luogo a Castelletto di Brenzone il 6 agosto. “Notte bianca sulle orme di Madre Maria Mantovani” sarà una serata alla scoperta di questa nuova santa benacense, ma anche della propria spiritualità in un cammino breve, nostrano e casalingo possiamo dire, ma capace di portarci a capire che non per forza la fede dev’essere esotica. Oppure sì, per tutti coloro che raggiungono il lago di Garda veronese appositamente, oppure perché vi ci si trovano in vacanza. Sarà un momento per dare solidarietà alle Piccole Suore della Sacra Famiglia che madre Maria Mantovani ha cofondato con il beato Giuseppe Nascimbeni, perché sembra tanto lontano oggi il mondo della religiosità femminile e sembrano tanto sole proprio coloro che sono sempre in mezzo alla gente e che nella gente hanno il proprio significato, perché hanno scelto di dedicare la propria vita al prossimo.
La serata procederà dalle ore 20 a mezzanotte e vede coinvolti, oltre all’Istituto delle Piccole Suore, anche la parrocchia, il Comune e l’Associazione albergatori, tra gli altri.
In piazza ci sarà un annullo filatelico; nella casa natale della Mantovani, ora Museo Etnografico, verrà trasmesso il promo del docufilm “Semplice” di Mauro Vittorio Quattrina. Nella chiesa parrocchiale si esibirà il coro Garda in coro, mentre GardArt si esibirà in una lettura teatrale alla Statua del Carisma. All’Urna dove riposa il corpo della santa, così come nella cappella della Casa Madre delle suore, ci saranno dei momenti di preghiera e di riflessione. Sarà possibile visitare il “Conventino”, primo luogo dove si ritrovò il primo nucleo di suore volute dal parroco di Castelletto don Nascimbeni, e sul Prato verde si esibirà un quartetto d’archi. Spazio anche per gli allievi della terza media della scuola Sacra Famiglia che hanno realizzato un video che verrà proiettato. Sarà un momento di approfondimento e di spiritualità, un modo diverso per vivere le giornate estive al lago di Garda.
Domenica Mantovani nacque nel 1862, in un momento cruciale per l’Italia. La lotta per l’Indipendenza aveva portato il Regno di Sardegna a farsi promotore di un’unità che costituiva una vera novità per la penisola a forma di stivale, piccolo Paese dalle mille risorse che attirava da secoli ogni forma di impresa militare e di conquista.
Intestazione del proclama del Re del 23 marzo 1848
Il riassunto dei moti di ribellione, più o meno forti e più o meno organizzati, si ebbe tra il 1848 e il 1849, con quella che viene ricordata come prima guerra d’Indipendenza, e nel 1859 con la seconda guerra per quell’Indipendenza che libererà di fatto soltanto la Lombardia dalla dominazione austriaca, ma che vedeva già innescate numerose fattive attività di italianizzazione del Paese. Infatti, nel 1861 nascerà quel Regno d’Italia sotto la corona Savoia che diventerà ben presto faro di novità, così come anche di ingiustizie. Tuttavia l’operazione libertaria stava dando i suoi frutti e quegli scavezzacollo che venivano anche spregiativamente chiamati garibaldini, saranno poi ricordati come gli eroi che avevano scelto Giuseppe Garibaldi come condottiero da amare e obbedire per la realizzazione non soltanto dell’unione territoriale, quanto di quegli ideali di indipendenza e di libertà, per sé e per gli altri, che sono innati nell’uomo, se sono in grado di sgorgare dai cuori anche disabituati a vivere queste due imprescindibili caratteristiche umane.
Domenica Mantovani sarà inconsapevole testimone di un lungo corso storico, che porterà a breve alla famosa Breccia di Porta Pia, alla fine di quel potere temporale dei papi che instraderà il Vaticano alla gestione prevalentemente spirituale di una Chiesa alla quale la stessa Mantovani apparteneva.
Le famiglie Zamperini, della mamma, e Mantovani, del papà, erano profondamente cattoliche e in quella fede educarono i figli, mantenendo una tradizione che vedeva sacerdoti e appartenenti ad associazioni e congregazioni religiose vari membri dell’ampio parentado.
Nel 1877 arrivò a Castelletto un prete, tale don Giuseppe Nascimbeni, che incrocerà la vita di Domenica fino a diventarne indissolubile figlia e sorella, avendolo accompagnato nell’avventura di vita che diverrà nota in ogni angolo del mondo. Domenica, dall’intelligenza pronta e sveglia, tendenzialmente dedita al prossimo ed alla parrocchia, proferì i voti di verginità nelle mani del prete e poi decise di farsi suora. Il percorso, che potrebbe sembrare semplice per quei tempi, in realtà era irto di regole severe, soprattutto della verifica dell’idoneità della ragazza alla vita religiosa che tanto desiderava abbracciare. Non soltanto doveva essere verificato il suo reale desiderio di dedicarsi ad una vita di privazioni e di gioie soprattutto spirituali, ma anche la sua capacità di reggere un sistema di regole principalmente patriarcale e spesso maschilista, che certo assomigliava molto a quello societario, ma che non transigeva in quelle effusioni affettive che spesso nelle famiglie erano usuali. Pertanto la caparbietà e la determinazione di Domenica non soltanto deponevano per il suo reale desiderio di dedicare la propria esistenza a Dio, ma anche di poter essere una delle prime suore di un nuovo ordine religioso che don Nascimbeni intendeva fondare, su esortazione dei superiori, per garantire quella cura delle anime benacensi che a lui stavano tanto a cuore. Tanto quanto l’implementazione delle strutture e dei servizi per una zona trascurata e povera che certo non aveva avuto molti benefici né dalla dominazione straniera, né dal nuovo Regno, almeno nelle imminenze dei rivolgimenti storico-territoriali. E così ecco che ancora una volta la nostra Domenica, che tra poco si chiamerà Maria, sarà testimone di rivolgimenti e novità dei quali farà anche parte.
Nello stesso 1877 nascerà a Salò l’Osservatorio meteorologico e la stazione sismica Pio Bettoni, personaggio che sistematizzerà i dati sui terremoti che da sempre interessavano il lago di Garda, sia nella sua Salò, sia e soprattutto sulla sponda veronese, dal momento che la presenza del Monte Baldo, di origine vulcanica, aveva da tempo molto lontano portato sconvolgimenti nella zona dei quali senz’altro la Mantovani aveva avuto esperienza: il Baldo sovrasta Castelletto. Infatti, negli appunti Bettoni troviamo già al 12 febbraio 1806 una fessurazione profonda 18 centimetri e lunga circa duecento metri nella piazza di Malcesine, seguita ad una fortissima scossa di terremoto. Molto spesso le scosse di quella zona venivano percepite anche intensamente sulla riva bresciana del Benaco. Durante la vita di Domenica, l’11 agosto 1866 alle 11.55, iniziò una serie di scosse telluriche che portarono danni a Malcesine e che continuarono fino al mese di novembre in successione discretamente rapida. Quindi terremoti a Malcesine o immediati limitrofi vennero registrati nel 1868, 1870, 1872, 1873, 1876, 1877, 1879, 1882. Dati che appaiono significativi perché di certo mettevano la popolazione davanti all’ineluttabilità della vita, alla necessità di affidarsi a Qualcuno che potesse scongiurare per sé e i propri cari di perire all’improvviso, “senza motivo”.
Negli anni del nuovo Regno d’Italia le leggi Coppino per la scuola e De Pretis per la riforma elettorale cambiarono un po’ le cose nel Paese, allargando la platea elettorale e scolastica, ma anche le decisioni a favore di una vita più equa, le attività di bonifica, la nascita di attività mutualistiche, la nascita delle fabbriche, contribuiranno a cambiare rapidamente l’aspetto dell’Italia, pur se l’epoca vittoriana che si stava vivendo non aveva sulle donne una valenza solo positiva come si poteva pensare al tempo.
Sarà poi del 1882, quando Domenica aveva solo vent’anni, la stipula di uno strano accordo per il Regno d’Italia: nasce infatti la Triplice Alleanza, con quell’Austria che deteneva ancora alcuni territori italiani e che era stato il nemico giurato fino al 1866. Alleanza che il nuovo re Vittorio Emanuele III, succeduto al padre Umberto I assassinato nel 1900 da Gaetano Bresci, non vedeva di buon occhio e che infatti decise di rompere con il Patto di Londra del 1915. Sarà la firma che deciderà per l’interventismo dell’Italia in guerra a fianco di Francia, Gran Bretagna e Russia.
Cartolina di guerra
Sull’Alto Garda era il fronte detto immobile di guerra, con le trincee pronte a Dosso Merlo ad esempio, costruite dai soldati italiani proprio in territorio di Malcesine, ad un pugno di chilometri da Castelletto. Le trincee erano pronte in caso di seconda linea, cioè di sfondamento delle difese italiane da parte del nemico austriaco, e Dosso Merlo fu ripetutamente bombardato dall’artiglieria pesante durante la guerra. Sul Garda era in azione anche la Marina, perché naturalmente i combattimenti potevano avvenire anche sul lago. La congregazione delle Piccole Suore della Sacra Famiglia voluta da don Nascimbeni coadiuvato da suor Maria Mantovani, per tutte poi Madre Maria, era ampiamente impiegata in attività infermieristiche sia per il soccorso alla popolazione, che negli ospedali. La caratteristica delle Piccole Suore era l’amore e la dedizione, ma anche lo studio e l’approfondimento, la cura. Venivano mandate in missione in Italia e poi anche all’estero suore preparate, addestrate alla temperanza, alla pazienza, alla santità proprio da Madre Maria. Anche quando non era affatto semplice. L’Istituto possedeva una casa anche a Trento, infatti, dal 1904, ma venne poi acquistato un terreno alle spalle del castello simbolo della città, il Buonconsiglio, dove prese avvio la scuola elementare nel 1911, mentre nel 1912 si avviò il laboratorio di maglieria. Lo scoppio della Grande Guerra costrinse a rimandare dai parenti o in orfanotrofi le orfane che venivano accudite dalla suore, mentre alcune suore italiane (cioè nate fuori dai confini austriaci) vennero arrestate e inviate in un carro bestiame a Innsbruck, quindi raggiunsero Rossbach, in Boemia, dove vennero impiegate come operaie o nei campi o in cucina o in altre mansioni. Altre suore vennero internate a Katzenau, nei pressi di Linz. Lì si occupano di dispensare il latte, avendo poco da mangiare (il pane era confezionato con segatura di tiglio, ad esempio) e condizioni di vita assolutamente precarie, tanto che ben presto dovettero diventare le infermiere del campo. La casa trentina venne trasformata in un ospedale militare.
In quei tristi frangenti faceva riflettere la posizione del papa Benedetto XV che aveva definito la guerra una “inutile strage”, delineando chiaramente la sua contrarietà non soltanto all’interventismo italiano, ma a quella carneficina europea. Di certo altrettanto importante fu la figura di don Luigi Sturzo che, nel 1919, fu fautore di una democrazia nel Regno italiano ispirata a principi cattolici e cristiani più in generale, fondatore poi del partito cattolico. Intorno alla Madre delle Piccole Suore erano in atto rivolgimenti che cambieranno completamente l’Italia e mantenere il corretto vedere la realtà di tutti i giorni non era di certo facile, tra mancanza di cibo, disoccupazione, orfani e vedove. L’avvento del nuovo partito, che diverrà il partito unico del Paese, condusse altri cambiamenti che dovettero essere affrontati anche dalla Chiesa, e dalle suore, per il nostro discorso.
Lo scontro che c’era stato tra i cattolici durante la prima guerra mondiale, nel dibattito su cosa fosse giusto fare e quale fosse la posizione corretta, con personalità del calibro di don Primo Mazzolari e padre Agostino Gemelli per citare solo alcuni esempi, permané anche durante gli anni che videro l’Italia diventare un regime.
Madre Maria lasciò la vita terrena nel 1934, avendo tracciato una giusta via per le Piccole Suore alle quali aveva insegnato non soltanto i primi passi, ma aveva dato anche l’età per poter continuare le scelte che renderanno sempre più grande e santo l’Istituto.
Nell’attuale ridente cittadina benacense di Castelletto di Brenzone (Verona), nasceva il 12 novembre 1862 Domenica Mantovani, figlia primogenita di Gian Battista e di Prudenza Zamperini. Due famiglie, la Zamperini e la Mantovani, native del posto almeno dal Settecento e risultanti dagli archivi come possidenti villici, pertanto proprietarie di qualche appezzamento di terreno che le rendeva benestanti per i tempi, potendoci coltivare ulivi, foraggiare o allevare il bestiame. Dati i cognomi simili, quella di Domenica veniva soprannominata famiglia Barinelli.
Profondamente cattolici, i vari discendenti erano sacerdoti, insegnanti di Filologia o di Storia, segretari della Cassa Rurale, benefattori della Casa del Clero di Verona, membri di associazioni cattoliche. In casa venne insegnata a Domenica la dottrina cattolica, soprattutto la preghiera che era sempre assidua, mentre per il catechismo frequentava la parrocchia dove, con altre ragazzine, apparteneva alla Pia Unione dell’Oratorio che diverrà l’Associazione Figlie di Maria, che riuniva le giovinette intorno ad un modello di casa governata dal focolare materno; lì imparava l’accudimento (ben presto per Domenica anche dei fratellini) e il rispetto dell’ordine patriarcale, mentre intorno infuriavano le pestilenze, le malattie e spesso anche la guerra.
La chiesa parrocchiale di Castelletto di Brenzone con l’immagine di santa Maria Mantovani delle Piccole Suore della Sacra Famiglia
Domenica a Castelletto frequentò la scuola femminile che mise in risalto la sua intelligenza, la sua propensione per gli studi e la capacità di educatrice che fu evidente sin dalla più giovane età, e soprattutto alla morte del padre a causa di un’otite fulminea, quando il suo alacre lavoro in casa e in parrocchia divenne preciso e costante. Poca la cura di sé, non adatta ad una ragazza in età da marito, ma forte il legame con l’ambiente e forti le amicizie, soprattutto con Antonia Gaioni. Il 2 novembre 1877 giunge come curato a Castelletto don Giuseppe Nascimbeni, accompagnato dalla mamma. Era un uomo che conosceva bene il territorio, essendo di Torri del Benaco, e che viveva la sua vocazione come anche impegno sociale. Per Castelletto voleva l’ufficio postale, la strada, lavoro, una rinnovata chiesa parrocchiale; voleva la spiritualità dei gruppi parrocchiali, opere di carità e incontri di preghiera, fonte di rinnovamento della fede personale e comunitaria.
Don Nascimbeni, poi parroco dal 1885, riconosce subito le attitudini di Domenica che nelle sue mani emise il voto di castità nel 1886. Don Nascimbeni avrebbe voluto delle suore in paese, colte e capaci, impossibili da assicurare da parte di alcun Istituto, tanto che il Vescovo di Verona gli propose di “farsele” da solo. E così fu che il buon prete fondò un Istituto religioso, le Piccole Suore della Sacra Famiglia di cui cofondatrice divenne proprio Domenica Mantovani, suora con il nome di Maria. Domenica, infatti, con altre ragazze, dopo la formazione religiosa, proferì i voti e divenne suora, con caratteristiche adatte a mediare la forza e la tenacia del parroco: divenne Madre di tante ragazze e della sua parrocchia, riconosciuta per la sua dedizione, il suo amore, la sua profonda fede. Madre Maria Domenica Mantovani, spentasi in odore di santità il 2 febbraio 1934, già beatificata da papa Giovanni Paolo II, è stata proclamata santa da papa Francesco, con una cerimonia in Piazza San Pietro, in Vaticano, il 15 maggio scorso. Il suo amore di madre non è finito con la sua morte, ma è stato accanto a persone che avevano bisogno di una Madre speciale e che da lei hanno ricevuto un miracolo.