Adattissimo alle giornate estive il bel libro di Alberto Giuffrè che traccia un percorso tra alcune cittadine americane che si chiamano come le ben più note e importanti (almeno in Europa) città italiane. Un viaggio per conoscere gli Stati Uniti di oggi, come aveva fatto un’altra italiana viaggiatrice e giornalista come Giuffrè, Oriana Fallaci. E non solo lei. Scopriamo allora come sono gli States attraverso italoamericani di prima o successiva generazione, come si dice anche se in modo impreciso per chi nasce in un nuovo Paese da genitori che vi si sono trasferiti; ma anche grazie a italiani andati ad abitare là per motivi di lavoro o per altre insondabili vie in tempi recenti. Scopriamo Venice (Venezia) in California, Genoa (Genova) in Nevada, Palermo in North Dakota, Florence (Firenze) in Alabama, Rome (Roma) in Georgia, Naples (Napoli) in Florida, Milan (Milano) in Ohio e Verona in New Jersey. Storie di cittadine fantasma, che anche le mappe di Google si rifiutano di trovare, oppure città rinate grazie alla scoperta di greggio per almeno altri venticinque anni; città ricche e tranquille e personaggi apparentemente quotidiani che sono famosissimi o ricchissimi. C’è la storia del nipote di Thomas Edison o del Culinary Vegetable Institute, sorto dopo un’apparente disfatta. La saggezza di chi augura l’eterna insoddisfazione, perché solo così si rimane in auge e si cercano sempre nuove strade, e l’idea che si possa viaggiare da uno Stato all’altro, da un continente all’altro, senza per forza pensare di perder qualcosa di se stessi. Sono tante le storie, raccontate nel libro, di gente che ha cambiato vita anche più volte, cercando o trovando la propria vocazione, ma anche cambiandola, non essendo l’esistenza sempre uguale a se stessa. Un essere americani che ha anche molto di italiano, ma che spiega come questo grande Paese possa rinnovarsi sempre, non essendo legato a quei vincoli che troppo spesso, ad esempio, in Italia sono vangelo. L’America degli obesi che già sta trovando sempre più mercato nella ricerca del prodotto genuino, biologico, salutare, ma anche l’America della musica, dei templi del rock o dei mostri sacri delle grandi imprese musicali scopritrici di talenti. A proposito di Edison, bellissimo ricordare che quando gli facevano presente che aveva fallito diecimila volte nel tentativo di mettere a punto la pila alcalina, aveva risposto che, in realtà, non aveva fallito, ma aveva conosciuto diecimila modi non funzionanti. E continuando così avrebbe scoperto qualcosa di nuovo, che avrebbe funzionato. Successe proprio in quel modo, dopo cinquantamila esperimenti in dieci anni. Riporta Giuffrè nel suo lavoro la lezione del nipote del grande inventore: “le cose non accadono perché le vuoi, devi farle accadere”. Un Paese in cui devi guadagnarti tutto quello che hai, ma dove tutto è possibile, è reso possibile da una mentalità aperta al nuovo, all’aiuto al cambiamento senza il quale migliaia di persone non avrebbe trovato fortuna e libertà trasferendosi nel Nuovo Continente. E che pure tiene i cimeli come segno della storia che lì è recente o manca del tutto. Sono tanti i ricordi delle fabbriche automobilistiche che hanno lasciato il posto a innovazione o della fabbrica di bandiere più famosa d’America chiusa, mentre qualcuno ha l’idea di insegnare ai figli a sparare, in alcuni angoli vige il divieto di bere alcolici in pubblico, esistono sindaci rieletti per decenni. Uno stile narrativo agile, ricco di approfondimenti che aggraziano la frase e rendono spigliata e leggera la lettura, accattivandosi il lettore che si sente trascinato per chilometri di Route su un catorcio, letteralmente. Un viaggio dal sapore di altri tempi e che pure è così bello, ricco e nuovo, in un momento storico in cui l’informatica sembra spazzare via la vita reale, così come non c’è più il giornalista di nera che va sul luogo del delitto. Giuffrè usa la tecnologia (e come si potrebbe andando a spasso per la patria del “silicone”?) per aiutarsi a viaggiare, per informarsi (tanti sono i siti citati grazie ai quali si è documentato, visionando soprattutto gli archivi dei giornali locali), eppure si è catapultato nella realtà dei motel fantasma, nell’incomprensibile mancanza di benzinai per miglia e miglia, testando vari modi di mangiare e calandosi nei luoghi comuni e nella realtà di nostri connazionali o di personaggi interessanti dei luoghi visitati. Alcuni con un’indicibile nostalgia per la città “vera” in Italia, altri non spiegandosi nemmeno come il nome italiano sia arrivato fin là. Talvolta il battesimo delle cittadine era puramente casuale, dettato dalla volontà di altisonanza per posti piccoli e sperduti, oppure per motivi storici che si perdono nelle dispute degli storici locali. Insomma, un libro da leggere se non si va in vacanza, perché sembra di viaggiare davvero scorrendo le pagine; oppure per farsi ispirare un viaggio. O anche solo per curiosità e per farsi qualche risata, dato che i motivi per sorridere ci sono tra le righe. Un autore da scoprire, magari andando a leggere i suoi lavori precedenti e aspettando il prossimo.
Alberto Giuffrè: “Un’altra America”, Marsilio, Venezia, 2016, pagg. 126, euro 15,00.
Alessia Biasiolo