Roberto Matarazzo nasce a Roma nel 1909 e nel 1929 viene arruolato come soldato di leva nel Primo Reggimento Radiotelegrafisti, grazie al diploma di perito radioelettrico conseguito presso il “Galileo Galilei” della capitale. Congedato l’anno seguente, verrà assunto dall’EIAR di Firenze. Appassionato di fotografia, acquisterà una Kodak a soffietto con la quale scatterà fotografie un po’ a tutti e a tutto. Nel 1935 viene richiamato nell’esercito per la Campagna di Etiopia; imbarcatosi a Napoli nel gennaio 1936, aggregato al Quarto Battaglione Radiotelegrafisti, Seconda Compagnia Telegrafisti del Quarto Corpo d’Armata, visiterà e soggiornerà a Massaua, Asmara, Adua, Macallè, Addis Abeba, tra gli altri luoghi di conquista. Scatterà molte fotografie anche laggiù, il suo miglior passatempo, fino al suo rientro in Italia nel 1937, dove ritroverà il suo lavoro alla EIAR. Sarà proprio grazie a quello che potrà essere dichiarato indisponibile per l’arruolamento durante la seconda guerra mondiale. Sposatosi con Livia, con la quale aveva costantemente intrattenuto rapporti epistolari anche durante la sua permanenza in Africa, nel 1942, si trasferirà a Roma, presso il centro trasmittente dell’EIAR. Nel dopoguerra mantenne il suo lavoro in quella che diverrà RAI, per la quale lavorò fino al 1974, morendo poi nel 1982. Il ricco archivio fotografico “Roberto Matarazzo” è stato digitalizzato dal Centro Documentazione Memorie Coloniali, che da anni si occupa di archivi privati del periodo coloniale italiano, su proposta dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico AAMOD. Il Centro Documentazione Memorie Coloniali (CDMC) viene sostenuto ed è stato istituito, dall’Associazione “Modena per gli altri”, che si occupa di cooperazione internazionale in Etiopia, e quindi si è trovata a confrontarsi con il passato coloniale del Paese. Ha promosso pertanto la raccolta di materiale coloniale, soprattutto iconografico, che ha dato origine a due mostre e a pubblicazioni, portate poi anche in Etiopia, fino alla digitalizzazione della notevole mole di fonti storiche, catalogate da un apposito comitato scientifico. Lo stesso è avvenuto per il fondo Matarazzo di cui ha organizzato non soltanto gli apporti fotografici, ma anche i dati appuntati dal radiotelegrafista e le lettere che inviava a casa. Il fotografo è stato testimone della battaglia dello Scirè dal 23 febbraio al 12 marzo 1936, ad esempio, che lo aveva profondamente colpito e di cui annota l’elenco delle tappe, dattiloscrivendo l’occupazione di Amba Alagi, le battaglie di Tembien e dello Scirè appunto. Matarazzo apparteneva al Genio e ai reparti speciali radiotelegrafisti, quindi non torna a casa come sperava dopo la presa di Addis Abeba. Intanto continua a fotografare con la sua Kodak, ma anche con altre macchine fotografiche; sviluppa i negativi sul posto e stampa le foto, probabilmente usando la luce del sole o lampade elettriche della stazione radiotelegrafica, che forse vendeva anche agli altri militari, spesso oggetto dei suoi ritratti fotografici. Anche Matarazzo, come altri soldati, aveva iniziato a scrivere un diario per fissare i ricordi di guerra, ma dedicava più volentieri il tempo alla memoria per fotografie, tanto che il diario smise di scriverlo e andò perduto. La curiosità per il continente africano era tanta, infatti, che era necessario fissare i dati per mantenerli nella memoria e riportarli a casa, dove di certo sarebbero stati raccontati. L’Africa misteriosa dei romanzi era finalmente lì, davanti agli occhi, e diventava impresa coloniale, parte dell’Italia, dove molti avrebbero voluto realizzare i propri sogni di terra, casa, futuro. Pertanto le fotografie ritraggono soldati sulla nave che li portava in terra di conquista, lungo il Canale di Suez, fino alle distese etiopiche dove si stagliavano le linee telegrafiche; varie le immagini di Matarazzo al radiotelegrafo da campo, o con bambini locali, o con le sue fotografie sparse sulla branda. Curioso l’orto militare, ci sono ritratti gli ascari o vengono immortalati oggetti ricordo in bella posa per la fotografia. Si vedono i soldati italiani, oppure gli ascari, mentre lavano i propri panni al fiume, o impegnati nella costruzione di un ponte in muratura al posto di quello di legno, o addetti ai lavori stradali, o ancora su una teleferica. Non mancano momenti di “caccia grossa”, con l’uccisione di un ippopotamo, di un coccodrillo, di un enorme serpente, di un avvoltoio testabianca, di un leopardo. Tra le panoramiche, quelle dei monti Semien, mentre sono molte le fotografie ritratto di ragazze, donne, bambini e uomini indigeni, sia in posa che nelle faccende quotidiane. Tra le foto dei centri urbani, Adua, Gondar con il castello del negus Fasilide, Axum con le steli (di cui una venne trasportata a Roma), per esempio. Grande attenzione da parte dei soldati italiani la ottenne la Festa del Maskal del settembre 1936 ad Adua, una delle più importanti feste della religione ortodossa etiope. Il mese del Maskaram è l’inizio dell’anno etiope e commemora il ritrovamento della Croce di Cristo. Durante le celebrazioni si accende un grande falò che produce molto fumo, ricordando il fumo che guidò Sant’Elena alla ricerca della Croce. La religione cristiana sostituì i riti tribali di cui rimane memoria nella celebrazione, che funge da divinazione per la fine della stagione delle piogge e di buon auspicio per buoni raccolti. Matarazzo documenta la festa, e poi anche la celebrazione del Natale italiano del 1936, con la Messa al campo, un ottimo pranzo comprendente anche il panettone Motta, il ricordo della preghiera. Un racconto per immagini racchiuso in un prezioso libro, dall’ottima veste grafica, che permette di avere tra le mani un pezzo di storia poco raccontata nel nostro Paese. Da leggere.
Letizia Cortini, Elisabetta Frascaroli, Anna Storchi (a cura di): “Etiopia. Conquista e conoscenza. Rappresentazioni per immagini di Roberto Matarazzo (1936-1937)”, AAMOD, Roma, 2022, pagg. 192, euro 20,00.
Alessia Biasiolo