Mio Signore e mio Dio

II DOMENICA DI PASQUA DELLA “DIVINA MISERICORDIA” – ANNO B GIOVANNI 20,19-31

19. La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!».

20. Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Nella prima domenica dopo la Pasqua, l’ottavo giorno, il Vangelo di Giovanni ci presenta due apparizioni di Gesù ai discepoli: una avvenuta la stessa domenica di Pasqua, a seguito della scoperta del sepolcro vuoto; una avvenuta la settimana successiva, esattamente dopo otto giorni. Sono due avvenimenti diversi, ma strettamente collegati, perciò considerati insieme. L’apparizione avviene in luogo chiuso, dove era stata celebrata l’Ultima Cena con Gesù, il primo giorno dopo il sabato, alla sera. “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato”: è il “giorno del Signore”, il “Dies Domini” (domenica) (cfr. Apocalisse 1,10). Fin dall’inizio i discepoli si riuniscono il giorno dopo il sabato, la domenica. Proprio la domenica diventerà il giorno più importante della settimana e sostituirà il sabato, giorno sacro dei Giudei. “Mentre le porte erano chiuse”: Gesù non è un’ipotesi, non è un’idea astratta, non è una teoria: è il Cristo glorioso, risorto dopo la passione e la morte e ora vivo per sempre, libero dai vincoli del tempo e dello spazio. Per questo entra a porte chiuse. La paura ha dominato interamente i discepoli che sono scappati tutti nel momento della prova, della passione del Signore, per timore di essere anch’essi coinvolti e condannati nel processo sommario che è stato intentato contro il Maestro. Gesù accompagna la sua venuta con l’annuncio della pace. Anche la domenica sera, tre giorni dopo la crocifissione di Gesù, i discepoli sono ritirati in luogo chiuso per “paura dei giudei”, per non farsi notare e non rischiare di essere riconosciuti. Avevano condiviso tre anni della vita pubblica con il Maestro, a stretto contatto con Lui, ma non sono riusciti a stargli accanto nel momento della prova. Essi ora attendono che il clima si distenda, che ritorni calma e sicurezza per poter tornare alle loro case in Galilea. “Venne Gesù, si fermò in mezzo a loro”: Gesù si presenta ai suoi discepoli. Non li rimprovera per averlo abbandonato. Secondo il Vangelo di Giovanni, due discepoli avevano seguito Gesù: uno che era rimasto a Lui accanto, fin sotto la croce; l’altro è Pietro, che appena fu riconosciuto come discepolo del Maestro, aveva rinnegato il Signore ed era scappato. I discepoli avevano già ricevuto l’annuncio da Maria di Magdala. Pietro e Giovanni avevano confermato le sue parole, ma tutto ciò non basta per fugare la paura. In mezzo allo spavento e allo smarrimento generale, Gesù si fa presente e si ferma. Il suo stare è segno di una volontà duratura di comunione con i suoi discepoli. Egli è Risorto, cioè glorioso e vivente, è il Kyrios, il Signore vittorioso, che vuole mantenere la relazione con i suoi discepoli. “Pace a voi”: quello del Risorto non è un augurio, ma è proprio il dono della pace che aveva promesso quando i discepoli erano addolorati per la sua assenza. È la pace portata dal Messia, che libera da ogni paura, dal male, dalla morte. È la pace, ottenuta con la passione del Signore. È la pace in senso biblico che significa piena riconciliazione degli uomini con Dio e tra di loro. “Mostrò loro le mani e il costato”: quando ci viene richiesto di dichiarare la nostra identità mostriamo i documenti (carta di identità o passaporto o patente…). Gesù dichiara la sua identità mostrando le prove della sua crocifissione, i fori lasciati dai chiodi e la lacerazione al costato provocata da un soldato romano per accertarsi della sua morte (solo Giovanni ricorda questo particolare). Per sempre il nostro Dio porterà nel suo corpo risorto i segni della passione e del suo infinito amore per noi. “E i discepoli gioirono al vedere il Signore”: la presenza di Gesù fuga ogni dubbio e ogni paura dei discepoli. Tutto diviene pieno di luce e di gioia. Il profeta Isaia aveva parlato di gioia descrivendo il banchetto divino. Nello stesso modo gli evangelisti trascrivono le parole di Gesù che, nei discorsi di addio, aveva preannunciato la gioia escatologica.

21. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”.

22. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo;

23. a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”. “Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi!””: Gesù conferma una seconda volta il dono della pace, con una presenza apportatrice della rivoluzionaria manifestazione di Risorto. È inaudito che un morto risorga, e risorga vittorioso! Egli attira, incoraggia e costruisce la comunità. Le parole sono poche e misurate, ma efficaci, cioè realizzano ciò che esprimono: Gesù non solo annuncia la pace, ma la dona effettivamente. “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”: apparendo ai suoi, Gesù rinnova il mandato di andare ad annunciare a tutti l’amore del Padre. Cristo è mandato dal Padre e tutti noi partecipiamo della sua stessa missione, perché siamo legati a Lui come i tralci alla vite. La volontà di Dio Padre è che tutti si salvino. Tutti noi cristiani, discepoli di oggi, pieni di misericordia, di coraggio e di forte fedeltà dobbiamo annunciare il Vangelo nella società, tanto bisognosa di speranza, di spiritualità, di amore. “Alitò su di loro”: questo gesto di Gesù è unico nel Nuovo Testamento. Richiama il soffio di Dio nella creazione dell’uomo (Genesi 2,7). È l’inizio di una creazione nuova. Gesù infonde nei discepoli forza e coraggio, alitando lo Spirito Santo. Il suo respiro diventa il respiro dei discepoli; il suo perdono diventa per i discepoli possibilità di perdonare tutti; i suoi sentimenti diventano la forza propulsiva dell’azione evangelizzatrice. Saranno essi a continuare la missione di Cristo nel tempo, con la forza dello Spirito. È lo Spirito la forza della Chiesa nello scorrere dei secoli. “Ricevete lo Spirito Santo”: in questo momento Gesù infonde lo Spirito per una missione particolare. A Pentecoste lo Spirito scenderà su tutto il popolo di Dio, “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”: Gesù, come Dio, trasmette ai suoi discepoli e alla sua Chiesa, per successione apostolica, il potere di perdonare i peccati commessi dopo il Battesimo con la grazia del sacramento della riconciliazione.

24. Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù.

25. Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò». “Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo”: “Didimo” significa “fratello gemello”. Si desume, pertanto, che l’apostolo Tommaso avesse un fratello gemello. Si parla sempre dei Dodici, in realtà sono rimasti Undici, dopo la morte di Giuda. Tommaso risulta essere una persona dubbiosa e facile a scoraggiarsi. Possiamo identificarci con lui tutte le volte che la nostra fede vacilla. L’importante è riprendersi e confidare nel Signore, proclamandolo nostro Signore e nostro Dio, ricominciando sempre daccapo dopo ogni debolezza. “Non era con loro quando venne Gesù”: non sappiamo il motivo dell’assenza di Tommaso. Dobbiamo tuttavia capire che solo la comunione e l’esperienza fatta insieme sono di aiuto alla fede. “Abbiamo visto il Signore!”: la gioia dell’incontro con il Signore non può essere trattenuta. I discepoli, testimoni oculari, ne fanno parte a Tommaso, anche se egli non esulta con loro. “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”: Tommaso vuole fare esperienza diretta di Gesù, così come l’hanno fatta gli altri discepoli. Non gli basta credere alla loro parola. Vuole sentire la voce del Maestro, vuole toccarlo, vuole un contatto inequivocabile. Vuole essere sicuro che sia Lui veramente, non un’autosuggestione, non vuole sbagliarsi ed illudersi. Per credere, chiede di toccare le feritoie lasciate dai chiodi della crocifissione, prova del martirio e dell’amore più grande possibile del Cristo, “Servo sofferente”. Gesù aiuta il suo discepolo Tommaso, conosce la sua disponibilità a credere, lo incontra direttamente, dissolve i suoi dubbi. Apriamoci anche noi ad accogliere il Signore quando si manifesta. Lasciamoci afferrare da Cristo, in modo che ci tocchi dentro, ci conquisti.

26. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”.

27. Poi disse a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!”. “Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso”. Passano otto giorni. È nuovamente il giorno dopo il sabato, la domenica. I discepoli sono nuovamente insieme e stavolta c’è anche Tommaso. Gesù non si stanca di offrirci occasioni per riconoscerlo, pur se abbiamo tanti dubbi. Ci viene ancora incontro, ci guarda negli occhi, ci incoraggia e ci offre l’opportunità di abbandonarci a Lui con fiducia. “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!”: quando siamo nel dubbio, Gesù ci viene incontro, entra in dialogo con noi, ha compassione e ci dona la tranquillità della fede. Usa dei segni per farci progredire. Come ha fatto con Tommaso, ci fa compiere un percorso di adesione e di conversione, in modo che sia autentica la nostra esperienza di Cristo. Nulla ci può più fermare quando siamo abitati dalla Sua Presenza. “Mettila nel mio costato”: Gesù ha per sempre il petto aperto, ferito dalla lancia del soldato che ha constatato la sua morte. Nel corpo di Cristo rimarranno per sempre i segni indelebili del suo amore per noi, che è giunto fino a dare la vita, fino al punto più alto dell’amore che Dio poteva dimostrare all’umanità, formata da creature ribelli, libere anche di rifiutarlo, ma sempre da Lui amate infinitamente.

28. Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”.

29. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”. “Mio Signore e mio Dio!”: Giovanni non dice se Tommaso ha messo la mano nelle ferite del Cristo. Dice solo che crede ed esclama: “Mio Signore e mio Dio!”. Non ha più bisogno di toccare: ora il Signore è con Lui e nulla conta più. Probabilmente vedendo il Signore glorioso, Tommaso sarà caduto in ginocchio in segno di umile adorazione, professando la propria fede con slancio forte e appassionato. “Mio Signore e mio Dio!” è la più grande espressione di fede pasquale in Cristo di tutto il Vangelo. Gesù è riconosciuto e adorato come Dio. Non si schermisce come aveva fatto con i Giudei quando lo accusavano ingiustamente. Tommaso ha compreso veramente e con amore che Egli è Dio. “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”: sembra un delicato rimprovero verso Tommaso. Anche nella fede ci sono gradi diversi di crescita, fino a credere senza pretese di segni, senza conferme eclatanti, come puro dono ricevuto e come risposta di totale fiducia. Noi cristiani di duemila anni dopo Cristo, abbiamo la gioia di sentirci “toccati” da Cristo nell’Eucaristia e nei sacramenti in cui Egli opera. Non vediamo, ma crediamo: è questa la nostra beatitudine fin da questa vita: esultiamo “di gioia indicibile e gloriosa” (1 Pietro 1,8).

30. Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro.

31. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. Giovanni conclude il brano affermando che sono state scritte pochissime cose rispetto a quelle che sono avvenute. Sicuramente indirizza il lettore a considerare tutta la storia alla luce dell’evento pasquale. Ora la storia continua attraverso la testimonianza dei discepoli. Il suo scopo non era di scrivere una vita completa di Gesù, ma di dimostrare che Gesù è il Cristo, il Messia, il Liberatore, il Figlio di Dio. Siamo di fronte alla risurrezione, evento più importante della storia: Dio si fa uomo, muore e risorge per amore nostro. È una notizia di una straordinaria importanza, ma rischia di lasciarci indifferenti a causa dell’abitudine. Ricordiamoci che, come cristiani, senza la risurrezione, la nostra fede è vana: “Se Cristo non è risorto è vana la nostra predicazione ed è vana anche la nostra fede… e voi siete ancora nei vostri peccati” (1 Corinzi 15,14.17). Chiediamo al Signore di rispondere al mandato di annunciare e testimoniare la sua risurrezione, la misericordia del Padre, la salvezza e il perdono per tutti gli uomini e tutte le donne del mondo. Proclamiamo che Cristo è veramente la via, la verità e la vita, aurora senza tramonto, sole di giustizia e di pace. Nella domenica della Divina Misericordia, Cristo riversa su di noi la pienezza della grazia e la larghezza del suo perdono. Si china per dirci che valiamo, che siamo figli di Dio, che siamo importanti per Lui. Ci annuncia la salvezza ottenuta grazie alle sue sofferenze, accolte e offerte per amore. Chiediamo di rimanere nel suo amore, legati come tralci alla vite. La sua pace ci aiuterà a superare le debolezze, ad affrontare i dubbi e a rispondere alla chiamata specifica che abbiamo ricevuto, in attesa di giungere a lodarlo in eterno con tanti fratelli che avremo portato a Lui con la nostra testimonianza. Lo vedremo faccia a faccia ed esclameremo: “Mio Signore e mio Dio!”.

Suor Emanuela Biasiolo

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