V DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO B – GIOVANNI 12,20-33
In quel tempo, 20. tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Il brano di questa quinta domenica di Quaresima è collocato subito dopo l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, nella terza e ultima Pasqua vissuta da Gesù a Gerusalemme. I sacerdoti ormai avevano deciso di condannarlo a morte. Egli annuncia la sua imminente passione. Per Giovanni l’innalzamento in croce e tutto il mistero del dolore costituiscono l’ora della passione, della morte feconda, della glorificazione di Cristo. Il senso del brano è l’apertura della salvezza a tutte le genti, cominciata già con Gesù. I Greci, di cui si parla in questo versetto, sono dei proseliti (cfr. Atti 10,2 e 13,16), persone che onorano Dio secondo la religione ebraica, pur non essendo né ebrei né circoncisi. Avevano sentito parlare di Gesù, della sua predicazione fatta con autorevolezza, del suo stile profetico. La loro ricerca ha bisogno di essere portata a maturazione. Gli uomini di tutti i tempi anelano a conoscere la Sorgente della vita, hanno bisogno di infinito e lo cercano, anche senza parole. Persino quanti dicono di non aver bisogno di Dio, hanno sete di Lui. Se solo trovano testimoni credibili, si lasciano attirare e abbracciare dal Padre che li attende con cuore trepidante. Se lasciamo spazio a Dio, diverremo sua dimora, Egli si rivelerà per mezzo nostro e gli altri vorranno incontrarlo.
21. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù».
22. Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. I Greci, che vogliono conoscere da vicino Gesù, si rivolgono a Filippo (nome greco) probabilmente perché parlava la loro lingua, venendo da Betsàida. Filippo è titubante: era contro la legge che un rabbi incontrasse un pagano nella città santa; era una mancanza di rispetto delle norme della purità. Per questo motivo Filippo si consiglia con Andrea (chiamato per primo alla sequela secondo il Vangelo di Giovanni 1,37-40). Insieme accompagnano i Greci da Gesù. Fin da questo momento si coglie la dinamica della testimonianza collegiale dei primi apostoli, che fanno discernimento e sono uniti nell’annuncio.
23. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. Gesù sembra non rispondere alla domanda dei Greci accompagnati da Filippo e Andrea. In realtà afferma che proprio per il suo sacrificio tutte le nazioni potranno godere i frutti della salvezza e giungere alla fede. È la fede che consente di vedere Gesù. “È venuta l’ora”: Gesù ha piena consapevolezza dell’imminenza della sua morte tragica. È pure consapevole che essa coincide con la sua glorificazione. Sa che la sua vita sta per terminare ed è giunto il momento decisivo che dà inizio alla salvezza dell’umanità di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Diversamente dagli altri sinottici, Giovanni fa un approfondimento teologico, rivelando la portata dell’evento a cui Cristo va incontro. Non si limita a riferire un fatto di cronaca.
24. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. “In verità, in verità”: è una formula solenne che viene utilizzata per introdurre un’affermazione di grande importanza. “Se il chicco di grano …”: parlando del seme che muore, Gesù sottolinea la necessità della sua imminente morte violenta. Il riferimento al grano richiama il discorso sul pane di vita. Gesù utilizza gli elementi più semplici della natura per far capire come in ogni realtà, anche la più piccola, è impressa la legge della vita, che trasforma una realtà in un’altra più grande, grazie al dono di sé. Gesù è il pane di vita perché è il seme che dà tutto. Come avviene per un chicco: solo spaccandosi, sepolto nella terra, nascosto agli occhi di tutti, può liberare tutta la sua vitalità e dare origine a una nuova pianta, da cui fuoriesce la spiga carica di nuovi semi. È una legge biologica, inscritta dal Creatore, ma è anche simbolo della vita spirituale. Per diventare fecondo per la salvezza del mondo, Gesù accetta la sofferenza e la morte, che diventa una semina per una vita nuova per tutti. Gesù è venuto a portare la vita abbondante (Giovanni 10,10), a dare gloria a Dio tramite il dono di sé. La morte è solo un passaggio per realizzare la vita in pienezza, è una trasformazione: il seme che diventa spiga. Nella Liturgia dei Defunti si dice giustamente: “la vita non è tolta ma trasformata”. Non perdita, ma espansione. Come discepoli di Cristo, siamo chiamati a partecipare alla sua opera di redenzione. Se ci associamo al suo sacrificio, se ci nascondiamo agli occhi di tutti, se elargiamo l’energia insita in noi, diventeremo spiga, farina, pane per la vita del mondo, come il nostro Maestro.
25. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. “Chi ama la propria vita”: la contrapposizione tra vita terrena e vita eterna è rafforzata dai verbi odiare/perdere contrapposti ad amare/conservare. Siamo chiamati a dare tutto, a scapito anche della vita, pur di essere fedeli alla nostra vocazione di comunione con Dio. Per Giovanni, infatti, la vita vera, quella eterna, è la comunione con Dio. La risposta di Gesù ai Greci non risiede in un ragionamento filosofico sterile, ma si realizza nel suo esempio di vita donata, messa a servizio di tutti, realizzata attraverso un’offerta totale. La vera morte non è quella fisica, ma è la sterilità di chi non dà, di chi non si spende per gli altri.
26. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Gesù dice chiaramente che seguire Lui vuol dire ripercorrere lo stesso cammino di dono fino alla fine, di partecipazione alla sua sorte. La ricompensa che Egli prospetta è l’unione con il Padre. Se vogliamo essere come il nostro Maestro, dobbiamo vincere l’attaccamento a noi stessi, alle nostre cose, ai nostri progetti, alla nostra vita per assimilare nei nostri sentimenti, atteggiamenti, comportamenti le stesse scelte di Cristo.
27. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora!
28. Padre, glorifica il tuo nome». In questo versetto e in quelli successivi, chiamati “il Getsemani del IV Vangelo”, Giovanni evangelista presenta un collegamento forte tra la morte e la glorificazione, anticipa la preghiera di Gesù nell’orto degli Ulivi (descritta dagli altri evangelisti), afferma la piena adesione di Cristo alla volontà del Padre. Egli chiede di essere aiutato ad affrontare la prova estrema, a sostenere la lotta, nella certezza che ne uscirà salvo. Come uomo sente tutta la ripugnanza di fronte alla morte, prova la ribellione della carne davanti al dolore imminente. Ma Egli prega, si rivolge al Padre (cfr. Matteo 6,9) con assenso di Figlio e con obbedienza assoluta. La morte è la conseguenza logica della sua fedeltà al progetto del Padre, del suo orientamento di vita. È divenuta necessaria per suggellare il suo “Amen”. A differenza dei sinottici, Gesù non chiede di essere liberato dalla prova. Venne allora una voce dal cielo: “L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!”.
29. La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: “Un angelo gli ha parlato”.
30. Disse Gesù: “Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Come nell’episodio della Trasfigurazione, la voce dal cielo conferma la piena protezione del Padre, la sua certa condiscendenza verso il Figlio, obbediente fino alla morte. Gesù già è sicuro dell’amore del Padre, ma la manifestazione è una conferma per la folla presente. La forza di Cristo non è nell’applauso e nell’acclamazione della folla, ma è nel suo rapporto con il Padre, nell’intensità della sua comunione divina.
31. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. 32. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”. Giovanni ribadisce che la vittoria è sicura: Gesù vince il maligno e viene glorificato. Egli è il frumento caduto nel solco della terra che viene trasformato in una spiga carica di frutti. Al di là dell’immagine, Gesù è la fonte della nostra salvezza, Colui che ci ha aperto le porte del Cielo e ci immette nella comunione trinitaria. La sospensione sulla croce diventa un vero innalzamento: Cristo è posto bene in vista, perché tutti possano vedere l’infinito amore con il quale ci ha amati. “Attirerò tutti a me”: la croce diventa un trono dal quale, come una calamita, Cristo ci attira tutti, senza alcuna distinzione. L’“attirare” di Cristo avviene per amore; amore che ha generato schiere di discepoli, di testimoni che hanno dato la vita sul suo esempio, che hanno dato senso al loro esistere.
33. Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire. Giovanni ribadisce che la morte di Gesù è conforme alla volontà del Padre che lo vuole glorificare. La croce è lo strumento per far capire agli uomini quanto è grande l’amore di Dio, è lo strumento che glorifica il Figlio di Dio perché, innalzato sul patibolo, possa indicare per sempre la strada per il cielo: la fede in Dio e il suo amore verso di Lui e i fratelli. Come discepoli di Cristo, seguiamo il nostro Maestro e Redentore anche nei momenti difficili e oscuri della prova, della sofferenza, del rifiuto, dell’incomprensione, della malattia, del dolore fisico e morale, certi che Lui ci è accanto. Non fermiamoci mai alla fatica, ma guardiamo il Crocifisso e gridiamo: “Grazie per il tuo immenso amore per me! Se Tu hai dato la vita per me, vuol dire che sono prezioso ai tuoi occhi!”. Nulla e nessuno, allora, ci potranno impedire di compiere la volontà di Dio fino in fondo!
Suor Emanuela Biasiolo