La scuola. Considerazioni-1

Nell’arco dell’ultimo anno, e mai come prima, la scuola è diventata centro delle attenzioni di tutti. Una nazione ai livelli più bassi nella comprensione di testo, che ha disinvestito soprattutto nella sua area principe, quella umanistica, si è ritrovata a sapere tutto e di più. Non potendo dedicarsi allo sport, sembra quindi che la passione per essere tutti Commissario Tecnico della nazionale di calcio si sia trasformata in un esercizio a fare didattica sulla scuola. Estraendo dal cassetto ricordi forse un po’ sbiaditi, di banchi e sedie, di cattedre e bidelli, senza curarsi di verificare quanto di vero ci fosse ancora di quella scuola nel mondo attuale. Spesso infatti si accompagnano i figli a scuola restando in automobile o sul cancello, relazionandosi poco con gli insegnanti. Nell’ultimo anno, miseramente, di discorsi pedagogici se ne sono sentiti davvero pochi, mentre sono emerse molte criticità, zittite dalle rotelle ai banchi, dalla Didattica a Distanza (prima osannata e poi demonizzata), dai concorsi e dalle assunzioni. L’elenco è lungo.

Vorrei iniziare a scrivere alcune considerazioni sulla scuola, per contribuire a fare un po’ di chiarezza e dare spunti di riflessione, ora che abbiamo abbastanza le idee chiare sulle casistiche accadute in questi ultimi mesi.

A partire dalla Pedagogia, tristemente sostituita da una schiera di professionisti che, spesso al pari della gente comune, parla di scuola senza conoscerla davvero.

Oggi la scuola viene discussa fuori sede da neuropsichiatri, psicologi, assistenti sociali, politici, che non si confrontano quasi mai, o troppo poco, con il corpo insegnante. E quel che è peggio, spesso senza riconoscerne la professionalità. L’insegnante è esautorato non solo di autorità, ma anche di riconoscimento, fermo restando che deve, deve, deve un sacco di cose. Il territorio non ha quasi più strutture intermedie alla scuola, dove gli assistenti sociali operino per l’inserimento e il reinserimento. Viene scaricato sulla scuola il fallimento delle attività (vedi l’insegnamento della Lingua Italiana agli stranieri, i corsi di preparazione al conseguimento della Licenza media, le attività di reinserimento concertate con il Tribunale nel caso di percorsi di recupero di comportamenti errati, eccetera) appaltate spesso senza troppo controllo ad enti terzi come varie cooperative, delle quali non tutte lavorano come si deve. E mentre in classe il corpo insegnante non ha potere, il potere degli altri sulla scuola stessa svilisce la possibilità di avere una Scuola, in Italia, degna di questo nome e del sapere che potrebbe creare, al di là della valutazione (per la quale serve un capitolo a parte) e del pezzo di carta.

E poi il lessico. Pezzo di carta. La scuola non fornisce soltanto attestati, qualifiche, diplomi, ma una formazione della persona che si forgia sulla personalità stessa di un insegnante, figura di certo differente da quella dello psicologo, dell’assistente sociale, del neuropsichiatra, del genitore, eccetera.

Chi riesce male a scuola riesce bene nella vita. Altro luogo comune per il quale non esiste substrato civile in grado di arginarne la deriva. Ascoltando le prospettive di molti ragazzi adolescenti di oggi, ma purtroppo anche di bambini in età scolare, il mito non è comportarsi bene e studiare o almeno frequentare la scuola, quanto fare soldi, avere potere, essere rispettati. Quasi nessuno (o troppo pochi, in troppo pochi casi) compie azioni territoriali ex ante valide per questo, temendo quell’idea desueta di autorità e autorevolezza per cui si pensa sinonimo il termine autoritarismo. E tutti coloro che volessero portare aria fresca su questo, vengono demonizzati o scherniti, perché il professore si dileggia, viene trattato come quello che non sa proprio perché insegna, altrimenti farebbe un altro lavoro.

Poi, improvvisamente, i genitori, il corpus dei vari professionisti, i politici, si sono accorti di cosa significa non avere qualcuno al quale delegare la propria genitorialità per alcune, anche molte ore al giorno. Se non si portano i figli a scuola, bisogna gestirseli. Il professore è, per un momento, diventato alleato, capace, addirittura un santo, perché si è compreso quanta pazienza serva per “sopportare e supportare” i propri figli. Sembrava un buon momento per costruire una vera e valida alleanza tra genitori e insegnanti, fatta di collaborazione, nella quale si facesse squadra PER i figli, per le nuove generazioni. Molti però purtroppo, dopo un iniziale smarrimento, sono diventati migliori degli insegnanti, che spesso ora devono difendersi dalle loro “ricette” di istruzione come il cuoco di un ristorante quando, andando a pranzo o a cena da lui, non ti serve la pietanza identica a quella dei cuochi delle svariate trasmissioni di ricette televisive. Di nuovo, per molti (sempre non per tutti) l’occasione è diventata una modalità superficiale di relazionarsi con gli studenti, inneggiando alla necessità di tornare ad una scuola in presenza non tanto per la formazione, quanto per la relazione: la ricreazione, l’incontro per strada, il parlarsi. Perché la scuola, e questo si è letto ovunque, serve per parlare, non per imparare; serve per accedere alle macchinette e non per svolgere attività culturali. Si sente solo parlare di questo, svuotando la relazione docente/studente e studente/studente di fondamento pedagogico, per darne solo una funzione psicosociale.

Una ricetta importante, alla fine di questa prima riflessione, che non intende puntare il dito ma suscitare una riflessione un po’ più approfondita dei corti e immediati messaggi sui social, è fermarsi, in questo nuovo lockdown, a pensare alla scuola come fucina di sapere, di crescita economica, coesione sociale. La scuola che insegna davvero e ancora, dato che ne è rimasta l’unica istituzione grande sul territorio dopo la famiglia. La scuola fatta prima di tutto da chi insegna, che deve mettere le basi di un programma che già tiene conto di quanto indicano altri specialisti, perché gli insegnanti sono formati per svolgere il loro lavoro. Si deve cominciare da un corpo insegnante solido, stabile, aggiornato e lasciato libero di dare quella parte di Sé che si trasmette sempre con l’insegnamento.

Ci leggiamo alla prossima puntata.

Alessia Biasiolo

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