Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito

IV DOMENICA DI QUARESIMA – LAETARE – ANNO B – GIOVANNI 3,14-21

14. In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, La quarta Domenica di Quaresima è chiamata Domenica in Laetare perché la liturgia ci invita alla gioia di saperci amati da Dio Padre. Egli ha tanto amato il mondo da mandare il Figlio per salvare gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi e ammetterli alla piena comunione con Lui. Il Vangelo presenta la seconda parte dell’incontro di Gesù con Nicodemo e il monologo che compendia il mistero della salvezza. La riflessione che scrive Giovanni è una interpretazione che va “oltre”, una visione più profonda che appartiene solo a chi ha fede in Cristo. Dio ci accoglie sempre come suoi figli, qualunque sia la nostra situazione o la nostra condizione. Il Padre ama il Figlio e il Figlio non desidera altro che rispondere all’amore che riceve dal Padre. Noi viviamo perché siamo amati e perché ogni momento Dio ci dona il respiro, il battito del cuore, la luce dell’intelligenza per conoscerlo di più e amarlo di più. Il suo amore ci spinge ad amare gli altri perché non possiamo fare altro che donare quanto riceviamo. Il suo amore è traboccante ed eccedente. “Come Mosè innalzò il serpente”: il serpente innalzato su un’asta da Mosè nel deserto portava salvezza a chiunque l’avesse guardato. Così Gesù deve essere innalzato sulla croce per portare salvezza, come dicono i Padri della Chiesa. Per i primi cristiani il verbo “innalzato” equivale a “glorificato”. Proprio con il suo innalzamento sulla croce, Cristo libera dalla morte. “Così bisogna che sia innalzato”: l’innalzamento di Gesù avviene quando è appeso alla croce. Nel momento della più ignominiosa delle morti si rivela lo splendore della sua gloria. Soffre per amore. Perdona per amore. Muore per amore. Crocifisso e glorioso: due aspetti di un unico mistero di amore. Al rifiuto più grande risponde l’amore più grande ancora. “Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Giovanni 12,32); “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo”, ossia lo avrete fisicamente messo in croce, “allora conoscerete che Io Sono” (cfr Esodo 3,14). Giovanni evangelista ha visto morire Gesù (vigilia della Pasqua, 7 aprile anno 30), è stato testimone dei suoi supplizi, era presente al disprezzo dei carnefici. È stato anche testimone, però, della risurrezione, per cui può dire con cognizione di causa che “era necessario”, “bisognava” (necessitas) che Gesù patisse tutto questo per entrare nella gloria e per salvarci. Era la strada obbligatoria per essere creduto. Giovanni evangelista penetra il mistero e afferma che la croce è una gloria, mentre per i sinottici è una tortura, un supplizio, un’infamia. Sono letture diverse dell’unico evento. Anche per noi, discepoli del Signore, quello che sembra un fallimento e una tragedia può diventare un evento che cambia la vita in meglio. Per questo dobbiamo sempre approfondire la nostra fede e stare uniti a Dio come tralci alla vite. Egli ci fa conoscere le profondità della Verità, perché Lui è Verità. “Il Figlio dell’uomo”: l’espressione ebraica designa l’essere umano nella sua condizione creaturale di fronte a Dio (cfr. Salmo 8,5; 80,18; Ezechiele 2,1; ecc.); assume pertanto il significato di un essere che fa parte “della stirpe umana”, nella sua situazione di caducità, di esposizione alla sofferenza e alla morte. Nei Vangeli, Gesù preferisce utilizzare questa espressione quando parla di se stesso. Rivela che Egli è veramente entrato nella storia come uomo, che è solidale con la condizione di fragilità di noi creature limitate e finite. Nel libro di Daniele 7,13 il “Figlio dell’uomo” designa un personaggio che viene dalle nubi del cielo e che ha il potere di esprimere il giudizio finale. Pertanto il “Figlio dell’uomo” è il Messia, l’Inviato di Dio che, venendo nella gloria, alla fine dei tempi, giudicherà il mondo e l’umanità.

15. “perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. Giovanni in questo versetto afferma che chi crede in Gesù ha la vita eterna. L’unica condizione è “credere”. A somiglianza degli Israeliti che, per essere salvati, dovevano guardare il serpente di bronzo innalzato, così noi cristiani, per avere la salvezza, dobbiamo alzare gli occhi e guardare a Gesù Cristo innalzato sulla croce, glorificato e risuscitato.

16. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Questo versetto costituisce il nucleo centrale del Vangelo di Giovanni: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Per Dio siamo talmente importanti che non ha esitato a dare quanto aveva di più prezioso e di più caro: il proprio Figlio. Ciascuno può affermare che è amato da Dio alla pari di quanto Egli ha amato Gesù. Non solo l’umanità è amata, ma tutta la creazione, perché Dio è per sua natura Amore. “Dio infatti ha tanto amato il mondo”: è un’affermazione presente solo nel Vangelo di Giovanni. Il verbo indica un’azione che è iniziata nel passato, ma che continua nel presente. Per “mondo” si può intendere la terra, il nostro pianeta, l’universo creato, ma anche “tutta l’umanità, tutto l’essere umano”. L’amore di Dio è la fonte da cui scaturisce tutta l’opera della creazione e tutta la salvezza. Siamo amati da Dio e nulla ci può distogliere dal Suo amore. “Il mondo sappia che li hai amati come hai amato me” (Giovanni 17,23): il Padre ama ciascuno di noi come ha amato il Figlio, al di là di ogni nostra debolezza, di ogni nostro peccato. Ognuno di noi è il figlio prediletto di Dio. Non siamo noi ad amare Dio, ma è Lui che ama noi. “Da dare il Figlio unigenito”: Dio manda il Figlio a compiere la missione nel mondo. Lo dà a noi come Padre. Infatti Dio non è un Dio inaccessibile, ma Colui che ci dà la vita e che continua a darci l’ossigeno del suo amore. “Figlio unigenito”: il riferimento è al figlio di Abramo, Isacco, figlio unico e tanto amato (cfr. Genesi 22). Credere nel Figlio di Dio è già avere la vita eterna. “Vita eterna”: la nostra esperienza di vita è una realtà che finisce con la morte. La vita che non finisce mai, la vita eterna, è un’esperienza che ci viene donata da Cristo. Per noi cristiani “Gesù Cristo è la vita eterna”. Fin da ora, Egli, Risorto e vivente, è presente accanto a noi, lo sarà anche nella morte, e al di là della morte. Egli è pronto ad abbracciarci per essere sempre con Lui. Vista da quest’ottica, la vita eterna può essere non solo una speranza, ma anche un desiderio. La consapevolezza del dover attraversare il tunnel della morte incute angoscia, ma non siamo soli: nulla può separarci dal suo amore (cfr. Romani 8,35).

17. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Lo stesso versetto precedente viene ribadito in forma negativa, allo scopo di rafforzare il concetto fondamentale, già espresso. Lo scopo è chiaro: Dio vuole che tutta l’umanità partecipi alla sua stessa vita. Cristo ci presenta Dio come Padre tenero e non come giudice severo. Egli non condanna il mondo, ma lo salva. “Non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo”: Dio non vuole condannare il mondo, ma vuole che tutti “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Giovanni 10,10). Non dobbiamo pensare a un Dio che prepara processi contro di noi. Egli attende la nostra risposta per abbracciarci con tutto il suo amore di Padre. Impariamo da Lui non a convertire gli altri, ma ad amarli; non a cambiare il mondo, ma ad amarlo dal di dentro, così com’è. Non condanniamo gli altri e tanto meno noi stessi perché sappiamo di essere tutti amati e perdonati in partenza.

18. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. Giovanni continua a sviluppare il tema del giudizio, collegato alla fede nel Figlio unigenito di Dio. Se crediamo in Gesù abbiamo fin da ora la vita. Se non crediamo in Lui, scegliamo la morte definitiva. Credere o non credere all’amore dipende solo da noi. La salvezza non viene data o tolta da Dio: Dio vuole che tutti siamo salvi, ma sta a noi operare la scelta di aderire a Lui o di autoescluderci dalla salvezza. Come fare per avere la vita eterna? Semplicemente credendo nel Figlio Gesù, perché, accogliendo Lui, siamo già accolti dal Padre. Se non crediamo, siamo già giudicati da noi stessi e ci autoescludiamo dalla salvezza. Non c’è nessun giudizio, nessuna condanna né da parte di Dio né da parte del Figlio, perché Dio è amore e dove c’è l’amore non c’è né giudizio né condanna. L’esclusione dall’amore avviene solo per nostra libera scelta.

19. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. In questo versetto viene denunciata la situazione dell’umanità che preferisce il male al bene, le tenebre alla luce. Il problema nasce dal fatto che l’uomo che non crede si comporta da malvagio e compie opere malvagie. Chi crede compie anche opere buone.

20. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate.

21. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio». “Chiunque infatti fa il male, odia la luce”: chi opera il male lo fa nelle tenebre, nel nascondimento. Quando parla di opere, Giovanni evangelista, intende “L’opera di Dio è che crediate in Colui che egli ha mandato” (Giovanni 6, 29). Quello che Dio si aspetta dall’uomo è la fede nel Figlio di Dio. Essere nella verità significa lasciarsi conquistare dalla Parola e aderire con fede a Dio, attraverso Cristo. La nostra libertà consiste nell’accettare o nel rifiutare Cristo. Siamo chiamati alla luce e siamo veramente realizzati come persone se ci apriamo alla fede, dalla quale scaturiscono le opere di bene. “Chi fa la verità viene verso la luce”: Giovanni annuncia che ad ogni uomo è offerta la salvezza, perché in tutti c’è un seme immesso da Dio Creatore, un desiderio profondo di Lui. Chi è fedele a Dio, accetta anche Gesù, il Figlio suo diletto. Al tempo dell’evangelista Giovanni, le comunità cristiane perseguitate traggono forza da queste parole di speranza e di luce. Gesù è più forte del mondo: “Voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” (Giovanni 16,33). Anche noi, cristiani del ventunesimo secolo, abbiamo bisogno di questa luce, di questo incoraggiamento per superare le prove della vita che talvolta sono terribili. Siamo chiamati a credere che veramente siamo oggetto dell’amore di Dio, amore talmente grande che per noi ha dato il Figlio. Non siamo soli, non siamo abbandonati, ma siamo figli pensati, voluti, benedetti, amati dal Padre. Questa certezza ci dia consolazione, speranza, fiducia nell’affrontare la fatica dell’esistere, nell’accettare con pazienza le nostre fragilità, nel rialzarci dalle nostre cadute, perché Dio ama noi suoi figli anche quando siamo imbrattati dal fango. Ci rialza, ci attira a sé, ci fa risplendere della sua stessa luce, e ci rinvigorisce con la sua stessa vita. All’amore di Dio possiamo rispondere solo con un libero consenso personale. Possiamo scegliere di rifiutare la Luce e autocondannarci al vuoto, al male, al nulla, alle tenebre. Viceversa, possiamo scegliere Dio e vivere fin da ora un’esistenza felice, nella luce della verità, nell’amore aperto verso tutti, nell’attesa di incontrarlo un giorno faccia a faccia, nella beatitudine eterna.

Suor Emanuela Biasiolo

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