Carte e tele 1993/2015. Una mostra di Salvatore Garau

Sessanta carte, metà delle quali  mai esposte, quasi dimenticate, raccolte in due album di trenta lavori ognuno, realizzati a vent’anni di distanza l’uno dall’altro, e in mezzo otto grandi tele che sintetizzano il passaggio dell’artista dal bianco e nero al colore.

“Carte e tele, 1993/2015” è il titolo della nuova mostra dell’artista sardo Salvatore Garau, classe 1953,  ospitata al Museo Nazionale  della Repubblica a Brasilia fino al 4 dicembre 2016 e realizzata in collaborazione con l’Ambasciata d’Italia di Brasilia, il Governo di Brasilia e l’Istituto Italiano di Cultura di San Paolo.

Il primo album di carte (serie “Sculture sul limitare”, cm 24×33, 1993) è composto  di trenta piccoli lavori con una scultura disegnata a ridosso del margine della superficie della carta, sul limite estremo dopo il quale l’avventura continua anche se non possiamo vederla, dove la scultura fa appena in tempo ad affacciarsi, e chi l’ha costruita si è già dileguato ma ne sentiamo il lavoro. “Sculture” immobili disegnate minuziosamente con grafite a contrasto col paesaggio, in continuo mutamento, sul quale sono posate.

Il secondo album di carte (serie “Rosso Wagner”, cm 40×30, 2013) è composto da altri trenta lavori dove il rosso porpora e l’argento si materializzano non  più utilizzando il “minerale” della grafite ma il “lucido” dell’alluminio. Carte nate col sostegno, dapprima segreto e poi imperioso, della musica di Wagner che ha aiutato a creare un mondo passionale di contrasti caldi e freddi, di odi e amori, di drammi e gelosie; contrasti violenti,  una fusione dolce  che nel cinema la chiameremmo dissolvenza: morbido ingresso di altro e morbida scomparsa di ciò che già c’era. I colori non asciugano, ma si fondono insieme nell’atto della pittura, archetipo di un matrimonio che non crea traumi.

Le “Sculture” disegnate con grafite e acrilico tagliano la superficie anche al centro della grande tela, dettando la prospettiva e quindi lo spazio, nel quale l’artista è immerso lavorando dall’interno.

Delle otto tele presenti a Brasilia, realizzate tra il 2003 e il 2015 e che raccontano in maniera quasi viscerale il passaggio dal bianco e nero al colore, in una sola di esse, anche se di sfuggita, una traccia tangibile della presenza fisica di un uomo: “Mantello rosso che abbandona la scultura” (2007). Il mantello è trascinato via da una mano che non c’è, nell’atto in cui sta appena scoprendo la scultura.

Questa tela è la metafora del lavoro di Salvatore Garau: l’uomo è importante nel momento in cui  lascia una traccia del suo passaggio: un susseguirsi di piccole e grandi azioni vissute con passione. E l’Arte, come tutto il resto,  è solo un semplice atto d’amore

 

De Angelis

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