Pagliacci e Gianni Schicchi inaugurano la stagione lirica di Parma

Pagliacci di Ruggero Leoncavallo e Gianni Schicchi di Giacomo Puccini inaugureranno, domenica 12 gennaio alle ore 20.00, la Stagione Lirica 2014 del Teatro Regio di Parma (repliche il 18, 21, 24, 26 Gennaio). Assenti da lungo tempo dal palcoscenico del Regio, le due opere saranno in scena nel nuovo allestimento di Federico Grazzini, con le scenografie di Andrea Belli, i costumi di Valeria Donata Bettella, le luci di Pasquale Mari. Francesco Ivan Ciampa sarà alla guida dell’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna, del Coro del Teatro Regio di Parma e del Coro di voci bianche e giovanili Ars Canto Giuseppe Verdi. Maestro del Coro Martino Faggiani. Maestro del Coro di voci bianche Gabriella Corsaro.

Protagonisti di Pagliacci saranno Kristin Lewis (Nedda), Marcello Giordani (Canio), Sergey Murzaev (Tonio), Davide Giusti (Peppe), Marcello Rosiello (Silvio), insieme ad Alessandro Bianchini (Un contadino) e Demetrio Rabbito (Un altro contadino); nelle recite del 18 e 21 i ruoli di Nedda e Canio saranno interpretati da Serena Daolio e Rubens Pelizzari.

Elia Fabbian sarà il protagonista di Gianni Schicchi, accanto a Ekaterina Sadovnikova (Lauretta), Silvia Beltrami (Zita), Davide Giusti (Rinuccio), Matteo Mezzaro (Gherardo), Eleonora Contucci (Nella), Luca Faroldi e Ernest Stancanelli (Gherardino), Gianluca Margheri (Betto di Signa), Matteo Ferrara (Simone), Marcello Rosiello (Marco), Romina Boscolo (La Ciesca), Stefano Rinaldi Miliani (Maestro Spinelloccio e Ser Amantio di Nicolao), Matteo Mazzoli (Pinellino), Romano Dal Zovo (Guccio).

Si rinnova sabato 11 Gennaio alle ore 17.00 al Ridotto del Teatro Regio, con ingresso libero, l’appuntamento di presentazione delle due opere in Prima che si alzi il sipario, nel quale lo storico della musica Giuseppe Martini, ne metterà in luce gli aspetti salienti. L’incontro sarà arricchito dall’esecuzione dal vivo di alcuni brani, interpretati dai soprani Giovanna Iacobellis e Xin Zhaoo, allievi del Conservatorio di Musica “A. Boito” di Parma, accompagnati al pianoforte da Yuna Saito e coordinati da Donatella Saccardi.

Per informazioni: Biglietteria del Teatro Regio di Parma tel. 0521 203999 biglietteria@teatroregioparma.org www.teatroregioparma.it

Paolo Maier

 

Bilancio 2013 per deltaplano e parapendio

Il 2013 come anno del volo libero in parapendio ed in deltaplano, lo
dedicheremmo a Nicole Fedele, la pilota di Gemona del Friuli, già campionessa europea in carica, se non ci fossero altri successi degli
atleti azzurri a riconfermare l’Italia ai vertici delle graduatorie
mondiali. Si comincia a gennaio, in Colombia, dove Nicole conquista la Coppa del
Mondo di parapendio femminile, mentre Aaron Durogati di Merano fa sua quella maschile. A luglio, in Bulgaria, la pilota friulana è terza ai campionati mondiali nella classifica femminile. E’ anche un successo per tutta la
nazionale che vince l’argento a squadre e per il torinese Davide Cassetta che
vince la medaglia di bronzo maschile. La comitiva azzurra contava in più i
trentini Christian Biasi e Luca Donini, Marco Littamè (Torino), Alberto Vitale
(Bologna) e il CT Alberto Castagna di Milano. Emergono anche Littamé e
Donini che vincono due manche. Pochi giorni dopo un altro Donini, Nicola, figlio del precedente, vince la Coppa del Mondo di acrobazia sul Lago di Cavazzo, sempre in Friuli, regione che ha ospitato i più importanti eventi dell’anno.
Ad agosto ancora Nicole Fedele ed Arduino Persello stabiliscono i record
mondiali di parapendio andata e ritorno. Tra Slovenia ed Italia volano
rispettivamente 280 e 312 chilometri fino a tornare da dove erano
decollati.
La ragazza replica in Brasile lo scorso novembre con il record mondiale
di distanza libera su 381 chilometri ad una media di oltre 42 km/h,
toccando 2787 metri di quota, un anno indimenticabile per la Fedele.
In Australia, la nazionale di deltaplano colleziona il terzo titolo
mondiale consecutivo da aggiungere ai due titoli europei ed altri tre mondiali
vinti negli anni passati. Singolarmente Alessandro Ploner (San Cassiano,
Bolzano), campione del mondo uscente, strappa l’argento ed a Filippo Oppici
di Parma va la medaglia di bronzo. Ottime le prestazioni degli altri piloti:
Christian Ciech, di Varese, vince due delle dieci manche ed il
bresciano Tullio Gervasoni nell’ultima giornata di gara acquisisce punti
preziosi per la vittoria azzurra. Gli altri sono Davide Guiducci di Villa Minozzo
(Reggio Emilia) ed il CT Flavio Tebaldi di Venegono Inferiore (Varese).
Della nazionale fa parte anche Suan Selenati, di Arta Terme (Udine), che
insieme a Manuel Vezzi tra agosto e settembre sono protagonisti di
un’impresa epica. Attraversano in volo i cieli d’Italia, Slovenia, Croazia,
Bosnia, Montenegro, Albania, Macedonia, Bulgaria e Grecia,1600 chilometri, e posano le ali dei loro deltaplani alle porte dell’Olimpo, il monte
degli dei. Erano decollati dal monte Zoncolan, in Friuli, 42 giorni prima.

Gustavo Vitali

 

Un boss in salotto

Commedia divertente, il nuovo film di Luca Miniero (il regista di “Benvenuti al Sud” e del seguito “Benvenuti al Nord”, di raro successo soprattutto il primo, per alcuni critici incomprensibile) non propone nuovi argomenti sui quali riflettere, ma lancia la moda del “cinepastiera”, come lo stesso Miniero lo definisce. Intanto la trovata di fare uscire le 450 copie Warner nelle sale il primo dell’anno, intuendo che molte persone avrebbero approfittato della mancata gita fuori porta e si sarebbero dedicate ad un’attività intelligente ed economica come andare al cinema, magari la famiglia al completo; poi per uscire dalla tiritera del cinepanettone. Qui, infatti, non abbiamo avanzi di panettone e pandoro, ma una pastiera, cucinata addirittura dal boss Ciro, Rocco Papaleo, nella cucina più che perfetta della sorella Carmela (Paola Cortellesi), che però si fa chiamare Cristina. Una nuova commedia per un anno nuovo? Come suggerisce Nicola Maccanico?

In realtà gli stereotipi di quest’Italia malridotta ci sono tutti e sono i soliti: al nord precisi e diligenti, al sud camorristi e pasticcioni, eccetera, eccetera. In realtà qualcosa di nuovo c’è. Ed è la visione di fondo del film: viene fotografata, senza troppo girarci intorno, la famiglia media italiana con i suoi molti vizi e qualche virtù. Infatti, al di là del soffermarsi su frasi come il nord è freddo e umidiccio, si mangia male (“che … sono ‘sti canederli?”) e al solito, ecco che abbiamo una donna che, lasciato il passato di orfanella e il sud carico di problemi, si  trasferisce in Trentino e diventa la perfetta madre di famiglia. Sposa un uomo semplice e abbastanza sottomesso (Luca Argentero), ha due figli (Saul Nanni e Lavinia dè Cocci, molto bravi per la giovane età) e passa il suo tempo a studiare come fare per avere successo.

Il mito del successo, infatti, sta alla base di tutto. Del collegio per i figli che uno odia e l’altra sopporta solo perché più piccola; dello sport per il maschio e della scuola di danza in tutù per la figlia (questo sì lo odia, ma non ha il coraggio di dirlo a nessuno); della casa orribile, ma alla moda e soprattutto costruita dal datore di lavoro del marito. Il quale non riesce a disilludere la moglie: è un pubblicitario mediocre, che crea slogan e pubblicità orribili, eppure la moglie lo crede degno del più alto paradiso di ruolo e soldi. Cristina spende molto più di quanto il marito guadagni, ma questo l’uomo non può ammetterlo e farglielo sapere, perché infrangerebbe dei sogni che Cristina coltiva da tempo e che lui sa sono per il bene della famiglia.

Ma qual è questo bene? Per Cristina, che persegue strenuamente la dieta del pinzimonio e inorridisce al pensiero di pastiera, pasta, mozzarelle e tutto quanto le ricorda il passato, dialetto compreso, tanto che parla in quasi perfetto dialetto locale, è di certo diventare amica dell’impossibile moglie del capo, interpretati l’una da Angela Finocchiaro, trade d’union con gli altri film e perfetta nel ruolo, spassoso e sempre ben interpretato, e dallo stralunato Ale.

Così eccoci al caso: il fratello di Carmela/Cristina, Ciro, sospettato di essere un boss della camorra, è in attesa di processo; ha diritto ai domiciliari e chiede di trascorrere il tempo di attesa dalla sorella, non avendo nessun altro, sorella che non vede da quindici anni e di cui non sa più nulla. La polizia la rintraccia e le comunica di andarselo a prendere.

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Lo spannung è che Cristina non ha detto a nessuno che il fratello è vivo, tanto che in casa troneggia una foto di lui, spolverata ogni giorno (e l’inizio del film con piumino spolverante è carino), morto durante una processione. Quindi ecco che tutto il castello di carte della donna crolla. E non solo per la presenza in casa di un chiacchierone disordinato fumatore, quanto perché all’improvviso l’idea che la famiglia Coso (già il cognome è tutto un programma) sia imparentata con una famiglia mafiosa mette a posto tutto. Il paese intero ne ha timore e reverenza, fascino del potere e curiosità. Insomma, quest’Italia che vuole più di quello che ha, appare più di quello che è, premiante non il merito ma l’esteriorità, anche se poi l’azienda del capo è in crisi e, altro che castello di carte, potrebbe cadere da un momento all’altro. Alla fine, tra gag più o meno riuscite, quello che viene tratteggiato è ciò che ci fa ridere e riflettere di più, malgrado la fine melensa che vuole, però, tornare ai buoni propositi e alla correttezza non tanto dei fatti quanto dei principi.

Cristina ritorna la Carmela fragile e vera nel ricordo dell’unica figura di riferimento che aveva, la suora dell’orfanotrofio, e così se era antipatica e dispotica conta sempre sull’amore del marito e dei figli che desiderano sì assecondarla, ma anche uscire dall’incubo di qualcosa di falso che è più appiccicoso dell’idea di essere camorristi. Alla fine Ciro aveva mentito, per essere considerato, per essere qualcuno, e allora ecco il film catarsi di chi vuole tornare ad essere solo vero per cominciare un nuovo anno all’insegna della ripresa. Ciascuno deciderà di cosa.

Il film ha incassato 1 milione 503mila 349 euro nel solo giorno di uscita, con il tutto esaurito ad ogni orario di programmazione. Apprezzato dal pubblico in sala, con a tratti fragorose risate. In effetti la coppia Cortellesi/Papaleo funziona molto bene, anche se alla fine abbiamo una trama un po’ sfilacciata quando dal rapporto tra loro due ci si distacca. Azzeccate le macchiette del professore di inglese, un Salvatore Misticone in bombetta, e della coppia di poliziotti Marco Marzocca e Massimo De Lorenzo.

Alessia Biasiolo

 

 

 

La purga. A teatro…

Qualcuno l’ha trovata in cartellone prima delle feste, qualcuno la troverà dopo. È “La purga” di Georges Feydeau, messa in scena dal Teatro Stabile delle Marche con la regia di Arturo Cirillo. A Brescia, la commedia era inserita nel buon calendario della rassegna “Altri percorsi”, promossa dalla Regione Lombardia e Circuiti Teatrali Lombardi, rappresentata al Teatro Sociale.

Scritta dal drammaturgo francese verso la fine dell’800, “La purga” è una commedia divertente, ben recitata da Arturo Cirillo, Sabrina Scuccimarra, Rosario Giglio, Luciano Saltarelli, Giuseppina Cervizzi. Anche se, visto il testo, ci si aspettava qualcosa di più. Commedia degli equivoci che anticipa quella dell’assurdo, nella proposta cala di tono a tratti, lasciando meno soddisfatti di quanto ci si aspetti. Belle le scene di Dario Gessati, con sedie sostituite da water, dato che il protagonista del lavoro commercia in vasi da notte e gabinetti con accessori. Se per buona parte del tempo il povero Fallavoine è alle prese con una moglie che fa i lavori di casa al posto della cameriera e gira per casa discinta e con il secchio, dimostrando che la sua unica preoccupazione è la mancata scarica giornaliera del figlio, lo stesso Fallavoine è compreso dal suo ruolo di proponente di vasi da notte al Ministero della Difesa. I soldati, infatti, saranno dotati di vaso da notte per andare in guerra, se l’incontro casalingo con il funzionario del ministero della guerra andrà bene. E mentre i vasi da notte girano allegramente per casa, lo fa anche la cameriera Rosa, quando porta una terrina con i pochi escrementi del bambino Totò dei quali il padre e gli ospiti, funzionario Chouilloux compreso, si interessano assai poco, mentre la madre Giulia ne è disperata.

Totò è interpretato da un adulto e quindi è surreale la scena che si vede, con questo bambino terribile che non vuole ingerire la purga, la moglie del funzionario del ministero che è alle prese con continui peti e il tema che non si sbroglia, perché Feydeau non lo vuole fare. La trama si arrotola volutamente su se stessa, e il gioco spassoso tra marito e moglie è quello di due che parlano senza dirsi niente, per aneddoti, fraintendimenti, doppi sensi. Come a volte (più o meno spesso) succede anche nella vita reale.

La purga per il bambino costipato, quindi, è la farsa del padre costruttore di sanitari, è la derisione dell’autorità paterna, è la derisione di un’intera società che, ben più preoccupata della superficialità che della sostanza, si preparava ad una guerra con i vasi da notte anziché con qualcosa di un po’ più consono. Debolezza che si vedrà con lo scoppio della prima guerra mondiale.

L’ambientazione scelta dal regista è un interno casa degli anni ’60, con una famiglia borghese tratteggiata non solo dall’incomunicabilità tra i coniugi, ma anche alle prese con la servitù spesso intrattabile e per forza quindi più importante della stessa padrona, che vuole sì che il marito la faccia servire, ma vuole anche che nessuno tocchi le sue cose e che tutto sia fatto da sé.

Il tradimento, o sospetto tale, aleggia con l’intervento in scena della signora Chouilloux, mentre le regole di galateo sembrano frantumate da personaggi che vivono di vita propria, come proprio l’autore voleva. Ecco allora che si anima la scena di qualcuno che fa proprio quello che vuole, in un clima di dissacrazione della società dei tempi di Feydeau e degli anni ‘60/’70 italiani che fa ridere e pensare allo stesso tempo.

Alessia Biasiolo

 

 

 

 

D’IVO. Mostra antologica di Ivo Compagnoni a Brescia

Mostra D'IVO

Verrà inaugurata domani, 5 gennaio, alle ore 17.00, a Brescia, presso la Sala SS. Filippo e Giacomo (via delle Battaglie, 61), la mostra antologica “D’IVO” dell’artista bresciano Ivo Compagnoni. Una vasta selezione di opere che tratteggiano i quarant’anni di attività pittorica del nostro.

Giusto nel 1974, infatti, Ivo inizia ad affacciarsi sul mondo dell’arte, della pittura, curiosando tra stili e generi. Abbiamo gli inizi figurativi, quasi poi impressionisti, ma soprattutto divisionisti; c’è il figurativo che pare avvolto nella nebbia e la limpidezza dei casolari e dei paesaggi, c’è l’ammissione sempre del proprio essere autodidatta anche nella ricerca più matura, avanzata, provata e riprovata nello scegliere supporti e temi che scaturissero dall’anima e non dalla volontà di farsi un nome. E come una persona colta e appassionata, l’autodidatta è diventato padrone della materia, in senso stretto e figurato: delle tecniche e anche dei supporti, dei pennelli e dei colori. I suoi quadri si animano di pezzetti di stoffa, di specchio, di giornali; fino alle ultime bellissime opere che ospitano nidi di vespe e calabroni. E fino alla scultura in cui la materia si anima di tocchi di polistirolo e fibre metalliche per realizzare la tridimensionalità, quasi l’artista volesse guardare i suoi quadri in 3D o 4 D addirittura. Ivo Compagnoni, così, nella sua spontaneità che è la ricchezza più grande che potrebbe regalarci, non diventa “maestro”, non diventa “genio creativo”, ma resta colui che è, ammirato dalla natura che interpreta lasciandosi interpretare. La sua arte sgorga dal profondo e diventa una miriade di colori.

Questo, infatti, è il più grande merito di Ivo: l’uso del colore che si mescola, che sgorga, che ripiega, che nasce e che si espande, ma che sempre ha qualcosa da dire. Campeggia all’inizio del percorso un quadro di Borgonato con un grappolo di uva, perché tra le sue tele abbiamo anche molte dediche ai vigneti, per poi passare all’acqua, agli alberi, ai girasoli, e a molto altro ancora che il visitatore potrà trovare nella libertà assoluta di interpretare l’opera come la vuole vedere, come vuole che sia.

Tra i colori di questo grande artista bresciano, sono state poste le poesie di “Versi Distillati 7″, concorso letterario organizzato dall’Associazione Sidus e dall’associazione A.D.I.D. Delegazione di Brescia, proprio per la rilevanza che prende l’arte accostata. Sapere leggere tra le pagine e tra le tele non è facile, infatti, e la completezza dell’opera si vede dalla capacità del suo creatore di mettersi a confronto e di trovare ispirazione. Nell’ambito della mostra, poi, la settimana prossima, verrà organizzata la cerimonia di premiazione del concorso, giunto alla settima edizione.

L’inaugurazione della mostra avverrà in presenza dell’artista e dei curatori Alessia Biasiolo e Renato Hagman. La mostra si avvale del patrocinio del Comune di Brescia e dell’egida dell’Associazione Sidus.

A.B.