La Stagione di Prosa del Teatro Sociale di Brescia ha proposto, con ieri l’ultima replica, un altro interessante lavoro: “La cantatrice calva” di Eugène Ionesco, messo in scena da Fondazione Teatro Metastasio di Prato, per la traduzione di Gian Renzo Morteo e la regia di Massimo Castri, con la collaborazione di Marco Plini (assistente alla regia Thea Dellavalle). Settanta minuti spassosi, grazie a Mauro Malinverno, Valentina Banci, Fabio Mascagni, Elisa Cecilia Langone, Sara Zenobbio, Francesco Borchi.
Thea Dellavalle è stata assistente di Massimo Castri dal 2001 al 2009 e, grazie ai suoi ricordi proposti per tre giorni in incontri organizzati nel foyer del Teatro Sociale durante il pomeriggio, è stato possibile ripercorrere i lavori e le messinscena di Castri, importante personaggio che ha contribuito a far crescere il teatro stabile bresciano.
Dagli esordi con “Vestire gli ignudi”, transitando per rivisitazioni freudiane che scandagliano l’inconscio, il percorso di Castri ci porta a questa commedia dell’assurdo, con chiacchiere da salotto senza costrutto, con frasi senza senso, a testimoniare il sempre attuale sfascio della società contemporanea, nelle varie epoche. Archetipi della borghesia che si trastulla nei suoi perditempo senza finalità, pur in case eleganti e abiti costosi (belle le scene e i costumi di Claudia Calvaresi), la coppia Smith non fa che dirsi frasi insensate, senza emozione, cariche solo di parole che riempiono la bocca per parlare, ma senza alcun tipo di ragionamento. Ci si mette anche il capo dei vigili del fuoco e la cameriera, in un tutto British tradotto come insopportabilmente “inglese” in italiano. L’elencazione di come tutto sia inglese, infatti, mette quasi i nervi, nella sottolineatura forzata che introduce in un ambiente in cui i due coniugi protagonisti hanno già cenato, per poi non avere cenato affatto, con i due ospiti che hanno atteso fuori dalla porta solo perché non ci sarebbe stata la cameriera ad aprirgliela, essendo uscita per il giorno di riposo. E si sa, per il galateo non si può entrare in casa senza servitù addetta ad annunciare l’arrivo, anche se la servitù non c’è, si è attesi e tutti hanno fame.
Per Ionesco tutto è il contrario di tutto, i legami di parentela sono più importanti della verità e i ricordi spaziano in lunghi periodi: il funerale è avvenuto lo scorso anno ma anche tre, quattro anni fa, perché l’importante è parlare, anche se non si ha niente da dire. E soprattutto se non si sa cosa si dice.
Gli sproloqui dei capo dei vigili del fuoco diventano allora barzellette dal terribile humor inglese, secondo il quale la cantatrice calva si pettina sempre allo stesso modo … motivo del titolo così avvincente.
Le musiche di Arturo Annecchino sottolineano l’evoluzione delle chiacchiere che diventa assurda, mentre l’inesorabile pendola mette in evidenza la follia che regna sovrana, fra le fragorose risate del pubblico, e anch’essa rintocca a ritmi senza senso: dai diciassette rintocchi arriviamo a ore e quarti d’ora battuti alla rinfusa, mentre la cameriera scappa per la platea colta da un inafferrabile senso di liberazione.
Se quindi la società inglese, ma non solo quella nelle intenzioni dell’autore, si è ridotta sempre peggio, è proprio perché il posto di una nobiltà colta e animata da interessi filantropici, si è ridotta a cucire calze e a leggere giornali senza altro contributo dare al mondo se non la propria dabbenaggine.
Certo, non che la caccia alla volpe fosse sommo esempio da seguire, ma il culto di qualcosa, anche solo dell’ora del tè, si è adesso ridotto a tiritere che riempiono le orecchie e innalzano le crestine della donna di servizio, ma non sono in grado di uscire da quella commedia dell’assurdo che tanto piace e tanto ha dato e dà alla riflessione civile.
A Castri, il Teatro Sociale ha dedicato nel foyer del Teatro la mostra “Archivio in mostra”, visitabile fino al prossimo giugno.
Alessia Biasiolo