La quindicesima edizione del Premio Internazionale di Poesia “La Leonessa. Città di Brescia”, ha voluto dedicare una sezione a tema dal titolo “La Grande Guerra. Cent’anni dopo”, al centenario dello scoppio della prima guerra mondiale, che ricorre giusto in questo periodo. Le poesie selezionate sono significative, tra moltissime giunte, per una sezione che ha animato ricordi, preghiere, inni e simboli per coloro che hanno combattuto credendo di compiere il loro dovere per la Patria e la libertà, a qualunque fronte appartenessero. A queste persone, perlopiù uomini in armi, ma anche alle loro famiglie, sono dedicati questi toccanti versi. Il Premio di Poesia è riuscito nell’intento di animare produzioni particolari, come se negli occhi degli autori ci fossero altrettanti occhi sepolti nei loro cuori, forse di persone mai conosciute, ma alle quali viene tributato un ringraziamento che esula dalla spicciola retorica.
SUL MONTE GRAPPA, di Nerina Poggese
A mio nonno, sul monte Grappa alcuni anni fa
Negli occhi tremolano
tutti i giorni passati
riaffiorati qui, fra queste trincee
che calpesti ora con passo incerto.
Su quello spuntone
quante volte sei stato di vedetta
avvolto nel timore
che il tuo fiato ghiacciato
riveli la tua presenza
insieme all’ostia della luna
dissacrata a parole per la sua luce.
Qui le genziane ora ingentiliscono
le rocce, quanti compagni
ha ghermito la morte
e neanche questo cielo così sereno
con la pioggia degli anni,
ne ha dilavato il sangue
che resta rappreso nel tuo animo
nonno e negli incubi
che scuotono le tue notti.
Sentinella in eterno è il grado
che la guerra ti ha donato
e se il pellegrinaggio
in questo luoghi per me
è insegnamento e monito,
vorrei fosse per te dimora eterna
per le tue angosce
deposte fra la polvere di questo sentiero.
Ma tracimano da questo silenzio e dal tuo,
echi di giorni violentati dall’odio,
respiri inceppati, addii, spari,
pianti di donne e bimbi rimasti soli.
Scendiamo nonno, la tua gavetta
arrugginita rimarrà nella soffitta
del tuo cuore per sempre.
Una nota di malinconia in questa lirica intensa, capace di infondere in ogni lettore la partecipazione per il dolore e la sofferenza, citati per ricordare a noi stessi l’impegno a non voltarsi dall’altra parte quando le situazioni impongono di vigilare affinché non diventino ancora una guerra così. Gli oggetti, pertanto, non diventano culto, ma monito al quale guardare sempre con deferente rispetto, pur se non si condividono scelte e posizioni. Spesso si confonde la memoria con l’elogio della guerra, invece si deve restare “a difendere”, come afferma il prossimo Poeta.
RIMANGO A DIFENDERE, di Fiorello Volpe
Rimango a difendere
questa memoria, incastonata
come una cicatrice nella montagna,
trafitta cento volte
e cento volte ricostruita.
Mani sempre più giovani
hanno smosso pietra dopo pietra,
plasmato gallerie ed eretto muretti,
srotolato chilometri di filo spinato
attorno, una fossa eternamente spalancata.
Rimango a difendere
il ricordo, di tutti coloro
che nell’umido miasma di questi cunicoli,
come bestie nelle tane
attendevano il proprio turno.
Nel mio grembo accolsi i loro rantoli
che impastarono col sangue la terra,
ad uno ad uno, come una madre,
quelle madri che attendevano
ed avevano il diritto d’essere al posto mio.
Rimango a difendere
distesa, come dorsale della montagna
con le rocce che si alzano nude,
altari naturali dove nessuno
ha fermato la mano di Abramo.
Sgomenta avvolgo nel sudario
del silenzio, i sepolcri
di giovinezze sradicate
e scagliate nelle alte vette
in nome della Patria.
Rimango a difendere
mentre cala la notte,
e un tuono lontano increspa l’aria,
sibila ancora la granata
tra questi cunicoli.
Le eco di voci distanti,
trasfigurano ogni centimetro
del mio passaggio scardinato
reclamando alle stelle,
la luce eterna.
La difesa di una memoria che certo sarebbe più semplice cancellare, ma sulla quale poggia la nostra Storia, il nostro stesso essere non soltanto Italiani, ma Europei. Dall’andamento regolare, la lirica si dimostra forte nelle affermazioni, suscitando nel lettore partecipazione e, all’occorrenza, approfondimento.
VECCHIO REDUCE, di Aurora Cantini
per non dimenticare
È da molto ormai che mie vecchie ossa
non conoscono riposo,
unica coperta le foglie ingiallite
che ricoprono le mie mani,
qui seduto a guardia del sentiero.
Mi fanno compagnia le voci
dei tanti compagni appena dietro di me,
lasciati oltre il bianco della steppa,
oltre la duna di gelo,
oltre il cielo bianco dell’inverno russo.
Ogni notte le mie ossa scricchiolano al vento,
dondolando le ore insonni,
attendendo un ritorno.
Ti vedo passare saltellando, bambino di questo tempo.
Senti che ti chiamo?
Volgi lo sguardo e canta una ninna nanna per me:
io ti racconterò la mia storia.
La storia di un seme
gettato sulla nuda roccia,
sepolto sotto la coltre della neve,
rivestito di rosso ardore del tramonto,
un seme per nuovi ricordi.
Permette di parlare ad un reduce, la Poetessa, intessendo una trama prosastica lucida ed efficace, che fa affiorare quelle motivazioni non dette e non scritte che ogni soldato aveva nel profondo della sua anima. Interessante lo spunto, articolato con sapienza.
LA “DER DES DERS” ossia “La Grande Guerra”, di Giulia Deon
Giacciono sul tavolo
parole d’intesa
e di alleanza
a fondo perduto
e nella torre di Babele
la fratellanza innata
parla lingue diverse
che confondono
i pensieri. Non esistono
stagioni sui campi
di trincee e il sole
balbuziente è un razzo
lanciato che il giorno
stanco non trattiene.
Scendono lacrime
su lettere mai spedite
e di anime infrante
si armano i battaglioni.
Tra papaveri ardenti
e spighe mature
i corpi distesi di ignoti
soldati non odono
il treno del ritorno.
Passa lontana da casa
la nuvola di vapore
e il fischio struggente
è un grido di dolore.
Bello il raffronto tra le scelte fatte a tavolino e la realtà dell’esistenza quotidiana delle trincee e delle sofferenze civili. Una poesia capace di onorare il passato, tanto quanto di portare a riflettere sul presente, con buona capacità di sintesi e un andamento arricchito di immagini vivide non soltanto tangibili, ma introiettabili, fino a farsela propria.