Le Piccole Suore della Sacra Famiglia nella tragedia di Longarone

La tragedia accaduta il 9 ottobre 1963 a Longarone, nel bellunese, costata la vita a circa duemila anime, ha tante storie di persone da ricordare e raccontare, perché di loro rimanga il senso di una vita, il ricordo costruito sulle loro vite spezzate in un attimo, nella sciagura annunciata ma mai abbastanza perché il monte Toc si facesse sentire prima, nell’animo, se non negli incartamenti e negli studi.

Tra le tante vite scomparse in quel “paesaggio lunare” come titolava il “Corriere del mattino” l’11 ottobre 1963, “portate non si sa dove, nascoste non si sa come, sepolte forse sotto una coltre di fango: o conficcate dalla violenza dell’acqua nei fianchi della montagna; o ancora affondate nel letto del Piave sotto quei sassi che l’acqua ora ricopre, appena increspata dalla leggera brezza d’autunno”, per le quali il cordoglio arrivava da tutto il mondo, da papa Paolo VI accanto al presidente della Repubblica Segni,ne sottolineiamo alcune in modo particolare.

Si tratta delle suore della scuola materna, inviate a Longarone dal padre fondatore delle Piccole Suore della Sacra Famiglia di Castelletto di Brenzone, il beato Giuseppe Nascimbeni, dal 9 marzo 1903. La richiesta era giunta da tale Protti che intendeva affidare alle suore le ragazze che lavoravano nella cartiera. In breve tempo aprì anche l’asilo, dapprima ospitato in alcune aule della scuola elementare, poi in una bella costruzione ampia, con mansioni dedite ai bimbi più piccoli che si aggiungevano a quelle di curare le tele di arredo della chiesa, di seguire le ragazze e i ragazzi dell’Azione Cattolica, le lezioni di canto, di catechismo, di taglio e cucito per le giovani. Le Piccole Suore erano amate e rispettate dalla popolazione, talvolta non facile, rude come a volte erano i monti e il vento che li sferzava, nel lavoro difficile che occupava le vite anche quando la Storia si abbatteva su di loro. Così era stato durante la prima guerra mondiale, quando la gente e le suore dovettero sfollare fino al 1919 e così si era ripetuto durante l’altra guerra mondiale, quando la mancanza di cibo e di libertà, fino alla crudele occupazione, aveva reso l’idea dell’inferno molto chiara già in vita.

Le consorelle che si prendevano cura delle anime e del reale del popolo di Longarone lo seguirono anche in quel frangente, quella sera del 9 ottobre. Tutte le suore sono state uccise dallo tsunami di quella tarda serata.

Erano la superiora e maestra d’asilo suor Gianluigia (al secolo Maria) Caldonazzi, nativa di Romagnano, in provincia di Trento, quarantasettenne e suora da 26 anni, riconosciuta con doti materne sia per i grandi che per i piccoli; suor Liantonia (al secolo Palmira) Valle di Fontaniva, in provincia di Padova, di 34 anni, di cui 18 nell’Istituto, assistente d’asilo vivace ed esuberante, entusiasta e sorridente, a Longarone soltanto dal maggio di quell’anno. Suor Lucina (al secolo Carla) Vincenzi, di San Zenone di Minerbe, in provincia di Verona, ventinovenne e suora da dieci anni, cuoca e addetta all’apostolato parrocchiale; infine suor Arcangela Soster di Creazzo, in provincia di Vicenza, di ventotto anni, di cui otto suora, anch’ella maestra d’asilo. Ciascuna di loro un mondo di speranze, di progetti, di familiari. Suor Arcangela Soster (al secolo Maria Luisa) aveva confermato i voti con la professione perpetua soltanto due mesi prima, il 6 agosto 1963 a Castelletto di Brenzone, dove aveva visto la mamma (poi presente ai funerali celebrati per tre delle quattro suore sempre a Castelletto il 14 ottobre seguente, con tumulazione presso il cimitero dell’Istituto), alla quale aveva confidato che sarebbe morta giovane, forse non pensando che la sua premonizione si sarebbe avverata soltanto due mesi più tardi. Di Longarone, dov’era stata assegnata, scriveva che era un posto molto bello, circondato da alte montagne che, se fossero cadute, lo avrebbero schiacciato. Uno scritto che riletto dopo la sua scomparsa sembrava molto più di una semplice descrizione.

Il suo corpo venne rinvenuto nel fiume Piave solo due giorni dopo il disastro, l’11 ottobre, con quello di suor Lucina Vincenzi: entrambe le salme vennero trasportate nel cimitero di Cadola di Ponte nelle Alpi, in provincia di Belluno, per il riconoscimento. La salma di suor Gianluigia venne rinvenuta, sembra, a Longarone lo stesso 11 ottobre e portata al cimitero di Pieve di Cadore. Le superiore erano accorse subito per cercare le martoriate consorelle e portarle in Casa Madre, sul lago di Garda, per dare loro degno luogo di riposo. Ne trovarono appunto tre, mentre soltanto il 19 ottobre, a San Zeno, riuscirono a trovare la salma di suor Liantonia rinvenuta anch’ella nel fiume Piave a Lentiai di Feltre soltanto il giorno prima; il funerale venne celebrato a Fontaniva, suo paese natale, per poi essere trasportata a Castelletto con le sorelle.

Altre Piccole Suore perdettero qualcosa e soprattutto qualcuno in quel triste momento.

Suor Giovanna Teresa de Bona era di Rivalta di Longarone e ha perduto i due fratelli, maestri elementari, e una sorella con le rispettive famiglie per un totale di sedici persone; suor Pieralma Sommariva era di Villanova di Longarone e con la mamma e i sei fratelli ha perso anche la sorella con le rispettive famiglie per un totale di ventisette persone. Suor Piergiuseppina Vazza era di Longarone e nella tragedia ha perduto il papà, la mamma, quattro fratelli, i nonni, gli zii per un totale di tredici persone; suor Nomedia Moro, che era originaria di Fortogna di Longarone, ha perduto uno zio e otto cugini.

La fotografia che testimonia la potenza della distruzione subita dalle cose e dalle persone è spettrale: ammassi di rocce e sassi, che forse erano case, sbriciolate, come le menti, le persone, gli affetti. Su quelle macerie venne eretta una chiesa per celebrare il santo Natale e la protesta dei superstiti ha riportato Longarone, definito “fu” come tante frazioni, a rinascere per essere ancora lì, con i propri ricordi e i propri insegnamenti da apprendere e da offrire. Non ci si accontentò della ricostruzione dapprima in casette prefabbricate, oppure delle ricerche dei motivi e delle responsabilità: si volle ancora esistere, perché solo così si poteva dare giustizia ai propri morti. Morti che sono stati cercati e composti dai soccorritori arrivati già all’alba del 10 ottobre: erano soldati, con il generale Ciglieri, che a fatica avevano raggiunto la località e con orrore e lacrime si erano accinti a cercare di dare risposte a chi cercava le persone di un paese scomparso. Il giorno 11 ottobre, accanto ai soccorritori, cominciarono ad arrivare da ogni parte del mondo gli emigrati che, altrettanto increduli, cercavano le loro case, i loro cari, e non c’era più niente in un’assurda quanto tangibile realtà che dava testimonianza di come la vita umana sia fugace e riducibile in briciole, tenute insieme dall’amore, dal ricordo, dal rispetto. Si cerca una normalità e un’organizzazione che non esiste più: il sindaco è tra i morti e soltanto dieci consiglieri comunali si riuniscono per cercare di parlare del presente e del futuro. Difficile proferire parola: spesso soltanto il silenzio era possibile nel frastuono dei pensieri, dei sentimenti roboanti più della montagna a rotoli e, appunto, silenti, come solo può essere il dolore. Intanto i corpi rinvenuti cominciano ad essere portati a Fortogna soprattutto, dove si comincia a preparare un cimitero, ma anche a Pieve di Cadore, Limana, Belluno, Cadola. Il pellegrinaggio dei parenti e dei pochi superstiti è incessante come il lavoro delle ruspe e delle mani dei volontari, in cerca di persone divenute cadaveri da riconoscere, da identificare, da piangere nella certezza di averle perdute, quando la speranza che si fossero salvate in qualche modo era svanita. Il 16 ottobre, in due aule approntate in municipio, i bambini riprendono la scuola. Ne erano restati una trentina, con 150 bambini morti. Il Vescovo si era recato più volte a Longarone, nominando poi un suo delegato. E si arrivò poi al giorno dei Morti e alla festa delle Forze Armate: due giorni mesti, con i soldati ancora impegnati nei lavori di sistemazione.

Il vescovo di Feltre e Belluno monsignor Gioacchino Muccin, dirà a ricordo delle quattro suore che: “… hanno lasciato nei superstiti di Longarone il più soave ricordo e la memoria edificante di una vita religiosa esemplare. Hanno fatto tanto e tanto bene in questa vita e la mercede loro in cielo è sicuramente grande…”.

Nel ricordare loro e tutti i morti, i superstiti, i soccorritori, rinnoviamo l’impegno per il presente e per il futuro. Per vivere noi e fare ancora vivere loro.

Alessia Biasiolo