Schermi d’arte. Atto terzo

Il paravento, che LeCorbusier definiva un separatore mobile di spazi interni di una unità abitativa, diviene protagonista assoluto nella mostra itinerante “Schermi d’Arte- Il paravento da oggetto a favola”, che trasforma il paravento da oggetto di utilità quotidiana a luogo di pensiero attraverso l’opera di 23 artisti tra scultori, pittori, poeti e designer, appartenenti a generazioni diverse e differenti fra di loro per pensiero e formazione artistico-culturale.

L’esposizione, ideata e progettata da Gabriella Brembati, direttrice di Spazio Arte Scoglio di Quarto, con la curatela del critico e storico dell’arte Alberto Barranco di Valdivieso, dopo essere stata presentata a Villa Borri Manzoli di Corbetta e da Colleoni Proposte d’Arte di Bergamo, arriva alla Galleria Virgilio Guidi di Cascina Roma, Piazza delle Arti, a San Donato Milanese dove è stata inaugurata oggi pomeriggio, e rimarrà aperta fino al 16 marzo 2025.

Tradizionalmente utilizzato per separare ambienti o proteggere dalla vista, Il paravento ha acquisito nel tempo una grande rilevanza come oggetto d’arte, grazie alla sua doppia anima funzionale ed estetica.

Spesso realizzato con materiali pregiati come legno, seta e carta, il paravento si distingue per la sua capacità di trasformarsi in una tela su cui vengono dipinti paesaggi, fiori o motivi geometrici, scene di vita quotidiana o allegorie, e la sua forma, che può essere ripiegata o allungata, lo rende anche un’opera d’arte dinamica, capace di dialogare con lo spazio in modi diversi.

Tuttavia, l’obiettivo della mostra non è quello di presentare il paravento come un semplice oggetto utile, né come un banale supporto per l’arte. Si è voluto invece mettere in risalto il paravento come uno “schermo”, che attraverso l’interazione con il pensare artistico si trasforma, diventando uno stimolo per riflessioni e percezioni poetiche.

“Schermare” non significa soltanto bloccare, separare o proteggere, ma implica anche un filtrare che racchiude in sé l’idea di trasformazione, che tuttavia non nega la funzione primaria del paravento: un diaframma che divide e organizza lo spazio.

Le 23 opere esposte, una per ogni artista, non sempre rispettano la forma canonica del paravento ed esplorano il concetto di schermo in senso poetico e interpretativo, trasformando l’oggetto funzionale in materia psichica, ossia in uno spazio di pensiero e libera espressione, svincolato da qualsiasi utilità pratica.

Come osserva Alberto Barranco di Valdivieso nel suo testo in catalogo: “Questi diaframmi si servono dell’arte per intervenire in modo lirico oltre lo spazio che li accoglie, diventando il pretesto per un viaggio poetico attraverso lo schermo verso altri luoghi della coscienza.”

Gli artisti chiamati ad esporre sono stati totalmente liberi in fase creativa di rispettare la forma tradizionale del paravento, oppure di reinterpretata radicalmente.

Per facilitare la comprensione delle opere, gli artisti sono stati suddivisi in tre gruppi distinti, e naturalmente anche l’allestimento ha seguito questa visione:

Schermo Plastico. Un gruppo di scultori ha interpretato il tema del paravento attraverso la tridimensionalità e la forza espressiva della materia. Lo schermo, in questo caso, interagisce con la luce e la materia, raccontando una storia attraverso la sua fisicità.

Artisti: Claudio Borghi, Margherita Cavallo, Giuliano Ferla, Valdi Spagnulo, Mavi Ferrando, Antonio Pizzolante, Elisa Remonti, Stefano Soddu, Filippo Soddu, ‘topylabrys’ (Ornella Piluso).

Schermo Lirico. Gli artisti di questo gruppo, esperti nell’uso di diverse tecniche come pittura, scultura, assemblage e installazioni, vedono nell’arte un mezzo per indagare i valori umani e la relazione tra uomo e natura. Attraverso l’uso di parole, segni e geometrie, trasformano l’oggetto in una macchina linguistica, riflettendo sull’esistenza umana in relazione al mondo.

Artisti: Fernanda Fedi, Rebecca Forster, Tiziana Grassi, Angela Occhipinti, Lucia Pescador, Paola Pennecchi, Evelina Schatz.

Schermo Planare. In questo gruppo, gli artisti lavorano sulla bidimensionalità, esplorando il segno estetico attraverso tecniche come collage, pattern planari e pittura su tela o carta. Pur mantenendo una fedeltà alla bidimensionalità, in alcuni casi introducono elementi materici come bassorilievi.

Artisti: Davide Bolzonella, Francesco Cucci, Stefania Dalla Torre, Clarissa Despota, Pino Lia, Mintoy (Puledda Piras).

Il catalogo della mostra pubblica il testo critico del curatore Alberto Barranco di Valdivieso con un testo della storica dell’arte Marilisa Di Giovanni dal titolo “Le molte vite del paravento”, che offre un’analisi del tema del paravento attraverso coordinate storiografiche e antropologiche, arricchendo ulteriormente la riflessione proposta dal progetto espositivo.

Orari di apertura al pubblico: da lunedì a venerdì 09.00-18.30; sabato 09.00-12.30 / 14.30-18.30; domenica 10.00-12.30 / 15.00-19.00.

De Angelis (anche per le fotografie)

“Ancora mi sorprendo”

Il Comune di San Donato Milanese presenta dal 14 dicembre 2024 al 14 gennaio 2025 negli spazi espositivi di Cascina Roma la mostra fotografica di Roberto Rognoni “Ancora mi sorprendo”: circa 70 fotografie a colori e in bianco e nero rendono omaggio a un racconto fotografico che dura da oltre sessant’anni e che l’autore ha voluto ripercorrere e condividere declinandolo anche in un libro dall’omonimo titolo, che verrà presentato in occasione dell’inaugurazione sabato 14 dicembre alle ore 17 dalla professoressa Antonia Broglia e dal photo editor Leonello Bertolucci.

Nato in provincia di Varese nel 1943, Roberto Rognoni è un fotografo che da più di mezzo secolo racconta, attraverso il suo obiettivo, trasformazioni, tradizioni e memorie collettive. La sua opera si distingue per una visione lucida e profonda della realtà, dove lo sguardo si posa con delicatezza sulle storie umane e sulle tracce di un passato che rischia di dissolversi.

Il titolo, Ancora mi sorprendo, più che mai significativo e che delinea libro e mostra, rappresenta un’importante raccolta antologica del suo lavoro e un viaggio nell’evoluzione artistica e poetica di Roberto Rognoni, suggerendo lo spirito di continua scoperta e meraviglia che da sempre caratterizza il suo lavoro fotografico.

Ho scelto di raccogliere le fotografie dei progetti cui ho dedicato maggior impegno e che hanno trovato riscontro in mostre, pubblicazioni e concorsi – precisa Roberto Rognoni – I portfolio selezionati sono legati a periodi, luoghi e preferenze personali, ma tutti condividono un’unità stilistica, anche se esplorano diverse tematiche ed espressioni artistiche. Questo libro e questa mostra sono dedicati innanzitutto a tutti i soggetti delle mie fotografie, che mi hanno sorpreso ed emozionato con la loro bellezza e autenticità”.

Tuttavia, non sono solo una raccolta di immagini, ma una riflessione sull’evoluzione del suo sguardo e sulla ricerca di significati che emergono dai dettagli più semplici e quotidiani. Rognoni, infatti, ha sempre mantenuto un interesse per la dimensione sociale della fotografia, utilizzandola come strumento per documentare le persone e i luoghi che mutano sotto il passare del tempo e le trasformazioni economiche e culturali.

Uno degli aspetti più significativi della sua arte fotografica è la capacità dell’autore di catturare i cambiamenti del contesto urbano milanese e della zona di San Donato Milanese, documentando come l’industrializzazione abbia trasformato il paesaggio e la vita dei suoi abitanti tra il dopoguerra e gli anni Settanta. Rognoni osserva il vecchio mondo rurale che va scomparendo e, con esso, i gesti e i volti dei suoi abitanti. Le sue fotografie offrono quindi non solo una documentazione storica, ma anche una testimonianza emotiva, in cui l’essere umano e il suo ambiente si fondono in un racconto visivo intenso e intimo.

Nel volume, così come nella mostra, si nota anche l’interesse dell’autore per la rappresentazione delle dinamiche sociali, che trovano espressione in momenti di aggregazione, di impegno civile e nelle manifestazioni popolari. La sua vena documentativa ed etnografica riappare ad esempio nelle immagini dei gitani durante la festa di Saintes-Maries-de-la-Mer in Provenza, dove l’autore riesce, ancora una volta, a trasmettere la forza e la vitalità di un evento partecipato.

Altro tema che delinea profondamente l’architettura fotografica di Roberto Rognoni e che emerge con forza è il suo legame con il teatro, soprattutto con quello di ricerca degli anni Settanta a Milano che accoglieva le più importanti compagnie teatrali internazionali. Rognoni, che dal 1994 fino al 2017 è stato fotografo ufficiale di diverse compagnie teatrali italiane, a partire da “Quelli di Grock” di Milano, e attraverso le foto di scena cattura la potenza visiva ed espressiva delle diverse rappresentazioni, valorizzando l’espressività dei corpi e la forza delle atmosfere, senza trascurare mai l’emozione del momento.

L’ultima parte del libro rivela una dimensione più concettuale della sua fotografia, in cui esplora temi quali la memoria, il tempo e la condizione umana, rappresentati attraverso metafore visive e composizioni minimaliste. In queste pagine, Rognoni svela una vena creativa che va oltre il mero realismo documentaristico, avvicinandosi a un linguaggio simbolico e riflessivo. L’uso del manichino, della statua e delle figure frammentate è una modalità per rappresentare la vita e la morte, i sogni e le incertezze, il passaggio del tempo che emerge nell’ultimo capitolo, dove l’autore si avvale della storia raccontata in un audiovisivo per esprimere lo scorrere della vita in immagini stratificate e intime.

Ancora mi sorprendo diventa quindi un’opera coesa e ricca di significati, divisa in dieci capitoli o tappe, che non solo celebrano la storia di un fotografo, ma invitano il lettore a riflettere sulla fotografia come memoria, scoperta, testimonianza e sperimentazione. Il libro e la mostra offrono al pubblico un’occasione rara per poter entrare nell’universo visivo di Roberto Rognoni, fatto di gesti, sguardi, architetture e storie umane, restituendo la complessità di un percorso creativo che si interroga costantemente sui rapporti tra il reale e la sua rappresentazione visiva.

Nato nel 1943 a Cittiglio, in provincia di Varese, Roberto Rognoni vive e lavora a San Donato Milanese.

Inizia a fotografare nel 1965 dedicandosi a temi ben precisi e circoscritti: teatro, viaggi, paesaggi e reportage documentaristico-sociali, oltre a fotografie di architettura e gli audiovisivi fotografici.

Nel 1999 promuove la costituzione dell’Archivio Storico Fotografico della Città di San Donato Milanese e ne è curatore fino al 2023. Nel 2021 il Comune di San Donato Milanese gli conferisce la Civica Benemerenza per la sua attività fotografica.

Attualmente collabora con la rivista FOTOIT, è redattore della rivista TIMELINE del Dipartimento Audiovisivi della FIAF e della rivista online www.ilmilanese.org. È inoltre docente della FIAF e DiAF.

Dal 1992 al 1999 è direttore editoriale del mensile “L’Incontro” dell’ENI Polo Sociale di San Donato.

Dal 1994 al 2015 fotografo di scena ufficiale della Compagnia Teatrale “Quelli di Grock” di Milano, dal 2015 al 2017 di “Manifatture Teatrali Milanesi” e del “Teatro i” di Milano, mentre dal 2001 al 2006 fotografo di scena ufficiale del Festival “Danae” di Milano, organizzato dal Teatro delle Moire.

Sue opere fotografiche sono inserite permanentemente in raccolte pubbliche e private.


De Angelis (anche per la fotografia)