La storia di Vivian Maier è davvero interessante. Tanti anni fa, un’amica mi disse: “Se scrivi prima o poi diventerai famosa. Tanti autori sono diventati famosi anche dopo morti”. Magra consolazione, si può dire. Se si pensa al successo di sé come a qualcosa che attribuisca onori e soldi, allora essere morti non comporta un bene da quello che si è fatto, se non forse ad altri. Ma se si pensa di realizzare qualcosa per il solo realizzare, convinti che ciò che si realizza abbia un senso per se stessi, e forse per gli altri, allora questo vivacizza un’esistenza e le dà senso. La vita ha pienezza perché si realizza ciò che piace e che ci fa sentire bene, pertanto è buono quello che si fa e se resta può portare frutti anche a decenni o secoli di distanza. Quindi la storia di una donna che ha trascorso la vita a scattare foto e girare filmini, per poi lasciarli in scatole andate all’asta ed acquistate da un ignaro ragazzo, sembra la concretizzazione di una favola o di parole astratte che di solito sembrano solo filosofia. Vivian, newyorkese, sostanzialmente ha fatto la babysitter, guardando il mondo da un lato defilato, dove non era di certo protagonista. E nelle sue fotografie è sempre presente, come per rafforzare la sua identità, ribadire che lei c’era e c’è, è rimasta per sempre con noi, da protagonista e testimone di un tempo che sarebbe perduto altrimenti. Prendono vigore, con le sue fotografie, i silenzi delle strade lunghe e solitarie, anche se si guida in compagnia. Le linee apparentemente insignificanti che tracciano le strade, i marciapiedi, i pensieri persi in quel non so che sfuggente. Poi diventano protagoniste le macchine fotografiche, le esposizioni lunghe e quelle immediate, le scelte fotografiche e le fotografie che paiono scelte da se stesse, autonomamente. La gente, gli ombrelloni, il mare, le barche. I molti silenzi ancora. Gli specchi e l’immagine di Vivian che si riflette mentre scatta il ritratto eterno di quel momento che rimarrà per sempre. Di quell’uomo o quella donna che rimarranno per sempre. Come le case, le automobili, gli occhi grandi di Vivian che osservavano il mondo in maniera così geniale eppure così normale e comune da farla diventare e considerare una fotografa di tutto rispetto. E si aggiungono i riflessi, quando i suoi lineamenti sono sfuocati a suggerire verità molto al di là di quello che appare chiaro ai nostri sensi.
La bella mostra “Vivian Maier. Il ritratto e il suo doppio” è aperta a Riccione, presso Villa Mussolini, fino al prossimo 3 novembre (martedì-venerdì 10-13 e 15-19; sabato, domenica e festivi 10-20; lunedì chiuso). L’esposizione fotografica, composta da 92 scatti e alcuni video girati in Super8, è accessibile con biglietto d’ingresso.
Alessia Biasiolo
