Giacometti e l’arcaico

Il Museo MAN di Nuoro annuncia la mostra “Giacometti e l’arcaico”. Curata da Pietro Bellasi e Chiara Gatti, la mostra, ricca di una settantina di pezzi, svelerà al pubblico il grande fascino che la statuaria d’epoca antica, egizia ed etrusca, greca, sumera o africana, esercitò agli occhi del maestro del Novecento celebre per le sue figure in cammino, le donne immote e silenziose come idoli del passato.

“Tutta l’arte del passato, di tutte le epoche, di tutte le civiltà, apparve davanti a me. Tutto era simultaneo, come se lo spazio avesse preso il posto del tempo”. Da questa confessione straordinaria nasce l’idea di restituire ai capolavori di Alberto Giacometti (1901-1966) la loro dimensione d’eternità, avvicinando alle sue sculture sottili e longilinee, scavate nella materia come reperti archeologici, una selezione preziosa di reperti reali, usciti dai migliori musei italiani d’arte antica.

I prestiti importanti delle opere di Giacometti, concessi dalle maggiori collezioni svizzere oltre che dalla Peggy Guggenheim Collection di Venezia, saranno accostati per la prima volta alle opere arcaiche del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, del Museo Civico Archeologico di Bologna, del Museo Civico di Palazzo Farnese a Piacenza e del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.

Il maestro e i suoi antenati animeranno un percorso sviluppato per temi e iconografie, basato su un gioco di rimandi, di sguardi incrociati fra i capolavori dell’artista e i suoi modelli arcaici sottratti al tempo e ricollocati nello spazio assoluto, della contemporaneità.

Dagli studi condotti negli anni sui punti di contatto fra l’opera di Giacometti e la statuaria d’epoca antica – dall’arte egizia a quella sumera, dai manufatti dell’età del bronzo all’arte greca fino alla scultura africana – è emersa infatti la possibilità di costruire una mappa delle iconografie del passato e delle culture più amate dall’artista, prese a modello per la sua riflessione contemporanea, tesa alla ricerca di forme espressive ancestrali, capaci di rappresentare l’uomo moderno in una visione eterna, in un recupero delle origini e della nostra storia.

Un viaggio affascinante nel tempo (e nello spazio), dimostrerà allora come la sua Femme qui marche, eseguita fra il 1932 e il 1936, riproponga gli stessi canoni di stilizzazione del corpo, la frontalità, la ieraticità, il passo breve avanzato della gamba sinistra, concetto puro di movimento, ispirato all’iconografia egizia.

Nell’ambito dell’art nègre, le Insegne Dogon o le Figure Mumuye della Nigeria con il ventre piatto e allungato, sono testimonianze di immagini dello spirito, forma visibile di un invisibile che l’uomo porta dentro di sé, e che Giacometti studiò a fondo per sue sculture dalle teste minute e il busto fortemente allungato. Le celebri figure di origine etrusca, come gli Aruspici dai corpi “a lama” del Museo di Villa Giulia a Roma, scoperti dall’artista durante il primo viaggio in Italia fra 1920 e 1921, sembrano tornare idealmente nelle forme immote dello scultore con le quali condividono linearismo, compostezza e armonia. Allo stesso modo il dialogo con i bronzetti nuragici – che segnano un legame con il territorio sardo può essere spiegato attraverso le parole dello storico dell’arte Giuseppe Marchiori dedicate proprio al sapore antropologico della ricerca di Giacometti e alle forme dei suoi corpi “esili come guerrieri nuragici, senza lance e scudi, oppure simili all’idolo volterrano, agli uomini della notte”. Procedendo per confronti, ecco infine certe piccole Kore di bronzo, con le loro fogge compatte, le braccia stese lungo i fianchi, ricordare la delicatezza delle opere più esili di Giacometti, quelle figure alte pochi centimetri, come l’immagine di Silvio debout; mentre taluni ritratti di Diego o di Annette seduta sono accostabili agli oranti di cultura egizia, alle statue templari o alle prefiche inginocchiate, con la classica posa delle mani aperte, poggiate sulle ginocchia piegate.

Giacometti e l’arcaico

dal 24 ottobre al 25 gennaio, MAN, Nuoro

S.E.

“Robert Capa. Una vita leggermente fuori fuoco”

“Robert Capa. Una vita leggermente fuori fuoco”, è il titolo della retrospettiva dedicata dal Museo MAN di Nuoro a uno dei più importanti maestri della fotografia del XX secolo. Con quasi cento scatti tra i più significativi dell’intera produzione di Capa, la mostra, realizzata in collaborazione con Magnum Photos e Contrasto, ripercorre le tappe fondamentali del percorso umano, professionale e artistico del grande fotoreporter, spentosi sessant’anni fa.

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In programma fino al 18 maggio 2014, la mostra di Capa, dopo quelle di Henri Cartier-Bresson e Werner Bischof, chiude il ciclo di eventi espositivi, iniziato nel 2011, dedicati dal museo nuorese ai fotografi dell’agenzia Magnum.
Nato in Ungheria nel 1913 con il nome di Endre Friedmann, emigrato a Berlino e poi a Parigi, Capa è considerato il padre del fotogiornalismo. Figlio di una famiglia ebrea ed esule egli stesso, non smise mai di documentare il mondo dei diseredati e dei profughi, utilizzando la macchina fotografica come strumento di testimonianza e di denuncia. I suoi reportage, pubblicati su importanti riviste internazionali, tra le quali Life”e Picture Post, costituiscono un documento storico di indiscusso valore, oltre che uno straordinario e affascinante archivio di immagini, talvolta immediate ed esplicite, talvolta sottili e ironiche.

Il percorso della mostra ha inizio con le celebri istantanee di Leon Trotsky, realizzate senza autorizzazione a Copenaghen nel 1932. Nel 1931 Capa si era trasferito a Berlino, da dove sarebbe fuggito all’avvento del nazismo per recarsi a Parigi. È qui che nel 1936 fotografa i tumulti delle lotte operaie e del fronte popolare.

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Ancora nel 1936 Capa è in Spagna, per documentare la guerra civile. A Cerro Muriano, nel mese di agosto, realizza lo scatto che lo renderà celebre in tutto il mondo, “Morte di un miliziano lealista”, una delle più famose immagini della storia del Novecento, presente in mostra insieme ad altre fotografie del periodo.
Nel percorso al MAN, oltre a una decina di fotografie del conflitto cinese-giapponese, realizzate nel 1938, anche una selezione delle immagini realizzate da Capa in Gran Bretagna e in Italia durante la seconda guerra mondiale, tra le quali il “Contadino siciliano che indica all’ufficiale americano la presenza di un convoglio tedesco”, “L’uomo con in braccio la bimba ferita”, “Il funerale delle giovani vittime partigiane delle Quattro giornate di Napoli”.
Un’altra sezione è dedicata alla documentazione dello sbarco degli alleati in Normandia. È in questa occasione che Capa realizza i celebri fotogrammi da lui stesso definiti “leggermente fuori fuoco”, a causa di un errore tecnico nella fase di sviluppo. In mostra sono presentati i principali, insieme ad altre fotografie realizzate in diverse parti della Francia nel 1944.

Completano il percorso espositivo le fotografie delle macerie tedesche dopo la fine della guerra, le immagini scattate in Ucraina nel 1947, dove Capa documenta la vita nelle fattorie collettive, gli scatti del conflitto israeliano e quelli dell’ultimo reportage in Indocina, dove Capa troverà la morte sul campo, a causa di una mina anti-uomo.

Chiude la mostra un’ampia sezione dedicata ai ritratti realizzati da Capa nel corso della sua carriera, da Gary Cooper a Ingrid Bergman, sua amante, da Truman Capote a John Huston, fino alle celebri immagini di Matisse e dell’amico Pablo Picasso.
MAN_Museo d’arte Provincia di Nuoro, Via Sebastiano Satta 27 – 08100 Nuoro. Orari: 10:00 – 13:00 / 15:00 – 19:00 (lunedì chiuso).

Biglietti: Intero 3,00 euro; Ridotto 2,00 euro (dai 18 ai 25 anni); Gratuito under 18 e over 65. Gratuito ultime domeniche del mese.
Articolo di S. E.