Pubblicato per la prima volta nel 1943, “La famiglia Karnowski” è stato recentemente ridato alle stampe permettendo al più vasto pubblico di assaporare alcune delle pagine più interessanti e significative del Novecento. Maestro indiscusso del romanzo, Israel Joshua Singer, nato a Bilgoraj nel 1893, cresciuto a Leoncin e a Varsavia, fu a lungo viaggiatore per la Polonia, la Galizia e l’Unione Sovietica, fino a quando, nel 1934, lasciò l’Europa per emigrare negli Stati Uniti, dove morì nel 1944. Prolifico autore di romanzi e racconti, oltre che di articoli giornalistici, visse tuttavia nell’ombra del fratello minore Isaac B., premio Nobel per la Letteratura. Per questo motivo, Isaac Joshua Singer non venne approfondito, perdendo la possibilità di farsi conoscere ed apprezzare come avrebbe potuto. Quindi, l’operazione di riedizione ci consegna tra le mani la saga dei Karnowski, famiglia ebrea polacca, non soltanto per raccontarci chi erano e di cosa si sono occupati, fatto questo di fondamentale importanza per persone che facevano del successo personale la loro ragione di vita, quanto per immergerci in un affresco di sensazioni assopite, in colori stinti che, tuttavia, hanno il fascino del nascosto, del passato, delle tradizioni di cui siamo ghiotti quando sono lontane da noi. Quindi leggiamo di David che, a seguito di una lite all’interno della sua comunità, lascia il suo shtetl polacco e si reca a Berlino. Solo lì, infatti, è certo che potrà trovare la propria strada, lontano dall’oscurantismo di chi voleva interpretare le scritture a modo suo, impedendogli di dare il proprio colto contributo, frutto di una severa preparazione personale. A Berlino, mette in piedi un’attività che cerca di fare prosperare, allo stesso tempo imponendosi di lasciarsi alle spalle accenti e modi di fare, scegliendo di frequentare la società che conta per poter trovare lo spazio che è convinto di meritare nella società tedesca. Gli fa da contraltare la moglie Lea che, pur seguendo fedelmente il marito, non vuole saperne di cancellare il proprio passato e di dimenticare le proprie origini, pertanto fugge, appena può, in casa di un ebreo normale, fracassone e dalla famiglia allegra, per poter vivere ancora di frasi gergali, del proprio dialetto, delle proprie chiassose riunioni, lontane dall’apparenza nella quale sembrava volerla imprigionare il marito. Ha un figlio, maschio, che David vuole allevare secondo i propri dettami, ma che, come lui, è un ribelle e vuole vivere la propria vita a modo suo. Scialacqua soldi, si diletta tra prostitute e serate dissolute, fino a quando conosce la figlia di un medico dedito alla beneficienza. Così lontano da suo padre che pensa solo ai soldi, il medico padre della sua amata si arrabatta tra l’ambulatorio dove la gente paga quel che può, lasciando i soldi su un piatto da dove chiunque ne abbia bisogno si può servire, e le passeggiate salutistiche in compagnia della figlia. Una coppia davvero stravagante, tanto che la ragazza si preoccupa più di dissezionare cadaveri che di godersi la vita, seguendo il padre vedovo nel suo lavoro, e imparando bene quanto lui a curare la gente. Elsa è invaghita del bel giovane ricco Karnowski, che la corteggia tanto da mettersi a studiare Medicina per poter diventare interessante ai suoi occhi, ma non ha alcuna intenzione di lasciare il proprio lavoro e la propria carriera per diventare moglie e madre. Una società che sta cambiando e che si avverte mutare attraverso le scelte di vita dei vari protagonisti, ma che si avverte anche protesa a cercare altre vie di esistenza, tra rigore e ordine da un lato e tra appartenenze comuniste dall’altro. Un mondo che si avvicina sempre più ai nostri tempi, attraversando come in una bella fiaba attimi intensi di sconvolgimento interiore: lotte tra padri e figli, discussioni tra marito e moglie, e via discorrendo. Singer indugia molto, in modo lieve, sui rapporti tra le persone: quelli tra madre e figlio, ad esempio, e tra le donne e loro stesse, mettendo davanti al lettore la figura di una donna libera a fianco di un marito molto appariscente, e una donna succube che potrebbe diventare suocera di una donna libera. Allo stesso tempo, la moglie di David si ritrova incinta di una figlia sulla quale, finalmente, può rivolgere tutte le sue attenzioni sapendo di poterla sottrarre al controllo del marito, più intento a seguire il figlio maschio, pur rendendosi conto di avere allevato un ribelle a tratti inetto e di avere fallito la linea di condotta paterna quasi del tutto. Insomma, procedendo nell’affascinante e coinvolgente lettura, ci si ritrova ad essere nei salotti delle persone di cui Singer sta narrando e di voler conoscere tutti i loro segreti, per contare su un’amicizia sincera come quella di un buon libro. Pagine di un Novecento che talvolta rimpiangiamo e di cui vogliamo conoscere sempre di più. È così, quindi, che la saga famigliare procede fino a quando David e Lea Karnowski si trovano davanti l’amato della figlia, e a breve suo sposo, in un momento in cui la ragazza si ammette disillusa dall’amore e dall’ammirazione per alti ragazzi tedeschi, biondi e dagli stivali alti e lucidi, che portano a pensare ad un’altra Germania, quella dell’odio razziale. Ecco che all’improvviso, gli stessi Karnowski non sono più le importanti persone che David desiderava fossero, ma soltanto degli ebrei, come il nuovo genero, per fortuna come affermò lo stesso David. La storia procede per continui rivolgimenti personali, famigliari e storici e accompagna in un interno senza commenti, senza retorica, senza partecipazione da parte dello scrittore. Abbiamo ogni sorta di emozione descritta, ma con la compostezza di un saggio che guarda alla vita senza scomporsi quando questa si dimostra per quello che è. Un interessante mosaico che un maestro sapiente insegna a decifrare, mentre si snoda apparentemente senza fine davanti ai suoi occhi.
Da leggere.
Isaac Joshua: “La famiglia Karnowski”, Adelphi edizioni, Milano, 2013, pagg. 504.
Alessia Biasiolo