La cultura del sorriso

Quando un sorriso migliora la vita. Proponiamo l’intervista di Bruno Bertucci ad Antonello Dose, attore di teatro e di cinema, autore di testi teatrali e televisivi e conduttore, dal 1995, della trasmissione radiofonica “Il ruggito del coniglio”.

BRUNO – Antonello Dose e Marco Presta da 29 anni fanno sorridere ogni mattina l’Italia con il “Ruggito del coniglio” su RaiRadio2. Anche io vi ho ascoltato per alcune stagioni perché ridere è una cosa seria! lo sai che i non vedenti ascoltano la radio come guardano la TV?

ANTONELLO – So che molti ascoltatori non vedenti vedono la radio e ci scrivono spesso. La radio ha questo di speciale, che la puoi ascoltare ad occhi chiusi ed immaginare quello che ti pare. È un mezzo universale, bellissimo, e anche se ha appena compiuto 100 anni (NdR la radio italiana) è ancora modernissimo.

BRUNO – Come nasce lo spirito che fa sorridere?

ANTONELLO – Noi esseri umani abbiamo questo dono, come altri 65 animali, dai primati alle foche, dalle mucche ai cani, dai parrocchetti alle manguste. Ho letto di uno studio dell’Università di Los Angeles che sostiene che lo facciamo da milioni di anni, mentre giochiamo, mentre ci divertiamo, spesso per scambiare informazioni, invitando gli altri a unirsi. Mi dicono che ero un bambino molto buffo, forse mio sforzavo di far ridere per ottenere l’attenzione degli adulti. Non lo so come nasce lo spirito che fa sorridere, ma in questi anni mi sono convinto che per riuscire a sorridere in ogni circostanza c’è bisogno di avere un alto stato vitale. Nel buddismo, che ho abbracciato da 34 anni, si fa una distinzione tra felicità relativa e felicità assoluta. La felicità relativa dipende dalle circostanze che mutano continuamente, la felicità assoluta dipende da te e si può costruire. Sono molto fortunato a fare questo lavoro. Mi sforzo ogni mattina di migliorare il mio umore più che posso e mi pagano pure. O forse sono semplicemente un po’ scemo per natura. Si dice anche che “il riso abbonda sulla bocca degli stolti”.

BRUNO – Come nasce una battuta per iniziare un nuovo giorno?

ANTONELLO – Nasce in genere il giorno prima, dalla lettura dei giornali. Noi siamo stati molto fortunati. La nostra generazione è cresciuta con Stanlio & Ollio, Totò, “Alto Gradimento” di Arbore & Boncompagni, poi negli anni ’90 abbiamo avuto il privilegio di diventare assistenti di Enrico Vaime, da cui abbiamo potuto rubare i meccanismi e le leggi della satira, come arrivare a battuta da una notizia, i tempi comici, i limiti che ti devi autoimporre, perché non si può ridere di tutto ed è brutto deridere qualcuno che non sia un potente. E’ importante ridere ogni giorno perché fa bene alla salute, ma è fondamentale imparare a ridere di se stessi, perché fa bene all’anima. In questa epoca di conflitti tutti si prendono troppo sul serio. Come cittadino cerco di ridere per non piangere. Devi dire che l’attualità italiana aiuta molto. Le vicende, per fare un esempio, dei ministri della Cultura, sono comiche già di per sé. Fanno ridere da sole, non c’è neanche bisogno di sforzarsi a costruire delle battute.

BRUNO – Nel Buddismo, cosa ti ha fatto superare il dolore, e in che modo sei riuscito a migliorare il tuo stato vitale?

ANTONELLO – Tutti i buddismi nascono dall’intuizione del Principe Shakyamuni sulle 4 sofferenze fondamentali di nascita, malattia, vecchiaia e morte, che nessuno può evitare. Ho sperimentato che cercare di aiutare gli altri ad alleviare la sofferenza eleva la propria condizione vitale. L’ideogramma giapponese “compassione” è formato dai due ideogrammi “ji-hi”, togliere sofferenza e dare gioia. Concetto molto diverso dalla “pietas” delle nostre latitudini, dove ti compatisco e soffro insieme a te. Ecco, invece di farsi un bel pianterello insieme, non è meglio che ci facciamo una grassa risata? Quando vado a trovare un amico malato grave, o mia mamma con l’Alzheimer, esco di casa con lo scopo chiaro di far sorridere. Se sto li con un groppo alla gola non serve a nessuno.

BRUNO – Ho letto che tu e Marco siete diventati Cavalieri della Repubblica. Come siete riusciti ad ottenere questo riconoscimento così importante?

ANTONELLO – Sì, un paio d’anni fa il presidente Mattarella ci ha nominati Cavalieri dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, forse per aver aiutato ad alzare l’umore del Paese durante la pandemia di Covid. Quando il responsabile della comunicazione dello staff presidenziale ci ha dato la notizia con un messaggio su WhatsApp, abbiamo pensato tutti e due a uno scherzo di qualche collega. Invece no, era vero, risultavamo sul sito del Quirinale. Pensa, è stata un’ascoltatrice a chiedere che ci venisse dato questo riconoscimento.

BRUNO – Si può sorridere anche dopo un dolore o una tragica morte?

ANTONELLO – Pubblicamente no: dolore e morte vanno rispettati. Sempre. In privato è un’altra cosa. Io come tutti ho affrontato dolori e la morte di persone care, come il primo amore della mia vita dopo una lunga malattia, la scomparsa di amici cari e di papa’ che per via del Covid non ho potuto rassicurare, confortare accompagnare e onorare. Nell’immediato, quando succedono queste cose, c’è ben poco da ridere. Sempre nel buddismo però esiste il principio di “Shoji soku nehan”, le Sofferenze di nascita e morte sono Nirvana”. Che significa? Significa che dal punto di vista della buddità presente vita di tutti noi comuni mortali, se ti illumini alla Eternità della vita universale presente in ogni singolo attimo, puoi provare gioia anche in relazione alla morte, tua e delle persone che ti sono care. Da quando, a seguito di una forte preghiera, sono riuscito a sentire qualche attimo di questa gioia in relazione a una scomparsa importante, non provo più quella devastante sofferenza o paura anche della mia di morte. Credo non ci sia niente di meglio che poter far scrivere sulla propria lapide “È morto dal ridere”.

Bruno Bertucci

Vederci: un dono da utilizzare bene

Sembra un titolo scontato, ma non vuole essere un monito moralista, soltanto una considerazione. Conosco Bruno da tanti, tantissimi anni e, anche in questo caso, non mi lascio distrarre dall’amicizia quando devo recensire un libro. Di certo la prima nota da scrivere su di lui è che è cieco, e così l’ho sempre definito se serviva, non amo definire le persone, tanto meno gli amici. Bruno è cieco, parola correttamente italiana per dire che non vede. Eppure ho passato ore al telefono a sentirgli raccontare e, soprattutto, descrivere la vita intorno a lui, tra il serio e il faceto, qualche volta l’arrabbiato. Ad esempio quando gli chiedono di leggere il codice di qualcosa, magari proprio gli organi preposti ad aiutare chi non vede. Tornando ai racconti di Bruno, non soltanto sono accurati, ma divertiti e divertenti. E a me piacciono un sacco, perché non sono mai superficiali, mai scontati, mai ovvi. Viaggiare… Avere paura di perdersi, di non trovare le coincidenze degli aerei, delle strade, i taxi che ti accompagnano all’albergo (sbagliandolo poi), i bagagli che non arrivano, i musei da visitare, le conferenze da tenere in Sud America o il corso di arabo negli Emirati. Negli anni della nostra amicizia, Bruno ha riempito la mia mente di colori, di risate, di appunti precisi che sono in grado di disamine che talvolta nemmeno gli esperti d’area sanno fare. Eppure Bruno non ci vede, o almeno non ci vede con gli occhi. Che dire allora del suo libro? Ne abbiamo parlato tanto, per tanti motivi, e alla fine ecco raccolti alcuni capitoli della sua vita e dei suoi viaggi scritti, e descritti, così, com’è lui, senza mettere righe in mezzo alla vita e senza la paura di non saper preparare una valigia e poi un’altra ancora, per capire cosa ci sta attorno, in quel buio della mente che è molto ma molto peggiore del non vederci affatto. Qui si sprecano le belle parole, anche dei poeti che amo, e le considerazioni che ho avuto modo di fare frequentando gruppi di non vedenti o ipovedenti, oppure visitando (io che ci vedo) il bellissimo Museo Omero di Ancona. Cos’è la vita per chi non può goderne appieno, come si suol dire? E cosa vuol dire viaggiare? Prima di tutto in se stessi, nella propria mente, nella capacità di farsi carico del sé e condurlo per mano senza paura di dover cercare qualcun altro disposto a farlo. Imparare a capirsi e accettarsi e poi, appunto, accompagnarsi per le strade della vita a conoscerla per imparare un po’ più di se stessi e di quel tesoro che i saggi, e i grandi scrittori, hanno identificato come sepolto nel giardino di casa. Proprio quella “geografia della mente” che ha portato Bruno a studiare musica, a scrivere, ad imparare e ad insegnare e non già adesso, che se vedi una persona cieca camminare con il bastone bianco o il cane guida non ci fai neanche caso, ma da anni, quando (e lo ricordo io personalmente, quante volte l’ho sentito con le mie orecchie) si sentiva dire: “Ma perché non è stato/a a casa?”, oppure “Perché ha portato fuori di casa un ragazzino Down che non capisce niente? Perché non se lo tengono a casa?”, e cose così. Passiamo dalla persona che ha indicato a Bruno la strada con il numero preciso di passi da percorrere prima di girare a destra e a sinistra, al tassista che non si è accorto che lui non è arabo, tanto l’aveva imparato bene in un mese di studio. E gli aneddoti sono tanti. Li leggiamo in “Allora ci vedo” che comincia a raccontare il viaggio in Egitto del 1980 per finire con quello in Madagascar nel 2014. Non sono tutti e nemmeno gli ultimi, ma abbastanza perché questo scrittore si faccia conoscere e permetta a chi ne dovesse avere bisogno, di imparare a fidarsi di sé e degli altri, della vita e delle abilità che si possono sviluppare ed allenare semplicemente senza porsi il limite da soli.

Dati i tempi tristi che stiamo vivendo, mi soffermo sul capitolo dedicato al viaggio in Giordania e in Israele, effettuato da Bruno nel 1985. “È impressionante, ad esempio, la strettissima sorveglianza degli israeliani sul confine ed in tutti i punti sensibili del territorio. A tal proposito, non posso fare a meno di raccontare un aneddoto simpatico. Come detto in precedenza, le frontiere sono sorvegliate e ci era stato severamente proibito fare delle fotografie in questi punti sensibili. Sono allora andato in fondo al pullman e ho detto ad alta voce: “Ferma ferma! Voglio fare una foto”. Ricordo molto bene come la guida si sia precipitata in fondo per cercarmi e dicendomi affannosamente: “No! Per favore!”. Mi ha poi trovato accucciato dietro ad un sedile, ma naturalmente senza la macchina fotografica ed a quel punto c’è stata una ilarità generale.

Uno scherzo davvero ben riuscito dove si sono divertiti un po’ tutti, meno il nostro accompagnatore.

Eravamo nel 1985, quando esistevano seri problemi tra lo Stato di Israele e gli stati confinanti. Tutti sono stati perquisiti all’entrata del cosiddetto Muro del Pianto, ciò che resta del Tempio di Salomone.

Abbiamo dovuto lasciare fuori le borse e le macchine fotografiche, ma a me è stato consentito di entrare con il borsello senza subire alcun controllo perché, dopo avermi osservato attentamente, i soldati di guardia hanno “chiuso un occhio”.

Durante quella visita ho provato moltissime emozioni: ho potuto ascoltare i Rabbini in preghiera mentre recitavano i Salmi e, nel contempo, osservare i soldati armati che controllavano il flusso dei turisti, cosa assolutamente normale da queste parti.

Ho avuto inoltre l’opportunità di conoscere alcuni archeologi francescani. In particolare, ho avuto l’onore di conoscere Padre Michele Piccirillo, il predecessore di Padre Pizzaballa Custode di Terra Santa, archeologo che ha portato avanti degli scavi importantissimi. Mentre giravamo per Gerusalemme, siamo andati a visitare quello che un tempo era stato il Cenacolo, oggi trasformato in una scuola ebraica. Siamo poi passati per l’Orto degli Ulivi, dove Gesù iniziò il cammino denominato “La Passione”, momento fondamentale nella nascita del Cristianesimo. Mentre camminavo in compagnia di una signora, due ragazzini ci hanno distratto e mi hanno rubato quei pochi soldi che avevo. Una delle persone del gruppo, allora, mi ha regalato un piccolo pezzetto di legno che ho conservato per molti anni, in cui aveva scritto: “Remember di uno scippo al Getsemani”. Devo comunque precisare che, dopo alcune verifiche, l’agenzia mi ha restituito la somma che mi era stata rubata ed in questo modo ho potuto proseguire il mio viaggio tranquillamente”.

Passando al Venezuela, stralciamo: “A Caracas ho conosciuto una coppia simpaticissima, lui giornalista e lei studentessa, con cui sono stato in diversi locali di Caracas ed ho potuto imparare molte cose sulla “Repubblica Bolivariana”, così chiamata perché liberata dal “libertador” Simon Bolivar.

In questo mio viaggio non poteva ovviamente mancare un aneddoto in albergo. Le pulizie in camera mia venivano fatta da una signora molto cortese, la quale aveva la premura di non spostare mai gli oggetti (cosa fondamentale per un cieco). Dopo un po’ di giorni eravamo entrati in confidenza e le avevo chiesto dove fosse possibile trovare le tipiche banane piccoline di quelle zone. Gentilissima, ci pensò lei stessa a portarmele il giorno dopo ed erano talmente buone che la sera, non avendo particolarmente voglia di uscire, ne mangiai ben otto”.

E leggiamo anche qualche aneddoto sugli Emirati Arabi: “Per concludere il mio primo viaggio negli Emirati, ovviamente non poteva mancare una piccola disavventura: ho raggiunto l’aeroporto con un taxi mandato dall’agenzia viaggi ma, una volta lì, il conducente è subito ripartito, senza accompagnarmi all’interno. Non mi sono comunque fatto prendere dal panico: mi sono avvicinato all’ingresso principale e, parlando in arabo, ho spiegato la situazione ad un poliziotto che controllava l’entrata, il quale, molto gentilmente, dopo aver controllato il mio passaporto ed il mio biglietto aereo, mi ha accompagnato sotto braccio al banco del check-in. Quella terra caratterizzata dall’incontro di mare e deserto mi aveva molto affascinato e, nel 2011, decisi di tornarci. In quella occasione ho chiesto aiuto a mio cugino che abitava lì, il quale mi ha consigliato sia una scuola di arabo ed inglese, sia un buon hotel (avevo intenzione di fermarmi per una lunga permanenza). Al mio arrivo, ho trovato una città completamente modernizzata. Appena sbarchi dall’aereo ti viene scattata una foto ed opplà! Si è immediatamente rintracciabili, qualora ci si trovasse coinvolti in qualcosa di illegale o comunque vietato.

Mi avevano detto che avrei potuto girare senza problemi ed infatti così è stato: effettivamente, se si conosce un po’ l’inglese è possibile cavarsela ovunque. Per un disguido con la mia banca, non avevo aumentato il plafond della mia carta di credito e, al mio arrivo in albergo, mi viene fatto notare che la somma a disposizione non è sufficiente a coprire tutto il periodo di permanenza. Fortunatamente mio cugino ha potuto fare da garante. Nell’hotel in cui sono stato era la prima volta che ospitavano un non vedente, perciò alcune volte è accaduto che il mio accompagnatore non sapesse come comportarsi. In uno dei primi giorni, infatti, una manager, volendomi aiutare, mi ha preso per la spalla; al che, per sdrammatizzare, le ho detto: “Guarda che non sono il cane!”. Abbiamo così rotto il ghiaccio con una bella risata e da lì in poi la permanenza è stata ottima.

I primi giorni in albergo sono di solito i più difficili, ma piano piano si conoscono un po’ tutti e, con alcune persone, si può instaurare una conoscenza più profonda. In questo viaggio, ad esempio, ho fatto amicizia con una donna proveniente dal Myanmar, che mi ha confidato il suo sogno di entrare in un monastero buddista. Era una donna semplice, ma molto risoluta: dopo dei piacevoli appuntamenti a cena, nel ristorante vietnamita, sono riuscito a convincerla a mettere via una somma di denaro da mandare alla sua famiglia, in quanto molto povera e bisognosa del suo aiuto. Questa donna mi ha molto colpito, anche perché non si incontrano facilmente delle persone così spirituali: non dimenticherò mai la sua bellezza interiore e la sua umanità”.

Ecco alcuni esempi di appunti di viaggio che hanno un sapore desueto, ma che credo dovrebbero tornare di moda, dato che i nostri milioni di messaggi si perdono nell’etere e, soprattutto, sono troppo immediati e ricchi di immagini. Il ricordo meditato e scritto, poi riletto, è invece costruzione del viaggiatore che impara e sa spiegare, tramutando il viaggio in quello che davvero dev’essere, non l’impressione spot da correre a postare senza avere le parole per descrivere le proprie emozioni. Lasciandosi condurre per mano da Bruno, penso che possiamo studiare delle prossime vacanze, ma anche lasciarsi trasportare nel viaggio del pensiero che, in fondo, è quello che ci riempie di più di magia.

Da leggere.

Bruno Bertucci: “Allora ci vedo”, scritto.io. Richiedibile all’Autore.

Alessia Biasiolo