Commedia divertente, il nuovo film di Luca Miniero (il regista di “Benvenuti al Sud” e del seguito “Benvenuti al Nord”, di raro successo soprattutto il primo, per alcuni critici incomprensibile) non propone nuovi argomenti sui quali riflettere, ma lancia la moda del “cinepastiera”, come lo stesso Miniero lo definisce. Intanto la trovata di fare uscire le 450 copie Warner nelle sale il primo dell’anno, intuendo che molte persone avrebbero approfittato della mancata gita fuori porta e si sarebbero dedicate ad un’attività intelligente ed economica come andare al cinema, magari la famiglia al completo; poi per uscire dalla tiritera del cinepanettone. Qui, infatti, non abbiamo avanzi di panettone e pandoro, ma una pastiera, cucinata addirittura dal boss Ciro, Rocco Papaleo, nella cucina più che perfetta della sorella Carmela (Paola Cortellesi), che però si fa chiamare Cristina. Una nuova commedia per un anno nuovo? Come suggerisce Nicola Maccanico?
In realtà gli stereotipi di quest’Italia malridotta ci sono tutti e sono i soliti: al nord precisi e diligenti, al sud camorristi e pasticcioni, eccetera, eccetera. In realtà qualcosa di nuovo c’è. Ed è la visione di fondo del film: viene fotografata, senza troppo girarci intorno, la famiglia media italiana con i suoi molti vizi e qualche virtù. Infatti, al di là del soffermarsi su frasi come il nord è freddo e umidiccio, si mangia male (“che … sono ‘sti canederli?”) e al solito, ecco che abbiamo una donna che, lasciato il passato di orfanella e il sud carico di problemi, si trasferisce in Trentino e diventa la perfetta madre di famiglia. Sposa un uomo semplice e abbastanza sottomesso (Luca Argentero), ha due figli (Saul Nanni e Lavinia dè Cocci, molto bravi per la giovane età) e passa il suo tempo a studiare come fare per avere successo.
Il mito del successo, infatti, sta alla base di tutto. Del collegio per i figli che uno odia e l’altra sopporta solo perché più piccola; dello sport per il maschio e della scuola di danza in tutù per la figlia (questo sì lo odia, ma non ha il coraggio di dirlo a nessuno); della casa orribile, ma alla moda e soprattutto costruita dal datore di lavoro del marito. Il quale non riesce a disilludere la moglie: è un pubblicitario mediocre, che crea slogan e pubblicità orribili, eppure la moglie lo crede degno del più alto paradiso di ruolo e soldi. Cristina spende molto più di quanto il marito guadagni, ma questo l’uomo non può ammetterlo e farglielo sapere, perché infrangerebbe dei sogni che Cristina coltiva da tempo e che lui sa sono per il bene della famiglia.
Ma qual è questo bene? Per Cristina, che persegue strenuamente la dieta del pinzimonio e inorridisce al pensiero di pastiera, pasta, mozzarelle e tutto quanto le ricorda il passato, dialetto compreso, tanto che parla in quasi perfetto dialetto locale, è di certo diventare amica dell’impossibile moglie del capo, interpretati l’una da Angela Finocchiaro, trade d’union con gli altri film e perfetta nel ruolo, spassoso e sempre ben interpretato, e dallo stralunato Ale.
Così eccoci al caso: il fratello di Carmela/Cristina, Ciro, sospettato di essere un boss della camorra, è in attesa di processo; ha diritto ai domiciliari e chiede di trascorrere il tempo di attesa dalla sorella, non avendo nessun altro, sorella che non vede da quindici anni e di cui non sa più nulla. La polizia la rintraccia e le comunica di andarselo a prendere.
Lo spannung è che Cristina non ha detto a nessuno che il fratello è vivo, tanto che in casa troneggia una foto di lui, spolverata ogni giorno (e l’inizio del film con piumino spolverante è carino), morto durante una processione. Quindi ecco che tutto il castello di carte della donna crolla. E non solo per la presenza in casa di un chiacchierone disordinato fumatore, quanto perché all’improvviso l’idea che la famiglia Coso (già il cognome è tutto un programma) sia imparentata con una famiglia mafiosa mette a posto tutto. Il paese intero ne ha timore e reverenza, fascino del potere e curiosità. Insomma, quest’Italia che vuole più di quello che ha, appare più di quello che è, premiante non il merito ma l’esteriorità, anche se poi l’azienda del capo è in crisi e, altro che castello di carte, potrebbe cadere da un momento all’altro. Alla fine, tra gag più o meno riuscite, quello che viene tratteggiato è ciò che ci fa ridere e riflettere di più, malgrado la fine melensa che vuole, però, tornare ai buoni propositi e alla correttezza non tanto dei fatti quanto dei principi.
Cristina ritorna la Carmela fragile e vera nel ricordo dell’unica figura di riferimento che aveva, la suora dell’orfanotrofio, e così se era antipatica e dispotica conta sempre sull’amore del marito e dei figli che desiderano sì assecondarla, ma anche uscire dall’incubo di qualcosa di falso che è più appiccicoso dell’idea di essere camorristi. Alla fine Ciro aveva mentito, per essere considerato, per essere qualcuno, e allora ecco il film catarsi di chi vuole tornare ad essere solo vero per cominciare un nuovo anno all’insegna della ripresa. Ciascuno deciderà di cosa.
Il film ha incassato 1 milione 503mila 349 euro nel solo giorno di uscita, con il tutto esaurito ad ogni orario di programmazione. Apprezzato dal pubblico in sala, con a tratti fragorose risate. In effetti la coppia Cortellesi/Papaleo funziona molto bene, anche se alla fine abbiamo una trama un po’ sfilacciata quando dal rapporto tra loro due ci si distacca. Azzeccate le macchiette del professore di inglese, un Salvatore Misticone in bombetta, e della coppia di poliziotti Marco Marzocca e Massimo De Lorenzo.
Alessia Biasiolo
