L’incubo peggiore di ognuno di noi. Non esistere. Avere la percezione dell’azzeramento dell’esistenza esistendo. Un preludio di cosa ci sarà dopo la morte. Lo smembramento delle nostre certezze. L’azzeramento dei nostri punti saldi. E anche il dramma di avere il tempo e lo spazio per scoprire tutto di noi: i nostri timori, i nostri drammi interiori, le nostre colpe e le mancanze di una vita normale che, improvvisamente, si trova alla resa dei conti. È questo il contenuto di “Musica dalla spiaggia del paradiso”, ultimo lavoro di John Ajvide Lindqvist, autore svedese affermato. Il clima è proprio nordico. Persone in un campeggio che cercano la vacanza o di ingannare il tempo e che, improvvisamente, devono affrontare il nulla. Svegliandosi al mattino scoprono che tutto è scomparso. Altre persone, auto, camper, paesaggio, tutto. Nel nulla niente funziona. Hanno poco cibo. Si devono riscoprire antichi esploratori comportandosi, malgrado la guida di un Suv, proprio come i nostri progenitori quando dovevano andare a caccia. Adesso devono trovare un segnale per la radio, per il telefono cellulare, per connettersi con un mondo che non c’è più. E dove sarà finito? Il dilemma è quello classico di questo genere di romanzi che rasentano l’horror: il nulla è nostro o altrui? Siamo noi nel niente oppure sono gli altri a non esserci? Le domande esistenziali che sottendono questo bel lavoro, carico di suspance lenta e nebulosa proprio come l’ambiente che ci si immagina dalle prime pagine della descrizione dell’accaduto, si susseguono mentre si snoda pian piano la vita dei protagonisti. Il domandarsi cosa si era scelto di fare andando laggiù con un uomo che si sapeva già non sarebbe stato ancora a lungo il proprio marito e che, poi, perché lo si era sposato? A che servono i propri marmocchi se si trascorre la vita sul ciglio di una crisi di nervi? Perché trovare romantico un posto in cui non ci sarebbero state le proprie preferite cose da mangiare? Insomma, perché vivere così e continuare a vivere così se non si è vivi affatto? Il paesaggio scomparso in cui si trovano a vagare come ombre dell’assurdo Peter, Molly, Donald, Majvor e pochi altri, è proprio il vivere quotidiano della maggior parte degli esseri umani. Il nulla. L’assurdo del vivere senza farlo. L’Autore conduce il lettore ad un’appassionante riflessione su se stessi proprio mentre accompagna i propri personaggi a cercare non più l’autore, ma il palcoscenico, perché il mondo non basta più, non giustifica il vivere e non lo spiega affatto. Si fa strada sempre più, o si acutizza per chi già era sul’orlo del baratro personale, l’angoscia: quel qualcosa che non si curava ora è assente e già manca, lo vi percepisce come una nostalgia pungente che fa male, molto male a chi la prova.
La paura della perdita così sapientemente spiegata dagli psicologi, con Lindqvist diventa reale, tangibile, vera, percepita, possibile da spiegare e da leggere così come avviene, così come nasce e prende forma. Il peggior incubo diventa realtà e si materializza sotto gli occhi del lettore con una maestria da principe del thriller psicologico. La paura, ma anche la rabbia, il risentimento, l’angoscia e il terrore sono materializzati e spiegati dall’Autore con un’acutezza spaventosa e che permette a ognuno di identificarsi nel romanzo stesso, come se le pagine prendessero forma e diventassero noi stessi in vari momenti della nostra vita, anche solo nei sogni o negli incubi. Un romanzo da leggere d’un fiato senza cercare per forza di capirlo, ma lasciandolo entrare nella nostra mente e nella nostra anima per vedere se sa suscitare emozioni inconfessabili o che non pensavamo di provare. E l’assurdità del viver quotidiano diventa ancor più bruciante quando le persone che cercano di scoprire cosa sta loro accadendo, o cosa è accaduto al resto dell’umanità, dissertano sulla copertura di un telefono cellulare, ammettendo che quelli di vecchia generazione hanno una copertura migliore dei moderni, ergo forse possono connettersi con il mondo reale prima e meglio. Forse. Poi, nel dramma, arriva la follia. Può essere della piccola Molly che si diverte a guardare un film horror in cui le persone vengono squartate, oppure la nausea per tutto ciò che sta accadendo o non accadendo attorno, ma anche la materializzazione della domanda inconscia di ogni genitore che sta mettendo al mondo un figlio. Cosa sarà? Potrebbe essere un mostro? O potrà diventarlo? Peter si trova a vivere anche questo: chi è sua figlia? O meglio, cos’è? Neanche gli animali sono risparmiati e vivono della novità come se avessero un’anima. Alla fine, tutto viene a galla, proprio grazie all’assenza. Le proprie paure materializzate permettono agli essere umani di capire se stessi e la loro vera natura, mentre scoprono lo stesso dei loro amici e conoscenti. O forse no. Forse tutto è un abisso senza senso. Forse non è nemmeno verro. Forse il paradiso è solo il vuoto. Chissà…
Da leggere, per gli amanti dei brividi e della narrazione perfetta.
John Ajvide Lindqvist: “Musica dalla spiaggia del paradiso”, Marsilio, Venezia, 2015, pagg. 430; euro 18,50.
Alessia Biasiolo