Un interessante libro di Rosetta Loy, caratterizzato dalla sua classica penna poetica nei tratti più personali, che a mezzo tra il saggio e il romanzo storico, ci riporta negli anni dell’Italia ferita a morte, come recita il sottotitolo, tra gli attentati terroristici e quelli di mafia, in un periodo che l’autrice ha scelto di analizzare compreso tra il 1969 e il 1994. Esattamente dall’inizio del periodo poi denominato gli anni di piombo, quello durante il quale si determinava la linea di demarcazione tra un prima e un dopo entro la quale si era “vasi di coccio”, inizio dato dalla strage di piazza Fontana a Milano, e la fine, fissata da Rosetta Loy con la nascita e l’avvento di Forza Italia al governo.
Un volume dal contenuto intenso, incalzante, formato da date, nomi anche dimenticati, intrecci che portano al 2013 appena trascorso. Un lavoro paziente, denso, filtrato da una memoria che spesso a tutti noi fa difetto, soprattutto quando arrivano nuovi personaggi sulla scena politica e non ci si ricorda di averli già veduti, che c’erano già in un prima a lungo funestato di morti.
Non è il computo preciso dei morti la trama, ne mancano tanti all’appello, ma è un tentativo di dare un senso all’accaduto, quando si sono conosciuti i retroscena, i muri di cartongesso sono caduti e sono apparsi i memoriali di Moro, o le agende si sono ritrovate, o i pentiti di mafia hanno fatto luce su passaggi della democrazia che vedevano la loggia P2, oppure Gladio, oppure i servizi deviati, oppure ancora stretti legami tra la politica al potere e la mafia, protagonisti. Burattinai a tirare le fila. Si ricordano i delitti eccellenti, dal commissario Calabresi ai giudici Falcone e Borsellino, ma anche l’attentato romano a Maurizio Costanzo, colpevole di essere amico di Falcone e di avergli dato spazio nel suo Maurizio Costanzo Show. E tornano alla memoria i nomi di altri giudici, dimenticati, oppure la storia della madre di tutte le tangenti, i legami Eni Enimont Montedison, l’acquisto di una certa villa ad Arcore, i dipendenti mafiosi e i capi delle inchieste, poi indagati e condannati.
La perizia con la quale Rosetta Loy conduce questa lunga inchiesta ci permette di capire, di capire quanto sulle pagine dei giornali è apparso sì, ma apparentemente senza legami, difficile com’è trovarli, i legami (a volte non ci riescono neanche con le inchieste giudiziarie), dopo anni e anni di rapporti di lavoro alla luce del sole o occulti, con giri di denaro che percorrono tutta la penisola.
Viene ricordato il misterioso suicidio di Raul Gardini, che si è sparato un proiettile alla tempia, ma l’arma era adagiata a metri da lui senza impronte, e altri misteriosi suicidi in carcere, come quello di Gabriele Cagliari avvenuto il 20 luglio a San Vittore, dov’era rinchiuso come presidente dell’Eni (e già la Loy ci aveva spiegato molto su Mattei e la sua morte) accusato nell’inchiesta Tangentopoli per una tangente di sette milioni che era sfuggita e dalla quale erano partite le indagini che avevano portato al Pio Albergo Trivulzio e quindi a Mani pulite.
Tornano ad avere un contorno le figure di Michele Sindona e di Gelli, nomi di banche e di altri morti in carcere, come Aricò precipitato dal nono piano della prigione di Manhattan.
E tra soldi, banche e morti, la storia di Totò Riina, il suo arresto il 15 gennaio 1993, i papelli spariti e le perquisizioni della sua abitazione organizzate in ritardo, quando oramai la sua casa era stata svuotata. Ad esempio, il capo di quella operazione dei carabinieri dei Ros era stato, in quell’inizio del 1993, Mario Mori, promosso nel 1998 generale di brigata, trasferito nel 1999 alla Scuola ufficiali di Roma e diventato nel 2001 prefetto e direttore del Sisde fino al 2006. Quindi chiamato da Alemanno, nel 2008, come consulente per la sicurezza pubblica di Roma. Infine, sotto inchiesta da parte del tribunale di Palermo e nel 2010 iscritto nel registro degli indagati per concorso esterno in associazione mafiosa. Perché, appena arrestato Riina, prima che la moglie tornasse dalla spesa, non si era messa sottosopra la casa alla ricerca di prove, indizi, altri documenti? Perché anche in molti altri casi tanto tempo lasciato alla mafia o ai terroristi per sistemare le cose? Disorganizzazione o depistaggio?
Dov’è finita l’agenda rossa di Borsellino? Dove la cartella nera dalla quale non si separava mai Sergio Castellari?
E ancora nomi di politici: Andreotti, Cossiga, Craxi, Amato. Leggi cadute in prescrizione o nel dimenticatoio, il 45 bis non rinnovato da Conso per una sua iniziativa personale e altre sue scelte prese in solitudine, e provvedimenti non firmati dal ministro Martelli o dal presidente Scalfaro perché avrebbero affossato del tutto Mani pulite, oppure avrebbero agevolato la mafia.
Nomi di eroi che non si sono piegati, di pentiti, di persone spaventate dagli attentati che arrivarono fino alle mura vaticane. Citazioni dell’Opus Dei e della Cia e molto altro ancora, in un libro che è sì un romanzo d’Italia, ma a tratti dei più spaventosi.
Si legge di criminalità organizzata che passo dopo passo ha raggiungo il nord ed è talmente potente da non permettere di vederne più in contorni. Nel senso che non solo si è molto diramata, ma ha anche assunto tanti tipi di vestito, tanto da non essere più riconoscibile.
Il merito di questo lavoro (adattissimo per percorsi scolastici superiori e per l’aggiornamento degli insegnanti) è proprio avere tracciato un percorso preciso, dal quale si possono prendere le distanze, si possono avere altri pareri, ma di certo per confutarlo bisogna riandare ai fatti e non limitarsi alla retorica.
Oggi che sono passati non solo tanti anni da poter avere un quadro storico preciso, ma si sa anche com’è andata, si può rivedere il film del terrorismo con occhi meno offuscati, conoscendo le sentenze, i nomi, le deposizioni rilasciate in ritardo. Loy toglie dalla naftalina del dimenticatoio molti fatti, tanto da non lasciarci più alibi, non poter dire non lo sapevo o non lo ricordavo. Afferma l’autrice: “Si dimentica perché fa comodo, ed è criminale. E si dimentica per pigrizia, il che è stupido. La conoscenza di quanto accaduto è infatti l’unico strumento che abbiamo per distinguere il luogo dove ci capita di vivere. È la bussola che ci permette di orientarci”.
Con questa storia dobbiamo fare i conti tutti, nati o non nati in quel periodo, e solo la conoscenza, come sostengo sempre, ci permette di avere un’idea precisa di quello che vogliamo essere e vogliamo fare. Perché a un certo punto gli alibi non reggono più. E tutti noi siamo chiamati a rispondere di quello che è, oggi 2014, questo nostro Paese.
Da leggere.
Rosetta Loy: “Gli anni tra cane e lupo” chiarelettere, Milano, 2013, pagg. 298; euro 13,90.
Alessia Biasiolo