Intervista allo scrittore Giampaolo Rol

D: Giampaolo Rol, si considera un avvocato prestato alla scrittura, o uno scrittore avvocato?

Nel mio caso la professione di avvocato e il diletto dello scrittore sono due amanti: hanno bisogno l’una dell’altro, anche se a volte litigano. La professione di avvocato non è certo semplice, e la fantasia che metto in quel che narro costituisce il mio “buen retiro” dalle esperienze professionali. Spesso si dice degli scrittori che questi vivono due vite: una è quella reale, l’altra è quella della storia che stanno scrivendo. Anche per me è così: mi ritengo privilegiato nel poter frequentare un mondo parallelo a quello reale, dove il mio sherpa personale è la fantasia che mi concede totale libertà sui miei personaggi, sulle loro azioni e pensieri, sulla loro vita o sulla loro morte, e che mi fornisce il respiro necessario per la vita di tutti i giorni.

D: Un lavoro considerato difficile, quello di avvocato, in questi ultimi anni, cosa ne pensa? Qual è lo stato del sistema giustizia italiano?

Il mio primo istinto di risposta sarebbe un “no comment”, dove il “no comment” starebbe a significare un’opinione molto negativa, soprattutto per quanto riguarda la riorganizzazione della geografia giudiziaria.

D: I saggi affermano che soltanto chi ha vissuto molto può narrare con cognizione di causa, e soprattutto, continuare a produrre lavori interessanti. Rol come si considera sotto questo aspetto?

Io ripeto sempre che “la sofferenza è il calamaio dello scrittore”. Ma a mio modo di vedere è possibile discernere sofferenza e/o eventi che la provocano ad ogni angolo di strada frequentata quotidianamente, sofferenza che non è solo esclusiva dei grandi traumi della vita che ognuno di noi conosce anche troppo bene. Cose che ad alcuni pongono riflessioni severe, e che altri ripongono nel cassetto del “non mi riguarda”, o del “non ci posso fare niente”.

D: L’opera prima è un’eccellente esempio di legal thriller ambientato negli Stati Uniti. Che esperienza ha vissuto negli USA?

In una intervista rilasciata per un’emittente locale pinerolose, ribadivo il concetto che per quanto riguarda New York City: la sensazione è quella del “It feels like home”, che ti fa sentire a casa. Strano a dirsi, ma ho provato questa sensazione anch’io, nonostante mi trovassi nel bel mezzo del formicaio umano di una metropoli. Ma ho anche percepito il limite dell’impersonalità che una massa di persone così smisurata ti lascia addosso, e dell’esigenza di andare oltre ai limiti di un’omologazione pressoché totale degli individui che la popolano, esigenza che ho cercato di sviluppare nel secondo romanzo “Come una rondine, come una quercia”.

D: Caratteristica di pregio di Giampaolo Rol è sapere scrivere generi differenti con la stessa eleganza e una buona leggiadria di stile. È una scelta cambiare soggetto, una strategia di vendita o una necessità profonda?

Penso che cambiare genere possa risultare controproducente ad uno scrittore, posto che il lettore spesso si “fidelizza” al genere che ha fatto conoscere lo scrittore stesso. Per quanto mi riguarda non è assolutamente una strategia di vendita, in quanto la mia prima esigenza è divertirmi a scrivere. Se non mi divertissi a scrivere storie credo che potrei imbattermi nel classico ostacolo della “pagina bianca”, quando il trattino del computer lampeggia sullo sfondo bianco e le parole non arrivano, solo perché dovrei scrivere una storia che possa compiacere il lettore su un genere di maggior vendita piuttosto di un altro. Spesso a chi me lo chiede rispondo che sono le storie a scegliere me, e non il contrario… e le parole vengono da sole.

D: Qual è, secondo lei, lo stato della produzione letteraria italiana?

Penso che la produzione letteraria italiana sia sempre stata molto buona, ma la riflessione deve svoltare in un’altra direzione, poiché su questa interviene un collo di bottiglia che ancora oggi non sembra evitabile, vale a dire le case editrici tradizionali che producono in cartaceo, e che probabilmente negano il passo a scrittori molto più bravi di me. Penso alla mia esperienza diretta con queste ultime e alle loro richieste assurde. Naturalmente non posso fare nomi, ma mi è successo di ascoltare risposte del tipo “Il suo romanzo? Può inviarci il primo e l’ultimo capitolo, e lo valuteremo…” oppure “Il suo romanzo è interessante, ce ne tolga settanta, ottanta pagine, perché così sono troppo lunghe e costose produzione e distribuzione, poi ne riparliamo…”. Ecco, queste sono le case editrici tradizionali, che si dipingono come le dispensatrici di letteratura ma che poi, non si sa come, sono pronte a pubblicare le vicende amorose del tal bellimbusto e o dell’ultima showgirl, dove, naturalmente per mia colpa o mio limite, non riesco proprio a trovare sostanza letteraria. Purtroppo i lettori acquistano ciò che vedono reclamizzato, e forse a volte non vanno oltre le operazioni di marketing. Per questi motivi ho svoltato verso l’e-book, con prezzi per opera decisamente irrisori rispetto al cartaceo, e alcuni lettori mi hanno anche scritto per farmi i complimenti. Ecco, per me va bene così, anche perché per me scrivere è un’esigenza alla quale non rinuncio, lo farei anche se non ottenessi alcun tipo di riscontro. Bisogna anche ammettere che in Italia esistono più scrittori che formiche e non è sempre facile individuare il tipo di opera che possa cucirsi perfettamente addosso al lettore.

D: Tornando alla produzione personale, sono molte le persone che vengono ringraziate alla fine del testo scritto. Ad esempio in “Come una rondine, come una quercia”. Gli amici per lei sono importanti…

Gli amici sono importantissimi, anche se con l’andare del tempo si affina la selezione delle persone che possono veramente “darti qualcosa”, nel senso naturalmente meno venale dell’espressione.

D: Ho trovato interessante, sempre in “Come una rondine, come una quercia” la citazione di molte filosofie lontane dalla nostra. Ci spiega il perché di quella scelta?

Reputo l’apertura della mente in ogni direzione come condizione indispensabile della condizione umana. Io sono cristiano cattolico apostolico romano, ma tutto questo non mi impedisce di riconoscere la bellezza assoluta di alcune pagine del Corano o di vari passaggi del Buddhismo e così via. Non riesco a comprendere l’ingabbiatura che l’essere umano costruisce della propria conoscenza per poi rimanerne schiavo, privandosi di possibilità che potrebbero contribuire in altissima percentuale sulla cifra intellettuale del singolo. Sono sempre affascinato quando la sicurezza di alcune mie convinzioni vengono poste in dubbio da un’interpretazione diversa, altrettanto concreta e credibile, figlia di un punto d’osservazione completamente diverso, diametralmente opposto. E che innesca dentro di me la magia del dubbio, il dubbio che costituisce la vera forza motrice della ricerca, di quella ricerca che pone domande e ne costruisce altre, in un cammino che raramente vede la fine, pur sapendo che è quello stesso cammino il valore aggiunto, non necessariamente arrivare ad una soluzione, che potrebbe essere valida ma solo a livello soggettivo.

Sono comunque lusingato della domanda, poiché buona parte dei racconti attribuibili a filosofie lontane sono in realtà frutto della mia fantasia, e l’accostamento non può che farmi piacere.

D: Sia nell’opera prima “Il mercante di destini” che in “Come una rondine, come una quercia” la voce narrante fondamentale è di una donna. Perché immedesimarsi in un mondo diverso da quello proprio?

L’alchimia che s’innesca tra un romanzo e il lettore è sempre unica ed irripetibile, e forse in questo caso a livello subconscio si sviluppa una certa empatia con alcuni dei personaggi che sconfina anche nei confronti della voce narrante. Sicuramente nel caso de “Come una rondine, come una quercia” la voce narrante è quella di Vivian, che guida le due gemelle Asha e Gloria sullo sfondo dell’intera vicenda. Alcune considerazioni e sottolineature della voce narrante ne “Il mercante di destini”, erano volutamente più sottili ed emotive, indispensabili per guidare il lettore nel complesso intreccio di vicende. Probabilmente, e fortunatamente, sono state colte dalle persone più sensibili, prerogativa sicuramente attribuibile ad un pubblico femminile. 

D: Adesso Rol si sta dedicando ad una storia affascinante ambientata nel 1129. Perché?

Non lontano dalla mia città, è situata una costruzione di matrice cristiana, ma che denota contaminazioni e caratteristiche ben lontane dai canoni del cattolicesimo, lasciando adito a domande succulente che alimentano la mia curiosità letteraria. Domande che partoriscono risposte che rimbalzano ad altre domande, come piace a me. Il risultato è quello della ricerca, ed ovunque mi porti, come sempre mi avrà arricchito. Anche in questo caso il registro del romanzo è completamente diverso dai primi due, e allo stesso modo rinnova il mio divertimento nel cercare risposte a domande così complesse. Risposte che avranno soltanto valenza di riscontro romanzato, non possiedo certo il dono della scienza infusa…

In realtà anche un’altra storia mi ha trovato: quella di un pescatore dal profilo psicologico semplice semplice, modo di esprimersi elementare, ma con una ricchezza interiore notevole, che dovrà scontrarsi con un mondo che non gli appartiene per tentare di risolvere un problema che gli sta molto a cuore, con tutte le complicazioni che il suo modo semplice d’intendere la vita gli comporteranno.

D: Quanto dedica alla ricerca al fine di scrivere le sue storie?

Per cercare di fornire una risposta grettamente matematica e che riguarda il mio lavoro, la ricerca sta alla storia in un rapporto che potrei ragionevolmente soppesare in un 90 a 10, sia che la ricerca sia volta a reperire i dettagli necessari al suo confezionamento nel mondo reale, sia che la ricerca sia volta all’interno di me stesso.

D: Quale formazione si sente di suggerire a dei genitori per far sì che i figli amino il mondo letterario, entrino da protagonisti nelle storia narrata attraverso la lettura e diventino i nuovi lettori?

Pur non avendo il merito d’essere genitore, e senza ripercorrere l’utilità di distogliere i propri figli dal ruolo passivo di uno schermo di computer o di un televisore,  penso che un bimbo debba essere stimolato in modo che con il tempo la sua sete di lettura e di giochi nei quali sia lui stesso il protagonista attivo e non passivo delle proprie attività ludiche diventi naturale, e che evolva con l’esigenza di conoscere prima, e magari di creare poi. La creatività di un piccolo potrebbe sfociare non solo nei pregi di un lettore, ma di un autore stesso, o di uno straordinario  artista di mosaici o vetrate multicolori, nelle visioni di un architetto o di una nuova tecnica di pittura o di disegno. Leggere molto significa rendere fertile il campo dell’arte che potrebbe fiorire nell’animo di ogni bambino e portare frutti di cui potrebbero godere tutti quanti nei campi più diversi, e non solo frequentatori di mondi letterari. Il tutto sotto lo sguardo vigile dei genitori pronti ad assecondare e coltivare le sue capacità innate, senza costringerli per forza a giocare solo a calcio… 

D: Quanto ha letto Giampaolo Rol da bambino?

Tantissimo, dalle fiabe per i più piccini prima, traghettato da Kipling poi, per   percorrere in seguito le rotte più varie degli scrittori più noti e meno noti.

D: E quanto legge oggi?

Ancora oggi mi diverto a leggere tutto quello che posso, spesso consigliato da amici, ma che rigorosamente non si trovi nelle classifiche dei giornali. E vi assicuro che raramente mi pento.

D: Secondo lei, che spazio c’è per la cultura letteraria occidentale?

Torno a dire che non bisogna aver troppa fretta nel giudicare quale produzione letteraria sia migliore o peggiore, o di quale collocazione geografica sia figlia. Il genio dello scrittore deve fare i conti con il gusto del lettore. Credo sempre che un romanzo sia come un vestito: non è detto che il miglior Armani possa piacere a tutti. Alle volte i lettori trovano a loro confacenti un paio di jeans senza griffe particolari, ma che gli calzano a pennello perché nonostante tutto sono confezionati con pregio e cura.

D: Hanno ancora un ruolo attuale le fiere e le manifestazioni in favore del libro e della lettura?

Se fiere e manifestazioni hanno come scopo il marketing dei soliti noti assolutamente no. Se invece case editrici cartacee e digitali si distinguono per aver scoperto talenti nuovi, certo che sì, e tutto a vantaggio della credibilità di queste.

D: Cambia il tipo di scrittore nell’era dell’e-book o no?

Il tipo di scrittore a mio avviso non cambia certo con l’avvento dell’e-book, ma cambia certamente il tipo di lettore. Osservazioni più comuni contro gli e-book? Il profumo della carta, la magia della carta, il contatto della carta…

Dall’altra parte si può controbattere che gli stessi soggetti non sembrano sottolineare gli stessi pregi quando si parla, che so, di e-mail. In questo caso le e-mail sono comode, immediate, veloci, digitali, gratis. Gli stessi pregi che potrebbero avere gli e-book, con costi notevolmente inferiori ai libri cartacei. Improvvisamente la lettera di carta, scritta a mano o al computer, imbustata, francobollata e con tanto di tragitto alle poste perde ogni attrattiva. A volte quindi mi sembra solo di trovarmi davanti a preconcetti, o a difficoltà in nuove abitudini.

Non vorrei comunque essere frainteso: non sono certo il palafraniere dell’e-book e non voglio nemmeno diventarlo. Al singolo deve essere concessa l’assoluta libertà di poter scegliere il veicolo migliore per entrare in contatto con il romanzo in genere, scettro che al momento resta saldamente in mano alla carta. Penso al contempo che la stessa libertà debba essere concessa a chi non subisce alcun fascino particolare dall’esperienza profumo / tattile della carta, con notevole risparmio economico e stessa fruizione di contenuti. Un esempio semplice, che ricordo benissimo: l’ultimo lavoro di Dan Brown in cartaceo, fresco di stampa, era a disposizione del pubblico in cartaceo al prezzo di € 25,00 e l’e-book a € 9,90. Non vedo perché non debba essere garantita altrettanta libertà a chi ha scelto un approccio più tecnologico ad un romanzo e di risparmiare quindici euro su di una singola copia di  un romanzo, tutto qui.   

Credo inoltre che il lettore tradizionale si lanci in invettive (a volte sterili) opinabili. Se ben ricordo è stato Beppe Severgini (con beneficio d’inventario) ad affermare che il lettore sembra dare più importanza al contenitore che non al contenuto. Un buon romanzo non diventa certo peggiore se digitale e non cartaceo.

Personalmente se mi offrissero aranciata in un elegante flute o uno squisito Chateau La Tour in un bicchiere di carta, sceglierei sicuramente il secondo.

Anni fa, recandomi allo Stadio, leggevo sempre una scritta a spray sopra un muro. Così diceva: ”Tifosi, voi siete la merce privilegiata del capitalismo”. Pur condannando il fatto che qualcuno avesse danneggiato il muro con quella scritta, il messaggio mi era arrivato. Era una frase che (almeno personalmente) mi faceva riflettere. Eppure era spray su di un muro. Conta quindi il contenitore o il contenuto? (mi raccomando, cari writers, non scrivete più sui muri, usate i blog, che possono arrivare molto più lontano e non costituiscono danneggiamento passibile di pena…).

Preciso inoltre che spesso le valutazioni sull’edizione cartacea prendono solo in considerazione il punto di vista del lettore, ma non certo quello dell’autore, che dopo aver prodotto con ogni suo sforzo disponibile il suo elaborato, trovato con fatica un editore cartaceo, firmato un contratto dove gli vengono riconosciuti diritti risibili, vede esposto il suo libro nell’ultimo scaffale della libreria per venti, trenta giorni al massimo per poi venire sostituito con i nuovi arrivi. Al massimo ordinabile su prenotazione.

E-book? Reperibile on line con brevissima ricerca, sempre, qualsiasi ora del giorno e della notte, sulla piattaforma preferita, acquistabile con pochi click. Abbiate pazienza se anche gli autori vi mettono al corrente del loro punto di vista.

D: Quando pensa di pubblicare il prossimo lavoro e in che forma?

I miei due e-book sono in vendita praticamente su ogni piattaforma, con la possibilità di scaricare un’anteprima gratuita che varia da quaranta a sessanta pagine, che possono essere lette in tutta comodità per comprendere se acquistare il libro (non credo che nessuno possa recarsi in una libreria tradizionale e poter leggere una quarantina di pagine prima di decidere sull’acquisto).

Per questi motivi non rinuncio all’e-book, e su quale delle due storie di cui prima pubblicherò… dipende da quella delle due che più insistentemente me lo chiederà.

Intervista di Alessia Biasiolo

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